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Bucatini all'amatriciana [o Matriciana]

Nota:
Il nome deriva da Amatrice, una località in provincia di Rieti.

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 400 gr. di bucatini (in alternativa spaghetti grossi)
punto elenco 60 gr. di guanciale (o pancetta tesa)
punto elenco una cipolla
punto elenco 500 gr. di pomodori maturi o pelati
punto elenco pecorino romano grattugiato
punto elenco olio d'oliva
punto elenco sale e pepe q.b

Bucatini all'amatriciana
Bucatini all'amatriciana

Tempo di preparazione: 20 minuti

Preparazione:
Pulite la cipolla e tagliatela finemente mettendola a soffriggere in una casseruola col guanciale fatto a dadini e 4 cucchiai d'olio. Appena imbiondisce, unite i pomodori a pezzetti, sale, pepe e fate insaporire a fuoco vivo per alcuni minuti, il pomodoro non deve spappolarsi. Mettete a cuocere i bucatini in abbondante acqua salata e scolateli al dente, condite colla salsa e spolverateli di pecorino romano grattugiato.
Se amate le sensazioni forti, aggiungete al soffritto un paio di spicchi d'aglio e peperoncino.

Curiosità:
Perchè Matriciana e non Amatriciana Grandi discussioni sono sorte sul termine "Matriciana". C'è chi sostiene che la ricetta sia di Amatrice (da cui Amatriciana), e chi, invece, ritiene che si tratti di un piatto romano. In effetti, se si scava alla radice, si può notare come le differenze tra le due ricette siano notevoli: in bianco e senza cipolla ad Amatrice, con il sugo e la cipolla a Roma. La ricetta in realtà nasce a Roma, e sono gli abitanti di Amatrice a crearne una "copia" riveduta e corretta.
Dice la tradizione che gli abitanti di Amatrice venivano a "svernare" a Roma, poiché il loro clima era molto rigido d'inverno.  Non c'erano grandi simpatie tra i Romani e gli Amatriciani, tanto è vero che a Roma girava una battuta, un po' pesante, con la quale si sosteneva che "gli abitanti di amatrice non potevano essere concittadini di Ponzio Pilato, poiché lui si era lavato le mani, mentre loro non si lavavano neanche quelle!".  L'origine del termine Matriciana è stato imputato a differenti motivazioni, che riportiamo di seguito:

punto elenco I pomodori* usati per il sugo venivano conservati fin dai tempi dei Romani in speciali otri, o vasi, che in latino son detti "matara". D'altronde il "matraccio" e' a tutt'oggi un recipiente in vetro dal collo lungo che trova uso in chimica. (Se vi raccontano questa versione ricordate che i pomodori sono arrivati in Occidente solo dopo la scoperta del'America)
punto elenco L'origine degli spaghetti alla "matriciana" si perde pero' nella notte dei tempi, quando ancora le sorti dell'umanità' erano rette dall' istituto del "matriarcato". Ed erano un piatto usato solo in riti molto particolari ch e si svolgevano durante il solstizio d'inverno tra i monti dell' alto Lazio; da cui i maschi erano non solo esclusi, ma del tutto all'oscuro.
punto elenco Nel sugo, infine, aveva grande parte la "matricale", una pianta erbacea aromatica delle composite con infiorescenze a capolino, simili a piccole margherite, raccolte in corimbo.
Il suo uso purtroppo e' ormai fuori moda in questa brutta società fastfood, ma la sua impronta è rimasta incisa nel nome. Sta' di fatto che la "Matriciana" è una variante della cosiddetta "Gricia", ricetta degli antichi pastori romani (e non Amatriciani, visto che Amatrice ancora non esisteva...), fatta con guanciale e salsicce a pezzi.

La ricetta:
 I/2 chilo di bucatini, 150 g di guanciale ( se non e'guanciale pare che non si possa chiamarla Amatriciana), un cucchiaio di olio di oliva extravergine, vino bianco secco, 6 o 7 pomodori maturi (San Marzano o pomodori pelati), un pezzetto di peperoncino ( o piu', se vi piacciono piccanti), 100 g di pecorino romano grattugiato, sale.

Ungete la padella col cucchiaio d'olio extra vergine d'oliva e rosolate il guanciale tagliato a dadini, col peperoncino.
Spruzzate col vino bianco, poi togliere il guanciale per togliere l'eccesso di olio e per non farlo seccare troppo. Unite i pomodori tagliati a fettine e senza semi (per togliere meglio le bucce si fanno sbollentare e poi si tagliano).
Dopo 2 o 3 minuti aggiungere il pomodoro, rimettete dentro i pezzetti di guanciale e togliere il peperoncino. Rimescolate ancora per pochissimo. Lessare la pasta e scolarla al dente. Metterla in una ciotola aggiungendo il pecorino grattugiato. Aggiungere la salsa ottenuta e mescolare. Guarnite con altro pecorino, se volete.

