ANARCHIA, INGANNO E MORTE

- Il peggior crimine è l'inganno perché ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame -

Di GIUSEPPE IANNOZZI

 

“Ho perso la gioia di vivere. Meglio andarsene con una vampata che morire giorno dopo giorno. A volte mi sembra di timbrare il cartellino, quando sto per salire sul palco. Da anni ho perso il gusto della vita e non posso continuare ad ingannare tutti. Il peggior crimine è l’inganno. Ho bisogno di staccarmi dalla realtà per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Sono anni che non provo niente. Ho perso tutto l’entusiasmo. Anche la mia musica non è più sincera.”

 

Kurt Cobain, 8 aprile 1994

 

 

1) ANARCHIA & MORTE

 

Cosa sia rimasto di noi, davvero non saprei dire se non che la pioggia che continua a piovere, mentre noi continuiamo a bagnarci recitando ruoli bastardi scritti da un dio spauracchio.

Provate a guardarvi intorno ed immaginate che dietro ogni volto si nasconda un teschio. Bene. La faccia scompare e il teschio, l’immagine della morte, finalmente diventa reale. I volti che giorno dopo giorno osserviamo con indifferenza, amore o odio, non sono reali: la maschera è la “faccia” che ci adattiamo al mattino quando ci svegliamo. Ma è una maschera. Il nostro vero volto è un teschio, ossa. La rabbia che ci portiamo è l’illusione che i mass media ci hanno inculcato sin da piccoli quando i nostri occhi spiavano dentro al tubo catodico per scoprire gli eroi della nostra generazione. E gli eroi son sempre stati disegnati “giovani e belli”. Questa è la falsità di cui ci siamo nutriti, la rabbia che abbiamo succhiato dalla tetta del mito dell’eroe. Sono spiacente di dover esser io a dirvi la verità, ma gli eroi non hanno facce belle, non sono angeli biondi, non sono coraggiosi, non sono eroi se non per caso. Sono uomini che vestono la maschera di un volto, uno qualunque. E’ il caso che faccia un salto indietro nel tempo. Ricordate quando David Bowie cantava “The man who sold the world”? Quel fighettino del Duca Bianco aveva ragione: il mondo è stato venduto al miglior offerente. E sapete chi è stato l’acquirente? Non è stata l’umanità a comprare il mondo, semmai è stato il contrario.

Io ho provato a guardarmi intorno e non ho trovato un solo uomo che possa essere mio fratello, che possa essere il mio alter ego, non ho trovato neanche la mia ombra stampata contro il freddo cemento della città. Però ho visto la mia coscienza clonata e venduta sul mercato delle idee. Il giorno prima mi ero guardato allo specchio e questo non mi aveva restituito nessuna immagine. E’ stato un trauma, ma sono riuscito ad affrontarlo ripentendo a me stesso che “lo spettacolo deve andare avanti”. E avanti sono andato sino ad oggi, ma poi ho visto che più non avevo la mia ombra, quella compagna che per tutta la vita mi aveva tenuto compagnia, e vi confesso che era l’unica cosa in cui credevo. Con lei al mio fianco ero solo, ma mai perfettamente da solo. Ed ora che sono solo, ho avuto la tentazione di annullarmi, o per usare una espressione più colorita, di terminarmi. Ma non l’ho fatto e mai lo farò perché non sono stato io ad abbandonare la mia ombra e non è stata lei a lasciarmi in balia del destino: l’hanno presa in ostaggio e, per forza di cose, anzi per caso, sono stato costretto ad inventarmi eroe di me stesso. Quando Bob Dylan cantava “The answer is blowin’ in the wind”, io non ero ancora nato. Ma quando sono venuto al mondo, quando il mio primo urlo ha straziato l’immonda anima capitalista del mondo, ho subito capito che molte strade avrei dovuto percorrere prima che mi si potesse chiamare “uomo”. E quando uno che ancora non è uomo comprende tutto ciò e comincia a camminare le strade della vita, ragazzi, la religione e la religiosità diventano inutili accessori di cui è bene sbarazzarsi senza rimorso alcuno. Tutte le religioni hanno una cosa in comune: il cielo, tutte indicano verso l’”alto”, tutte promettono una vita futura. Tutte, indiscriminatamente, promettono il paradiso, l’inferno, la reincarnazione, ma non ce n’è una che prometta il “niente”. E io dico che è una gran fortuna che così sia, perché se qualche profeta avesse promesso il niente per tradurlo in fede, oggi dovremmo fare i conti con la religione del niente. Quindi io dico: non promettetemi il niente eterno, perché se poi non avrò il “niente”, allora anche da morto mi farete girare le scatole. E se arrivo al “niente” morendo come “non uomo”, potete scommetterci quel che volete che non sarò tenero né con me stesso credulone né con chi ancora in vita ha osato farmi credere che finalmente nel regno dei cieli avrei gustato il meritato niente. Ma è bene che sappiate che ormai, come si usa dire da tempo, “alea jacta est”, e quindi la mia incazzatura sarà solo uno sfogo senza di me. Il peggior crimine è l’inganno e io – non so voi – non ho nessuna intenzione di perdonarmi: non credo in nulla e non permetto che il nulla creda in me. Non lascerò che i mass media sfruttino la mia rabbia, il mio grido che “noi non abbiamo un futuro”, per trasformarmi in vittima sacrificale. La crisi del mondo attuale è dovuta essenzialmente ad uno sfrenato liberismo capitalistico: tutti vendono tutto, ma pochissimi si possono permettere di comprare la mercanzia in mostra nelle vetrine, alle aste televisive, sulle strade. Per chi non si può permettere il lusso di acquistare e non ha parole per spiegare il materialismo dialettico, la società ha inventato qualcosa di molto furbo e che costa “zero”: la fede nel niente. Il cattolicesimo sta dilagando nel mondo come la peste e ogni essere che ne viene toccato diventa uno zombie; ma c’è chi resiste alle lusinghe del paradiso e dell’inferno ed allora si rifugia nel niente. Una volta il niente era espressione di rivolta, ma oggi qualcuno ne ha fatto una fede, perché è risaputo che l’essere senziente che non nutre alcuna fede può diventare (essere) veramente pericoloso per la società. Ieri si gridava “no future” e oggi i reduci e qualche nuovo accolito continua a gridare che “non c’è futuro”. Ma io nutro il sospetto che farci gridare in coro che “il futuro non esiste” sia una bieca manovra dei governi mondiali per farci professare una fede. La fede! Come spiegare? Gli anarchici da sempre hanno fatto paura per le loro idee di libertà. Oggi l’anarchia non fa più paura, anzi viene incoraggiata, viene istigata: guardate cosa è successo a Genova in occasione del G8. I black bloc sono stati strumentalizzati dal Governo per la loro fede anarchica, sono stati criminalizzati per darli in pasto alla stampa. E sono diventati stranamente e tristemente famosi. Quando si finisce in pasto ai mezzi di comunicazione un motivo c’è e non è quello che può sembrare tanto evidente a tutti: i casini accaduti a Genova sono stati pilotati, sono stati voluti. Guai se non fossero successi incidenti e la colpa non fosse stata addossata agli anarchici per la loro fede. Si è detto da troppe parti politiche che gli anarchici hanno fatto casino, Destra e Sinistra e Centro si sono alleati per dar contro alle manifestazioni contro il G8, contro quelle frange più estremistiche. Qualcuno ha parlato di infiltrati tra le file degli anarchici, qualcuno ha detto che alcuni anarchici in realtà erano poliziotti e qualcuno ha pure avanzato l’ipotesi contraria. Un bel casino, non c’è che dire. Dopo il G8, Genova era un vero sfacelo. Carlo Giuliani era stato assassinato e la rabbia è esplosa fra i giovani. Cosa significa? Il Governo era sicuro che ci sarebbe stata una vittima da definire tale per la stampa. E il Governo non ha esitato a trasformare la “programmata vittima” in una sorta di “messia anarchico” a cui non è mancato un processo ingiusto, ma anche una elevazione a martire. Era quello che tutte le parti politiche si auguravano. Un messia anarchico da processare da morto. Carlo Giuliani è stato eletto a simbolo, a fede. E la fede è una cosa che si può manipolare e combattere. Ma se al posto degli anarchici di fede anarchica ci fossero stati degli anarchici troppo anarchici per definirsi tali, anarchici senza fede alcuna verso l’anarchia e il niente, il Governo, oggi, sarebbe veramente nei guai, perché incapace di produrre una vittima, un messia, da dare in pasto al popolo degli arrabbiati. Insomma, ci hanno dato un osso da rosicare a denti stretti. E questo osso continuiamo a rosicarlo, e in strada sventoliamo le bandiere dell’anarchia forti solo della nostra impotenza. Ma la vera anarchia nega prima di tutto se stessa, perché sa che il vero nemico da combattere è la fede nell’anarchia. Il Governo e lo Stato non hanno paura, e non temono un anarchico, ma se si dovessero trovare a combattere contro uno che è troppo anarchico per definirsi tale, non saprebbero che pesci prendere. Annullare uno spirito libero è impossibile, demonizzare un anarchico è troppo facile.

