LE TEMATICHE PRINCIPALI E LE ORIGINI LETTERARIE

Un’avanguardia, in quanto tale, è caratterizzata da alcuni punti che la definiscono: il dinamismo temporale secondo cui lo scrittore si colloca consapevolmente in una cultura percepita come in costante trasformazione giustificando così la propria sperimentazione artistica; l’antagonismo sociale che rende possibile e obbligato l’allontanamento dell’autore dai valori etici, estetici e spirituali della critica contemporanea; la potenzialità storica dell’arte per cui l’avanguardista presagisce un futuro idealizzato che diviene scopo della sua opera, implicando alleanze con forze rivoluzionarie o comunque progressiste; e infine, la militanza estetica, cioè l’innovazione artistica è considerata spinta trasformatrice della consapevolezza nella vita e nell’arte. Nel periodo del dopoguerra tali caratteristiche si sono ampiamente manifestate pur subendo i cambiamenti sociali concernenti l’immagine dell’artista, cioè sembra che la società abbia decisamente limitato l’antagonismo tipico delle vecchie avanguardie.
Gli anni Cinquanta hanno espresso un vero e proprio movimento d’avanguardia proprio con la Beat Generation e infatti i Beats sono stati gli ultimi della tradizione di protesta bohemienne contro la società borghese, ma anche un tentativo di far rivivere l’immagine, già di William Blake, dell’artista come un ribelle visionario profeta. Mentre da una parte si trovano le indagini morali di J. Salinger, dall’altra si affianca la glorificazione dell’autoespressione dei Beats di cui molti atteggiamenti si possono accostare ai movimenti avanguardisti precedenti. In primo luogo l’autodefinizione degli scrittori come una minoranza all’opposizione; la certezza di un imminente emergere di una nuova figura sociale di cui essi sono dei modelli precursori; l’ampliamento della coscienza di sé attraverso l’uso di droga e alcool e anche solo attraverso esperienze sessuali o musicali; l’idealizzazione di un comportamento spontaneo e appassionato, visto come obiettivo da raggiungere; il riconoscimento in sistemi religiosi non occidentali o comunque primitivi; infine il congiungimento con gruppi sociali emarginati.
Quindi i Beats affondano le loro radici in autori del passato che a loro volta si erano posti in maniera simile in campo artistico e sociale e infatti sono stati numerosi i tentativi critici di costringere la Beat Generation entro rigidi schemi-proseguimenti di altri movimenti ormai riconosciuti dalla storia. Soprattutto si è cercato di ricondurre la letteratura americana del secondo dopoguerra alla vecchia e nuova tradizione europea e sicuramente in parte è vero che i Beats leggevano e apprezzavano libri e poesie di autori del "Vecchio Continente", però è molto più importante sottolineare l’indipendenza di questo movimento che di fatto fu e rimase soltanto americano prendendo evidentemente spunto soltanto da Walt Whitman.
Innanzitutto da William Blake accolsero l’immagine del Bardo, l’atmosfera di visione e delirio e l’antintellettualistica emancipazione dalle convenzioni; in Arthur Rimbaud colpisce il poetare collerico e visionario, che va contro la tradizione, il realismo, il misticismo e il linguaggio semplice; in C. Baudelaire è riconoscibile quella stessa importanza di sostanze in grado di dare un altro aspetto, più profondo per i Beats, della realtà; da William C. Williams e da Ezra Pound si derivò la concretezza, la concisione e l’idea secondo cui la poesia si deve fondare sulla musica; per ultimo da Whitman, che deve essere considerato il grande creatore dell’american dream, sicuramente il free verse, il verso libero, lungo e irregolare, il ritmo, la ricerca continua di sé, il misticismo, la vivezza della lingua coi suoi gergalismi e termini onomatopeici e la sua non-europeità hanno influenzato gli autori della Beat Generation e in particolare modo la poesia di Allen Ginsberg.
Hanno letto E. A. Poe, W. Faulkner e E. Hemingway per la loro crudezza, H. Crane per gli eco di Whitman, D. H. Lawrence per la sua franchezza riguardo il sesso e per ultimo Aldous Huxley, il grande autore esperto di droghe. E proprio il tema della droga, della visione alternativa della realtà e della liberazione dell’individuo attraverso l’uso di sostanze stupefacenti, ma soprattutto di psicodislettici - i comuni "allucinogeni" o psichedelici - costituiscono sicuramente un importante punto di partenza per i Beats e allo stesso tempo un distacco insanabile della Beat Generation con le altre generazioni "perdute" o di poeti più o meno maledetti. Infatti una grande distinzione necessita essere fatta. Le consciousness-expanding drugs (=droghe che espandono la coscienza) negli anni Cinquanta hanno avuto notevole importanza per colmare il vuoto lasciato dal conflitto mondiale, esse erano un legame per sentirsi uniti. Droga=eroina=marijuana=mescalina=cocaina=hashish=LSD=anfetamina... tutte uguali per i giornali, la radio, la televisione, la gente dell’establishment. Al contrario per la Beat Generation e ancor più per il successivo underground la netta distinzione