“A.I.”, UN FILM DI STEVEN SPIELBERG

- MA STANLEY KUBRICK AVEVA GIA’ UN SUO PROGETTO… IL TUTTO DA UN RACCONTO DI BRIAN W. ALDISS -

Di Giuseppe Iannozzi

 

Recentemente nella collana URANIA della Mondadori è uscito “A.I. Intelligenza artificiale” di Brian W. Aldiss: sostanzialmente trattasi di una raccolta di racconti di Aldiss, ma ciò che maggiormente conta è che per la prima volta in Italia viene presentato il racconto “Supertoys che durano tutta l’estate”, il racconto da cui Stanley Kubrick aveva intenzione di trarre un film. Fanno seguito altri due racconti: “I Supertoys quando arriva l’inverno” e “I Supertoys dnella nuova stagione” che sono il proseguimento ideale (!) della prima novella. Tre racconti brevi dunque: il primo davvero magistrale, non a caso Kubrick se ne innamorò a tal punto da acquistarne i diritti di sfruttamento, gli altri due sono interessanti ma niente di più e non aggiungono poi molto a quanto espresso in “Supertoys che durano tutta l’estate”. Il numero 1415 di URANIA contiene altri racconti di Aldiss per certi versi interessanti, ma che nulla hanno a che vedere con “A.I.”, il film di Steven Spielberg. Tuttavia il libro è assai interessante perché raccoglie i tre racconti sui ‘Supertoys” che hanno ispirato l’ultima fatica di Spielberg e quella che, forse, sarebbe stata l’ultima di Kubrick se non fosse morto prematuramente, lasciando un vuoto incolmabile per quanti hanno amato la sua arte cinematografica. Comprendere “A.I.”, il film la cui uscita sugli schermi è ormai imminente,  significa conoscere Spielberg, Kubrick e Aldiss: è proprio quanto ci si ripromette di fare in questo modesto articolo, affinché “A.I.” possa essere interpretato secondo una giusta prospettiva e non come un testamento kubrickiano, interpretazione erronea questa che molti credono essere quella giusta: all’ultima fatica di Spielberg, Kubrick non partecipa anche se, inizialmente, l’idea di trarre un film dalla novella di Aldiss fu sua. Ciò puntualizzato andiamo a conoscere maggiormente da vicino i protagonisti…

Steven Spielberg nasce a Cincinnati, nello stato dell’Ohio, il 18 dicembre 1946; convola a nozze ben presto con l'attrice  Amy Irving, compagna che starà al suo fianco dal 1985 fino 1989, poi il famoso regista si prende due anni di riposo dopo il divorzio e nel 1991 si lega sentimentalmente a  Kate Capshaw: per il momento ha sette figli di cui è orgoglioso ma nulla gli vieta di ingrandire la famiglia. Spielberg si  è diplomato all'Arcadia Hight School di Phoenix ed, in seguito, ha conseguito la laurea presso l'Università della California.

Il regista nutre una sorta di venerazione nei confronti dell’attore Richard Dreyfuss tanto da considerarlo il  suo alter-ego; politicamente parlando è un fervente democratico, così democratico che non gli è pesato nulla affatto donare al partito la somma, non irrisoria, di 100 mila dollari; eccentrico come tutti i geni, il suo generoso spirito democratico l’ha portato a spendere qualcosa come 550 mila dollari per acquistare all'asta l'Oscar vinto da Clark Gable nel 1934 per il film “Accadde una notte”, una spesa questa, forse, futile per un comune mortale ma non per Spielberg la cui meritata fama è ormai un dato di fatto che non conosce limiti di frontiera.

Spielberg sin dalle prime prove si è dimostrato un regista sopra le righe: innamorato del sogno e dell’immaginazione, come dire “i sogni per l’immaginazione”, nel 1982 realizza E.T., film che gli vale la consacrazione definitiva come artista/regista e presso il pubblico e la critica internazionale. Ma il famoso regista, che di vittorie cinematografiche nell’arco della sua carriera ne ha raccolte come pochi altri, non è un uomo disimpegnato socialmente, difatti Spielberg è da sempre sensibile al problema dell'Olocausto: celeberrima quanto grandiosa  resterà la direzione di Schindler' List del 1993, un film, che al di là delle critiche che possono essergli mosse a favore o contro, ha rimesso in discussione il problema nazista, dei campi di concentramento, ecc. Subito il  regista fonda “Survivors of the Shoah Visual History Foundation”, una fondazione  che ha il compito di documentare storicamente i terribili abusi che le vittime dell'Olocausto hanno dovuto sopportare senza poter nulla fare; la fondazione ha anche un sito Internet dedicato che merita veramente  di essere visitato fosse anche a puro titolo di curiosità. Spielberg è molto sensibile ai temi della II Guerra Mondiale tant’è che durante la giornata inaugurale del Festival del Cinema di Venezia del 1998, presenta l’ennesimo suo capolavoro, “Salvate il Soldato Ryan”,  kolossal che guarda da vicino lo sbarco in Normandia, la tragedia del D. Day; il film interpretato da Tom Hanks e Mat Damon, una volta nelle sale, diventa subito una pellicola cult. Nel 1999, grazie a “Salvate il soldato Ryan” fa incetta di riconoscimenti. Nel corso del 2000 la sua casa di produzione, la Dreamworks, mette sotto contratto il giovane regista teatrale Sam Mendes e la sua opera prima American Beauty, pellicola rivelazione, si aggiudica tre Golden Globes, Miglior Film, Regia e Sceneggiatura e altrettante Nominations.