 

2) INGANNO & VITA ETERNA

   

Ed ora parliamo di Michel Houllebecq che è forse il più grande scrittore francese contemporaneo: recentemente sul “The Guardian”, l’autore di “Platforme” assume una posizione alquanto provocatoria a proposito della clonazione raeliana: "Nonostante non abbia molta simpatia per me stesso, e quello che faccio non mi interessi granché, voglio subito essere clonato" Ed aggiunge: “Today, thanks to western technology, this veneer of proprieties is rapidly cracking. Of course I will have myself cloned as soon as I can; of course everyone will get themselves cloned as soon as they can. I will go to the Bahamas, New Zealand or the Canaries; I will pay the asking price (moral and financial demands have always counted for little next to the demand for reproduction). I will probably have two or three clones, as you have two or three children; between their births, I will allow for an adequate gap (not too narrow, not too wide); as an already mature man, I will behave like a responsible father. I will make sure my clones have a good education; then I will die. I will die without pleasure, because I do not wish for death. Through my clones, I will have reached a certain form of survival - not completely satisfying, but superior to the one which ordinary children would have brought me. For the time being, it is the most that western technology can offer.” (estratto dal The Guardian) Ok, forse Houllebecq si è bevuto il cervello prima che i raeliani lo clonino! Tuttavia non lo penso. Non seriamente, comunque. Ma la sua dichiarazione non è da prendere sottogamba. Sospetto che Houllebecq 'sta fisima della clonazione ce l'avesse già da un pò di tempo. Chi ricorda il breve romanzo "Lanzarote" edito da Bompiani? Forse nelle poche pagine di quel libro è sepolta l'identità clonata di Houllebecq.

Houllebecq sa scrivere bene, è provocatorio, sfacciato. Qualcuno ha detto che è il Céline francese, anche se a me, personalmente, mi sembra decisamente meno forte di Céline e nello stile e per i contenuti dei suoi romanzi. Forse si è montato un po’ la testa. O meglio, ha bisogno di farsi pubblicità. Niente di nuovo. Adesso se ne è uscito con questa sparata, domani ne tirerà fuori un’altra. Per il momento non è al livello di Céline. Céline era un mostro di bravura, aveva uno stile invidiabile. Quando presentò “Viaggio al termine della notte”, l’editore rimase a bocca aperta. In fase di stampa, i correttori di bozze tentarono di aggiustare la punteggiatura e alcune frasi, e Céline si inalberò non poco. Per fortuna li ha fermati in tempo, e così “Viaggio al termine della notte” è un capolavoro stilistico, un affresco dell’Europa come pochi hanno saputo tratteggiare. “Lanzarote” è un diario, non propriamente un romanzo. Ma proprio in “Lanzarote”, Michel Houllebecq parla di clonazione e di una setta. Quindi, oggi non mi stupisco più di tanto per le affermazioni provocatorie di Houllebecq, che è un distruttore di idoli umani, un pessimista come pochi che guarda alla vita con un cinismo quasi autodistruttivo, ma allo stesso tempo mi sembra che esalti la lotta di classe per le classi sociali meno abbienti. Insomma, è un mezzo anarchico o forse qualcosa di più: nelle sue poesie, che sono tra le più belle che ho letto almeno per quanto concerne il panorama dei nuovi poeti francesi, Houllebecq disegna l’anarchia e la lotta in modo davvero forte, demolisce cliché, miti, ed esalta la violenza, quella violenza che dovrebbe portare le masse a ribellarsi al potere. Da un personaggio come Houllebecq ci si deve aspettare di tutto, anche che si bevi il cervello. Ma la sua è una provocazione, questo è il mio sospetto molto forte. Una provocazione pubblicitaria indubbiamente, ma anche qualcosa di più profondo. E se fosse vera tutta ‘sta storia della clonazione? Continuate a seguirmi. Ciò che maggiormente mi preoccupa è definire il concetto di clone.

