L'amore per se stessi

 

   La prima esperienza, il primo luogo, il primo contenitore dell’amore, siamo noi stessi. Intraprendiamo questo percorso, la volontà di riconoscere e di vivere prima di tutto l’amore come un’esperienza intima profonda individuale, al di là dell’esistenza di qualsiasi persona o evento, che sembri scatenarlo e personalizzarlo. Raddrizziamo quest'asse fondamentale, percepiamo e sviluppiamo la nostra centralità: molte sofferenze, proiezioni e dipendenze si scioglieranno come neve al sole. Non ci sono dubbi che l’esperienza concreta non sempre ci porta facilmente a riconoscere questa realtà profonda.

    La prima evidenza riguarda il piacere e la felicità che si sentono e si vivono in presenza di ciò che scatena l’amore. Quando la persona o l’evento che ispirano l’amore sono presenti, io sono felice e pieno. Quando la persona o l’evento diventano distanti, o scompaiono, ecco che precipito nel dolore, nella mancanza, nel vuoto: non mi sembra che valga la pena vivere, non mi sembra di valere qualcosa io stesso. Io ricerco comunque la felicità, così come mi si presenta, ed attendo quindi la ricomparsa delle persone o degli eventi che mi danno la felicità. L’esperienza può aumentare molto l’intensità e può crescere la mia dipendenza affettiva. L’evidenza del momento mi dice che non esiste nulla di più importante, bello e potente di quella persona che mi ha acceso l’innamoramento, di quell’esperienza che mi ha fatto intravedere un nuovo mondo. Senza questi momenti di potenza e di gioia, senza queste presenze scatenanti, mi sembra di essere impotente, vuoto, abbandonato, povero, senza significato e prospettiva.

 

   Per comprendere la realtà, per comprendere chi e come siamo, occorre fare il gran salto, prendere le distanze anche dalle evidenze più accecanti e costrittive. Ogni condizione è buona per ripartire. Tutti sappiamo come non si può dimenticare una persona amata, non si può dimenticare la percezione di come quella persona di cui sono innamorato sia veramente preziosa e bellissima, affascinante ed indispensabile, unica fonte di ogni piacere e di ogni felicità. Per me naturalmente: sarebbe anzi un guaio se lo fosse anche per altri. Ma non ci succede poi, se ci risolleviamo, se riprendiamo a vivere, che altri nuovi innamoramenti contengano le stesse attese e le stesse pretese ?

   Ogni innamoramento è unico ed assoluto, ma ci dimentichiamo quando lo ripetiamo in occasione di diverse persone, di diverse esperienze, di diverse fonti. Ma questo che cosa significa, che in fondo posso essere più forte, più gioioso, perché so che potrò innamorarmi di un’altra persona, che altre esperienze potranno rendermi felice? Sì, può succedere, con un carattere più vitale ed ottimista, che io possa espandere il senso di felicità che mi è nato nell’esperienza con una persona, in un clima di attesa e di speranza verso la prossima esperienza sconosciuta, verso il futuro amante, che ancora non ha un volto, ma che sicuramente mi farà provare qualcosa di analogo a ciò che ho sentito con l’ultima persona indispensabile ed unica.

   Ma può esistere qualcosa, nel fondo del mio essere, che si stanchi, si spazientisca, non ne possa più, di aspettare, o di vivere anche la transitorietà di un amore o di un piacere, che si sente in partenza che potrà finire. Quanti amori oggi si vivono con questa consapevolezza smaliziata: amo questa persona, sto insieme con lei, gli altri non esistono, od esistono come contorno, per permettermi di essere anche libero. Ma se poi quest'amore finisce, o se appare un nuovo innamoramento, non è poi così difficile ritenere esaurita un’esperienza o sostituirla con un’altra.

  Certo, che se poi il mio carattere diventa più ansioso, cercherò di uscire da queste avventure, da queste altalene di piaceri e di attese, d’incanti e di successive delusioni, potrò scegliere anche una situazione che mi offrirà tranquillità e stabilità, e potrò cercare di accettarla e di viverla ad ogni costo. Potrà succedere che la tranquillità affettiva mi faccia poi dimenticare altre felicità più intense, ma, diciamolo pure, così poco governabili.  Si può sicuramente difendersi dalla vita e dall’amore anticipando una specie di morte in vita: se ci andrà bene, vivremo tutta la vita come i tiepidi e gli impotenti. Se ci andrà male, le ansie si trasformeranno in apatie, in depressioni, ed in altri sentieri sempre più pesanti ed insidiosi. Spesso attribuiamo anche a questi stati un carattere oggettivo, la colpa è sempre degli altri o del destino.

