IL NATALE NELLA TRADIZIONE ITALIANA

Il presepe ideato da San Francesco sta per perdere il suo interesse

dopo l'avvento dell'albero di tradizione anglosassone

 

 

Se l'italiano sia religioso o no è questione antica e non ancora risolta, ma siccome l'Italia è una nazione che non manca di chiese, santuari e folclore si può affermare che l'italiano è religioso.

Assai più pittoresca è la religiosità popolare che si estrinseca attraverso feste, sagre, pellegrinaggi, devozioni a questo e a quel santo, quando addirittura non lo si manifesta con pratiche superstiziose che riecheggiano antichi costumi pagani.

Un altro aspetto della religiosità popolare, una volta molto vivo, che ora va scomparendo del tutto, sono le Sacre Rappresentazioni, mantenute in vita in alcune zone a solo scopo turistico, specialmente nell'Italia meridionale, con presentazioni drammatiche di episodi della vita di Gesù Cristo. Ogni festività, specialmente la settimana santa e il natale, rappresenta l'occasione principale per manifestare la propria fede con riti antichi e molto spesso grandiosi.

La nascita di Gesù è quasi dappertutto celebrata con l'allestimento del presepe, nelle chiese e nella case. E' noto che la tradizione di festeggiare la nascita di Cristo manifestandola plasticamente risale a San Francesco che a Greccio, nel 1223, per la prima volta volle rievocare le vicende che accompagnarono il grande evento. La città italiana che vanta i presepi più belli e antichi è Napoli. Qui si trovano ancora, ben tenuti, presepi ricchi di personaggi ambientati in scenari sontuosi, nei quali, il gruppo centrale, la Madonna, San Giuseppe e il Bambino Gesù, rischia di passare inosservato per l'eccessiva grandiosità del paesaggio e le figurine che li popolano. Ai nostri giorni le rappresentazioni più belle della natività del Salvatore, con figurine intagliate in legno, avvengono in Val Gardena.

 

Il Natale nella religione

 

La scelta della data per ricordare l'evento della nascita di Gesù è spiegata in un testo del profeta Malachia (3.20) che parla del Sole di Giustizia, identificato dall'esegesi con Gesù Cristo. Questo appellativo spinse i cristiani a celebrarne la nascita nello stesso giorno in cui i pagani celebravano la festa del "Sol invictus", cioè la rinascita del Sole, quando superando il solstizio invernale, i giorni incominciano ad allungarsi di nuovo.

Un'altra tesi è che, avendo fissato al 25 marzo il giorno dell'Annunciazione alla Vergine, si credeva che la creazione del mondo coincidesse con l'equinozio di primavera (poi fissato al 21 marzo) e  il tempo avrebbe iniziato il suo corso al momento in cui la luce incomincia a predominare sulle tenebre.

Giovanni Crisostomo (nelle sue omelie a commento della Bibbia) afferma che la nascita di Gesù corrisponde realmente a quella del 25 dicembre perché riscontrata negli archivi romani, dai documenti sul censimento di Augusto. Tale convinzione è sostenuta anche da Sant'Agostino. La documentazione circa la sua celebrazione  risale al tempo di papa Liberio, vissuto nel IV secolo. Da Roma la celebrazione della natività si diffuse subito in tutte le chiese occidentali e penetrò anche in Oriente, dove la nascita del Cristo veniva rievocata, come avviene tuttora, insieme con il battesimo di Gesù, il 6 gennaio, ossia con la festa dell'Epifania.

A Roma il Natale venne subito manifestato con grande solennità, con la celebrazione di tre messe: la prima, a mezzanotte in Santa Maria Maggiore, la seconda all'aurora, in Santa Anastasia, presso il Palatino e la terza in pieno giorno, in San Pietro in Vaticano.

La messa di mezzanotte è tuttora molto frequentata, in ogni regione e la festività natalizia offre occasione per un fiorire generale di opere di carità: pranzi per i poveri, distribuzione di pacchi-dono, regali ai bambini degli orfanotrofi, manifestazioni che hanno, purtroppo, il torto di durare una sola giornata.