Il clone potrebbe benissimo essere un contenitore, un guscio vuoto, dove in un secondo tempo potrebbe essere trasferita la coscienza dell’individuo originale. Il problema riguardo alla coscienza è complesso: come la dobbiamo considerare? Ci sono problemi filosofici, etici, scientifici che dovrebbero esser risolti, affinché la coscienza possa essere trasferita da un corpo ad un altro. Non penso che sia solo una questione prettamente tecnica. Se poi sia il clone a crescita accelerata un essere privo di coscienza, questo è un altro gran bel problema. Senza esperienza, non c’è coscienza di sé, questo penso. E per esperienza dobbiamo intendere tutto quello che un uomo affronta nell’arco di un determinato periodo vitale. Penso che la coscienza faccia di un “corpo” un uomo, perché la coscienza presuppone che il corpo abbia avuto delle esperienze emotive, culturali, sensoriali, ecc. ecc. La coscienza per molti è innata. Ma spesse volte questa viene definita anche anima. Quindi se uno crede nell’anima, la coscienza è innata. Ma il feto, mi sembra che sia stato dimostrato scientificamente, prova emozioni già nel grembo materno, quindi fa esperienza della vita.

Non troppi giorni fa, la società Clonaid, legata alla setta dei Raeliani, ha annunciato la prima clonazione di un essere umano, una bambina di nome Eva. Durante una conferenza stampa a Hollywood, in Florida, il direttore scientifico della Clonaid, Brigitte Boisselier, non ha fornito prove di quanto accaduto, ma ha dichiarato che la bambina è effettivamente nata e gode di buona salute.

La società americana Clonaid è strettamente legata ai 'Raeliani', una setta; i Raeliani  credono che la stirpe umana sia stata creata dagli extraterrestri. Roba da fantascienza, eppure esistono esseri “umani” (senzienti?) che fanno degli extraterresti una religione. L'associazione, che prende il nome dal fondatore Claude Vorihon - che si proclama profeta e si fa chiamare Rael –, riunisce circa 55.000 persone sparse per il mondo. Ma il sospetto è che gli appartenenti alla setta dei raeliani siano molti di più. Stando a quanto ha detto il direttore dell'Istituto di genetica molecolare dell'Accademia russa delle Scienze, Ievgheny Sverdlov, l'eventuale clonazione "potrebbe diventare un vero incubo… Si sono verificate varie anomalie dello sviluppo… la pecora Dolly ha mostrato tutti i sintomi dell'invecchiamento precoce". Insomma, è opinione dello scienziato russo che l’individuo clonato "potrebbe essere trasformato in un vecchio all'età di trent'anni". Antinori, ginecologo italiano, che è da mesi in competizione con la Clonaid, si dichiara scettico: "Mi viene da sorridere, anche perché non ritengo che la Clonaid abbia le conoscenze scientifiche per fare ciò che ha detto". Insomma, per Antinori i Raeliani hanno orchestrato "un modo fantasioso per farsi pubblicità".

La Clonaid non si tira indietro, e il 5 gennaio 2003 annuncia che "una seconda bambina clonata è nata venerdì grazie a una coppia di lesbiche olandesi". Ma gli esperti si dichiarano scettici. E Brigitte Boisselier, il direttore scientifico di Clonaid, nonché vescovo dei Raeliani, ha rivelato senza mezzi termini che una delle due donne ha partorito in modo naturale un suo stesso clone. E sarebbe intenzione della coppia di crescere personalmente la bambina. Dopo l’annuncio scandalo del 26 dicembre 2002, Boisselier è riuscito un’altra volta a farsi pubblicità e a far indignare il mondo.

E gli esperti genetisti, giustamente, vogliono delle prove, perché non esistono foto a suffragare quanto la Clonaid pubblicizza con ostentata arroganza. Sono in molti a credere che la Clonaid non disponga né dei mezzi né delle attrezzature necessarie per portare a compimento un procedimento complesso come quello della clonazione. Harry Griffin, capo dello scozzese Rosin Institute che nel 1996 entrò nella storia clonando la pecora Dolly, è il più scettico di tutti. Nonostante le fredde reazioni del mondo scientifico, Boisselier non ha fatto marcia indietro e ha continuato imperterrito sulla sua strada adducendo come scusa che “la vicenda sta spaventando le famiglie”, che hanno dato al mondo figli clonati, ma non esclude che, prima o poi, i “figli cloni” possano essere fatti vedere al mondo intero.  

Cito testualmente le parole del leader della setta dei Raeliani, Claude Vorilhon: “Voglio essere chiaro. La Clonaid, diretta dalla dottoressa Brigitte Boisselier, è totalmente separata dai Raeliani. Ovviamente sono io che ho lanciato l'idea, che ho ispirato la creazione della compagnia, ma non ci sono legami fra il movimento e l'azienda, anche se noi li supportiamo spiritualmente, filosoficamente e sotto il profilo religioso… L'umanità fu creata scientificamente usando il Dna e l'ingegneria genetica da Elohim, una civiltà molto avanzata che giunse sulla terra migliaia di anni fa. La clonazione, mi hanno spiegato, è il modo per raggiungere la vita eterna. Per questo l'appoggiamo. Non ho ragioni per dubitare della dottoressa Boisselier. È stata nostra sacerdotessa per tanto tempo. Non credo direbbe cose false che potrebbero rovinare la sua reputazione in futuro. La Clonaid afferma di averlo fatto e dicono anche che la bambina è in perfetta salute. Io penso che gli oppositori della clonazione hanno più paura di una bambina sana che di una handicappata…La gente creda ciò che vuole. Ma sono 30 anni che noi parliamo di clonazione umana. Non è un coniglio che abbiamo tirato fuori dal cappello all'improvviso. Il prossimo passo sarà scoprire processi accelerati di crescita.  La mia missione è quella di dare al genere umano la vita eterna. Questo è solo il primo passo.”

