Una corrente letteraria e culturale
fiorita negli anni Cinquanta negli Stati Uniti, caratterizzata da una netta
posizione di protesta nei confronti della società conformistica del secondo
dopoguerra: una generazione stanca, battuta, senza la speranza di poter lasciare
qualcosa al mondo contemporaneo. Erano gli anni dello Sputnik, l’era
atomico-spaziale, un momento certo di crisi e un giornalista qualsiasi ebbe la
discutibile idea di creare il termine beatnik per indicare alcuni
scrittori che in un modo o nell’altro stavano facendo parlare di sé.
Purtroppo bisogna ammettere che è questo
ciò a cui si pensa quando, con incurante e indignante vaghezza, tentiamo senza
successo di pensare a un triste momento della storia statunitense; in realtà
noi ricordiamo appunto i beatniks, gli hippies,
i "figli dei fiori", le masse arrabbiate di studenti manifestanti, senza renderci ben
conto del nostro imperdonabile errore.
Fu Jack Kerouac a parlare per la prima
volta di beat (=battuto) riferendosi non al ritmo musicale e di certo neppure
all’idea di beatificazione, ma riprendendo il topos dell’uomo moderno
battuto appunto e sconfitto di fronte alla società, alla falsa comunicazione,
all’avidità per il denaro, alla violenza, alla sete di potere.
Quindi, in seguito alla brillante
pubblicazione di una rivista, si cominciò a parlare di movimento e di gruppo
confondendo inequivocabilmente le comparse travestite della strada , che già
nei Vagabondi del Dharma Kerouac esplicitamente attaccava, con i Beats:
gli scimmiottatori con la minoranza di artisti. Una tale confusione li accomunò
ben presto alla piccola delinquenza, date le brevi esperienze carcerarie di
alcuni di loro, e così la gente comune raramente realizzò il vero
atteggiamento e stile che il termine beat identifica: "aiuteremo a
modificare le leggi che governano i cosiddetti paesi civili di oggi: leggi che
hanno coperto la Terra di polizia segreta, campi di concentramento, oppressione,
schiavitù, guerra, morte".
"Qualcosa sta accadendo. Qualcosa di
strano, di incerto, di allarmante, di vivo. Qualcosa che minaccia molte sacre
tradizioni di questo paese, e reclama il diritto di dare alla nazione la sua
ultima possibilità di salvezza".
Allen Ginsberg parlava di traiettorie e
triangolazioni di individui uniti dal comune modo di sentire: gente senza fede
con la coscienza di non aver più nulla da perdere. Di fatto, la Beat Generation
nasce dall’incontro di alcuni giovani tra cui si crea uno straordinario e
incredibile legame: l’amicizia. E’ un gruppo di amici, battuti e in realtà
beati, che contribuisce a dare vita a movimenti pacifisti, altri per i diritti
civili e altri ancora per le libertà sessuali.
Una generazione che è bruciata in fretta,
e per questo spesso accomunata alla Lost Generation, la generazione
"perduta", del primo dopoguerra, ma che ancora continua a farci
compagnia nella nostra voglia di rompere gli schemi, di andare contro i
conformismi puritani e soprattutto nel nostro diritto e dovere di salvare il
nostro mondo. Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, Corso,
McClure, Snyder, Burroughs e tanti altri sono ancora nostri vivi compagni di
viaggio. Ma allora che significa essere beat?
"[…] chi è sopravvissuto a una
guerra, sa che essere beat non significa tanto esser morti di stanchezza quanto
avere i nervi a fior di pelle, non tanto essere pieni fin qui quanto sentirsi
svuotati. Beat descrive uno stato d’animo spoglio di ogni sovrastruttura,
sensibile alle vicende del mondo esterno, ma insofferente delle banalità.
Essere beat significa essersi calati nell’abisso della personalità, vedere le
cose dal profondo […]"; e Corso infatti aggiungeva: "Se si vede la
morte e fiori e si vede decapitata una persona di pace, se si vede un
decapitato, è terribile, si piange, si diventa curvi e rattrappiti, un funerale
è passato, si diventa beat". Inoltre una volta gli chiesero se i Beats
fossero dei fuorilegge ed egli placidamente rispose: "E’ stato un
fuorilegge il padre della nostra patria? Si. E’ stato un fuorilegge Galileo
per aver detto che il mondo è rotondo? Io dico che il mondo è rotondo! Non square,
quadrato!".
