Antonio Spagnuolo
RAPINANDO ALFABETI

di Reno Bromuro

  

 

Antonio Spagnuolo è nato a Napoli, è presente in numerose mostre internazionali di poesia visiva, inserito in molte antologie, collabora a periodici di varia cultura. Ha diretto la collana «poesia» per gli editori Guida, e attualmente dirige «l'assedio della poesia».  Coordina in Internet la rassegna «Poetry wave /vico Acitillo»

Fra le sue pubblicazioni segnaliamo: «Graffito controluce» (1980); «Le stanze» (1983); «Fogli dal calendario» (1984); «Candidai» (1985), premio Adelfia 85 e Stefanile 86, «Dieci poesie d'amore e una prova d'autore» (1987) premio Venezia 87; «II gesto, le camelie» (1992), premio Spallicci 91; «Dietro il restauro» (1993)  premio Minturnae 93; «Attese» (1994); «Io ti inseguirò» (1999).

«Rapinando alfabeti

decompongo lo spazio di ginocchia,
nella spanna di sillabe e cesure.
Le mille intemperie della mente
hanno intermezzi,
e le memorie,

a recuperare il mio gesto,
hanno sponde al rovescio».

L'uomo ha sempre amato il sapere. L'Ulisse dantesco che valica le colonne d'Ercole («e le memorie,/a recuperare il mio gesto,hanno sponde al rovescio») 

e affronta l'ignoto mare, l'Oceano invalicabile, è simbolo di questa sete di conoscere che veramente distingue l'uomo da tutti gli esseri esistenti sulla terra. Questo bisogno di sapere fu grande presso gli antichi, ed ebbe poi momenti in cui fu quasi soffocato e spento: ciò avvenne nel Medio Evo, allorché le genti ridivennero ignoranti e imperversarono le guerre e gli arbitri: rinacque quando incominciò a splendere di nuovo nel mondo la libertà e con questa la civiltà. Possiamo quindi dire che, storicamente, la rinascita degli studi e del sapere coincide col comparire dei nostri Comuni, ed è questo per noi Italiani un gran vanto. Le grandi costruzioni del periodo romanico e gotico non sono solo opera d'arte, ma di scienza, perché quei geniali architetti e scultori e pittori e decoratori non solo avevano il gusto del bello ma possedevano anche la scienza dei numeri, dei colori, delle linee, delle misure, almeno com’era possibile a quei tempi. Del resto, proprio in quell'epoca si sviluppa la Scolastica che in Italia ha i suoi più grandi creatori: San Tommaso e San Bonaventura. Ma, per venire alla scienza nel senso più proprio della parola, quella esatta, fondata sulla matematica, dobbiamo subito ricordare con Paolo del Pozzo Toscanelli toscano, matematico, astronomo e geografo, il suo discepolo Cristoforo Colombo, che non sarebbe mai diventato un grande scopritore se non fosse stato anche uno scienziato, e l'altro suo discepolo spirituale, Leonardo da Vinci, che proclamò il valore dell'esperienza come fondamento della vera scienza e il valore della scienza, la scienza fondata sulle matematiche, come guida al vero sapere. Da quel momento incomincia il formidabile movimento scientifico che ancora oggi è nel suo pieno, multiforme e rigoglioso sviluppo. L'Italia vi concorse in misura veramente cospicua; basterà ricordare i nomi di Girolamo Cardano, Andrea Cesalpino e, superiore a tutti, Galileo Galilei che fu il padre e il creatore di un’eletta schiera di scienziati che già nel '600 fecero fare alla scienza passi giganteschi: Bonaventura Cavalieri, Domenico Castelli, Evangelista Torricelli, Vincenzo Viviani, il Malotti, il Redi, fra' Paolo Sarpi storico, teologo e matematico insigne, e tutto quel movimento fecondo che fu voluto e promosso dall'Accademia fiorentina del Cimento che aveva come motto il dantesco  «Provando e riprovando: dimostrare la verità e rigettare l'errore, non a parole, col vuoto sillogismo deduttivo, ma con i fatti, cioè con l'induzione, con la prova sperimentale matematicamente verificata».

Dobbiamo anche ricordare che l'Italia in quei tempi era politicamente in condizioni così miserabili da non poter gareggiare in ricchezza di mezzi e di possibilità con altre nazioni molto più fortunate della nostra. Ad ogni modo, noi ricorderemo l'anello di Pacinotti, il campo magnetico rotante di Galileo Ferraris, l'intuizione del telefono da parte di Antonio Meucci che ne fu veramente lo scopritore e l'inventore, gli studi di carattere fondamentale di Augusto Righi sulle onde herziane, la scoperta della possibilità di captarle con l'invenzione del Coherer di Calzecchi-Onesti e, infine, il telegrafo senza fili del nostro glorioso Marconi cui si affiancarono gli studi del Maiorana e di tanti altri illustri fisici e ingegneri che in tutte le parti del mondo portarono la luce e le prove della scienza italiana e del lavoro italiano fondato sulla scienza.