 

    Ma siamo poi sicuri che ci si possa amare soltanto in questi modi? Già, perché in fondo si tratta anche di sentire, comprendere e volere amare se stessi. Si tratta di capire se io sono sempre dipendente dagli altri, anche per amare me stesso, o se invece almeno per me posso fare qualcosa anche da solo.

    Spesso non ci piace usare l’espressione ‘amare noi stessi’, suona un po’ strana, un po’ imbarazzante, siamo abituati a pensare di amare l’altro. Più chiara forse appare talora l’esigenza di compiacerci, di accettarci, di accettarci soprattutto nell’immediatezza degli atteggiamenti, dei modi di essere, delle spontaneità. A me piace affermare me stesso, qualsiasi cosa io viva, che poi sono sempre e comunque fatti miei, sia che io viva felice, sia che io soffra, sia che io voglia continuamente dipendere, dai genitori o dai figli, dagli amanti o dalle circostanze.     Se poi questo non mi porta felicità, sono sempre fatti miei, posso comunque muovermi, o fare finta di muovermi, o stare fermo, ad aspettare qualcosa.

    Posso sempre difendermi e sopravvivere, posso combattere per i miei desideri, qualsiasi essi siano. O posso semplicemente pensare di affermarmi, obbedendo a qualsiasi cosa succeda. Sembra comodo. Posso essere imbrigliato e confuso dentro di me, in fondo sono complesso in qualche parte del mio essere. Ecco allora che mi difendo vivendo sempre nell'atrio della mia casa interiore. Mi tormento e mi annoio, faccio cuccia in me stesso. Ecco allora che sento la mia libertà nell’aderire a ciò che succede al di là della mia porta. Gli eventi arrivano, i pensieri arrivano, le esperienze arrivano. Io aspetto, e loro arrivano. Se sono piacevoli, è la felicità che arriva, ed io corro dietro. Se sono spiacevoli o limitanti, saranno pure sempre forme di doveri che mi liberano, sia distraendomi da me, sia soddisfacendo quella strana ossessiva coscienza morale e sociale che tutti m’impongono.

    Ascoltare gli altri, le loro valutazioni. In fondo la società, il lavoro, la famiglia, i partner, hanno sempre qualcosa da dirmi o da farmi fare, che sollievo. Ecco la libertà, inseguire i miei stati d’animo, essere libero di accontentare gli altri o di ribellarmi, affermo comunque me stesso. Sarà questo l’amore per me stesso ? Sarà l’assecondare ed il gustare tutti gli spettacoli che la vita m’impone e mi presenta ? In fondo probabilmente sì, sento il piacere, sento l’amore degli altri, sento l’amore per chi mi piace, e regolo il mio tempo, accettando le impossibilità e le difficoltà: hanno pure sempre il pregio di allontanarmi da un eccessivo impegno in ciò che mi risulti piacevole più profondamente.

    Effettivamente è molto bella, ricca ed utile, la spontaneità della vita, ciò che si muove da solo, funziona da solo, non c’è bisogno che faccia fatica io. Tanto saprà sempre lei dove portarmi. Sembra anche in fondo in sintonia con me: se qualcosa non mi piace più, ecco allora presentarsi qualche altra esperienza. In fondo tutto succede sempre fuori.

    No, veramente, pensandoci bene, qualcosa succede anche dentro di me, ci sono ovviamente le reazioni, a tutti i livelli. Esiste un teatro interiore dei miei movimenti, che preferisco dire solo a me stesso, o che posso preferire dimenticare sempre, indebolendo qualsiasi possibilità di ascolto. Non è sempre facole distinguere fra gli eventi esterni e l’esperienza interiore, neanche quando siamo da soli. Infatti, o si evita di stare da soli, o si passa il tempo facendo comunque qualcosa che attenui questa strana distanza fra ciò che mi succede e ciò che sono. Posso anche essere una persona che gradisce le attività creative o spirituali, lontanissime dalla massa, ma posso anche non riuscire a farle mai da solo, per la paura o la difficoltà, conscia od inconscia, a rimanere solo con me stesso.