Comunque, per il momento, è fantascienza. O meglio, è pubblicità. Non troppo comunque.

Il progresso umano supera l’uomo.

Ma tornando a parlare di Michel Houllebecq, il suo ultimo libro, “Piattaforma”, una indefessa difesa della prostituzione, Houllebecq si distingue per la sua naturale predisposizione a guardare alla vita con cinismo, un cinismo molto vicino a quello di Louis-Ferdinand Céline. Houllebecq fa del cinismo una sorta di anarchia tutta personale che esalta la morte dei valori.

“Piattaforma” ha fatto scandalo, vediamo perché, e se è il caso di parlare veramente di scandalo.

Michel ha un buon lavoro e una casa a Parigi; poi conosce una giovane donna francese, Valérie, durante un viaggio in Asia. E le cose si complicano. Tosto si ritrovano a vivere la stessa vita. Nonostante Michel e Valérie siano diversi tra loro, sono però in perfetta sintonia sessuale, e questa Houllebecq la descrive con perfezione chirurgica sadiana, disegnando così una identica visione del mondo: la vita nelle metropoli occidentali è faticosa, innaturale e minacciata dalla violenza. Al contrario l’Asia, la generosità delle donne asiatiche, la loro intatta capacità di far provare piacere, a differenza delle ormai frigide donne europee, testimonia invece un rapporto con la natura totalmente diverso, che è, forse, l’unica via di uscita dalla degradata “condizione umana occidentale”. Un breve estratto: “Non sono io a essere strana, è la gente che mi sta intorno. Dimmi, hai veramente voglia di comprarti una Ferrari cabrio? Una casa a Deauville per il sabato e la domenica - ovvero destinata ad essere svaligiata nei giorni feriali? Hai davvero voglia di lavorare novanta ore la settimana fino a quando avrai sessant’anni? Di pagare metà dello stipendio in tasse che servono a finanaziare operazioni militari nel Kossovo o piani di recupero delle periferie? Qui si sta bene; c’è tutto quello che serve per vivere. L’unica cosa che può offrirti il mondo occidentali sono i prodotti firmati. Se credi ai prodotti firmati, allora fai bene a restare in Occidente; se invece non ci credi, la Thailandia è piena di imitazioni perfette”. Valérie decide così insieme a Michel di aprire una catena di villaggi turistici in Thailandia chiamati non a caso Aphrodite, villaggi che ospiteranno la libertà del corpo e l’abbandono rilassato alla natura. La coppia decide di trasferirsi ad Aphrodite. Dopo pochi mesi dall’apertura dei villaggi turistici-sessuali, dopo un grandissimo successo, un gruppo di fondamentalisti islamici organizza un attentato che uccide centinaia di persone, tra cui la stessa Valerie. Michel si lascia morire consumato dall’odio e dal desiderio di vendetta.

Per questo innocente romanzo (realissimo), Houllebecq finisce sotto processo; i capi di imputazione recitano che l’autore ha fatto una apologia della prostituzione. “Che benedizione, mi dissi, queste dolci puttane thailandesi; un dono del cielo, una vera manna” e “La gente ha bisogno di sesso, tutto qui, solo che ha paura di ammetterlo”: l’opinione pubblica non permette che simili verità vengano messe nero su bianco. Ma per l’autore c’è un'altra pesante accusa: viene messo quasi alla gogna perché accusato, a causa di una intervista rilasciata ad una rivista francese, di istigare al razzismo e all’odio verso la religione musulmana: provocazione? Anche nel romanzo, “Piattaforma” l’autore dice: “L’Islam aveva rovinato la mia vita, e l’Islam era certamente qualcosa che potevo odiare; nei giorni segeunti mi sforzai di provare odio per i musulmani. Vidi che ci riuscivo benissimo, e ripresi a interessarmi dell’attualità internazionale. Ogni volta che leggevo o sentivo che un terrorista palestinese, o un bambino palestinese, o una donna incinta palestinese, erano stati riempiti di piombo nella strscia di Gaza, provavo un brivido di entusiasmo all’idea che ci fosse un musulmano in meno sulla faccia della terra. Sì, in quel modo si poteva benissimo vivere” Ma queste sono le parole del Michel protagonista del romanzo, un uomo distrutto che ha visto morire la sua compagna per mano dei fondamentalisti islamici. E il Michel del romanzo ha parole dure anche per l’Occidente: “Rimarrò fino all’ultimo un figlio dell’Europa, dell’ansia e della vergogna; non ho alcun messaggio di speranza da comunicare. Per l’Occidente non nutro odio, tutt’al più immenso disprezzo. So soltanto che, dal primo all’ultimo, noi occidentali puzziamo di egoismo, di masochismo e di morte. Abbiamo creato un sistema nel quale è impossibile vivere; e, come se non bastasse, continuiamo ad esportarlo.”

