BLUES DI NOTTE TRAGICOMICO

- Ritratto di una vita inventata che tanto inventata non è… -

Di GIUSEPPE IANNOZZI

Starry Night

 

 

 

 

 

 

Vincent Van Gogh, Starry Night

Saint-Rémy: June, 1889

Oil on canvas - 73 x 92 cm - (New York: The Museum of Modern Art)

 

Al giorno d’oggi la fiction è l’anima della dolce vita.


 

Ed è di nuovo notte, un’altra notte come tante altre passate.

Il giorno è andato, passato, proprio andato, stracciato. Non rimane più niente se non un pallido ricordo e domani non sarà neanche più questo. Ma che senso ha tutto ciò, cioè la vita? Certo, dire che la vita è tutto è una esagerazione di quelle grandi, una grassa bugia. Eppure c’è chi ci campa sulle menzogne e ci fa affari che noi comuni mortali manco ci sogniamo. Eppure c’è chi vestendo l’abito del piccolo borghese, del prete spretato, del businessman, del padrone ‘padrone’ di taglieggiamenti, eppure c’è anche genia del genere, che bene o male, ce la dobbiamo sorbire, e più spesso la dobbiamo amare e piegarci a novanta gradi perché qualcuno potrebbe incazzarsi, e noi che siamo agnelli di dio per convenienza ci inchiniamo, ripetutamente. Uomini come numeri con tanto di codice a barre se ne stanno seduti al bar, scontrosi, inebriati, piangenti, il vino l’unica consolazione, il fumo l’unica forma di morte accettata dallo Stato, una boccata dopo l’altra, la sigaretta si spegne infra le labbra, mentre la gola catarrosa raschia veleno e invettive contro “niente”. Ah, la sigaretta, buona la sigaretta e buono pure il vino, buono tutto purché mandi al creatore più velocemente. Meglio è se ‘sta roba sia proprio merda, quella che si possono permettere i poveri cristi. Meglio se lo spaccio di morte quotidiana sia a buon prezzo. E ci pensa bene il calmiere a far prezzi adeguati a tutte le tasche. E ci pensano bene le multinazionali a fare dello stesso prodotto almeno tre varianti, perché tutti c’hanno diritto ad usufruire di tutto, il ricco come il povero. Ah, le caste sociali! Le benedice pure il Vaticano e Dio, un Dio inventato che rimane sempre sordo alle bestemmie come alle preghiere ogni santo maledetto giorno, ma, stranamente, benedice il volto della Chiesa. E lo Stato, lo Stato aggiunge altre caste alle cataste di caste che già sono realtà in periferia o in qualche altro remoto punto della geografia umana.

Ed è di nuovo notte e a queste cose penso con la bava alla bocca, rabbioso come un cane, mica tanto umano, sempre meno cristiano. Poi guardo dalla finestra, ma non c’è niente se non la notte e qualcuno che si prende a botte, ma io non vedo, allora è solo una questione di credo, credo che qualcuno stia… Ma queste sono elucubrazioni di chi non ha niente di meglio da fare, se non spendere tempo a non fare e lasciar battere la lingua là dove il dente duole.

                                              

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Quand’ero bambino mi raccontavano le favole: una che ricordo bene è quella di Pinocchio. Al Pinocchio gli veniva il naso lungo quando diceva le bugie, ma quando sono cresciuto ho conosciuto tanti pinocchi e nessuno c’haveva il naso lungo. Poi ho capito che s’erano fatti ‘na cosa chiamata rinoplastica. Insomma, se capite cosa intendo, e non è facile, l’ammetto, ‘sti pinocchi possono dire tante bugie perché tanto a loro il naso non gli si allunga mai, anzi, per magia, si rimpicciolisce mentre dabbasso qualcosa gli s’ingrossa ma neanche poi tanto, perché il viagra te lo farà pure diventare duro, ma mica fa miracoli! Le fatine del nostro mondo, è evidente, che vanno in giro con scorte di viagra e profilattici: ‘ste fatine sono le sole che ho visto appena di striscio, o meglio son lucciole, mentre tutte le altre sono pura invenzione, questo è il sospetto che nutro. Ma a dirla tutta, gli stupratori co ‘sta storia del viagra di questi tempi sono diventati molti di più. Sarà per questo che la notte non si può più andare in giro. A me, quando mi incontrano, tutti fanno delle facce che sembrano dei novelli Pilato. Glielo leggo nelle palle degli occhi che nella testa c’hanno strani pensieri del tipo: “Quant’è caruccio! Quasi quasi lo metto in croce!” Ma io che sono scaltro, mi guardo bene intorno e sto alla larga da ‘sti loschi figuri ché so ben io cosa vorrebbero mettermi in culo. E loro la chiamano croce! Che sia una forma di religione vecchia come il cucco? Temo di sì. Più vecchia del cristianesimo e che ha fatto tante vittime che se mi mettessi a contarle, ci metto la mano sul fuoco che un domani mi farebbero santo pure a me.