 

    Mi piace la vita, ed anche la temo. Il disperdermi in tante attività e rapporti mi dà una forma di soddisfazione, una forma di spostamento continuo dell’attenzione e della proiezione, quasi in una danza vorticosa, per cui, se non mi piace questo, mi piacerà quell’altro, e penso comunque ad un altro ancora.

    Ma se anche mi tranquillizzo un po’, e sento ondate più penetranti, risonanze, richiami verso un qualcosa d’interiore, di più profondo, le voci morali e sociali sono pronte ad indirizzarmi vigorosamente verso qualcosa d’altro, che non sono io.

 Se poi non sono completamente felice io, posso sempre rendere felici gli altri, rendermi disponibile, comprensivo. In fondo l’amore è anche sacrificio, rinuncia, in nome di un bene superiore, in nome di un accordo relazionale, in nome delle armonie affettive. Nessuno può poi mettere in discussione il valore sociale e morale di tante attività svolte per aiutare le persone deboli, per dedicarsi a cause umanitarie.  Ecco allora qualcosa che mi frena, che mi soddisfa, che mi fa sentire migliore, che mi fa sentire utile.  Se in fondo esistono forme di amore mature, queste sono quelle piene di donazione e di dedizione.

    Si svolge spesso così la vita. Da una parte i miei ribellismi e spontaneismi, pronti sempre a portarmi fuori di me stesso, pure sembrando accontentarmi, vere chimere che parlano, portano, trascinano, ma poi si dimenticano, e deludono. Dall’altra parte questi richiami severi ed umanitari, i doveri, i lavori, l’affetto di chi si dedica, quasi a calmare i nervosismi ed i sensi di colpa di quando cerco piaceri ed ottengo dispersioni.

 

    Amare me stesso: ma quali parti di me ? Se amare vuole dire accontentare, assecondare, seguire, aspettando poi la soddisfazione e la felicità, dietro chi vado, pure avendo scoperto meglio me stesso ? Ecco, vivevo all’esterno, frammentato quasi nei ruoli, nel tempo, ma forse avevo una forma d’incoscienza. Ora mi accingo ad ascoltarmi meglio, ad entrare in me stesso, a conoscermi, ed ecco che vedo uno spettacolo a dir poco difficile. Appaiono in me diverse personalità, si alternano senza quasi riconoscersi, ed uno si dimentica dell’altro, ma ognuno ha i suoi desideri, i suoi gusti, i suoi impegni. Scoprendo queste diverse personalità, comprendo come ciascuna cerchi di sopravvivere, cercando coperture, maschere, poteri, strategie, opportunità.

   L’osservazione si prolunga, e riconosco allora come queste maschere si agitino proprio sulla soglia dell’esterno, guidate da tutta una serie di meccanismi che fanno in modo che i condizionamenti sociali si riproducano dentro di me. Come faccio ad amare contemporaneamente queste personalità, se anch’esse mi riportano al dovere sociale, all’amare gli altri, e contemporaneamente a mettere in moto tecniche di difesa e comportamenti opportunistici ?

 

   Ma proprio dove sono, a sentire, ad osservare, succede qualcosa, un po’ alla volta delle luci pallide appaiono, quasi nel fondo del mio essere. Voci e richiami, come di un bambino, come di un mondo lontano, come di un altro pianeta, attraverso lo spazio profondo che sto iniziando a sentire dentro di me. Da una parte sono trascinato in una vita meccanica, dall’altra inizio a sentire una nuova forma di piacere, una risonanza intima, quasi un’altra persona dentro di me. Se io sono qui, in questo confine fra l’esterno e l’interno, a rendere conto della mia vita a chi mi plasma, anche nelle apparenti libertà, sembra quasi un altro, questa persona lontana, strana, ma intima, profondamente mia, che mi chiama.