Accanto allo scienziato, va di pari passo l’evoluzione artistica, sia pittorica, sia architettonica, sia poetica.

«Forse scivola il numero al tizzone

o la festa a scomporre

un recente passato,

ed io vorrei tornare agli anni

della luna

per trafugare la riga del tuo nome».

Chi può dire quali e quante fiamme di sublime passione possa destare nell'anima dell'artista una parola musicale, un’immagine apparsa per un attimo e segnata nell’anima per sempre, un'opera d'arte? Chi può anche lontanamente immaginare quale tumulto di sentimenti abbia agitato la grande anima di Michelangelo durante la concezione e l’esecuzione dell'insuperabile Giudizio che con evidenza e dinamismo senza pari ci apre in uno stesso tempo e la visione catastrofica del precipizio di disperazione in cui si è cacciata l'umanità ostinata nel peccato, e quella di serena letizia irraggiante il viso dei Martiri e dei giusti che tanto lottarono e tanto soffrirono per il trionfo della fede e della virtù?...

«Trafìggemmo nel cielo alcuni azzurri

che non avevi spazi per le favole.

Era la favola degli anni tra parole,

paure del flauto ferito,

di quel dio insolito o schermato

fra cespugli, sgualcendo cattedrali».

Chi sa dirci, anche in via approssimativa quali e quanti pensieri e sentimenti turbinassero nella mente e nell'anima di Antonio Spagnuolo o di Dante Alighieri, quando nelle lunghe, insonni vigilie attendevano a scrivere l’uno «Rubando alfabeti», l’altro il poema sacro che lo fé «per più anni macro», e nel quale, attraverso mille e mille episodi così vivi e così toccanti, arriva alle profondità più inesplorate dell'anima umana, mettendo a nudo e colpendo a sante scudisciate tutti i vizi e tutte le umane aberrazioni ed esaltando e premiando tutti i meriti e tutti i progressi sulla via della rettitudine e del bene?...

Quale e quanta commozione non prova lo stesso Dante Alighieri quando quasi al termine del suo mistico viaggio, dopo aver cantato tante e tante glorie, tante e tante meraviglie del Paradiso, giunto dinanzi al trono della Regina dei Cieli,rimane così incantato ed estasiato dalla di Lei sovrumana bellezza che sente fluirgli dal cuore e fa dire a San Bernardo quella sublime preghiera che è tutto un monumento di teologia e, nello stesso tempo, tutto un poema di tenerezza filiale, congiunte alla più grande ammirazione ed alla venerazione più sconfinata?...

Quale grado di esaltazione mistica e di serafico ardore non raggiunge Francesco quando, dopo aver passato tutta la vita nell'amore più ardente e nella pratica più attiva di tutte le virtù, dalla povertà alla penitenza, dalla rinunzia alla obbedienza, dalla carità alla umiltà più assoluta, egli, per quanto malaticcio ed infermo, sente un violento e prepotente bisogno di intonare e di cantare il Cantico delle creature per lodare e ringraziare l'Altissimo Signore degli immensi benefici che ha voluto concedere all'uomo col mettergli a disposizione tutte le altre cose create.

«Nel solco del tuo manto,
dal silenzio ai ritorni dell'amore,
ai gesti delle incaute occasioni,
trafiggo negli occhi
parlando della tua isteria.
Là dove c'erano glicini o soltanto
segni di una possibile scomparsa,
compaiono le ombre delle nostre scansioni…»

Da questi e da mille e mille altri episodi si vede chiaramente che l'arte non è sforzo, non è artificio. non è prodotto di una qualsiasi specie di coercizione, e, tanto meno, di pervertimento o di aberrazione; ma è soltanto la più alta e la più efficace espressione ed estrinsecazione della vita, intesa nel suo complesso naturale e spirituale della quale essa, con abilità e precisione senza pari, riproduce le note universali e i motivi dominanti, e, liberando, nel soffio suo purificatore, i soggetti scelti da tutte le scorie che li appesantiscono, da tutte le ombre e le macchie che li deturpano, li tramanda di secolo in secolo, senza che qualsiasi corrente di umana barbarie, di fronte ad essi, non arresti la sua ondata devastatrice, o, quanto meno, non rimpianga amaramente, con tutta l'umanità presente e futura, la irreparabile loro manomissione o distruzione e non ne rinneghi per sempre l'imperdonabile delitto.

«Tutto s'ingarbuglia il mondo
a carta per telefoni,

l'enigma ritrova

umili invasioni nel tremolio

delle ostinazioni.

Questa la luce delle lontananze
a scomparire letture

spezzi l'altra mia gioventù e ricomponi
i muschi per l'estate».

Antonio Spagnuolo nell’assemblare le liriche come grani di un rosario, chissà quante volte ha sentito gridargli dentro, come la vita urla il suo grido di alta passione, di santo eroismo o di sacrificio supremo e lui lo ha raccolto, quel grido,  con l'afflato divino, e lo ha tradotto in canto ora sociale, ora mistico per esaltare l’amore, consacrando così, le grandi azioni degli uomini e le mirabili gesta dei popoli del suo tempo, tenendo fede alla teoria desanctisiana che ricorda «Il poeta deve essere immediato e sintetico come il popolo» perché la sua opera sia feconda di nuovi ardimenti, di nuovi progressi, di nuove conquiste e di più brillanti vittorie.