Alla televisione poi vedo certe cose che mi passa proprio la voglia d’uscir di casa. No, non parlo delle stragi senza nome. Quelle le vedo per strada, in tele è tutta fiction. Ma la tele c’ha anche i suoi aspetti buoni. Eh sì, una gran bella invenzione. Io mica so come si faceva prima senza la tele. Adesso, per fortuna, bene o male, ce l’abbiamo tutti e così ci possiamo sfogare come viziosi scimpanzé. Il telecomando in mano, la tv accesa, un canale qualunque, e ci vado giù di mano che è una bellezza. ‘Na bellezza davvero. Ahhh, che soddisfazione! Con ‘sta storia che anche le giornaliste devono essere in minigonna per fare audience, i Tg si guardano molto più volentieri, perché tra una portata e l’altra vuoi che non ti scappi una sega innocente! Va bé, ogni tanto c’è qualche spot umanistico che mi disturba tipo qualche milione di bambini in Africa col ventre gonfio e gli occhi grossi come Giove, ma sono spot che durano pochi istanti, poi tanto torna sempre la bella giornalista che me lo fa tornare duro che è una bellezza. Io alle brutte cose mica ci penso. Nichilista? Ma non dite sciocchezze! Sono solo da fare schifo. Beh, non proprio schifo, però fatto sta che senza tele io non ci rimango. Qualche volta sono sfigato però co ‘sta tele del cazzo: dovrebbero smetterla di passarmi Mentana, Vespa, Biagi, a tutte le ore, che guarda caso sono quelle che c’ho più voglia d’un bel raspone. Ma ditemi voi come fa un povero cristiano come me a masturbarsi in pace con la faccia di Vespa che mi spia il pipino? Dal tubo catodico mi spia il pipino. Ma vi rendete conto o no? A me mi si ammoscia che quasi scompare. Ai maniaci sessuali dovrebbero condannarli all’ergastolo a vita, ospiti fissi di “Porta a Porta”, così imparerebbero la lezione. Certo, mi direte che è una punizione severa assai e che qualcuno rischia di diventare asessuato, ma con certa gente ci vogliono le maniere dure, perché altrimenti non capiscono mica. Se ne potrebbero restare a casa come me, ed invece vanno ad importunare quelle sante figliole che per guadagnare quattro lire sono costrette a battere in strada. Non è giusto. Poi, uno al mattino sta male guardando il Tg venendo a sapere che una lucciola è stata brutalmente massacrata: la giornata non può che iniziare davvero male. Insomma, per dirla con parole spicce, quando sento certe cose, quando le vedo, mi passa proprio la voglia di spararmi la sega mattutina. Un’altra cosa che non sopporto è Maurizio Costanzo: ‘sto tipo fa davvero un gran bel talk show, ma la sua faccia rovina tutto. Invita sempre un sacco di fighe che se non ci fosse lui a rovinar la serata coi suoi baffi, uno potrebbe divertirsi tutta la sera senza spendere una lira e senza esser costretto a prendere freddo per andar a caccia di lucciole. Ma poi, anche queste, c’hanno le loro belle pretese: co ‘sta storia dell’euro, pure loro si sono adeguate ai tassi d’inflazione! A me, quando sento i prezzi, mi diventa piccino piccino proprio come quand’ero bambino. Sarà perché sono un morto di fame e di danari da buttar via non ne ho, ma a me le lucciole non mi convincono tanto. Una volta, un amico mi ha invitato a una serata galante in un night club e una tipa m’ha subito accarezzato la patta dei pantaloni; io son diventato tutto un bollore e m’ero illuso che le piacevo davvero, dico sul serio. Ma poi, ‘sta troia, mi tocca il culo, s’accorge che c’ho un portafoglio sottile come ‘na sottiletta Kraft e m’ha mollato da solo, io con la mia turgidezza. Ma son cose da farsi? Io ci sono stato male veramente. Ed intanto il mio amico – amico, tze! – se l’era squagliata, ma io il suo miagolio da maniaco lo sentivo dappertutto. Quella volta ho fatto davvero una figura che più pessima non si può. Perciò oggi me ne resto a casuccia mia a farmi le mie cose. Peccato che ci siano Mentana, Vespa, Costanzo, Biagi, perché senza di loro, son certo, questo mondo sarebbe davvero molto migliore. Certa gente te lo fa proprio ammosciare, non c’è niente da fare.