    Cerco allora gli indizi, le tracce, i modi di sentire meglio questa persona in me, sentire che cosa desidera, chi è, dove vorrebbe portarmi. Certamente non è facile: appena ci provo, esplode nel cervello la pubblicità del mondo, i discorsi della famiglia o del partner, i pericoli di chi rallenta soltanto l’ascolto dell’eterno grembo sociale. Subito il respiro si gonfia, un timore viscerale sale, un qualcosa immobilizza, prima ancora che io abbia potuto scegliere.

    Eppure un canto di amore è quello che emerge dal profondo. Se cercassi di aumentare la sua voce, il suo potere, almeno potrei capire meglio di che cosa si tratti. Certo, è qualcosa che sfugge quasi, un bagliore all’interno, attrae, ma induce anche una gran voglia di fuggire. Sembra spesso che ci si possa difendere spegnendola. Si tratta di una parte profonda di me stesso, come posso fuggire ?E’ possibile, molti fuggono; è possibile spegnere la voce interiore, basta immergerla nel frastuono universale, nelle pieghe di qualche affetto tranquillo ed immaginario, nell’ossessione di un dovere sociale. Può tornare a farsi sentire, possiamo di nuovo respingerla nel silenzio. Certamente rappresenta una parte reale, anche se vogliamo dimenticare. Fa parte anche della nostra libertà volerla ridurre al silenzio.

    Possiamo fare questo, siamo liberi, ma non possiamo fuggire dalle conseguenze delle nostre azioni libere.  Allora possono subentrare profondi sonniferi, ipnotizzati da una vita non nostra che abbiamo scelto di vivere, avviati verso sonnolenti apatie, sconfinate depressioni. O invece improvvisi mali ci possono far vedere la reazione della vita.

  No, forse è veglio vederci chiaro, è meglio cercare e trovare quelle dosi di coraggio e di fiducia che possono farmi avventurare nei meandri interiori, alla ricerca della luce profonda. Certamente, se diminuisco o spengo la radio del mondo, posso sentirla meglio. La meditazione e la presenza nella natura mi possono aiutare. Iniziano a parlare di spirito, in una zona intermedia fra la società ed i mondi interiori. Sembra che lo spirito ed il sé possano indicare questa luce interiore.

     Ma sarà meglio fare di nuovo attenzione. Ci può essere un bivio, un altro livello di scelte. Si può andare verso questa luce, verso questa intimità che ci chiama. Alcune voci parlano della stessa cosa, ma diventa anche un’altra cosa. Esploro questa via. Si parla di abbandono dell’ego, di abbandono del corpo, di compassione. Nobilissime cause, ma dove si trova l’amore per se stessi ? Senza dubbio, salendo, si sono aperte verità profonde, sono ben lontano dall’immersione nelle esteriorità del mondo. Ma sembra ancora che qualcosa chiami, e che questo qualcosa che chiami non sia previsto da alcuni consiglieri spirituali.

    Allora provo a scegliere un’altra via, per sperimentare meglio che cosa possa voler significare l’amore di me stesso. Sicuramente, per comprenderlo e per viverlo, non posso amare nello stesso modo il mio io quotidiano, più esterno, più sottomesso, neanche quando sembra volere solo il piacere, neanche quando fa discorsi morali e sociali. Allora, amare me stesso vuole dire diverse cose. Sicuramente vuole dire accettare me stesso, non mi posso scindere, devo avere compassione verso questo mio io sofferente e dispersivo. Ma poi interviene qualcosa di bello, d’eccitante, di misterioso. Inizio a sentire che l’amore per me stesso costituisce una fonte profonda d’attrazione, di piacere, di mistero. Ma non si tratta di piaceri e d’attrazioni che riguardano le scene abituali del mondo, sono proprio piaceri ed attrazioni che nascono e si dirigono verso l’interno, quasi un’orbita stellare, che nasce da altrove, e va verso altrove, rispetto alla comune percezione di noi e del mondo.

 

    Mi avvicino sempre più a questa fonte di luce e d’amore. Senza dubbio l’attenzione alla meditazione ed alla respirazione mi fa entrare in una dimensione diversa. Mi abbandono alle voci, ma giorno dopo giorno cerco di unificare la mia persona, di comprendere quali sono le cose per me essenziali, di che cosa fa vibrare meglio le parti mie profonde. Cerco di comprendere e di seguire solo quello che fa splendere e crescere questo sole interiore. Non ho abbandonato il mondo esterno, ma scelgo i rapporti e le attività in base ad una risonanza più profonda. Perché è vero che mi sono diretto verso l’interno, ma è anche l’interno che sembra essersi diretto verso l’esterno.