Il nome dello Spagnuolo, nelle notizie che si hanno di lui come scrittore, è inseparabile dalla fattura dell’arte visiva. Senza dubbio, egli bada unicamente al criterio della lingua e dello stile, ma a chi legge tra le righe e guarda più in là delle immagini che compaiono dinanzi agli occhi, immagini che accavallano le parole, non parrà così opposto il fare dal dire e dall’immaginare, specie se tutte e due si considerano nella storia e nell’evoluzione della stessa corrente poetica.

«Un altro sguardo consuma le mie attese.

Nell'offrirti per la prima volta,

ti prego svelami il segugio

che racchiude la mia disperazione».

In alcune liriche Spagnuolo può apparire un fabbro artificiosissimo di periodi e di frasi, uno studioso dell'espressione in quel ch'essa ha di meccanico e di tecnico,  che gli manchi ogni freschezza d'impressioni, non ha senso d'arte né di natura, e neppure senso d'uomo; tutto sembra estraneo alla sua intelligenza e al suo cuore, e perciò inetto a tradursi in vera poesia; che per lui tutto: la natura, l'uomo, la storia, la religione, sembra sia solo l'occasione di comporre versi maestrevoli, poesie colorite e brillanti: questo il suo solo scopo, questa la sua unica delizia; invece ecco che sbalzano dalle pagine, color paglierino, gli schemi «scientifici» protettori della metrica ad illuminare a ingigantire la nostra conoscenza, a soddisfare il nostro sapere.

Traete da questo giudizio le conseguenze che ne ha tratto  il critico che ha scritto la prefazione e portato dalla sua indole a disgiungere l'arte dalla vita, inquadratele in una visione storica ampia e appassionata, e avrete il giudizio del Perilli, che culmina, come s'è visto, e inserisce la raccolta nel «Progressivo vero e dunque pronto a rifuggire il luogo comune» basta questo perché sia rifiutata l'accusa di vacuità, di freddezza, d'insincerità.

Uno scrittore come Spagnuolo non poteva non levare al cielo le maraviglie dell'arte visiva; Lui «Virtuoso della parola», diranno i critici che hanno avuto la fortuna di recensirlo prima di me, quali Giovanni Raboni, Mario Pomilio ed altri.

Chi ama la poesia non può non amare Antonio Spagnuolo. E io penso certe volte al vantaggio che ricaverebbero gli storici dell'arte come quelli della letteratura da un'antologia spagnuoliana con opportuno corredo di belle illustrazioni riproducenti le immagini evocate dai versi, tanto che a volte sembra proprio che voglia entrare in gara con gli artisti del suo tempo e sostituirsi, lui artista della parola, al pittore.

Non a caso ho parlato di pittore della parola visto che la Poesia Visiva (corrente di avanguardia della poesia contemporanea, detta anche visuale), si propone l'ampliamento delle aree semantiche del linguaggio poetico mediante la ricerca di nuovi materiali espressivi, grafici, materici e iconici.

Antenati illustri della Poesia Visiva sono i versi ropalici degli epigrammisti greci, la Bibita Pauperum, le composizioni figurate della poesia medievale e barocca; ma il precedente più importante è costituito da un'opera di Stephane Mallarmé, Un colpo di dadi del 1897, che introduce la dimensione visuale nella scrittura poetica, determinata dal variare dei corpi tipografici e da spazi bianchi, fino a creare sulla pagina una sorta di partitura musicale. Esperimenti potenziali di poesia visiva sono i «Calligrammi» di Guillaume Apollinaire, del 1918; il «paroliberismo» futurista, la poesia «concreta» degli svizzeri e dei brasiliani del gruppo «noigandres».

Appunto dalla crisi del concretismo, dissoltosi in una molteplicità di tendenze, è sorta in Italia la Poesia Visiva, preparata dai collages del gruppo '63 e dalla poesia tecnologica del gruppo '70. Sintomo rivelatore della crisi della parola come veicolo privilegiato di cultura, il cui predominio è intaccato dal tipo di lettura e di percezione proposta dalla nascente cultura di massa, la Poesie Visiva è caratterizzata da accostamenti di scritte contrastanti alle immagini, dall'antitesi di materiale segnico e di materiale iconico, dall'interazione di codici non omogenei tra di loro, come quelli dei fumetti, della pubblicità, dei manifesti ecc. Il maggior teorico della poesia visiva è il siciliano Emilio Isgrò, famoso per le sue «cancellature» di testi, volte a stimolare, con le «metafore d'assenza», la fantasia e la creatività dei lettori.

 

«Rapinando Alfabeti» di Antonio Spagnuolo – edizione «L’assedio della poesia» fuori commercio.

Reno Bromuro

 

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guidoferranova@tiscalinet.it