E’ il caso di mettere sotto accusa Michel, quello reale e quello romanzato? Non penso. Sono entrambi due personaggi discutibili, ma non meritano la gogna, non per quello in cui non credono, perché entrambi non credono in niente tranne nella violenza della vita. E credere nella violenza della vita, per certi versi, significa non credere neanche nell’anarchia, non in modo completo e fideistico comunque. L’autore sembra credere essenzialmente in una anarchia antropologica piuttosto che in una sociale o politica. No, Michel Houllebecq non nutre nessuna serpe in corpo e nessuna medusa allatta dalla sua tetta. E’ forse uno dei pochi autori contemporanei che è riuscito ad evadere le catene della fede in qualcosa, nella religione, nella religiosità e anche nel niente. Un mezzo anarchico dicevo, perché troppo anarchico per essere anarchico, dunque un autentico spirito libero. Che poi faccia asserzioni come quelle che ha fatto, poco importa: in fondo è come se stesse dichiarando al mondo che se lui può essere clonato, l’uomo non esiste se non come parto della fantasia di un dio ipotetico. E’ come se avesse detto che noi tutti siamo riproducibili, perché, ormai,  noi non abbiamo più né un’ombra a tenerci compagnia né una coscienza a difenderci da noi stessi. Essenzialmente l’uomo è un guscio vuoto e la violenza può benissimo appartenere anche ad un clone indipendentemente dal fatto che questo venga al mondo con una coscienza, perché questa subito verrà terminata dalla società. Indubbiamente si è fatto un po’ di pubblicità gratuita, ha fatto finta di essersi bevuto il cervello - pure quello clonato! -, ma si è preso una bella rivincita verso quanti l’accusavano di essere razzista ed intollerante. Ha dimostrato che l’uomo oggi come oggi non conta un cazzo se non come pure incidente antropologico. Se domani dovessi vedere Michel clonato, penso che non sarebbe poi tanto differente dall’originale. Anzi, penso che il suo clone sarebbe addirittura migliore dell’individuo originale. Che poi si rivolga alla Clonaid per avere dei suoi duplicati, che importa? La Clonaid sino ad oggi non ha dimostrato niente e la setta Raeliana è una delle tante che il violento mondo antropologico ospita su questa terra. Se stiamo a guardare bene il mondo che ci circonda, ci accorgeremo che esistono tante e tante sette ambigue e ben più pericolose di quella che vede protagonisti i Raeliani.

 

3) MORTE… O STATO DI COMA PER LA LETTERATURA, FORSE!

 

Chuck Palahniuk è un’altra voce incredibile della letteratura moderna. Palahniuk ha esordito con un romanzo davvero forte, di quelli che non si dimenticano, tanto forte da attirare l’attenzione di una grande come Fernando Pivano, la più autorevole voce in fatto di cultura americana. L’esordio è avvenuto con “Fight Club”, un romanzo violento, dove l’identità dell’uomo è smembrata, ridotta a brandelli, perseguitata fino alla fine. L’autore con “Fight Club” ha semplicemente detto che l’uomo non è padrone di se stesso, mentre i veri padroni sono le cose di cui noi ci circondiamo, siano queste materiali o astratte come i sentimenti di odio e amore. Palahniuk ha distrutto tutto il conoscibile materiale ed immateriale, e l'ha dato in pasto al lettore vorace di emozioni forti e gli ha fatto ingoiare anche quelle emozioni che ha provato leggendo “Fight Club”. Un vero trionfo dell’anarchia senza fede. “Il guscio esploso del mio appartamento carbonizzato è spazio siderale nero e devastato nella notte sopra le piccole luci della città. Senza le finestre, un nastro giallo della polizia si arriccia e svolazza sul ciglio del precipizio di quindici piani. Mi sveglio nella soletta in calcestruzzo. Una volta c’erano le assicelle di acero. C’era arte appesa alle pareti prima dell’esplosione. C’erano mobili svedesi. Prima di Tyler. Sono vestito. Mi metto una mano in tasca e tasto. Sono tutto integro. Spaventato ma integro. Vai in fondo al pavimento, quindici piani sopra il parcheggio, e guarda le luci della città e le stelle e non ci sei più. E’ tutto così oltre noi. Quassù, nelle miglia di notte tra le stelle e la Terra, mi sento in tutto e per tutto come quegli animali spaziali. Cani. Scimmie. Uomini. Hai solo il tuo piccolo lavoro. Tiri una leva. Pigi un bottone. Fai senza capirci niente. Il mondo impazzisce. Il mio capo è morto. La mia casa non c’è più. Ed il responsabile di tutto questo sono io.” Palahniuk in “Fight Club” disegna l’uomo per quel che è, insignificante, schiavo delle sue paure, ma anche succube del capitalismo, della famiglia, del lavoro. E Durden, il protagonista del romanzo, distrugge tutto questo distruggendo se stesso e la civiltà che lo circonda. La violenza è l’unico modo che Durden ha per riscoprire l’uomo che si nasconde dentro l’uomo. Solo nel momento in cui l’uomo combatte contro se stesso, contro un suo simile, si rende conto che la civiltà non è mai stata. Gli scontri corpo a corpo coi propri simili è una lotta antropologica che risveglia l’uomo dormiente in ognuno di noi: Durden è un debole, ma combatte questa sua debolezza inventando un altro se stesso, un alter ego, Tyler. E la coppia Durden/Tyler investe la vista nel creare il Fight Club, un circolo esclusivo per soli uomini dove ci si batte a mani nude per il semplice piacere di combattere contro un corpo vivente. Le ultime battute che Palahniuk scrive per dare un senso compiuto al romanzo sono: “E’ stato meglio che la vita vera. E’ il tuo solo momento perfetto non durerà per sempre. Tutto in Paradiso è bianco su bianco. Imbroglione. Tutto in Paradiso è scarpe silenziose, con la suola di para. In Paradiso si dorme. La gente mi scrive in Paradiso e mi dice che sono ricordato. Che sono il loro eroe. Migliorerò. Gli angeli qui sono del Vecchio Testamento, legioni e luogotenenti, un ospite celeste che lavora in turni, di giorno, di notte. Cimitero. Ti portano i pasti su un vassoio con un bicchiere di carta pieno di medicine. Il servizio scenico della Valle delle Bambole. Ho incontrato Dio dietro la sua grande scrivania di noce con i diplomi appesi alla parete alle sue spalle e Dio mi chiede: “Perché?”  Perché ho provocato tanto dolore? Non mi sono reso conto che ciascuno di noi è un sacro, irripetibile fiocco di neve di speciale irripetibile specialità? Non vedo come siamo tutti manifestazioni d’amore? Io guardo Dio alla sua scrivania che prende appunti su un bloc notes, ma Dio ha capito tutto sbagliato. Noi non siamo speciali. Non siamo nemmeno merda o immondizia. Noi siamo. Noi siamo soltanto e quello che succede soltanto. E Dio dice: “No, non è così”. Sì. Be’. Sia come sia. A Dio non si riesce a insegnare nulla. Dio mi chiede cosa ricordo. Ricordo tutto. [..] Ma io non voglio tornare giù. Non ancora. Perché perché. Perché di tanto in tanto qualcuno mi porta il mio vassoio con il pasto e le medicine e ha un occhio nero o un gonfiore sulla fronte con tutti i punti e mi dice: “Sentiamo la sua mancanza, signor Durden”. Oppure passa qualcuno accanto a me spingendo un mocio e sussurra: “Va tutto secondo i piani”. Sussurra: “Distruggeremo la civiltà per poter cavare qualcosa di meglio dal mondo”. Sussurra: “Aspettiamo con ansia il suo ritorno”.” Durden, dopo aver distrutto tutto, se stesso e chi gli stava accanto, è di fronte a un Dio incapace di imparare dall’uomo che adesso, dopo la morte, Durden è diventato. E se Dio è incapace di imparare dall’uomo, allora è come se non esistesse. Durden potrebbe tornare  indietro e infischiarsene del Paradiso, ma si rende conto che non c’è differenza alcuna fra il Paradiso e la Terra. E poi sulla Terra ci sono gli uomini che lui ha istruito ad essere “uomini” e questi si stanno adoperando per distruggere la civiltà per “poter cavare qualcosa di meglio dal mondo”. Palahniuk lascia che Durden se ne resti in un paradiso stranamente tanto simile alla Terra, forse perché compito di Durden sarà quello di distruggere anche quel Dio fittizio incapace di imparare dall’uomo.