Curiosità da: Raccolta di ricette di Aldo Fabrizi e la sora Lella

Storia:
L'antenata della amatriciana è la gricia (o più propriamente griscia). Secondo alcuni, il nome deriverebbe da gricio. Così era chiamato nella Roma dell'Ottocento il venditore di pane ed altri commestibili. Un gruppo di questi era immigrato dal Cantone svizzero dei Grigioni, dando origine al termine. Secondo un'altra ipotesi questo nome deriverebbe da un paesino a pochi chilometri da Amatrice, frazione del comune di Accumoli, di nome Grisciano. La griscia era ed è ancora conosciuta come l'amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti.
L'invenzione della salsa di pomodoro (e quindi il termine post quem per l'introduzione del pomodoro nella gricia, creando l'Amatriciana) risale alla fine del diciottesimo secolo: la prima testimonianza scritta dell'uso della salsa di pomodoro con la pasta si trova nel manuale di cucina L'Apicio Moderno, scritto nel 1790 dal cuoco romano Francesco Leonardi.
Nell'Ottocento e sino all'inizio del novecento la popolarità della pietanza a Roma si accrebbe considerevolmente. Questo avvenne a causa degli stretti contatti - a quel tempo già pluricentenari — fra la città eterna ed Amatrice. L'Amatriciana fu estremamente bene accolta e - anche se nata altrove - venne rapidamente considerata un classico della cucina romana. Il nome della pietanza in Romanesco divenne matriciana a causa dell'aferesi tipica di questo dialetto.

Varianti:
Per quanto originaria di Amatrice, la ricetta si è diffusa a Roma e nel Lazio, diventando così uno dei piatti tradizionali della capitale e della regione. L'amatriciana esiste in diverse varianti, dipendenti anche dalla disponibilità di alcuni ingredienti. Mentre ognuno concorda sull'uso di guanciale, il pomodoro non è riportato nel manuale di Gosetti. La cipolla non è usata ad Amatrice, ma è riportata nei manuali classici della cucina romana. Sebbene nelle ricette più vecchie non venga indicato alcun grasso di cottura (o meglio, sia utilizzato il grasso del guanciale), di solito come grasso di cottura viene usato prevalentemente olio d'oliva, ma l'uso dello strutto è anche attestato.
L'uso dell'aglio soffritto in olio d'oliva prima di aggiungere il guanciale è anche possibile, mentre come formaggio può essere usato sia il pecorino romano sia quello di Amatrice (proveniente dai Monti Sibillini o dai Monti della Laga)
 L'uso di pepe nero o peperoncino è anche attestato.
È consuetudine condire con l'amatriciana gli spaghetti, i bucatini o i rigatoni.L'amatriciana, adattata alle regole del Casherut, è presente nella cucina giudia-romana. Nella preparazione non si usa il pecorino o altri tipi di formaggi, si utilizza olio d'oliva al posto dello strutto e la carne secca di manzo sostituisce il guanciale di maiale.

Storia e Varianti da: Wikipedia

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Gnocchi alla romana

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 250 gr. di semolino
punto elenco 1 litro di latte
punto elenco 2 uova
punto elenco 3 cucchiai di burro
punto elenco parmigiano grattugiato
punto elenco pangrattato
punto elenco noce moscata [facoltativa]
punto elenco sale
punto elenco pepe

Gnocchi alla romana
Gnocchi alla romana

Tempo di preparazione: un ora circa

Preparazione:
Mettete sul fuoco il latte in una pentola con mezzo litro d'acqua e un pizzico di sale. Portate ad ebollizione e iniziate a versarvi il semolino a pioggia, sempre mescolando per non far formare grumi, fate cuocere per 10 minuti mescolando continuamente. Spegnete il fuoco e lasciate intiepidire, sempre mescolando unite le uova e una manciata di parmigiano grattugiato. Versate il composto su un tagliere e stendetelo con la lama di un coltello, riducendolo allo spessore di un dito. Lasciate raffreddare e con un bicchiere rovesciato ritagliatene dei dischi. Imburrate una pirofila, disponetevi uno starato di dischi di semolino, spolverate di formaggio e pangrattato, e se vi piace, un pò di noce moscata; qualche fiocchetto di burro. Proseguite con altri strati fino ad esaurimento dei dischetti. Mettete la pirofila nel forno a gratinare per un quarto d'ora finchè la superficie non sia dorata, servire gli gnocchi ben caldi. [sono ottimi anche freddi, anzi qualcuno che conosco li preferisce così].

Storia:
Una conferma categorica: i veri 'gnocchi alla romana' sono quelli fatti con le patate! Questo perché c'è una 'corrente culinaria' romana che ritiene i veri gnocchi romani quelli a base di semolino. La storia della cucina romana, nonché ancor oggi i veri romani, sanno che 'li gnocchi se fanno colle patate!'

