PROLETARIO CHI NON USA IL COMPUTER?!

Di GIUSEPPE IANNOZZI

 

 - Proletario chi non sa usare il computer", ha scritto Umberto Eco su un noto quotidiano -

 

Il computer è diventato il mezzo principe per scrivere qualsiasi cosa, fosse anche e solo la lista della spesa. Ha sicuramente influenzato il nostro modo di scrivere: il primo esperimento di scrittura creativa utilizzando un calcolatore elettronico è di Nanni Balestrini, una poesia fu il primo esperimento, esperimento intelligente per l’Avanguardia italiana, ma da un punto di vista strettamente comunicativo, déh, ci sarebbe molto da dire. Ma la storia dell’utilizzo del computer come mezzo creativo non si arresta di certo a Nanni Balestrini, difatti tra il finire degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta (quelli dell’Immagine scevra di contenuti e sociali e culturali e politici… cioè l’Immagine è sempre politica, ma non è questa la sede per indagare il mondo dell’iconoclastia politica degli anni Ottanta, dirò solo che, ad esempio, il Drive-In era tutto un polpettone politico che trasmetteva ad ignari adolescenti e massaie frustrate non pochi messaggi subliminali politici… provate a guardare con occhio attento una gag di quel programma e ve ne renderete subito conto…) molti gruppi e cantanti provenienti dal panorama musicale inglese introdussero la tecnica del cut-up per scrivere i loro testi e non pochi disdegnarono l’associazione random dei loro versi, versi mischiati casualmente da un calcolatore per “produrre” una lirica. David Bowie, il Duca Bianco, ha ampiamente abusato del cut-up, poi, mi si passi il gioco di parole, ci ha dato un taglio… Ad ogni qual modo, l’utilizzo del computer ha segnato un’epoca (e la sta segnando), non sarebbe altrimenti spiegabile come sia possibile che uno scrittore produca libri come se li coltivasse sotto l’orto di casa sua: sono i cosiddetti best-sellerS (la S maiuscola non è un errore… piuttosto un orrore giornalistico), quelli che vendono di più in libreria, quelli che non dicono niente e costano un occhio della testa (osservateli attentamente, sono grandi volumi stampati a caratteri grandi, cinquecento pagine di carta sprecata; ma è anche vero che ci sono volumi di cinquecento pagine stampati fitti fitti, il problema è che volumi così non li guarda nessuno – il potenziale lettore li apre e si spaventa come se si trovasse di fronte all’intera Biblioteca di Babilonia Rediviva (che ad esser sincero non sono mica poi tanto sicuro che una Biblioteca del genere sia mai esistita!), quindi chi usa il computer per scrivere è uno che quasi sempre non ha nulla da dire. Ora non sto dicendo che un editor di testo non sia utilissimo allo scrittore che lo usa con discernimento, ma può diventare un’arma letale nelle mani di un dilettante o di chi crede di essere uno scrittore… difatti, a scuola, qualcuno si ricorderà che i professori raccomandavano sempre di scrivere largo (questa è una storia che ho capito solo molto più tardi, cioè quando ho cominciato ad usare il computer per scrivere i miei articoli), ma non era un consiglio ortografico, piuttosto era l’imperativo dettame a prostituirsi all’immagine della scrittura: se scrivo largo poco importa se non ho concetti da esprimere, perché l’importante è imbrattare le pagine e far credere che ho qualcosa da comunicare (e da esprimere). Charles Bukowski negli ultimi anni della sua vita scrisse adoprando un Mac o un Apple (non ricordo bene): chi conosce l’autore, quello autentico, non può non ricordare quanto amasse scrivere con la sua macchina da scrivere, che puntualmente impegnava al banco dei pegni per racimolare un paio di dollari da scialacquare in alcolici (e in donne, almeno così lui diceva); comunque gli ultimi scritti di B. non sono di certo all’altezza delle sue prime opere, anzi meglio sarebbe stato se mai li avesse pubblicati. B. non sapeva usare il computer, eppure lo utilizzava per scrivere: la conseguenza inevitabile è stata quella di produrre e basta per impinguare le sue tasche e quelle degli