Spielberg non è solo il regista e il creatore di film come “Lo squalo”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e “Jurassic Park”, film che comunque hanno rivoluzionato, a loro modo, il modo di intendere il cinema, almeno quello più ludico; la pellicola “Incontri ravvicinati del Terzo Tipo” del 1977, ad esempio, è un autentico capolavoro della SF: per la prima volta sullo schermo non appaiono esseri verdi e macabre maschere per dar corpo agli extraterrestri. “Close Encounters of the Third Kind” è una pellicola intelligente dove l’uomo è il vero protagonista, l’uomo ossessionato dall’idea che l’Universo non può essere semplicemente un contenitore ad uso esclusivo della civiltà umana, l’uomo è proiettato verso una escatologia universale e si interroga circa il suo destino e il ruolo che ha la sua presenza mortale nell’Universo. “Lo squalo”, pur risentendo il peso di effetti speciali ancora kitsch di chiaro stampo anni Settanta, investiga nella psiche umana per estrapolare il concetto di orrore, e l’orrore ultimo che l’uomo può provare non può che essere la morte, la morte improvvisa, quella che viene dal ‘non-conosciuto’, dalla natura ancora inesplorata e non compresa. Questa pellicola, per certi versi, indica un orrore se non precisamente lovecraftiano, almeno paragonabile a quello magistralmente tradotto in tante pellicole da Alfred Hitchcock. “I predatori dell’Arca Perduta”, pur essendo un film facile il cui soggetto è stato tratto da un fumetto, indica una esegesi avventurosa del mondo e dell’umanità che lo abita: Indiana Jones scoprendo il mistero dell’Arca non può non riconoscere che esistono forze spirituali e comandamenti superiori, che non possono essere ignorati, quindi la religione, o meglio la spiritualità, entrano nel mondo di Spielberg seppur con toni avventurosi, ma non per questo il regista nega che l’umanità deve riconoscere le proprie radici nelle Sacre Scritture. Tra i riconoscimenti artistici di Steven Spielberg vanno almeno citati:1976, Nomination, Golden Globes, Categoria Miglior Regìa, per Lo squalo; 1978, Nomination, 2 Golden Globes, Categoria Miglior Regìa e Miglior Sceneggiatura, per Close Encounters of the Thitrd Kind;1982, Nomination, Oscar, Categoria Miglior Regìa, per Raiders of the Lost Ark;1982, Nomination, Golden Globes, Categoria Miglior Regìa, per Raiders of the Lost Ark;1982, Vincitore, Los Angeles Film Critics Association Awards (LAFCA), per E.T.: The Extra Terrestrial;1982, Vincitore NSFC Award, Miglior Regìa, per E.T.: The Extra Terrestrial;1983, Nomination, 2 Oscar, Categoria Miglior Regìa e Miglior Film, per E.T.: The Extra Terrestrial; 1983, Nomination, Golden Globe, Categoria Miglior Regìa, per E.T.: The Extra Terrestrial; 1987, Vincitore, National Board of Review (NBR), Categoria Miglior Regìa, per L'Impero del Sole; 1993, Vincitore, National Society of Film Critics Awards (NSFC), Categoria Miglior Regìa, per Schindler's List;1994, Vincitore, Oscar, Categoria Miglior Regìa, per Schindler's List; 1994, Vincitore, Directors Guild of America (DGA Award), per Schindler's List; 1994, Vincitore, Golden Globes, Categoria Miglior Regìa, per Schindler's List;1998, Vincitore, Rembrandt Awards, Audience Awards, Categoria Miglior Regìa, per The Lost World: Jurassic Park; 2000, con American Beauty tre Golden Globes, Miglior Film, Regia e Sceneggiatura e altrettante Nomination