Ricetta:
Le patate vanno cotte, poi sbucciate, schiacciate e infine impastate nella farina fino a realizzare l'amalgama migliore. Successivamente l'impasto andrà compattato e poi tagliato in lunghe strisce -realizzate facendo rotolare l'impasto sotto il palmo della mani. Una volta ricavato l'arrotondamento di ogni striscia si passerà a tagliare questa in tanti piccoli 'gnocchi'. Su ciascuno provvederemo a praticare come una piccola fossa: è qui che il sugo si depositerà più copioso! Contemporaneamente faremo bollire l'acqua salata in una pentola piuttosto grande e nella quale, via via, andranno gettati tutti gli gnocchi ricavati. Il trucco della cottura è molto semplice: i gnocchi saranno cotti a puntino e pronti per essere recuperati solo quando saliranno a galla! Una volta recuperati e scolati eccoli in bella mostra in una zuppiera. In cima provvederemo a versare il sugo. A base di guanciale, con pomodoro e pecorino.

Storia e Ricetta: da tuttoroma [anche se discutibile]

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Stracci di Papa Sisto

Nota:
Questo piatto prende il nome da Papa Sisto V, nato Felice Peretti nel 1520 e morto a Romanel 1590, fu il 227º papa della Chiesa cattolica e 135° sovrano dello Stato Pontificio, e pare andasse ghiotto di questa pietanza.

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 300 gr. di pasta fresca all'uovo
punto elenco 3 salsicce
punto elenco 200 gr. di pomodori pelati
punto elenco peperoncino
punto elenco olio d'oliva
punto elenco sale
punto elenco pepe

Tempo di preparazione: 25 minuti

Preparazione:
In una padella fate rosolare le salsicce precedentemente spellate e sbriciolate grossolanamente, aggiungete i pelati, sale, pepe e peperoncino, fate ritirare per una decina di minuti. Intanto cuocere la pasta in acqua salata, scolatela al dente e passatela per qualche minuto in padella con la slasa, servitela ben calda e fumante.

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Saltimbocca alla romana

Nota:
Questa prelibata seconda portata, il cui nome già da solo basta a fare venire l`acquolina in bocca, appartiene alla tradizione culinaria del Lazio, e di Roma in particolare. I saltimbocca alla romana godono di fama internazionale.

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 400 gr. di vitello tagliato a fettine sottili
punto elenco 80 gr. di psosciutto crudo (comunque 8 fette)
punto elenco 8 foglie di salvia
punto elenco 50 gr. di burro
punto elenco sale e pepe

Saltimbocca alla romana

Saltimbocca alla romana

Tempo di preparazione: un quarto d'ora

Preparazione:
I saltimbocca non sono involtini, infatti non vanno arrotolati; distendete le fettine di vitello, adagiate su ognuna una fetta di prosciutto e una foglia di salvia fermandola con uno stuzzicadenti.
Fate sciogliere il burro in un tegame e mettetevi a cuocere i saltimbocca con poco sale e pepe, a fuoco vivaca. Giarateli non appena hanno preso colore, completando la cottura anche dall'altro lato e sono pronti.

Qualcosa di più:
I saltimbocca alla romana, come suggerisce anche il nome, sono il cavallo di battaglia, insieme alla pasta alla carbonara, della cucina tipica Romana. Si tratta di un piatto ormai conosciutissimo in tutto il mondo, forse il piatto italiano più noto dopo gli spaghetti all'estero. In realtà le origini di questo gustoso piatto sono dubbie: accanto alla più tradizionale origine Romana qualcuno ha voluto rivendicare anche un origine Bresciana. In ogni caso sappiamo che Pellegrino Artusi, che l'ha descritta fin dalla fine dell'800, abbia assaggiato i saltimbocca nella trattoria storica di Roma "Le Venete" anche se, dopo poco tempo iniziarono ad essere serviti anche in altre trattorie tipiche Romane.

Da: miaroma.it

Saltimbocca alla romana
Saltimbocca alla romana

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Tozzetti neri

Nota:
Che buoni questi biscotti la cui ricetta mi è stata data da Marcella Tondi, romana DOC; sono buonissimi ed il sapore tra le mandorle e il cioccolato fa si da rendere questi tozzetti decisamente molto particolari, ma soprattutto gustosi!

Ingredienti:

punto elenco 480 gr di farina
punto elenco 320 gr di zucchero
punto elenco 3 uova
punto elenco 280 gr di mandorle tostate
punto elenco 120 gr di cioccolato fondente
punto elenco 70 gr di burro
punto elenco 1 bustina di lievito
punto elenco 1/2 bicchiere di rum

Tozzetto nero
Tozzetto nero

Tempo di preparazione: 50 minuti

Preparazione:
Disponete la farina a fontana sulla spianatoia. Aggiungete lo zucchero, le uova, il burro ammorbidito a bagnomaria (potete sostituirlo con lo strutto), il lievito, il rum, il cioccolato a pezzettini e le mandorle tagliate a metà. Impastate bene il tutto molto velocemente. Dall'impasto ottenuto, ricavate tanti filoncini (diametro circa 5 cm) e disponeteli sulla teglia ricoperta di carta forno, distanziandoli bene, perchè lieviteranno. Cuoceteli in forno a 170° per circa 15 minuti. Sfornate e tagliate i filoncini (avranno un colore molto chiaro) a fette alte circa 1 cm., 1 cm e mezzo. Disponeteli ancora sulla teglia e infornate i tozzetti altri 15 minuti per farli dorare e diventare croccanti.