La letteratura non è più quella tradizionale a cui ci hanno abituato Boccaccio o Manzoni: è cambiata radicalmente. I generi tendono a fondersi ed è estremamente difficile parlare di fantascienza, horror, fantasy, mainstream. Anche la letteratura di genere non è più quella di vent’anni fa: oggi si ha la naturale predisposizione a imbastardirla con il mainstream. Lo stesso Palahniuk, recentemente, ha detto che solo attraverso la narrativa di genere è possibile esprimere concetti veramente forti: “Ho deciso di affrontare la letteratura di genere perché, oggi come oggi, è il solo modo per passare certi argomenti. Al momento, ho pronti due libri, sempre horror. Dopo vedremo.” Chuck Palahniuk sin dall’uscita di “Fight Club” è stato attaccato dai benpensanti per la violenza delle trame dei suoi libri: “La colpa è dei genitori americani. Pur di non ammettere le proprie colpe, cercano sempre nuovi capri espiatori e io sono uno di questi, proprio come Marilyn Manson.”  E’ uscito recentemente in Italia, per i tipi Mondadori, “Soffocare”, l’ultima fatica di Palahniuk. “Soffocare” è il quarto romanzo dell’autore americano, un autore che ha saputo creare introno a sé un culto non indifferente. E sembra che non disdegni affatto che lo si adori come una rockstar! Non sembra davvero! Protagonista di “Soffocare” è Victor Mancini, frequentatore di un gruppo di recupero per sessodipendenti, uno che tira a campare interpretando un contadino del Settecento in un villaggio d’epoca per turisti, e finge di soffocare nei ristoranti per ricevere poi regali dai propri salvatori. Qualcuno l’ha accusato di essere un cattivo maestro, ma l’autore si è difeso asserendo che non riesce proprio a vedersi nella veste del cattivo maestro, perché, secondo lui, il ruolo dello scrittore non è quello di insegnante. Tuttavia si ha il sospetto che Palahniuk goda, di nascosto, nell’essere accusato (disegnato) come cattivo maestro. In “Soffocare”, l’autore dice che “siamo tutti in trappola”, ma alla stampa ha dichiarato che non è lui a dirlo, ma Victor Mancini, il protagonista del romanzo. Ed ha aggiunto che “crede che una via d’uscita esista”: “Non è molto consolatorio, ma prima o poi finiamo tutti al Creatore”, ecco come si è difeso l’autore. 

La letteratura di genere potrebbe essere l’ultima radicale soluzione ai mali dell’informazione moderna. In Italia, la letteratura di genere non è ancora al centro di una seria critica, eppure ci sono autori che scrivono davvero bene e che non hanno alcuna pretesa di insegnare niente a nessuno.  Immagino che sia difficile classificare i romanzi di Valerio Evangelisti, ma forse ciò è dovuto al fatto che da tempo i suoi romanzi sono qualcosa di più, non è semplice fantascienza. L’autore all’immaginazione unisce sapientemente intermezzi e sfondi storici ed esoterici, ragion per cui il romanzo non è solo una piacevole lettura, ma è anche, e soprattutto, una precisa descrizione delle ossessioni e dei travagli che l’uomo moderno affronta giorno dopo giorno nella realtà che gli è propria. Con ciò non voglio dire che il ciclo di Eymerich non è narrativa eversiva; è più preciso dire che i piani narrativi dei suoi romanzi si prestano a diverse interpretazioni. E’ i piani narrativi sono tanti: storico, esoterico, fantastico, sociale e anche politico. “Il nome della Rosa” di Umberto Eco è un romanzo che presenta diversi piani interpretativi, almeno tre; e io stesso non riesco a classificare questo lavoro di Eco, un ottimo romanzo indubbiamente, perché presenta al lettore un mondo tanto vasto dove uno rischia quasi di perdersi. I romanzi del ciclo di Eymerich hanno però qualcosa di più, sono decisamente più immediati e diretti; e questo risultato è dovuto al fatto che la narrazione prettamente fantastica è abilmente contaminata con la storia, l’esoterismo, la geografia umana sociale e politica. Il lettore leggendo un romanzo come “Mater Terribilis” non può sfuggire ai diversi piani interpretativi; dapprima viene catturato, avvolto dal “fantastico”, e senza accorgersene si trova immerso in una geografia popolata dall’uomo storico, da quello sociale e politico, ma anche da quello sognatore (o esoterico). Molti (la più parte dei critici) hanno il vizio di etichettare i libri piuttosto che definirli per quello che sono realmente. E spesse volte, leggendo certe recensioni, nutro il sospetto che i critici non leggano veramente i romanzi che criticano. Molti scrittori mainstream hanno scritto romanzi di genere: vedi Sebastiano Vassalli, Stefano Benni, Michele Serra, eppure i loro romanzi non sono stati inquadrati, se non da pochi, come romanzi di genere. Perché? Forse perché hanno scritto prevalentemente mainstream prima di mettersi alla prova con il mondo del “fantastico”. Qualche critico gli ha dato addosso, ma la maggior parte ha accolto i loro lavori con una certa riverenza, quasi con un inchino a novanta gradi. Indubbiamente sono scrittori che sanno il fatto loro, ma è stupido e decostruttivo esaltare un lavoro fantastico solo perché è stato scritto da un autore notoriamente impegnato nel mainstream. Ma quando uno scrittore come Evangelisti scrive romanzi che nulla hanno da invidiare ai migliori lavori di Eco, Benni, Vassalli, ecc. ecc., la critica dimostra la sua incapacità di esser veramente critica. Se uno vince il premio Urania perché sa veramente scrivere, la fama dello scrittore rimane ingiustamente circoscritta a chi guarda con rispetto alla letteratura di genere. Parlare di generi letterari, oggi come oggi, mi sembra banale: le commistioni sono tante, ed è giusto che ci siano per un rinnovamento della “letteratura”, perché la vera letteratura non ha un codice a barre, non è qualcosa che si può svendere al primo offerente (e non è detto che il primo sia il migliore offerente). La critica moderna non è critica, ma temo che non sia mai stata veramente oggettiva, libera, senza pregiudizi. P. K. Dick, ad esempio, prima di dedicarsi alla fantascienza, ha scritto romanzi mainstream, ma gli editori, tutti, si sono rifiutati di prendere in considerazione queste opere dickiane. Solo oggi, dopo la morte di Dick, è iniziata la rivalutazione della sua intera opera. Complice è anche il cinema. Ma le trasposizioni cinematografiche da sole non sarebbero bastate a riscoprire Dick se Dick non avesse avuto dalla sua una grande e profetica immaginazione. I romanzi di Giuseppe Genna così come quelli di Nicoletta Vallorani, e ovviamente quelli di Valerio Evangelisti, riflettono le inquietudini del nostro vivere, del mondo moderno. E questo mondo è un po’ tanto naufragato dentro a un medioevo: la società riesce ad esprimersi al meglio grazie alla tecnologia, ma sembra incapace di operare un severo esame di se stessa sotto il profilo umano. Più precisamente: la scienza fa passi da gigante, ma l’uomo inteso come “essere sociale” diventa sempre più bruto e incapace di evolversi come essere umano.

