POESIA, MALE SENZA CONVALESCENZA

di Reno Bromuro

 

Si è sempre pensato, o immaginato, l'intellettuale come un essere fuori del mondo, nel senso materiale della parola; tutto libri, penna e studio la cui fonte d'ispirazione è intesa di riflesso, poiché i problemi non venivano mai affrontati personalmente.

Jack London è stato uno degli scrittori che ha affrontato la vita e l'ha descritta, nei suoi "// richiamo della foresta", "Martin Eden" eccetera; ma quanto vi è narrato di vero nei suoi libri? Però abbiamo la vita, quella vera.

Jules Verne nei suoi popolari romanzi d'avventura, in cui sono ingegnosamente anticipate importanti scoperte ed invenzioni del nostro secolo, si dice che non si sia mai allontanato dalla sua città e che il viaggio più lungo che abbia fatto sia di soli venticinque chilometri. Quindi, "20000 Leghe sotto i mari ", "II giro del mondo in ottanta giorni " ed altri, sono stati scritti sul Mappamondo, posto al lato sinistro della scrivania.

Oggi con l’avanzare della tecnologia e della divulgazione della Scienza; con l'avvento della liberalizzazione dei programmi radiotelevisivi, (abbiamo dinanzi agli occhi diciotto ore di programmi al giorno e possiamo vedere ciò che più ci piace, come ieri leggevamo, ciò che più era di nostro gradimento), non ci soddisfa più il sapere l'intellettuale, un essere fuori dal mondo. Da Hemingway a Moravia, da Pratolini e Bevilacqua, da Altomonte alla Cederna, mai abbiamo saputo l'origine, la nascita, la vita reale, la conduzione della vita stessa, neanche nel misero arco di una giornata, i retroscena che questa esistenza hanno generato di uno dei personaggi principali delle loro storie. Eppure vengono definiti, dalla critica ufficiale, scrittori "neorealisti" o "neoveristi".

Per dimostrare che la poesia è un male senza convalescenza non voglio prendere ad esempio uno scrittore noto, ne uno dei loro personaggi, sarebbe facile; basta scandagliare in fondo ai retroscena dello scrittore stesso che già sappiamo un "intellettuale puro", quindi digiuno di esperienza diretta di questo o di quell'altro mestiere; tuttavia continuano a presentare i loro personaggi, senza farci sapere se sono nati da madre o dalla mente, (noi sappiamo che sono cerebrali) e loro, quindi, ci danno per scontato, la professione o il mestiere dei personaggi, col solo attributo.

Molto spesso mi sono domandato e continuo a domandarmi, quale fosse l'origine, che mestiere faccia l'autore di "Dallas "che tanto successo riscuote da parte di ogni ceto sociale.

Questo per quanto riguarda gli scrittori affermati; però nell'imperversare inflazionistico nel campo librario: troppi editori improvvisati, siamo tutti scrittori; il lettore si è mai domandato come nasce e quanto costi pubblicare un libro (e non parlo solo di fattore materiale) ad uno scrittore contemporaneo, che non è di cassetta? E, come si procura i soldi per stampare i suoi libri? Fanno tutti un altro mestiere, molto spesso sono sarti. L'ago lo permette, vuoi perché è un mestiere creativo per se stesso, vuoi perché la fantasia si fertilizza fra una trapunta del petto e una ribattitura. A mio avviso, il sarto è colui a cui più si addice l'intessitura, la tessitura e lo sviluppo di una trama di romanzo. Se poi è poeta, le poesie gli scaturiscono, come i punti, una dietro l'altra. "Tra un punto di cucito ed una rima passo la vita, indifferente al mondo: chi mi sa leggere dentro, chi può vedermi nel cuore?"

Viene a crearsi cosi, un mondo che pare estraneo al mondo stesso, ma che vi è dentro fino al midollo, per il semplice motivo che sta a contatto col mondo reale, in continuazione: per esigenza di vita.

Quindi prendiamo come soggetto un sarto scrittore, o uno scrittore sarto; come preferite.

Giunge in sartoria un signore (può essere alto o basso, diritto o col corpo deforme), e per il sarto è l'inizio di un romanzo abbinando subitamente: stoffa, disegno, figura del soggetto. Non lo conosce, e solo attraverso la sua figura e il colore o il disegno della stoffa, gli sviluppa l'esistenza, il modo di pensare e di agire.

Gli nasce nella mente una bella storia, e per lui è il tormento! Sente l'esigenza di scriverla, ma l'altra esigenza quella di mantenere l'impegno assunto, o solo per sopravvivenza, non glielo permettono. Intanto la storia si è impossessato di lui, fino a farlo sentire male, ma non può scriverla; allora si attacca ad essa, l'ama come una creatura viva, umana; se la culla in seno fino a diventare tutt'uno con lui; illudendosi che, appena esaurito l’impegno potrà scriverla. Il vestito è finito. Sta per accingersi a scrivere che sopraggiunge un altro cliente, con un altro taglio di stoffa; è un giovane bello "come un giovane dio" e alla storia originaria se ne aggiunge un' altra; ma come la precedente, destinata a morire prima della nascita. Passano i giorni, i mesi, gli anni! Lui continua a creare e a cullarsi le creature della fantasia fino a sentire la testa scoppiare; deve necessariamente scrivere. Si siede per scrivere, ma la storia (ormai erano diventate cento storie), non c'è più. Rimane la pagina bianca di una vita vissuta di riflesso. Si accorge di non aver vissuto, che la sua esistenza è stata sogno che avrebbe potuto avverarsi, solo che lui avesse avuto la forza di posare l'ago per prendere la penna. Si convince di questo e così fa.