Tozzetti romani neri
Tozzetti romani neri

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Il Lazio e i suoi prodotti

La cucina laziale è rappresentata in gran parte da quella romana che contiene piatti famosi in tutto il mondo tra cui i bucatini all’amatriciana (pasta con pomodoro, guanciale di maiale, olio e pecorino romano), gli spaghetti alla carbonara (con uova, pecorino e pancetta); la coda alla vaccinara (coda di bue accompagnata da un soffritto di cipolle, carote, sedano e l’aggiunta di vino e pomodoro) o l’abbacchio alla romana (agnellino da latte al forno). Famose sono anche la trippa alla trasteverina, la pajata (rigatoni conditi con budella di vitello da latte), il saltimbocca alla romana (fettine di vitello ripiene di prosciutto e salvia) e le fave alla pancetta.
Una delle produzioni tradizionali del Lazio è quella dell’olio d’oliva di cui si hanno due denominazioni di origine protetta: l’olio extravergine d’oliva Sabina, prodotto nel territorio compreso tra le province di Roma e di Rieti, dal sapore vellutato e aromatico e l’olio extravergine d’oliva Canino, prodotto delle colline viterbesi dal colore verde smeraldo e dal sapore intenso e fruttato.
Una delle pietanze che ricorre spesso nella gastronomia laziale è il maiale: i salumi di carni intere prevalgono sugli insaccati anche se non mancano ottime salsicce e il guanciale, ottenuto dalla gola e dalla guancia del maiale. Sempre dal maiale si ottiene la porchetta, aromatizzata e cotta allo spiedo; se quella di Ariccia è una delle più rinomate sono ottime anche le porchette del Viterbese, Reatino, Sabina e Ciociaria. I migliori prosciutti tipici laziali sono quelli di Bassiano (prov. di Latina) e di Guarcino (centro in provincia di Frosinone dove si lavora anche un buon prosciutto di cinghiale).
Da Amatrice, un paesino tra Lazio e Umbria, provengono le mortadelline amatriciane mentre tipica del viterbese è la scammarita, lombo di maiale conciato.
Tra i dolci si segnalano i maritozzi, dei dolcetti imbottiti di uvetta e pinoli. Il tutto magari accompagnato da una selezione di vini della zona dei Castelli romani. Tra i vini DOC del Lazio: l’Aprilia, l’Aleatico di Gradoli, il Frascati e il Montefiascone e i vini di Cerveteri (Cerveteri bianco, Cerveteri rosso e Tarquinia).

Curiosità:
La cucina laziale è rappresentata ormai in gran parte da quella romana nella quale sono sintetizzate tutte le specialità delle tradizioni culinarie della regione. Nella gastronomia romana hanno solidamente prevalso tre componenti principali:

punto elenco

Ebraica (detta “giudea”), la più raffinata e colta, cui si devono celebri piatti quali i “carciofi alla giudia” o “alici con l’invidia”;

punto elenco

Burina/ciociara, di derivazione abruzzese, che ha portato fra l’altro i “bucatini all’amatriciana”, la “pasta alla carbonara”, l’abbacchio e, in generale, tutti i piatti a base di carne di maiale;

punto elenco

Macellara, nata intorno ai mattatoi con protagonista il “quinto” quarto, cioè interiora, zampe, guance degli animali macellati alla quale appartengono i “rigatoni con la paiata” o la “coda alla vaccinara”.

I sapori del Lazio provengono dalla cultura delle aree circostanti: fra gli ortaggi dominano i carciofi e le insalate, mentre nei dolci si evidenzia la ricotta, come nel famoso “budino”. Per il pesce è d’obbligo citare le rinomate anguille del lago di Bolsena, tanto apprezzate anche dalla corte papalina e le "mazzancolle" dell’area di Gaeta che, nel dialetto laziale, indicano i gamberoni pescati in estate. In particolare, il territorio agricolo di Frascati, piantato per la maggior parte a uliveto e vigneto, è famoso per la produzione di uva finalizzata alla produzione del rinomato vino bianco Frascati Doc.