E’ una definizione riduttiva etichettare un romanzo come “di genere” o “intrattenimento piacevole”, anzi è una offesa senza ombra di dubbio. Gene Gnocchi, Claudio Bisio, Beppe Servegnini, Giuseppe Culicchia, sono scrittori semplicemente per un “intrattenimento piacevole”, ma autori come Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Nicoletta Vallorani, Vittorio Catani, ritengo che siano decisamente al di sopra del “puro intrattenimento”, perché esprimono dei valori letterari, stilistici e sociali che, ad esempio, un Alberto Bevilacqua mai potrebbe dare al lettore moderno. Per quanto tutti dichiarino che non hanno alcuna pretesa di insegnare, anche qui il sospetto è lecito, perché almeno una fascia di lettori riesce a sviscerare degli insegnamenti dai libri di questi autori italiani. E’ solo un sospetto e tale rimarrà. Anche se insegnano qualcosa, nessuno di loro lo riconoscerà apertamente perché è giusto che il lettore sia l’ultima voce in capitolo, che sia l’ultimo accreditato critico: insomma al lettore tocca l’arduo compito di decidere per sé e, forse, anche per l’autore! 

 

4) RIMANE SOLO LA MORTE E LA VIOLENZA

 

Tornando alla realtà, qualche tempo fa un ragazzo disperato mi scriveva: “Non so più cosa fare: ho spedito centinaia di curricola, utilizzando sia le banche dati internet, sia l'opportunità di inviare candidature spontanee con i normali mezzi di spedizione postale. Ho preso le pagine gialle...TUTTE le compagnie di assicurazione d'Italia hanno almeno un mio curriculum nei loro archivi (ammesso e concesso che non li abbiano cestinati...). Stesso discorso per quanto riguarda banche e società di finanziamento.” Ho parlato lungamente circa i rapporti di lavoro moderni in questa sede: la cultura del lavoro è stata capitalizzata in agenzie interinali, in contratti di collaborazione a tempo determinato, in lavoro nero, e i compensi sono a dir poco ridicoli. Ci si lamenta, la società benpensante è stupidamente imbarazzata perché si trova davanti un esercito di disperati che non hanno nessuna possibilità di emergere in questo mondo. La rabbia dilaga in strada e l’unico sfogo che trova è l’impotenza. A cosa è servito manifestare contro l’attuale politica, contro i tagli di personale? Ad un merito cazzo. Quando la Fiat ha annunciato i tagli di personale, gli operai sono scesi in piazza ed hanno urlato contro i padroni: strade bloccate, tafferugli, bestemmie, ma poi tutto è morto. Sono restate le lacrime e la rabbia ad essere spacciate come informazione in Tv. Abbiamo assistito al triste spettacolo di vedere famiglie spezzate dal dolore, padri di famiglia con il vento raccolto nelle mani e un'unica certezza, quella dell’incertezza, della disperazione più assoluta. Avete provato a guardare negli occhi un uomo, un padre di famiglia, che vi dice che “non sa come farà per tirare avanti”? Provateci. Non è bello. Se non siete dei cloni insensibili, come minimo, una stretta allo stomaco vi impedirà di deglutire. A questo punto mi chiedo se sia poi tanto sbagliato rubare per sopravvivere. C’è un mare di disperati in questo mondo e nessuno si accorge di loro: i politici sguazzano in questo mare solo per buttar loro addosso l’ignominia di una pietà vuota prettamente politica. Tutti i partiti corteggiano il mare dei disperati perché da loro vogliono solo una cosa, l’ultima cosa che gli rimane: il diritto di voto. E così promettono mari e monti alle elezioni, rubano i voti della gente onesta, poi si grattano la pancia assisi come bastardi satrapi sulle Poltrone del Potere e continuano a rubare, prendono stipendi da capogiro, intascano mazzette di nascosto, e i disperati continuano a corteggiarli dicendo loro che “faranno”, ma in realtà non fanno mai un cazzo, perché è loro interesse che la povertà e la disperazione rimangono una realtà, un serbatoio inesauribile di potenziali voti per le prossime elezioni. Ma se un padre di famiglia ruba un pezzo di pane è subito braccato, bollato, malmenato e incarcerato. Io mi domando chi è il vero ladro: i politici o l’uomo? La risposta è ovvia. Nel 1973, Fabrizio De André cantava: “Certo bisogna farne di strada/ da una ginnastica d'obbedienza/ fino ad un gesto molto più umano/ che ti dia il senso della violenza/ però bisogna farne altrettanta / per diventare così coglioni / da non riuscire più a capire / che non ci sono poteri buoni/ da non riuscire più a capire/ che non ci sono poteri buoni./ E adesso imparo un sacco di cose/ in mezzo agli altri vestiti uguali/ tranne qual'è il crimine giusto/ per non passare da criminali./ Ci hanno insegnato la meraviglia/ verso la gente che ruba il pane/ ora sappiamo che è un delitto/ il non rubare quando si ha