A questo punto è d’obbligo prendere in esame alcune pellicole più o meno recenti di Spielberg, che bene introducono ad “A.I.” e alla sua genesi; ad esempio, “Jurassic Park”, soggetto di Michael Crichton, Spielberg per la prima volta guarda alla scienza, alla clonazione, alla possibilità di riportar in vita esseri scomparsi dalla faccia della Terra da ormai milioni di anni: la pellicola pur vantando un grande spiegamento di effetti speciali, purtroppo esamina assai troppo superficialmente il rapporto tra scienza e vita, tuttavia proprio questa pellicola ha suscitato l’interesse di un altro grande regista, Stanley Kubrick sempre alla ricerca di un perfezionismo maniacale e che proprio guardando i dinosauri di “Jurassic Park” ha pensato alla possibilità di dar nuovo lustro alla S.F. con un altro film, forse sulla scia di “2001: Odissea nello spazio”. I dinosauri meccanici, perfezionati dalla computergrafica sono stata la molla scatenante che ha mosso Kubrick a rimetter mani ad un progetto che aveva tenuto in cassetto per troppi anni, “A.I”; purtroppo, la morte è stata più veloce del suo genio e Spielberg ha raccolto l’eredità del grande Stanley Kubrick per tradurre in realtà cinematografica quello che altrimenti sarebbe stato un sogno kubrickiano.

“A.I.” è oggi una realtà e non più un sogno nel cassetto: è impossibile dire come Kubrick avrebbe diretto il film se ne avesse avuto la possibilità, però Spielberg che gli era amico, forse, è riuscito a restituire in questa pellicola un po’ dello spirito dell’artista scomparso, forse, un forse molto ma molto dubbio. “A.I.” ha avuto una genesi a dir poco travagliata e per comprendere il film ormai prossimo ad esser proiettato nelle sale di tutto il mondo, è d’obbligo conoscere Stanley Kubrick e Brian W. Aldiss che ha scritto il racconto originale che ha ispirato questa pellicola che, già in molti, dicono essere forse una delle migliori di Spielberg, il quale, sembrerebbe, che non abbia rinunciato ad introdurre nel film alcuni temi cari all’amico artista scomparso così come lui li aveva immaginati, tuttavia i dubbi rimangono e in seguito se ne comprenderà anche il perché.

Ma chi era Stanley Kubrick? Cosa sognava? E’ difficile se non impossibile rispondere con assoluta certezza a questi interrogativi: si può solo tentare di dare una risposta, una risposta comunque e sempre soggettiva. Kubrick era un artista tanto complicato quanto geniale, per cui azzardare risposte sicure è quanto di più sbagliato si possa fare.

Stanley Kubrick nasce il 26 luglio 1928 a New York, nel famoso quartiere del Bronx, famoso per la cattiva fame di cui gode tutt’oggi, tant’è che la polizia nutre non pochi pregiudizi nei confronti dei suoi abitanti: quando scoppiano dei tafferugli, purtroppo, la stessa polizia non accetta di buon grado l’idea di andare a sedarli . Nonostante sia figlio di un  medico, il giovane Stanley  studia alla Tft Hight School diventando ben presto il fotografo ufficiale della scuola; ciò nonostante si diploma con un punteggio troppo basso per andare all'università: gli unici voti alti che riesce ad ottenere con pieno merito sono in fisica. Il giovane Stanley non per questo si lascia abbattere, anzi, con caparbietà quasi maniacale, continua a coltivare  le sue passioni: il cinema, la fotografia, gli scacchi in cui eccelle: si dice che abbia imparato a giocare a scacchi alla tenera età di 10 anni dal padre… in seguito giocherà a scacchi anche per soldi al Marshal e Manhattan clubs e in Washington Square park in Greenwich Village. Altro amore di Kubrick, è il jazz, non a caso, anche nelle scelta delle colonne sonore, il futuro regista si assurgerà ad implacabile critico, scegliendo personalmente i pezzi da mettere nelle sue pellicole giustamente convinto che la musica dev’essere un complemento con la pellicola e non un semplice accessorio. Tra i 17 ai 21 anni lavora come fotoreporter per la rivista "Look"; nel 1945 proprio per la rivista per cui lavora  vende la sua prima fotografia raffigurante il volto di un edicolante davanti alla morte di Roosvelt, una foto che ancor oggi non manca di suscitare imbarazzo presso tanti fotografi in erba, che farebbero carte false per aver la stessa abilità del giovane Stanley. Il giovane Stanley trascorre cinque sere a settimana presso la sala di proiezione del museo d'arte moderna di New York guardando con occhio instancabile tutti i vecchi film che passano; "La tecnica del film" di Pudovkin è un manuale che il futuro regista legge ripetutamente sempre con rinnovato interesse, in ogni paragrafo gli sembra quasi di trovare nuove indicazioni tecniche nonostante ormai conosca a memoria il manuale di Pudovkin.