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Dal Progetto: "Salute & Gusto" di Valentina Conti

Per una storia produttiva e culinaria del Lazio

La cucina laziale, riassunto di una gastronomia variegata ricca di apporti e preparazioni provenienti da varie zone delle regioni confinanti o di comunità di paesi lontani presenti nell’Urbe, come, ad esempio, quella ebraica, che ha lontane radici storiche, è rappresentata, in gran parte, da quella romana, nella quale tutte le specialità delle tradizioni culinarie della regione vengono convogliate nella gustosa semplicità e schiettezza di una cucina di estrazione popolare. E’ nota, infatti, la fortuna che incontrano nella Capitale e dintorni le frattaglie, le code dei bovini (celeberrima è la vaccinara), le zampe e le guance degli animali da macello, prova incontestabile dello scrupolo che i macellai laziali di un tempo mettevano nel recupero d’ogni parte commestibile delle bestie affidate alle loro cure. Lo stesso abbacchio al forno, re delle mense non solo pasquali, nasce come cibo dei pastori. Il persistere della cucina popolare e il diffondersi della stessa in tutte le classi
sociali si può ritenere una delle conseguenze della storia del papato con cui per molti secoli si è identificata quella della città. I sapori del Lazio, cioè, appartengono, per dirla in breve, alla cultura delle campagne circostanti: sono tributari, per gli agnelli ed i formaggi, dei pastori abruzzesi; per l’olio ed il vino dei vicini Colli Albani e delle modeste alture sabine. Specialità legate anche alla produzione ortofrutticola delle campagne laziali, dove gli ortaggi sono particolari per sapori e rigogliosità. Nella letteratura dell’arte della cucina, già nel “Libro della cocina” di Anonimo Toscano troviamo riferimenti alla cucina romana come, ad esempio, le indicazioni per un pasticcio romano chiamato dal nostro autore “pastello”. Inoltre, dalla costa tirrenica meridionale, nella quale si apre un grande golfo che comprende le città di Terracina, Gaeta e Formia, derivano alcuni piatti marinari tipici, quali le "mazzancolle", che nel dialetto laziale indicano i gamberoni che vengono pescati in estate; le "sogliole gratinate"; la "zuppa di vongole" alla marinara. Ancora, la cucina della Maremma laziale risente di quella toscana, che nelle sue specialità è legata più all'entroterra che al mare. E, infine, dalla vicina Umbria derivano alcuni piatti ormai storicamente entrati a far parte della cucina laziale come gli "spaghetti alla carbonara", importati nel Lazio dai carbonari, dagli uomini cioè che fino ai primi decenni del Novecento si recavano nei boschi di questa terra a fare il carbone di legna.

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La cucina romanas e la popolarità a tavola

La cucina romana vera e propria vanta una serie di piatti che si trovano nelle offerte di molte trattorie della Capitale, prime fra tutte quelle del quartiere di Trastevere. Tra essi ricordiamo i "pomodori interi ripieni" di riso crudo; i "gnocchi alla romana" col semolino (l'origine di questo piatto è molto discussa: sarebbe, infatti, un piatto di origine piemontese e non romano); gli "spaghetti alla carrettiera", così chiamati perché un tempo rappresentavano il piatto preferito dai carrettieri che portavano a Roma il vino dei castelli; le "lumache alla romana"; le "fettuccine alla romana" fatte rigorosamente in casa; la semplice "pasta ajo e ojo"; la "stracciatella", deliziosa minestra. Fra i piatti di carne dominano la "coda alla vaccinara", piatto singolare che ricorda nel nome gli antichi addetti alla scorticatura dei bovini, i "vaccinari"; i "saltimbocca alla romana"; lo "stufatino alla romana". Particolarmente saporito è, inoltre, il "pollo alla romana". Nel menù romano, ancora, non può mancare un fritto scelto, i "pezzetti", composto da cervella, animelle, fegato, carciofi, zucchine, ricotta, mele, pere, fette di pane. Il "fritto misto" presenta invece fette di carne, costolettine d'abbacchio, verdure passate in padella. Fra le verdure spiccano i carciofi cucinati "alla romana", cioè imbottiti di aromi. Altre verdure usate sono i broccoli, i piselli e le fave. Fra i dessert, oltre alle varie focacce e pizze dolci, va ricordato il "budino di ricotta", le "fragole in aceto", le "fave alla romana", dolce tipico dei giorni dei morti.

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La ciociaria, l'inconfondibile sapore di una terra