Ruba al sonno le ore per scrivere la sua storia. La fa leggere ai clienti che sorridendo ammettono di riconoscervisi e inizia a pubblicare, spinto dai clienti, magari sono essi stessi che si danno da fare affinché una rivista letteraria la pubblichi. Il suo nome comincia ad essere conosciuto e l'ago e la penna si alternano tra le mani del sarto.

Un giorno di primavera entra in sartoria una fanciulla che sembra uscita da un quadro del Tiziano o del Botticelli, ma col volto nostalgicamente romantico, di una donna del De Nittis. Chiede di un "tailleur" e si lascia guidare dal gusto del sarto.

Per giorni non pensa che a quella fanciulla (eppure ne ha cuciti di vestiti per donna!) e al momento di mettere in lavorazione il suo vestito il tempo sembra essersi fermato!

Quando giunge il momento, inizia il canto. Il taglio di stoffa è sul tavolo pronto per ricevere i primi segni di gesso; preso metro e squadra, disegna il rettangolo del dietro della giacca; poi passa al rettangolo del davanti: 41 - 68... e giù le righe di gesso.

Quando giunge al disegno libero della curva viene preso come da uno "strappo" irrefrenabile della fantasia e dal fondo del suo cuore affiora l’ eterna malinconia della sua esistenza. Fino ad allora la sua esistenza è stata un buco nero che nella sua fertile immaginazione artistica, riesce (o almeno tenta di riuscirci), a colmare con l'arte quale realtà unica della sua vita; realtà dell'idea della vita che ognuno di noi coltiva e sente che nel divenire dei giorni, va conservando e sviluppa i segni della propria esistenza: segni che sono anche contraddittori, ma che all'uomo sono utili nella lotta per la sopravvivenza.

Quindi se il mondo non ha ordine e se il vivere è una continua rivelazione di contraddizioni, un incrociarsi di ambiguità per cui non riusciamo mai a sapere chi siamo e che per questo motivo scivoliamo sulle nostre emozioni come un battello alla deriva, necessariamente deve, con tutte le sue forze, controllare la fantasia e ritornare alla realtà della vita.

Si accende una sigaretta, si concentra, e, un segno secco, preciso, senza ripetizione; con mano ferma e decisa traccia le curve dell'incavo del petto al di sopra del seno, la rotondità del seno, l'incavo del sotto seno fino alla vita e la rotondità del bacino. Aspirando la sigaretta guarda soddisfatto l'inizio della sua opera. Prima di prendere le forbici e passare alla seconda fase del lavoro, le sue labbra cominciano a parlare inconsciamente: "Venere m 'innamorai di tè/ vedendo il tuo seno spumeggiare/ come la gioia frizzante/ come la gioventù/ solido come la duna del deserto/ terribilmente terribile come il destino. "

Le forbici iniziano a mordere la stoffa, costeggiando i segni tracciati e ad ogni ritaglio di tessuto inutilizzabile, mormora un verso. E' cosciente, pur nell’ incoscienza dell’ ispirazione, che quella fanciulla, è soltanto una bella donna, non per i suoi desideri. Dinanzi agli occhi, la stoffa che ormai ha già, nel tracciato del disegno, le avvisaglie di quello che sarà il "tailleur" finito, diventa un vaso di cristallo che prende il colore degli occhi della fanciulla: azzurro-verde, come un lago alpino.

E il vaso di cristallo a mano a mano che il vestito prende forma: punti lenti, imbastitura, cucitura a mano e a macchina, mezzo punto al bordo dei risvolti... la poesia sgorga, completa di contenuto e di forma.

Ogni volta che il ferro da stiro, accarezza le cuciture per lasciarle ben aperte e le sue dita leggere o forti si muovono come quelle di un ginecologo nell’aiutare la nascita, o quelle di un pianista sulla tastiera, si aggiunge un verso a quelli già memorizzati, nella sua mente.

Il "tailleur" è quasi pronto, un attimo di incertezza, l'entrata della bella fanciulla e la giacca si brucia sulla spalla. Per il sarto è la fine del mondo!

"// vaso di cristallo azzurro
dove riponevo i miei sogni si è rotto.

Mi chino a raccogliere i cocci le mani
mi tremano ricadono ancora è polvere!

Mi rialzo e colei che me l'aveva regalato

non c'è più: anche lei era solo un sogno!