 

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Ma ve le ricordate voi le donne, le donne belle, bianche come vergini gigli, belle da morire con labbra rosse come ciliegie? Io qualche volta ci penso e divento triste. Tanto triste. Guardo le donne per strada, e mi volto disgustato. Come potrei amar una donna truccata come la bancarella d’un pescivendolo? Come? Mi ricordo che una volta le donne andavano in giro austere con il seno stretto in corpetti impossibili, poi è scoppiata la rivoluzione sessuale, e tutto è stato messo al vento. Io non ho più immaginazione, mi sento impotente. Le guardo un attimo le nuove donne in carriera e non provo niente. Ma capita solo a me? E’ inverno e hanno delle scollature da paura. Se provassi io a mettermi a petto nudo, sono sicuro che come minimo mi beccherei una polmonite se non di peggio. Ma loro al posto del seno, cosa c’hanno? Una corazza c’hanno, perché altrimenti non si spiega che loro c’hanno sempre caldo e io invece c’ho un freddo bestiale. Le donne, io vivevo per le donne, ma dopo la rivoluzione sessuale non vivo molto bene. Sopravvivo e non è un gran bel vivere. Sono bianchissime, hanno una pelle della madonna, bianca bianca, come il latte, anzi di più, ma hanno certi occhi freddi che a guardarli capisci subito che son pezzi di marmo travestiti da donne. Quando vedo un neo di Bruno Vespa - e lui ne ha tanti davvero, ragazzi! - non vi nego che vado in visibilio. Sarò mica malato? Boh!!! No, non fraintendetemi: io non c’ho il vizio di bussare “porta a porta”, ma le donne moderne non mi convincono. Fanno tanto le dure, si dicono in carriera, ma nutro il sospetto che siano tanto tristi e tanto sole costrette come sono a staccar pompini per far la grande arrampicata sociale. L’arrampicata sociale. Sentite come suona bene: l’ar-ram-pi-ca-ta so-ci-ale. Avanti, ripete con me: l’ar-ram-pi-ca-ta so-ci-ale. Ancora una volta: l’ar-ram-pi-ca-ta so-ci-ale. Ah, una volta che uno ripete un po’ di volte ‘sta cosa, si sente davvero contento, perché s’immagina tutto il sesso scorticato, s’immagina certe donne strafighe da paura che noi comuni mortali mai ci faremo. Le pensiamo sporche, laide, turgide e nude, belle come amazzoni del sesso, insomma come la fiction della tele ci ha insegnato ad immaginare. Il rossetto che usano è di quelli che non slabbrano (si dice così?), e capisco bene perché. Una donna ha la sua dignità, mica può andare in giro per i corridoi dell’azienda con baffi di latte disegnati sulla bocca! E poi gli uomini, si sa che sono esigenti, soprattutto quelli che stanno in alto e che pretendono che le cose vengano fatte pulite, senza sbavature. Sì, senza sbavature, perché altrimenti non va bene affatto. La dignità prima di tutto, poi il rispetto, ma solo come mancia e se è la giornata buona, quella delle elemosine.

L’altro giorno ero incazzato marcio perché il mio capoufficio m’aveva ripreso perché non mi ero rasato bene le gambe e la Rossella è venuta da me tutta contrita per me! Per me, ci credereste voi? Io non osavo crederci, ma la Rossella era veramente dispiaciuta per me. Si è seduta accanto a me e ha cominciato ad insegnarmi tutti i trucchi per essere appetibile anche al più duro dei maschi. M’ha spiegato che un maschio vero, uno che si rispetti, è sensibile a qualsiasi tipo di fascino. Io non ci volevo credere. Per me quella stava farneticando. Ma devo dire che c’haveva proprio ragione, perché il giorno dopo son tornato dal capoufficio e gli e “LO” fatto/a vedere io! E lui non ha fatto una piega. Il solo problema che ho incontrato è stato che poi non si voleva più scollare e io c’havevo i collant tutti rovinati. Costano ‘na cifra i collant buoni, ‘na cifra! Ma sono rischi che uno deve pur correre per mantenere il posto di lavoro. Ragazzi! Ragazzi! Ragazzi! Fatevi furbi, e date retta ai consigli della Rossella. Un’altra volta non sapevo più che pesci prendere – e dire che i pesci dove sto io non mancano proprio -, però quella volta non sapevo proprio ed ero abbacchiato solo soletto mentre cercavo d’ingollare un caffè amaro, schifosissimo, di quelli che solo negli uffici puoi trovare. E cantavo una poesia triste come una canzone, sottovoce, credendo così di riuscire un poco a consolarmi.

 

Ma ti ricordi Parigi?