Molti sono i piatti, gli alimenti, le usanze assunte in Roma dalla Ciociaria, la zona che corrisponde all’incirca alla provincia di Frosinone e che deve il suo nome, di uso popolare, alle “ciocie”, le caratteristiche calzature di antichissima origine tipica dei contadini e dei pastori. Ricordiamo, ad esempio, la “provatura fritta”, una sorta di mozzarella il cui nome deriva da prova, l’assaggio del cacio fatto dai casari per controllarne la filatura della pasta. Questo piatto non è altro che la mozzarella fritta, frequentemente presente negli antipasti romani assieme alle frittate con la ricotta, insaporite da qualche erba aromatica, prima fra tutte la menta. Inoltre, tipica di questa zona è la frittata all’aglio che si fa solo in primavera, perché l’aglio deve essere freschissimo; il pancotto, la minestra fatta con pane raffermo; la zuppa di fagioli e cipolle e tutti i piatti a base di agnello (coratella di abbacchio, le animelle al prosciutto, la pajata fatta con le budelline ecc…); i “maccaruni”, tagliolini sottilissimi conditi con rigaglie di pollo al sugo; l' "agnellone garofolato", cotto in tegame steccato con vari ordori e lardo; le "coppiette ciociare". Fra gli ortaggi dominano i carciofi e le insalatine di vari tipi. Nei dolci domina la ricotta: ottimo è il budino alla ricotta insaporito con limone, cannella, rhum, scorza d’arancia e cedro canditi e la crostata di ricotta che pure prevede la cannella e la frutta candita. Fiorente è in questa zona l'allevamento dei bovini che forniscono latte vaccino; gli animali sono soprattutto bufali, con il cui latte si produce la notissima mozzarella, protetta da una denominazione di origine che si estende fino a Paestum. Fra i prodotti derivanti dai suini è da ricordare il prosciutto di Guarcino ed
anche gli ovini in questa terra forniscono le loro specialità come, ad esempio, il “pecorino affumicato”, prodotto soprattutto a Guarcino e Vico nel Lazio, comuni ciociari di antica vocazione agricola.

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Viterbo e il suo territorio, l'esaltazione della varietà

Un' altra cucina che si può individuare in quella laziale è quella che si è sviluppata nel territorio di Viterbo, centro agricolo-commerciale notevole, con qualche industria alimentare. Qui si coltivano, soprattutto, l’olivo, il frumento e la vite che dà prodotti molto pregiati come il vino di Montefiascone, il Gradoli e il Vignanello. Vaste aree sono occupate dalla coltivazione del frumento, mentre l'allevamento del bestiame ha minore importanza, anche se è florido perquanto riguarda l'allevamento del maiale da cui si ricavano alcuni particolari salumi come la “scammarita”, un prodotto d'origine umbra che da tempo ha trovato cittadinanza nelle contrade del Viterbese. Appartiene al Viterbese la regione dei Monti Cimini, da sempre terra di castagne; nella stessa zona, altrettanto pregiate sono le nocciole che vengono coltivate nella varietà definita "tonda gentile romana", molto usate nell'industria dolciaria. Ma, i prodotti della zona sono molti: olio, vino (sulle rive del Lago di Bolsena si produce il celebre "Est! Est!! Est!!!"), formaggio pecorino e frutta con la quale un po' ovunque si confezionano marmellate artigianali.
La cucina locale, pur partecipando di tutte le tradizioni romane e laziali, si caratterizza per un uso particolarmente diffuso di legumi ed ortaggi che vengono cucinati in vario modo sia come contorni che in forma di frittate. Presenti in tutto il Lazio con funzione caratterizzante, particolarmente apprezzate sono le “puntarelle”, un piatto storico formato da una varietà di cicoria, quella detta di Catalogna, le cui foglie tagliate a strisce sottili messe in acqua fredda si arricciano. L’altro ortaggio meritevole di menzione è il carciofo che viene cucinato “alla romana” (in tegame con aglio e menta) e “alla giudìa”, secondo una preparazione di tradizione ebraica. Fra i piatti provenienti da questa zona da ricordare, inoltre, le antiche
“pizzacce”, frittate realizzate con uovo, farina e latte, sulle quali viene grattato del formaggio pecorino e che vengono spolverate con un velo di zucchero cannellato; la “zuppa casereccia”, zuppa alla contadina cucinata con i cosiddetti “quarantini”, fagioli della zona che maturano in circa quaranta giorni; l’ “imbracata”, zuppa di fagioli proveniente da antichi monasteri, arricchita da tagliatelle e cotenne; le “fettuccine alla burina”, condite con piselli, funghi secchi, prosciutto cotto e panna e le “olive di Montefiascone”. E, ancora, del lago di Bolsena, che prende il nome dall'antica omonima città etrusca, nell'arte della cucina, da ricordare le famose "anguille alla bisentina" che derivano il loro nome dalla Bisentina, un'isoletta che sorge in mezzo al Lago dove si pescano appunto ottime anguille.

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La Sabina, incrocio di tradizioni diverse