Nel cielo ogni sera ritrovo i suoi occhi

tra le mille stelle e nelle rose la sua bellezza e ne gioisco. Ma il vaso di cristallo azzurro

dove riponevo i miei sogni si è rotto

anche lei era solo un sogno. "

Questo è solo un esempio di come un sarto riesca a trasformare (e non trasfigurare in questo caso) la realtà in sogno.

La realtà è troppo prosaica, ma nel nostro caso è doveroso vedere come il "tailleur", è diventato un vaso di cristallo; di come i punti lenti sono diventati stelle; il mezzo punto sul bordo del davanti rose, per le infinite punture nel dito indice della mano sinistra; di come, infine, l'imbastitura tolta, prima della stiratura finale, è diventata "i cocci del vaso".

Davanti ai nostri occhi vediamo l'immagine del vaso, e questo è arte! Arte fatta non dall'intellettuale puro, ma dall'intellettuale contemporaneo, che non riesce a pubblicare ciò che cuce con la penna.

Si sposa, non sa niente della vita se non di quella che ha creato per i suoi personaggi; aumentano le esigenze e le storie non possono più prendere forma reale sulla carta, se non sporadicamente e sono più quelle che rimangono nella penna. Ne consegue che le pubblicazioni si diradano.

Giungiamo ai nostri giorni. C'è stato il 1963 e il Convegno di Palermo; nel campo letterario c'è "bagarre" e diatribe violente tra "Novissimi" e avanguardia vera e propria, dispute tra linguaggio parlato, linguaggio aulico e dialetto; crisi della poesia e dei poeti; insomma c'è una gran confusione... Arriva il '68, in lui c'è il risveglio. Riprende a scrivere, mentre mille problemi lo assillano: la casa, il telefono, il gas, la confezione. Le persone hanno imparato a correre più veloci e preferiscono l'abito già bello e confezionato; l'ago comincia (il suo ago) ad ossidarsi; si consola con la penna, ma la penna non gli permette di comprare il latte per i bambini, di pagare i debiti; in più è nata una nuova società letteraria.

Le riviste per pubblicare una poesia o un racconto non pretendono solo l'abbonamento, vogliono che vengano acquistate un tot numero di copie. Le storie che prima erano pagine bianche, ora riempiono i cassetti fino a non trovare più spazio.

Tra un vestito e l'altro, tra un'ingiunzione di sfratto e lo stacco della luce, decide di raccogliere le cose scritte per fame un libro, ma l'editoria è esosa, i costi sono aumentati e non si bada più tanto al valore artistico-letterario dell'opera, ma alle possibilità economiche. Tutti scrivono di tutto e molti editori (solo alcuni rimangono nel loro cerchio d'insiemi, non permettendo l'entrata ai nuovi autori), pubblicano tutto, in moneta contante. Ci sono, però, due (editori?) che danno illusione; a Siena si accettano cambiali fino a raggiungere il costo, di un "libercolo" di 54 pagine, di lire 20.000 per copia; l'altro, agisce a Roma e stampa solo le copie che si prenotano, minimo 70. Sul mercato librario (quello vero, delle librerie) si trovano sempre i soliti autori, e il libro non si vende. (A tale proposito leggi il mio "// racket dell'arte e il valore umano della poesia".)

Ma ritorniamo al nostro sarto. La sua opera che è costata ore rubate al sonno, ore rubate agli affetti familiari (forse), allo svago; è destinata a rimanere nel cassetto a ricordo dei suoi errori, perché l'ago non può, anche volendo, correre come la vita, riuscire a soddisfare le esigenze della propria esistenza.

Ma lui continua a scrivere pur sapendo che mai nessuno leggerà i suoi lavori perché il suo male è la poesia e la poesia è un male senza convalescenza.

Forse a quest'ora, in questa notte estiva, afosa, senza un alito di vento, egli è intento a scrivere ripensando a quando, in sere come queste, i figli a letto digiuni, senza neanche un bicchiere di latte, egli, per farli mangiare il giorno successivo, aveva scritto il suo capolavoro, con l'ago, in un vestito indossato da Mastroianni in "Matrimonio all'italiana” o in "I girasoli "; o da Gigi Proietti, all'inizio della sua carriera.

Quanto sarebbe bello se i grandi editori, invece di infilare la solita lettera già prestampata nel manoscritto, cambiando busta, si decidessero di leggere quelle cose, valutandole nel giusto merito; chissà! Potremmo leggere qualcosa di nuovo: storie cucite veramente su misura. Sapremmo, finalmente, che anche l'architetto o l'ingegnere, o il dottore, protagonisti della storia sono nati da madre; e il sarto non esclamerebbe:

"… qui, mentre la brezza mi porta

effluvi tetri di sobborghi medito:

un tempo anch’io respirai l'aria pura

di lontane colline verdeggianti di ulivi;

ero fanciullo allora, mi riscaldava la mano di mamma."

Fortuna che c'è sempre un poco di poesia sognante che fa dileguare "l'ago: amaro destino di vita " perché il suo male è senza convalescenza.

 

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Scrivete a Guido Ferranova E-mail:

guidoferranova@tiscalinet.it