editori. Jack Kerouac scrisse, almeno secondo la leggenda, On the Road su di un papiro per telescrivente (o calcolatore o che altro, non ricordo bene… cioè… dèh, lasciamo perdere): il risultato fu eccezionale, una vera opera d’arte, perché a Kerouac non interessava scrivere tanto per scrivere, piuttosto voleva solo che il flusso dei suoi pensieri fosse un ciclo continuo, ininterrotto, una musica letteraria sincopata come il Jazz di Charlie Parker. Ma se qualcuno gli avesse chiesto di scrivere con l’ausilio di una macchina, immagino che si sarebbe rifiutato categoricamente. Qualcuno avrà forse notato come questo mio scritto è, pour ansi dire, confuso (ma neanche poi tanto):  difatti è una riflessione scritta di getto con il computer, quindi perdonate i refusi e le articolate lunghissime preposizioni. Umberto Eco dice che “….”: ebbene, Umberto Eco è sempre stato un grande semiologo (scrittore in qualche caso); se oggi per scrivere si deve usare necessariamente un editor di testo e comprendere tutte le problematiche relative al corretto utilizzo di un PC, penso che il pensiero sia morto. Tutti oggi possono utilizzare un editor di testo per scrivere i loro racconti (o poesie, articoli, ecc.), non ci vuole poi molto: chiunque può andare da un rivenditore e farsi assemblare un PC e richiedere l’installazione dei programmi che gli occorrono. Il problema è: sarà in grado di utilizzare i programmi? E se si, come li utilizzerà? Ovvero poniamoci questa domanda: abusare di un qualsiasi strumento di scrittura, non può che portare irrimediabilmente alla morte del pensiero. E’ ormai inevitabile che l’arte della scrittura si debba far forte dell’utilizzo del computer: il professionista (quasi sempre ignaro dei meccanismi che regolano il corretto funzionamento di un PC) quando avrà un problema con il suo PC, chiederà aiuto alla sua segretaria che a sua volta chiamerà un tecnico (cioè l’assistenza tecnica), lo scrittore quello attaccato ancora alla sua macchina da scrivere e che non avrà l’apertura mentale di ingegnarsi a capire che “COSA” nasconde un editor di testo, sarà ben difficile che qualche editore lo prenda in considerazione (l’immagine è tutto: l’editore guarda il dattiloscritto – se lo guarda – e lo accantona subito… l’editore guarda un testo in formato elettronico e lo cestina tempo due secondi, in sostanza non cambia nulla se non ti chiami Umberto Eco), poi rimane il proletario, quello che per sua disgrazia, qualche volta gli tocca presentare un Curriculum Vitae perché è stato sbattuto fuori dalla fabbrica, allora il bravo proletario consulta gli annunci di lavoro e vede che il lavoro forse c’è ma lui di inviare il suo C.V. tramite posta elettronica all’indirizzo indicato (lavoro@lavoro.com, ad esempio) proprio non sa cosa voglia dire (al massimo conosce la Posta Prioritaria, ma si rende conto che non è la stessa cosa), poi qualcuno gli spiega che cosa è la posta elettronica e compra anche lui un PC e comincia a “smanettarci sopra: dopo mille tentativi, finalmente riesce ad inviare il suo C.V., ma intanto ha impegnato i pochi soldi che aveva sul conto  bancario per acquistare il PC e il lavoro che gli interessava se le preso qualcun altro, qualcuno che già sapeva come funziona il mondo del lavoro moderno; quindi al povero proletario non resta che piangere le sue sventure e magari scribacchiare qualche amara poesia sulla sua disavventura con l’ausilio del computer, scoprirà d’esser un poeta e quando gli editori gli diranno che la poesia non vende e che comunque lui non è un poeta, dirà di se stesso poeta incompreso o poeta maledetto.

Beh, ironia a parte, spero che queste mie parole servano a far riflettere che scrivere, o meglio saper scrivere con arte e sentimento, è una cosa seria, seria nel senso che un proletario potrebbe essere un grandissimo scrittore (e io ne conosco parecchi) indipendentemente dal fatto che sappia usare o meno una fredda macchina come il computer.

 

GIUSEPPE IANNOZZI

 

 

 

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