La Sabina è la zona del Lazio avente per capoluogo Rieti che comprende i Monti Sabini, la conca di Rieti, la media e bassa valle del Turano, parte delle valli del fiume Velino, del Salto, del Tevere e dell’Aniene. Quest’area offre un contributo individuabile nella gastronomia laziale e risente della vicinanza con l’Abruzzo, terra che ha fornito piatti e influenze. Del paese del Reatino sono tipici i ben noti “spaghetti o bucatini all’amatriciana” provenienti da Amatrice, un paese che fino a non moltissimi anni fa apparteneva alla provincia dell'Aquila, era cioè in Abruzzo, e adesso, invece, appartiene alla provincia di Rieti e la famosa mortadella di Amatrice: un salame crudo di carne di maiale ripetutamente passato alla macchina sino a ricavarne una pasta molto fine.Quasi tutto il territorio della zona è produttivo: cereali (rinomato il grano di Rieti), olivi, vite, ma anche patate, barbabietole, alberi da frutto e foraggi che rendono possibile un notevole allevamento di bestiame.
Ne consegue che nella gastronomia di questa terra si registra un intenso consumo di carne che viene cucinata spesso bollita e offerta in composizione mista molto ricca di ogni parte dell’animale. In alcuni locali il bollito misto prende il nome di “fregnacce”. In tutta la regione si mangia robusto e sapido e ovunque si incontrano sapori genuini e popolari. Qui si trovano ancora paste fatte a mano assolutamente straordinarie come i “ciufulitti”, una specie di rigatoni spesso conditi con rigaglie e pomodoro. Le minestre, invece, prima fra tutte la “pasta e ceci”, sono varie e sono legate agli ortaggi ed ai legumi. Mentre ricche e fantasiose sono le frittate e molto diffusi i formaggi tra i quali primeggiano il pecorino e le caciotte. Fra i latticini,la ricotta è quella che meglio si adatta agli usi della cucina, essendo innumerevoli le preparazioni che si prestano al suo impiego. In provincia di Rieti, inoltre, è da ricordare la raccolta del tartufo praticata da tempo immemorabile.
Come in tutte le campagne laziali anche in questa zona è presente la “pizza ricresciuta di Pasqua”, ereditata dalla vicina Umbria. Ma, c’è da dire che i prodotti dolciari locali sono pochi, non molto originali e sempre legati alle festività religiose.

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Latina e il suo territorio, la semplicità del gusto

La cucina di questa zona può essere suddivisa in due parti: cucina di terra e cucina di mare. Quella di terra propone i cibi tipici di tutta la regione senza particolari tradizioni, anche perché si tratta di una zona molto giovane. Ma, tutti i prodotti
agricoli presenti nelle colture di questa terra concorrono a offrire piatti saporiti e genuini, poveri ma gustosi, piatti importati dalla Capitale la cui cucina domina su tutto il Lazio. Fra i prodotti tipici ricordiamo le eccellenti mozzarelle di Latina, il prosciutto di Bassiano, un borgo della provincia di Latina. Indiscussa l'eccellenza delle salsicce di Monte San Biagio e di altri paesi della provincia di Latina. Intensa è la produzione di formaggi, fra i quali è certamente il pecorino quello più diffuso e apprezzato. E, infine, ricordiamo le celebri olive di Gaeta anche per l'uso che se ne fa in cucina, oltre che per la possibilità di cibarsene come appetizers. Il pesce e i crostacei, invece, tra i quali dominano le aragoste, sono cucinati
soprattutto alla brace, per conservarne la meravigliosa fragranza. Ottima la pasta cucinata in vario modo: alla pescatora, alle vongole, ai frutti di mare. Inoltre, in questa zona il gelato vanta una buona tradizione: una vera specialità è quello di marroni, che provengono in tutto il Lazio soprattutto dalla zona dei Monti Cimini. Fra i dolci popolari va nominata la “pizza dolce”, una torta ricca di sapori e calorie.

Dal Progetto: "Salute & Gusto" di Valentina Conti

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Abbacchio Romano IGP

Abbacchio Romano
Abbacchio Romano

Nella tradizione gastronomica romana viene cucinato arrosto o in umido, vale a dire “alla cacciatora” con il pomodoro, o ancora in fricassea con le uova. Nel primo caso si sceglierà di abbinare al piatto un vino rosso di medio corpo, preferibilmente giovane; con l’agnello in umido si preferirà un rosso di maggior corpo, anche brevemente invecchiato.
Il nome abbacchio, con tutta probabilità, deriva dal latino baculum, termine che designava il palo cui venivano assicurati gli agnelli per non farli scappare (legati appunto ad baculum). A Roma e provincia, in particolare, l’abbacchio è l’agnello da latte o, almeno, così era una volta, mentre oggi sono chiamati abbacchi anche gli esemplari già svezzati. Pertanto, gli abbacchi più pregiati sono gli agnelli macellati ancora “lattonzoli”, ossia non superiori al mese di vita, mentre di minor valore commerciale risultano quelli di circa due mesi di età. La carne dell’abbacchio da latte si riconosce perché è molto chiara, rosa pallidissimo tendente al bianco, ed è tenerissima. Con il procedere delle settimane il colore rosa si fa più intenso e tende al rosso.

In cucina:
La tradizione italiana vuole che l’agnello venga cucinato a lungo in modo che le carni siano cotte in profondità. Questo non significa farle disidratare: devono mantenersi morbidissime e, al tempo stesso, risultare cotte uniformemente. Una nuova tendenza alimentare propone l’agnello, in pratica il carré, cucinato lasciando la sezione interna della carne quasi cruda. In realtà, l’agnello preparato in questo modo presenta una polpa tendente al rosso; pertanto non si tratta di un lattonzolo, ma di un esemplare di più settimane, che può essere cotto come una carne rossa. Quello da latte, invece, si cucina in profondità, come tutte le carni bianche e come tradizione vuole.