 

Il presepe e l'albero nella tradizione  

 

Sebbene il Natale fosse permeato di spirito cristiano, conserva ancora, molte credenze e tradizioni popolari, con tracce evidentissime di lontane origini pagane. Un tempo era diffusissimo in tutta Europa, il ceppo natalizio, ora sopravvissuto solo in alcune regioni. Il ceppo doveva essere di quercia, la notte di Natale veniva spruzzato di acqua benedetta e messo solennemente ad ardere nel focolare, dal capo di casa. Alcune volte si traevano auspici dalle scintille che esso emanava, mentre le ceneri (alle quali la superstizione popolare attribuiva particolari poteri), venivano conservate ed usate come rimedi contro le calamità e le malattie.

Residuo di antichi riti di purificazione è la tradizione abruzzese di collocare sopra una tavola una conca d'acqua che a  mezzanotte, il capo di casa, usa per aspergere tutte le stanze pronunciando frasi propiziatorie.

Nel quadro dei "prodigi" attribuiti ad ogni inizio del ciclo annuale o stagionale sono le numerose credenze di incantesimi e di eventi straordinari che si potrebbero verificare la notte di Natale: in alcune regioni si credeva che se un bambino nasce a mezzanotte in punto della notte di Natale se è  femmina "è strega", se maschio "è lupomannaro", a meno che il padre o il padrino del neonato non gli avesse impresso sulla pianta di un piede un piccolo segno di croce, con il ferro rovente; in altre regioni si usava "incantare" la spada perché desse a chi la portava una specie di immunità. Superstizione che rifletteva una fusione fra la forza del simbolo e quella del fuoco.

Ancora oggi è comune l'uso di scambiarsi doni, che ai bambini si dicono portati da Gesù Bambino o da Babbo Natale (personificazione del Natale sotto le spoglie di un vecchio barbuto con vestito e cappello rossi, listati di bianco), o, come nei paesi anglosassoni da Santa Claus (corruzione di Sanctus Nicolaus, cioè San Nicola di Bari, che già nel medioevo si festeggiava il 6 dicembre, con feste infantili).

La consuetudine dei regali di natale sembra derivi dall'antico costume romano delle "strenne" che la gente si scambiava come augurio di prosperità e di abbondanza, alle calende di gennaio. Secondo la leggenda, a iniziare questo uso, sembra sia stato Tito Tazio, re dei Sabini, chiedendo ai suoi sudditi un ramoscello d'alloro o di ulivo, colto nel bosco sacro della dea Strenia (dalla quale deriva il nome Strenna). Sebbene questa usanza richiami alla memoria l'albero di natale, sembra che sia da escludere, fra le due, ogni rapporto. Si sa con certezza che l'uso dell'albero di Natale si affermò nei Paesi nordici verso la fine del XVI secolo e che la sua diffusione fu molto lenta, dato che nel 1765, Goethe sedicenne rimase stupito vedendo per la prima volta a Lipsia un abete decorato e illuminato. In Francia, invece il primo albero fu introdotto dalla duchessa d'Orleans nel 1840 e subito si diffuse rapidamente in tutta Europa offuscando in Italia la tradizione tipicamente cristiana del presepe, che ha avuto per secoli un notevole rilievo nel costume popolare.

In alcune case del Sud, famiglie legate indissolubilmente alla tradizione, usano allestire il presepe (con la scopo di tramandare l'usanza ai discendenti) e l'albero (per nascondere il proprio attaccamento alla tradizione), senza sapere che in Europa, soprattutto in Spagna, Italia, Austria e Germania esiste l'Associazione degli Amici del presepe a difesa della tradizione popolare. Purtuttavia negli ultimi decenni, malgrado il notevole rilievo di costume conquistato attraverso il tempo, il presepe tende ad essere sopraffatto dall'albero.

 

E' noto come in Italia ogni festa tradizionale sia legata a manifestazioni culinarie particolari che variano da regione a regione e sono praticate con un rito rigorosissimo, proprio della religiosità.

Sacro alle famiglie patriarcali era il cenone (manifestazione gastronomica che si ripeteva due volte l'anno: a natale e capodanno), considerato "consacrazione della famiglia" in riferimento alla Sacra Famiglia.