Inizialmente apparve lo hipster, l’esistenzialista
americano, l’uomo che sa che se il nostro destino è quello di vivere sotto la
continua minaccia di una morte istantanea per una guerra atomica o di una fine
lenta ma certa per consumismo, essendo soffocato ogni istinto di creazione e di
rivolta, allora l’unica risposta vitale è accettare la morte come pericolo
costante, divorziare dalla società e imbarcarsi in un viaggio misterioso negli
imperativi ribelli del proprio "io". Lo hipster è il "nero
bianco" – egli assume la vita, vissuta al presente, della gente di colore
che è al di fuori delle istituzioni bianche - che cerca piaceri da provare nell’attimo
presente, piaceri che la società bianca cristallizza e riproduce finendo per
annientarli. Quindi violenza, sessualità, apoliticità e rifiuto di ogni
moralità.
Accanto a una siffatta figura si formò il
beat, un giovane intellettuale deciso a far sentire la sua voce, accanito
ricercatore di verità nella marijuana (lo hipster utilizza l’eroina), nel
misticismo, nelle filosofie orientali, nel sesso e nelle lunghe improvvisazioni
del be-bop. Lo hipster gelido, irraggiungibile, chiuso
nella sua letale eroina, e il beat straziato dall’amore mistico per l’umanità,
poeta respinto e incompreso, perennemente sull’orlo della pazzia e fumatore di
marijuana, vivevano fianco a fianco accomunati dal be-bop
di "Bird" Charlie Parker ascoltato nei locali del Greenwich Village (NY) o della
North Beach (SF). Fu il beat a sopravvivere e diede voce alla propria angoscia e a
scrivere il proprio "urlo". "Ci apparve Huncke e disse ‘sono
beat’ con luce radiosa sprizzante dagli occhi di disperazione... una parola
tratta forse da qualche carnevale o caffetteria di drogati. Era un nuovo
linguaggio, in effetti spade [negro] [...] Intorno al 1948, gli hipsters,
o beatsters, si dividevano in ‘caldi’ [hot] e ‘freddi’ [cool].Gran
parte della confusione riguardo gli hipsters e la Beat Generation deriva
in genere dal fatto che ci sono due stili diversi di hipsterism: quello
freddo è il saggio laconico e barbuto che siede davanti a una birra appena
iniziata in un locale beat, ha voce bassa e scortese e ragazze nerovestite che
non aprono bocca; quello caldo è il folle dagli occhi scintillanti (innocente e
dal cuore aperto), chiacchierone, che corre da un bar all’altro, da una casa
all’altra, alla ricerca di tutti, gridando irrequieto, brillo, cercando di far
lega con i beat sotterranei che l’ignorano. La maggior parte degli artisti
della Beat Generation appartiene alla scuola calda". Alla fine i Beats cool
sparirono chiusi nel loro mondo; i beatniks si stancarono e soprattutto
ebbero paura e tornarono alle loro case; i Beats hot invece -
quelli di On the Road, per intenderci - continuarono a scrivere, a
dipingere, a viaggiare e a fumare la marijuana però ora nascondendosi in modo
tale da far calmare le ansie e i timori di polizia e gente, che raramente si
curò di leggere ciò che questi "buffoni-delinquenti" avevano scritto
troppo impegnati con riviste di cronisti mondani.
Ora che i subterraneans, i
sotterranei, di Jack Kerouac sono diventati famosi, molti critici li hanno
identificati con la "Scuola di San Francisco", ma anche questo è da
considerarsi un errore. La Beat Generation infatti si è inserita in tale gruppo
costituito perlopiù da vecchi anarchici dadaisti, tra cui il
"santone" Henry Miller, Kenneth Rexroth e Robert Duncan; ma, in
realtà, i Beats, pressappoco una "gioventù bruciata", si
diresse verso una direzione ben diversa seppur ramificata a partire da idee già
note al mondo culturale del Novecento.
Non sono professori o scrittori
professionisti, cambiano lavoro continuamente e sono perennemente in bolletta;
giovani disperati che credono nella vita ma che rigettano i sistemi morali
precostituiti. Bevono molto, fumano parecchia marijuana e girano il mondo in
autostop ascoltando e improvvisando jazz, ma
soprattutto scrivono romanzi e poesie. E’ stato facile quindi scambiare il loro stile di vita
con una semplice rivolta anti-borghese.
Ora però che le rabbie ideologiche si
sono sopite, le invidie sono state appagate, il disprezzo è stato placato, il
minuscolo gruppo di poeti-scrittori degli anni Cinquanta può essere visto non
tanto come un semplice e curioso soggetto sociologico, ma come un motore
creatore di utopia. E l’utopia era quella di ottenere con una rigorosa non
violenza la soluzione dei conflitti di classe e la liberazione da ogni tabù e
soprattutto di proporre un nuovo e originale legame tra gli uomini e il Tutto.