tra droghe dure, hard, e leggere, soft, è sempre stata chiarissima; le prime, gli oppiacei dell’Ottocento, danno assuefazione e creano dipendenza, mentre le seconde, di cui bisogna chiarire le origini culturali, alterano lo stato "normale" della mente inducendo vari tipi di "allucinazioni". La definizione di tale linea di demarcazione non si è basata soltanto su questioni mediche, ma soprattutto su motivazioni sociali; mentre la hard drugs allontanano l’individuo dalla realtà, chiudendolo nel proprio io, le soft drugs, come marijuana e hashish avvicinano le persone, eliminando le inibizioni e migliorando i rapporti tra i sessi e non solo. E così già Blake diceva: "Se le porte della percezione fossero sgombrate ogni cosa apparirebbe com’è, infinita"; Walter Benjamin d’accordo scriveva: "Sono convinto che certe forze dell’ebbrezza possano sostenere profondamente la ragione e la sua lotta per la libertà"; per ultimo, Aldous Huxley affermava: "Nessuna concezione dell’Universo nella sua totalità può essere definita senza prendere in considerazione queste forme di coscienza" riferendosi appunto a tali stati della mente. Infatti le droghe sperimentate nel secondo dopoguerra furono quelle che aiutavano a liberare la mente dalle "tenebre": mescalina, funghi sacri, acido lisergico (LSD), hashish e marijuana. In molte tribù indiane la mescalina è diventata un culto religioso e il peyote, da cui questa viene estratta, è stato usato dagli stregoni per millenni a scopo divinatorio, curativo e telepatico nel corso dei tentativi di comunicazione con le forze soprannaturali o per approfondire la comunicazione nel gruppo o per migliorare la solidità sociale. I funghi sacri invece erano già utilizzati dagli Aztechi per avere visioni e allucinazioni o come sacramento in cerimonie religiose. LSD, considerato molto più potente della mescalina, provoca intense esperienze religiose e allucinazioni di carattere soprannaturale. La marijuana, una pianta psicotossica, fu largamente usata per aumentare la concentrazione nei momenti di contemplazione. Gli anni Venti segnarono una straordinaria diffusione di questa droga tra i musicisti neri di musica jazz e tra gli scrittori sperimentatori come Hermann Hesse, William Burroughs o Aldous Huxley. Lo hashish, che in arabo significa "erba sacra", fu usato per scopi medici contro l’asma, il delirium tremens, l’isterismo e la rabbia. Il primo tentativo di reprimere l’uso di sostanze derivate dalla Cannabis risale già all’epoca di Napoleone per poi giungere al 1937, anno in cui un ex-proibizionista cominciò la repressione.
Con questi discorsi mistico religiosi la droga comunemente intesa ha ben poco a che fare. Come nel primo dopoguerra molti "scimmiottatori" si misero a bere solo per rischio, vanto o moda, gli imitatori degli anni Cinquanta fumarono marijuana solo per il gusto di trasgredire una proibizione e la propaganda del sistema si basò e si basa soprattutto su questi sfortunati che il più delle volte finirono per cadere nuovamente negli oppiacei. La direzione costante fin dall’inizio era l’attacco al modo di vivere e pensare dei borghesi, il mondo square, con la loro manipolazione compiaciuta e assurda dei mass media e del sistema e con tutte le inibizioni sessuali e non solo dell’individuo, ormai ridotto una macchina un po’ vecchia e non più competitiva. Criticano il mondo americano di Eisenhower col suo falso moralismo puritano e le illusioni ancora positivistiche. Ma non si limitano alla pura e semplice critica, i Beats propongono e non risparmiano nulla nel nome di una forma possibile di salvezza: il Buddismo Zen.
"Nel Buddismo non c’è posto per gli sforzi. Basta essere normale e niente di speciale. Mangia il tuo cibo, svuotati le budella, libera la vescica, e quando sei stanco vatti a stendere. L’ignorante riderà di me, ma il saggio capirà" e poi "lo Zen è soprattutto la liberazione della mente dal pensiero convenzionale, cioè qualcosa di assolutamente diverso dalla ribellione contro tutte le convenzioni come dall’adozione di convenzioni estranee": 

"Nel paesaggio primaverile non c’è
meglio
né peggio;
I rami in fiore crescono naturalmente,
lunghi alcuni,
Altri corti."
Propongono una vita spirituale e non materialistica, solo l’indispensabile viene ottenuto momento per momento e ricercano disperatamente il proprio "io" e la comunicazione con gli altri individui quando già Pirandello aveva scritto: "Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? […] Abbiamo creduto di intenderci; non ci siamo intesi affatto". E allora entrano in gioco il sesso, massimo tabù per gli anni Cinquanta, e le droghe, punto di partenza per abbattere inibizioni e per vedere una realtà in cui non ci sono tanti individui chiusi ognuno in sé, ma una "tribù" multietnica. Basta con gli egoismi e i conflitti, ma amore, pace e solidarietà.
La morte è sempre presente e in un modo o nell’altro tutti gli individui devono affrontarla e i Beats rispondono a modo loro.

Da: http://digilander.iol.it/laBeatGeneration

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