Risale al 1949 il primo cortometraggio: “Day of the Fight” (Il giorno del combattimento) è finanziato esclusivamente dal regista; trattasi di un breve documentario di 16 minuti che racconta la giornata del boxer Walter Cartier e del suo "doppio", infatti il pugile ha un fratello gemello che ripete e segue ogni sua mossa per tutta la giornata fino a quando deve entrare sul ring. In questo breve lungometraggio Kubrick oltre che regista si fa produttore, operatore cinematografico, tecnico del montaggio e del suono. In seguito, “Day of the Fight” viene acquistato dalla RKO per la sua serie "This is America" e quindi rappresentato al Paramount Theatre in New York: buona la critica, ma le tasche del giovane Kubrick soffrono comunque di un profitto a dir poco esiguo. Sempre nel 1949 il primo matrimonio con Toba Metz, che lascerà qualche anno dopo per sposarsi con l'attrice Ruth Sobotka, che recita una parte in Killer's kiss (Il bacio dell'assassino) del 1954. Spronato dai risultati ottenuti con il suo primo cortometraggio, Stanley abbandona il suo lavoro come fotografo di “Look” per  dedicarsi a tempo pieno all’attività di regista. 

Negli anni Cinquanta un altro cortometraggio:  9 minuti in totale,  la pellicola “Flying Padre” sbobina  le vicende di Father Fred Stadtmueller, un prete che vola su di un Piper compiendo un tragitto di 400 miglia; anche in questo caso Kubrick veste i panni di regista, operatore cinematografico, tecnico del montaggio e del suono. Finalmente nel 1953 Kubrick si prova con il colore: l’"Atlanti and Gulf Coast District of The Seafarers International Union" gli commissiona un documentario industriale di 30 minuti.

Nel 1953 riesce a raccogliere la cifra di $13.000 per finanziare il suo primo lungometraggio “Fear and Desire (Paura e Desiderio)”.  Stanley Kubrick lavora incessantemente e con ottimi risultati e di critica e di pubblico: alla fine del 1960 la decisione di trasferirsi in Inghilterra. Con il successo della pellicola “Lolita” ormai Kubrick è avviato a diventare un punto fermo di riferimento per la nuova generazione di registi.

Gli anni 60, quelli della guerra fredda, costrinsero Kubrick ad adattare la novella “Red Alert” in una commedia tanto satirica quanto allucinante allo stesso tempo, Dr. Strangelove: grande  fu l’attenzione e l’ammirazione da parte dei critici di tutto il mondo e alla fine ottenne tre nominations all'Oscar per miglior regia, miglior produttore e co-autore. In seguito ai successi di Dr. Srtrangelove, Kubrick diede vita al più straordinario film di fantascienza della seconda metà del 900: l'uomo viene messo a contatto con un intelligenza artificiale, ovviamente si tratta del capolavoro “2001: A Space Odyssey (1968)”. Alla  realizzazione del film partecipò anche il famoso scrittore Arthur C. Clarke: Kubrick ricevette svariate nomination all'Oscar, purtroppo il film ottenne  solo la statuetta per gli effetti speciali. Stanley rimase letteralmente fulminato dal racconto “The Sentinel” di Arthur C. Clarke tanto che decise di  contattare lo scrittore, che intanto era espatriato a Ceylon, e decise di scrivere una sceneggiatura a quattro mani. Il film avrebbe dovuto chiamarsi “Journey Beyond the Stars”, e dopo molte indecisioni il regista si decise per “2001: Odissea nello spazio”. Il film fu girato negli studi di Shepperton, a sud-ovest di Londra: la Metro-Goldwyn-Mayer finanziò il progetto con 6 milioni di dollari, ma i costi, a causa degli effetti speciali innovativi, salirono vertiginosamente. Molti degli effetti vennero suggeriti e studiati dallo stesso Kubrick e gli esperti W. Veevers e D. Trumbull non poterono far altro che star sotto la volontà del regista. Gli effetti speciali psichedelici furono forse i primi nel loro genere ad essere introdotti in una pellicola; la leggenda vuole che lo stesso Kubrick sperimentò con allucinogeni studiati apposta per il film quello che è il  "crearsi dentro" nuove combinazioni cromatiche. Le nominations gli furono assegnate a  per la sceneggiatura, la regia e la produzione, ma il punto forte rimasero gli effetti speciali, e solo oggi, a distanza di anni, si sta rivalutando la poesia del film. La storia di 2001 si svolge nella solitudine dello spazio: protagonista assoluto del film è HAL, lunatico quanto dispotico computer di bordo; nel nome HAL, molti hanno creduto di vedere il simbolo di una odiata multinazionale, ma in realtà HAL significa "Heuristic programmed ALgorithmical computer" e, come fece notare, giustamente, Arthur Clarke, la IBM era stata di grande aiuto nell'attuazione del film. Clarke rischiò di perdere i nervi, come del resto tutti gli altri. Kubrick si era preparato leggendo quintali di romanzi di Science Fiction, tanto che qualcuno ironizzò che Kubrick era ormai disposto a credere con tutte le sue forze all’esistenza dei marziani. Kubrick per questo film non mancò di interpellare astronomi e scienziati, e ogni qualvolta  nuove idee si affacciavano alla finestra della sua immaginazione, il regista tentava di metterle sulla pellicola. Ormai la casa di produzione aveva investito troppo e non credeva che Kubrick avrebbe mai finito di il film; non fu così, il film fu ultimato anche se non pochi addetti ai lavori ne uscirono con i nervi a pezzi e “2001: Odissea nello spazio” godette di un plauso unanime e da parte della critica e da parte del pubblico, soprattutto in considerazione del fatto che  la pellicola usciva quando USA e URSS facevano a gara, si fa per dire, a chi avrebbe per primo messo piede sulla superficie lunare anche se, ormai, i giochi erano fatti!