Era così bella

E tu tremavi come una foglia

 

Eravamo soli, io e te

E le strade dalle vetrine ci invidiavano

Eravamo il ritratto della felicità

 

Ricordo la mia mano che stringeva la tua

Mi dicesti un “Ti amo”

E io toccavo il cielo con un dito

 

Bastava poco perché fossi felice

Non c’erano mai lacrime sui nostri cuscini

Ma adesso che non ci sei più tu,

      adesso che non ci sono più io,

      Parigi è tanto triste

E la foglia che eri tu non trema più

Non trema più

 

Amore, dove sei fuggita?

Io non so più che pensare

E non mi resta niente da fare

Se non appoggiare il capo e aspettare il treno

E ascoltare il bombo ferroso delle rotaie

Amore, quale treno hai preso?

Se solo lo sapessi

Potrei raggiungerti in un baleno

Se solo non mi sentissi così solo

Avrei ancora il coraggio di chiamar il tuo nome

 

E invece spreco il tempo dietro una fotografia

E invece consumo la mia immagine in una vetrina

Ma non è Parigi

Non è la nostra Parigi

                                  Che ci ha visti arrossire

                                  Che ci ha visti amare

                                  Che ci ha visti vicini

                                  Che ci ha visto dividerci

 

Amore, da quando non ci sei più tu

Io non esisto più

E questo treno che non passa mai

Negli scambi delle rotaie mi fa impazzire

E la sferragliante eco mi fa piangere in stazione

Ma io sono invisibile ai più

 

Ma prima o poi passerà quel treno

Che da me ti ha portata via

Ma prima o poi passerà questo dolore

Che a te mi lega come una preghiera

 

Non so cosa sia successo, forse non mi sono reso conto, catturato com’ero dalla malinconia, ma quella gran bagascia della Tiziana era accanto a me e s’era sorbita tutto il mio canto nostalgico e rideva come solo certe donne sanno fare. Comunque m’ha stretto a sé e m’ha dato un bacio sulla bocca, poi se n’è andata via, ridendo. Sempre ridendo. Il giorno dopo era a casa malato con un febbrone da cavallo e il termometro cacciato dentro al culo. Quando poi sono rientrato in ufficio, beh, facile è immaginare che tutti di dietro mi ridevano, e il mio imbarazzo non è servito a nulla perché la smettessero.

Durante la pausa pranzo manducavo con inappetenza un panino e Gigi, un tipo che più brutto non si può, s’è fatto vicino a me e ha cominciato a raccontarmi la trama d’un film horror che aveva visto la sera prima. Pezzi di cervello da tutte le parti, sangue, coltelli, abusi sessuali, incesti, tumori, carrozzelle spinte giù da scale impossibili, tradimenti, zombie, insomma in quel dannato film c’era pure Charles Manson come guest star. Inutile dire che se non c’havevo appetito prima, dopo il dettagliato racconto del Gigi, l’appetito mi è passato del tutto. L’ho mandato a quel paese e sono andato ad accattarmi le sigarette. E pensare che avevo smesso! Comunque, mi fumo un paio di cicche e la pausa pranzo era già finita. Quando poi rientro in ufficio, il Gigi mi si fa dappresso e mi sussurra in un orecchio che “Al giorno d’oggi la fiction è l’anima della dolce vita”. Giuro che ho visto rosso, in quel momento desideravo solo stringer le mie mani intorno al suo grasso collo e strangolarlo. Ma, chiaramente, non l’ho fatto. La sera, ormai a casa, mi sono andato a rileggere qualche pagina di P. P. Pasolini e ho cominciato a piangere come una sgualdrina malmenata dal suo pappa.

 

Ma voi davvero avete creduto a tutte ‘ste fregnacce?

Mi sono inventato tutto, tutto di sana pianta. Perché?

Mah, un perché non c’è. Non quel perché che vorreste che io vi svelassi.

Forse volevo solo divertirmi, forse volevo solo evadere da me stesso per vedere l’effetto che fa essere presenti al proprio inventato funerale, quello che ogni giorno viviamo nella realtà e nella fantasia.

 

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La verità è che questo mondo se ne sta andando alla deriva e non abbiamo più certezze se non quelle che noi ci immaginiamo e osiamo definire più reali della realtà che ci circonda.

Che senso ha la vita se ce la dobbiamo inventare per crederci allegri, felici, tristi, arrabbiati, o più semplicemente sopravvissuti?

Questo era solo un blues tragicomico e per giunta male aggiustato, quindi non cercate una morale, perché non c’è se non quella di “un destino ridicolo” prendendo spunto dal titolo di un libro di Fabrizio De André e Alessandro Gennari.

 

GIUSEPPE IANNOZZI


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