fame/ ora sappiamo che è un delitto/ il non rubare quando si ha fame./ […] / per quanto voi vi crediate assolti/ siete per sempre coinvolti./ Per quanto voi vi crediate assolti/ siete per sempre coinvolti.” (da Nella mia ora di libertà) Tra telemarketing, stand by non retribuito, ambigui contratti di collaborazione, lavoro in prestito e in nero, i giovani di oggi non hanno alcuna possibilità di integrarsi nella società. Integrarsi? Che brutta cosa! E’ meglio dire che non hanno alcuna speranza di costruirsi una vita propria e aspirare a diventare degli uomini. E poi ci si lamenta che i giovani moderni stanno dietro le balze della madre, che stanno in casa fino a trent’anni e oltre, che si danno alla bella vita (Quale bella vita! Qualcuno me lo dovrebbe spiegare…), che sono degli attaccabrighe, dei ladri, degli stronzi, dei falliti, insomma la società tratta veramente male i giovani, non li tiene in nessuna considerazione. Li sfrutta solo come serbatoio di voti per le elezioni, poi, al massimo, dà loro un contentino, li fa lavorare un mese all’anno. E questa me la chiamate bella vita? Con 700 euro all’anno, signori che sedete le Poltrone del Potere, un giovane non ci fa niente. Ed allora se li sputtana in una settimana e magari finisce vittima delle stragi del sabato sera. Nutro il sospetto che anche queste siano progettate alla faccia dei tanti messaggi pubblicitari che invitano alla prudenza, messaggi lanciati dalla nostra bella Repubblica democratica. Ma li avete visti gli spot? Sembrano un invito al suicidio. Giovani belli, fighi, aitanti come Dèi, eroi del quotidiano, che si sballano in discoteca e sulla strada del ritorno vengono raccolti nelle lamiere della “grande falciatrice”. I giovani moderni non sono quelli che lo Stato ci fa vedere in TV in prima serata. E’ vero che ci sono tanti figli di papà che si fanno di alcolici ed ecstasy al sabato sera, ma ci sono tanti altri, la maggior parte, che si cacciano in disco per dimenticare se stessi, per dimenticare di esistere. Quando vedo simili spot pieni di retorica falsità, non posso fare a meno di pensare a un cinismo “crash” in puro stile ballardiano. La società italiana conta molti più anziani che non giovani. E il problema demografico non è una mera questione riconducibile alle nascite. I bambini nascono, ma a vent’anni sono già morti e sepolti. E’ il caso di parlare di morti progettate e globalizzate? Temo proprio di sì. Lo Stato Italiano uccide i suoi giovani prima che questi possano diventare degli “spiriti liberi”.

 

5) SENZA PAROLE CON TROPPE PAROLE: ANIMALE FERITO

 

La libertà non è mai stata, la vita non è mai stata, ma tutto è stato menzogna. 

Kurt Cobain, l’8 aprile 1994, nel cottage dell’abitazione dei Cobain, si dava la morte con un colpo di fucile alla testa. E’ stato detto troppo sul caso Cobain, ma il motivo della sua decisione di morire è tutta nelle sue ultime parole: “Meglio andarsene con una vampata che morire giorno dopo giorno… Il peggior crimine è l’inganno…”  Qualcuno magari ricorderà il video di “Smells like teen spirit” dove alcune ragazze pompon avevano una “A” rossa in primo piano sul petto dei loro vestitini, una “A” come “Anarchia”: “Carica i fucili, porta i tuoi amici, è divertente perdere e fingere… Nelle cose che faccio meglio sono peggiore e per questo dono mi sento benedetto, il nostro piccolo gruppo c’è sempre stato e ci sarà sempre, fino alla fine. Ciao, ciao, ciao, quanto sei derpresso… Con le luci spente è meno pericoloso… Un mulatto, un albino, una zanzara, la mia libidine. Un rifiuto…”  Ed ancora, in “All Apologies”: “…è mia la colpa di ogni cosa, mi prendo tutta la vergogna… Assolutamente soli, è tutto quello che siamo” Kurt Cobain era uno spirito libero, ben più che anarchico, e come spirito libero se n’è andato. Ma è come se fosse ancora vivo, perché chi come lui avvertiva la vita come un animale ferito e sofferente, non può morire con un colpo di fucile. E noi ormai sappiamo che “IL PEGGIOR CRIMINE E’ L’INGANNO PERCHE’ E’ UN DELITTO IL NON RUBARE QUANDO SI HA FAME”. Ed aggiungo, parafrasando il testo di Heart-Shaped Box scritto da Kurt Cobain, che i mostri carnivori hanno ancora fame e non perdonano nessuno, neanche me, neanche se mi taglio i capelli come un angelo e cerco di respirare con l’innocenza di un bambino, perché ormai l’innocenza è stata uccisa e il nero affoga dentro di me, quindi potresti gettarmi il cappio del tuo cordone ombelicale, affinché possa impiccarmi un’altra volta; ma prima ho un’altra lamentela da esporre a “Vostra Altezza”: sono indebitato per sempre grazie al tuo prezioso consiglio!  

GIUSEPPE IANNOZZI


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