Nel 1971 Kubrick scrisse, diresse e produsse “A Clockwork Orange”, tratto dall'omonimo romanzo di Anthony Burgess. Interviene subito la censura americana e anche in Europa il film è oggetto di cesure; tuttavia l’ottimo film fa ottenere al regista ben tre nominations all'Oscar, per la sceneggiatura, la regia e la produzione. Il film di Kubrick mostra per la prima volta scene di omicidi e di stupri in maniera esplicita senza falsi moralismi; Malcolm McDowell, l’attore che interpreta l'eroe negativo Alex, si cala perfettamente nella sua parte, anche se fuori dalla scena ha i nervi a pezzi e non manca di litigare con il regista. Emblematica quanto suggestiva la colonna sonora scelta da Kubrick: l'"ultra-violence" dei drughi (droogs) è stonata e sovrapposta dalla Nona Sinfonia di Beethoven e dalle marce "for the Royals" di Sir Edward Elgar; gli arrangiamenti al sintetizzatore di Walter Carlos, che comprendono la versione elettronica della musica di Henry Purcell per il funerale di Queen Mary e l'ouverture della Gazza Ladra, fanno della colonna sonora un’altra opera d’arte all’interno di un film cult, pellicola superbamente preveggente circa lo stato di corruzione del potere americano. Pur non mostrando apertamente passione politica, Kubrick, dopo l’uscita di “A Clockwork Orange” è accusato di fascismo latente: non poteva andare diversamente, il film era una chiara accusa contro il potere e doveva essere tacciato in qualche modo, screditato, operazione che comunque non riuscì né all’America puritana né all’Europa, tant’è che oggi “Arancia Meccanica” è diventato una sorta di manifesto anarchico.

Kubrick diventa sempre più scostante e solitario: barricato nella sua residenza inglese guarda il mondo con acuto pessimismo fino ad estranearsi da esso. Dopo due film futuristici come “Arancia Meccanica” e “2001: Odissea nello spazio”  Kubrick cambia direzione con Barry Lyndon (1975) basando il suo soggetto su una storia del diciottesimo secolo tratto da una novella del '900 di William Makepeace Thackery; non fu un grande film, ma gli valse comunque 7 nominations.

Nel 1980 Kubrick, basandosi su una novella di Stephen King, fa uscire “The Shining”: il film ottiene subito un grande successo ai botteghini ma fu pressoché ignorato dalla critica, e Stephen King si disse assai scontento di come era stato tradotto in linguaggio cinematografico il suo lavoro. A distanza di 7 anni è pronto il nuovo film: “Full Metal Jacket (1987)”, un successo sia al botteghino, sia presso  la critica. Nel maggio 1990 Kubrick incontra registi come Martin Scorsese, Woody Allen, Francis Coppola, Steven Spielberg, Sydney Pollack e George Lucas: scopo di questo incontro  è promuovere la "Film Foundation", fondazione votata alla preservazione e restaurazione dei film.