    Avverto l’amore per me stesso in questo cammino. Il mio centro è un essere d’amore e di luce: io, nel mio senso più profondo, nel mio sé, sono questo. Prima difendevo i miei piaceri e le mie gioie in un modo strano, o protestando le mie pretese ed i miei capricci, o subendo comunque il parere, la conferma, l’accettazione, degli altri, delle persone amate. Ora amo le persone, ma sento la conferma soltanto dentro di me stesso. E’ il mio sé che ascolto. Ci ragiono, ci parlo, non mi lascio imporre, cerco poi di mediare con l’io quotidiano che mi è rimasto. Qualsiasi cosa io faccia o pensi, qualsiasi problema di relazione o di sviluppo io viva, sento soltanto la mia voce interiore. Comprendo che è in questo modo che qui, dentro di me, qualcosa, qualcuno, può esistere e diventare una persona. Un essere centrato, con potere di sentire, pensare e volere, non una ruota degli ingranaggi sociali, una microstazione televisiva individuale che ripete e ritrasmette ciò che tutti continuano a pensare di volere e di sentire, ritenendo d’essere originali, pure vivendo come automi.

 

   Ormai mi sto avvicinando, non mi sento più l’individuo che procede verso la luce interiore, mi sento ora direttamente la luce interiore. Crescono la consapevolezza ed il potere, cresce l’abbandono d’amore a questa parte profonda, cerco di fondermi, mi fondo. Sento di essere il mio sé, sento di amare il mio io, e contemporaneamente mi sento l’amante e l’amato.

    Riconosco ora il fuoco dell’amore, riconosco la trascendenza infinita dell’amore. L’amore di me stesso è il misterioso calice che mi permette di tenere accesa la potenza dell’amore, di sostenere l’equilibrio della potenza con il dio. Innamorato di me stesso, innamorato dell’amore, innamorato dell’universo, e da me sento che l’amore esce, pure rimanendo sempre in me. Esce ed investe le persone, la vita, il mondo. L’amore di se stessi si espande nell’amore per gli altri. Perché ora, quando amo, e sempre amo, dono qualcosa, dono la mia persona realizzata, e dono il dio stesso dell’amore, vivente in me.

 

     Si espande l’amore in tutto il mio essere, sperimento che cosa voglia dire formare un tutto unitario, dove il centro spirituale anima ed investe la mente ed il corpo. Scende l’amore attraverso il mio corpo, e mi fa comprendere che non è mio, come niente è mio, nel senso tradizionale del linguaggio. Lo spirito, l’amante, ed il corpo, l’amato: il dio s’incarna nel corpo, ed il corpo rivela la presenza del cosmo universale che accompagna la mia esistenza personale.

Procedendo, evolvendo, comprendo come non si tratti soltanto di proiettare un dio esterno, frutto anch’esso in realtà d’impotenze e di tristezze, ma di fare espandere il piacere e la felicità nella dilatazione eterna di tutte le capacità e le potenze che si sono fuse nel mio potere personale divino, nel mio essere una scintilla divina.

Quando mi unisco con un’altra persona, in qualsiasi forma di rapporto, d’amore, d’affetto, porto quest’eredità formativa, porto la mia realizzazione, porto la testimonianza diretta dell’amore, e queste risuonano e risvegliano qualcosa nell’altro, anch’essi lo amano. In questo senso non esiste un confine fra l’amore per se stessi, l’amore per gli altri, l’amore universale. Posso stimolare e risvegliare l’altro, posso amarlo come fatto, non solo come intenzione, quando entriamo tutti e due nel dio, quando lasciamo che il dio crei un’anima comune, potente ed esaltante.  Se il possesso voleva indicare una garanzia, una continuità ed una stabilità, qui siamo nel cuore stesso della potenza divina, che nessuno può possedere e controllare, ma che tutti possono diventare.

  

Eros Dioniso

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