La sera della vigilia di natale (24 dicembre) la famiglia si riuniva tutta in casa del capostipite (i figli e i nipoti vi giungevano da qualsiasi parte del mondo in cui si trovassero) il quale prima che il pranzo iniziasse, benediceva la tavola imbandita, augurando agli eredi una vita prospera e sana. Oggi con il disgregamento della famiglia questa tradizione è in via di estinzione. Però era bello vedere intorno alla tavola riunite due tre generazioni della stessa razza che non si erano visti per un anno intero ed erano felici di essere ancora vivi e di manifestare il proprio affetto ai consanguinei. In questo modo si conoscevano fra loro intere generazioni, mentre oggi, pur vivendo nella stessa città lo zio (fratello del padre o della madre) non conosce nè i propri nipoti nè i loro figli. Ah, beato progresso!

La cena era sempre uguale, anno dopo anno: spaghetti con le vongole, anguilla arrosto, capitone, baccalà, cucinato i più modi, al forno, lesso ornato di olive, fritto con olive e capperi, agnello, anch'esso cotto e servito in vari modi, ecc... Il pranzo si concludeva, sempre con la specialità di dolce tipico della regione, come ad esempio, in Sicilia la cassata, a Napoli o' raviuolo e o' roccocò.

L'avvento della televisione come ha distrutto varie tradizioni e usanze sta cancellando anche questa che era tipicamente latina. Si è presa l'abitudine di mangiare con "quel maledetto parallelepipedo illuminato"  e non si comunica più perché bisogna seguire le immagini che arrivano in casa attraverso di esso,  allora ogni membro della stessa famiglia se ne sta a casa propria e la casta si smembra. Da qui ha origine il non conoscersi più tra consanguinei.

Natale, periodo in cui tutti siamo buoni e ci facciamo doni, anch'io, con questo scritto, ne faccio uno ad ogni lettore pregandolo di buttar via quel "separa-famiglia" e nel caso non fosse capace di farlo, prego Gesù Bambino a che non lo faccia funzionare almeno per questa occasione.

Abbracciandovi "con tutto l'amore di cui siamo capaci"  auguriamo a tutti Feste serene, in compagnia dei propri cari con la speranza che il sole splenda sempre più caldo e sincero come il proprio cuore desidera, magari trovando sotto l'albero o ai piedi del presepio "Il Principe dello spazio" di Loredana Panico, edito da Dossier, un libro di favole meravigliose che portano, anche nell'animo dell'adulto, una ventata di ottimismo e di serenità, fra tanta politica dello spettacolo violento ad ogni costo, cui sono sottoposti i bambini dalle solite televisioni; oppure "Vincent” di Vincenzo Tarkowski, Prospektiva Editrice, un libro nato da buone intenzioni che mirano ad ottimi fini. Una racconto semplice e vero, che dice all'umanità che l'amore è bello e che per viverlo non è necessario rifletterci su: basta amare e credere in ciò che il cuore ci detta. Una storia che “strilla la disperazione dei giovani”, che  diventa la storia di tutti i contemporanei. Il fine del racconto di “Vincent” è quello di vedersi intorno, una bella famiglia patriarcale; una di quelle famiglie che il vivere contemporaneo sta affondando in un dimenticatoio pauroso e irreversibile. Diamogli ascolto a questo scrittore e chissà che non si ritorni ad essere uomini e non marionette azionate da una società che non ha più nulla di umano. Sì, certamente, niente di umano perché anche se non si muore in guerra si muore dentro casa e magari mentre si è raccolti a meditare; oppure una raccolta di poesie: "Mi sono innamorato" di Santino Spartà, della Editrice Romana Dossier, dove oltre alle poesie che manifestano un immenso amore, senza riserve, sono pubblicati anche i giudizi critici di letterati quali: Mario Sansone, Giacinto Spagnoletti, Elio Filippo Accrocca, Alberto Bevilacqua, Giuliano Manacorda, Giorgio Pedrocchi e Giorgio Saviane. Basterebbe questa lirica perché si senta la necessità di comprarlo e metterlo sul comodino, accanto al letto e leggere una lirica ogni sera, come una preghiera: " Le albe /sono preghiere/ di speranze,/ i tramonti/ ex voto alle illusioni,/ le onde/ certezze/ alla mia inquietudine".

Io questo mi auguro e vorrei ardentemente che la mia gioia fosse anche la vostra.

   

Reno Bromuro

 

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