Nel 1991 Kubrick inizia un altro progetto AI (Artificial Intelligence), ma la tecnologia che vorrebbe fra le mani per creare gli effetti speciali del film non esiste ancora, quindi si risolve di abbandonare il progetto; più tardi,  gli spettacolari effetti speciali e le nuove tecnologie digitali in Jurassic Park, convincono Kubrick a continuare il progetto AI. A metà dicembre 1995 la Warner Bros dichiara che Kubrick era ancora in pre produzione con AI; tuttavia il regista era ben intenzionato a realizzare prima di A.I. un altro film, l’ormai celebre “Eyes Wide Shut” basato sulla novella Traumnovelle (titolo italiano: Doppio Sogno) di Arthur Schnitzler con Tom Cruise e Nicole Kidman. L'8 marzo 1997 "The Director's Guild of America" premia Stanley Kubrick con il più alto premio il "D.W. Griffith"; poi nel settembre dello stesso anno Kubrick viene premiato con il "Golden Lion Award" al 54esimo Festival Internazionale di Venezia. Stanley Kubrick muore di domenica, il 7 marzo 1999,  in Inghilterra nella sua villa nell' Hertfordshire dove risiedeva; si spegne due settimane prima dell'assegnazione degli Oscar 1999. Con l'ultimo ciak, “Eyes Wide Shut”, film uscito postumo nelle sale americane nell'estate 1999, con protagonisti la coppia Tom Cruise, Nicole  Kidman, Stanley Kubrick entra di diritto nell’Olimpo dei grandi registi immortali.

Brian W. Aldiss nasce in Inghilterra nel 1925: ha servito nell’esercito, in Birmania e a Giava, esordendo nel panorama fantascientifico verso la metà degli anni 50; nel 1960 appare il romanzo ad episodi “Galaxies Licke Grains of Sand”; nel 1961 pubblica un romanzo satirico, “The Primal Urge”. “Il lungo meriggio (The Long Afternoon of Earth)” è forse il romanzo maggiormente conosciuto di Aldiss, un classico della SF edito in italia nel 1974 da Fanucci. “Il lungo meriggio” racconta la storia di una Terra in un futuro lontano quando si ipotizza che non abbia più rivoluzione lungo l’asse e i cui discendenti dell’umanità lottano in mezzo a forme di vita fantasmagoriche in un paesaggio da incubo surreale alla Salvador Dalì. Il 1964 è l’anno di “Greybeard “ che in molti ritengono essere il capolavoro di Aldiss: si parla della sterilità dove l’impiego di armi biologiche ha fatto si che la razza umana non riesca quasi più procreare (un tema già affrontato da Philip K. Dick, una delle sue tante ossessioni) e gli uomini sono tutti vecchi o quasi. “Super Toys Last All Summer Long”, uno dei migliori racconti di Aldiss, fu notato da Stanley Kubrick che se ne innamorò a tal punto che voleva ricavarci un film. Nel 1973 Aldiss pubblica “Frankenstein Unbound”; nel 1974 pubblica “The Eighty Minute Hour: A Space Opera”, un romanzo di fantascienza satirico, quasi swiftiano. Il 1980 non è un periodo bello, letteralmente parlando, per Aldiss nonostante la pubblicazione di “Life in The West”, che, tuttavia, in molti ritengono essere un capolavoro. Per fortuna esce ben presto il ciclo di “Helliconia”: tre lunghi romanzi, nel 1982 “Helliconia Spring”, nel 1983 “Helliconia Summer” e nel 1985 “Helliconia Winter”, poi, nel 1991 esce “Dracula Unbound”, un romanzo minore, che tratta temi triti e ritriti circa il vampirismo e le sue molteplici sfumature; è del 1998 invece “The Twinkling of an Eye, My life as an Englishman” che può interessare ma non entusiasma di certo: la vita di Aldiss non è quella di Rimbaud, per intenderci, non è un poeta maledetto della Sf come Philip K. Dick.

“Super Toys Last All Summer Long” è un un breve racconto del 1969 che Kubrick acquistò dopo aver finito di girare “Barry Lindon”… è allora che è cominciata la nostra collaborazione… All’inizio è stato entusiasmante, poi abbiamo cominciato a divergere nella nostra versione del film. Kubrick mi ha chiesto di essere il meno possibile narrativo: “Quello che ci serve”, diceva, “sono cinque o sei spezzoni di una storia che sarà tenuta insieme da collegamenti arbitrari, visuali,… dimenticati la logica romanzesca.” E passi. Ma poi mi ha regalato una bellissima edizione illustrata di Pinocchio, perché lui vedeva il bambino-androide del mio racconto come una sorta di meravigliosa marionetta. Voleva che nel film ci fosse anche la Fata Turchina, e quella, per me, è stata la fine. Ci siamo separati… Non era facile, è un raccontino di poche pagine! Ma lui rispose che sarebbe andato bene, poi gli avremmo costruito intorno il resto. Penso che volesse farne una nuova odissea nel futuro, doveva esserci una specie di distruzione della Terra, o grande catastrofe, e una fuga nello spazio. Il mio racconto era la premessa di tutto questo… Il tema dell’intelligenza, e più a fondo della coscienza, è sempre stato centrale nella science fiction, e ora sembra venuto il momento di affrontarlo da un nuovo punto di vista, perché la cibernetica e l’informatica ci hanno mostrato che una vera rivoluzione è a un passo da noi.”, spiega Aldiss.

La trama di A.I. voluta da Steven Spielberg è più o meno questa: in un futuro prossimo le calotte polari si sono disciolte e le acque hanno sommerso New York, Amsterdam e Venezia. La tecnologia robotica produce i "Mechas" (robot meccanici) che affiancano gli esseri umani, gli "Orgas" (esseri organici): le due categorie non si affrontano su di un piano onirico/allucinato tipico della SF allucinata (e allucinante) di Philip K. Dick: la matrice fantascientifica è di chiaro stampo spielberghiano anche se c’è qualche debole nota kubrickiana. I mechas, un gruppo di mercenari guidati da Brendan Gleeson, si provano in combattimenti all'ultimo sangue in un futuristico “Circo Massimo”, dove i robot vengono letteralmente distrutti per la sola gioia di un pubblico assetato di morte tecnologica. Steven Spielberg si limita a raccontare una  storia punto e basta: poco o nulla è il suo interesse nei confronti delle macchine se sono solo macchine scevre di intelligenza, mentre grande è l’attenzione che dedica ai personaggi, li mette a nudo, siano essi umani o robot e li avvolge di un’aura fiabesca.  Nell'introduzione che apre il film, Allen Hobby (interpretato da William Hurt), davanti ad un crocchio di scienziati, spiega la caratteristica dei robot e introduce la premessa precipua che sarà poi il filo conduttore di tutto (o quasi) il film: si può realizzare un essere meccanico capace di amare come un uomo e diventare quindi un essere umano a tutti gli effetti? E’ possibile che gli orgas amino un mecha? Una coppia che ha il loro unico figlio in coma irreversibile decide di adottare un mecha di nome David (intrepretato da Haley Joel Osment).. Dopo questa overture, Spielberg attraverso gli occhi della madre adottiva si pone l’interrogativo se è possibile che un robot possa prendere il posto di un figlio naturale:  il bambino David sembra davvero un robot ma allo stesso tempo sembra essere a tutti gli effetti un bambino come tutti gli altri . La relazione tra madre e figlio assume uno spessore quasi religioso: Spielberg si premura di analizzare in ogni dettaglio questo rapporto, un rapporto questo che poco o nulla avrebbe interessato Kubrick. In seguito la coppia riceve, inaspettatamente, la notizia dell'improvvisa guarigione del figlio: si viene quindi a creare una rivalità tra i due fratellastri e, dopo un incidente, la coppia decide di abbandonare il robot in un bosco La storia prosegue illustrando le vicissitudini di come il burattino/robot parte alla ricerca della fata turchina che la madre, quando gli leggeva Pinocchio, gli ha lasciato deliberatamente credere che essa sia cosa vera e tangibile. Nel corso del viaggio David incontra la macchina da sesso Gigolo Joe, una miscela tra il malevolo personaggio interpretato da Malcom McDowell in Arancia Meccanica e il Donald Sutherland di Casanova di Fellini? A questo punto la pellicola assume toni a dir poco da favola: e pensare che Brian W. Aldiss, quando Kubrick gli chiese espressamente di prendere in considerazione l’idea della Fata Turchina come ulteriore elemento della storia, si rifiutò nettamente mandandolo quasi al diavolo sconvolto dall’idea che la sua storia potesse diventare una sorta di moderno Pinocchio. Eppure, Aldiss, a quanto pare, non ha saputo dire no a Steven Spielberg: chi può dire se Kubrick, dovunque egli sia o non sia, stia gioiendo di questa “falsa vittoria”!

A.I. non è nient’altro che la storia di Pinocchio rivista e corretta, edulcorata con tutti quegli elementi strappalacrime da cliché tanto cari agli americani e che assicurano consensi critici e pubblici. Geppetto ( interpretato da un William Hurt maturo), la fata turchina, la balena, la storia sott'acqua (Manhattan è una città sommersa dall'oceano), tutti  questi elementi sono tipicamente fiabeschi secondo il gusto personalissimo di Spielberg: si ha come l’impressione che il regista abbia attinto da Collodi davvero troppe idee sceniche e psicologiche; il risultato è una fiaba moderna, superba, ma comunque niente di più di una fiaba condita da tanti e tanti effetti speciali.  Non mancano i riferimenti religiosi di impostazione cristiana: una Madonna nella città delle donne, Rouge City, somiglia ‘terribilmente’ alla Madonna di e 1/2 di Fellini, peccato che Spielberg non sia Fellini e quella Madonna, nel film, stona come un pugno in un occhio. Anche in questo caso, Brian W. Aldiss non ha detto niente: anzi, sembrerebbe che l’idea gli sia piaciuta subito, soprattutto in considerazione del fatto che oggi il Cristianesimo così come il Vangelo sono tornati prepotentemente di moda in una società composita da amanti della New-age che, certamente, non incontrano il favore del popolo di Seattle, o, per essere più teneri gli amanti del film-manifesto “Arancia Meccanica”!

Il cast tecnico artistico di A.I. vanta nomi di tutto rispetto: la sceneggiatura è stata curata da Steven Spielberg e Ian Watson ed è stata tratta dal racconto breve di Brian W. Aldiss, "Supertoys Last All Summer Long", la fotografia è affidata a Janusz Kaminsky, le scenografie sono opera di Rick Carter, mentre i costumi sono di Bob Ringwood, le musiche invece sono curate da John Williams, il tutto è stato prodotto da Steven Spielberg, Bonnie Curtis e Ian Harlan e la distribuzione cinematografica è della Warner Bros. Anche il cast è valido: il personaggio del robot/bambino David è superbamente interpretato da Haley Joel Osment, che a suo tempo si era giustamente meritato il plauso di critica e pubblico per il film “Il sesto Senso”, Jude Law interpreta invece il personaggio di Gigolo Joe, il professore Allen Hobby è incarnato da un William Hurt che recentemente non è stato proprio al meglio delle sue prestazioni come attore, mentre Lord Johnson-Johnson viene ben interpretato da Brendan Gleesn, poi Sam Robards veste i panni di Henry Swinton e Jake Thomas quello di Martin Swinton, in ultimo, Frances O’Connor è Monica Swinton, unica presenza femminile del cast.

AI, in un primo momento, era un progetto di Stanley Kubrick; il regista aveva acquistato i diritti del racconto breve di Aldiss, apparso su Harper's magazine nel 1969, dal titolo "I giocattoli non durano fino alla fine dell'estate". Aldiss, ora che Kubrick è morto, dichiara di aver ceduto i diritti di sfruttamento del suo racconto a Kubrick solo perché in quel periodo non navigava nell’oro. In definitiva, l'ormai leggendario regista sarebbe stato il produttore di un film diretto da Spielberg, difatti la pellicola è presentata dalla Dreamworks come una Amblin/Stanley Kubrick production e alla fine del film, prima dei titoli di coda, è possibile leggere "Dedicato a Stanley Kubrick". In alcuni momenti Spielberg tenta indarno di riprodurre il sarcasmo dell’amico Stanley Kubrick, ma il risultato è appena appena apprezzabile, cioè è lodevole solo lo sforzo: Kubrick era Kubrick, un maniaco della perfezione, e difficilmente questo film spielberghiano l’avrebbe soddisfatto. La colonna sonora è affidata alle amorevoli cure di John Williams, che tira in ballo compositori classici come Strauss e Ciaikovsky: la scelta delle musiche è un’ulteriore conferma di come Spielberg abbia voluto conferire al film un’aura fiabesca. No, l’”A.I.” di Steven Spielberg non è assolutamente quanto aveva in mente Kubrick.

Il film è già stato annunciato come uno dei più felici di Spielberg ma per riuscire ad apprezzarlo occorre vederlo come un film di Spielberg senza illudersi di trovare nella pellicola un testamento kubrickiano, al massimo un omaggio di Spielberg all’amico regista scomparso ma nulla di più. "There have been mechanicals on the market with mini-computers for brains - plastic things without life, super-toys - but we have at last found a way to link computer circuitry with synthetic flesh…Okay. We'll see how he does before the baby's born. Which reminds me - I have a surprise for you: help just when help is needed! Come into the hall and see what I've got. As the two adults disappeared from the room, boy and bear sat down beneath the standard roses "Teddy - I suppose Mummy and Daddy are real, aren't they?" Teddy said, "You ask such silly questions, David. Nobody knows what 'real' really means. Let's go indoors." "First I'm going to have another rose!" Plucking a bright pink flower, he carried it with him into the house. It could lie on the pillow as he went to sleep. Its beauty and softness reminded him of Mummy.". (Supertoys Last All Summer Long, Brian W. Aldiss)

 

GIUSEPPE IANNOZZI

 

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