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Carciofo romanesco IGP

Carciofo romanesco
Carciofo romanesco

Si consuma preferibilmente cotto come ingrediente di svariate ricette. Il sapore del carciofo si abbina a fatica a quello del vino, in quanto è allappante e astringente; di fatto però la cottura tende ad addolcire il carciofo, così da poterlo abbinare a vini bianchi morbidi.

La coltivazione del carciofo nel Lazio, e in genere nell’Italia centrale, è stata introdotta dagli Etruschi come confermano alcune testimonianze archeologiche rinvenute nella necropoli etrusca di Tarquinia.
Il Carciofo Romanesco IGP presenta le varietà Castellammare e Campagnano: il primo è molto precoce, mentre il secondo è a maturazione tardiva. Il romanesco è in genere riconoscibile per le dimensioni accentuate, i capolini (ossia l’infiorescenza) dotati di forma sferica, di colore verde, talvolta violaceo, ed è senza spine. Il sapore è leggermente erbaceo e al tempo stesso amarognolo; il gusto si addolcisce con la cottura e il calice del capolino si rivela piacevolmente “carnoso”.

In cucina:
I carciofi romaneschi hanno il fondo spesso e pertanto sono particolarmente pregiati. Si consumano cotti perché crudi hanno sapore erbaceo spiccato. In genere sono i carciofi con le spine i più adatti alle preparazioni crude. In Lazio si cucina “alla romana”, ossia disposto in una teglia, ben mondato, con la punta verso il basso, coperto d’olio, acqua e cotto in forno. L’altro modo di cucinarlo è “alla giudia”, ossia fritto intero, facendolo aprire a fiore.

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Marrone Segnino [prodotto tipico]

Marrone Segnino
Marrone Segnino

Si consuma fresco, secco, arrosto, lesso o candito. Se ne fanno creme, dolci, in particolare marron glacé, e farine. Buoni e saporiti, i marroni cotti si abbinano a vini rossi giovani, fruttati, discretamente alcolici, tannici e di buona struttura.

Quello di Segni è un marrone di grandi dimensioni e forma ovale; la buccia è lucida e bruno-rossiccia, con striature di varie tonalità. La polpa è color crema, croccante e compatta, che una volta cotta diventa farinosa e pastosa. Il seme è ricco di amido e ricoperto da una buccia rossastra, facilmente separabile dal frutto. Profuma di legno e sottobosco, di sapore intenso e dolce ma con un leggero fondo amarognolo. Differisce dalle comuni castagne per il fatto di essere più grosso e avere un gusto più accentuato, e ogni riccio custodisce un unico frutto. L’importanza di questo frutto per Segni è testimoniata dall’attenzione che viene dedicata all’organizzazione della tradizionale Sagra del Marrone che si svolge a metà ottobre: una rivisitazione di un palio medioevale che fa da sfondo alla degustazione di prodotti a base di marroni (dai primi piatti con farina di marroni ai secondi di carne insaporiti con marroni, per terminare con i dolci).

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Finocchio di Tarquinia [prodotto tipico]

Finocchio di Tarquinia
Finocchio di Tarquinia

Il Finocchio di Tarquinia appartiene alla varietà Foeniculum vulgare, della famiglia delle Ombrellifere. Il nome dell’ortaggio deriva dal latino feniculum, ovvero “fieno”; è un ortaggio di origine mediterranea, diffuso sia allo stato selvatico sia di coltura. Il Finocchio di Tarquinia possiede foglie ampie e fiori gialli; i frutti, erroneamente detti semi, sono usati come aromatizzanti in pasticceria e nella produzione di liquori. Presenta colore bianco-verde, con profumo intenso e persistente, tipicamente aniciato; il sapore è dolce, gustoso e la consistenza soda e croccante. Il finocchio è difficilmente abbinabile al vino; non a caso anticamente era pratica comune per i venditori di vino far assaggiare ai potenziali clienti il finocchio, in modo che i difetti del vino non venissero percepiti: da qui il termine “infinocchiare”.

In cucina:
Il Finocchio di Tarquinia è ottimo consumato crudo in insalata, condito con olio e sale o in pinzimonio, ma è eccellente anche cotto, bollito, al vapore o gratinato.

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Coda alla vaccinara

Nota:
La coda alla vaccinara è un saporito piatto della cucina romana popolare, e come per tutte le ricette tradizionali esistono mille varianti della ricetta, più o meno ricche o semplici. Noi ve ne proponiamo una versione piuttosto semplice e “povera”, ma molto facile [***] da fare.

Coda alla vaccinara
Coda alla vaccinara

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 1 Kg. di coda di bue
punto elenco 800 gr. di polpa di pomodoro
punto elenco 100 gr. di prosciutto cotto (in un unica fetta)
punto elenco un ciuffo di prezzemolo
punto elenco una cipolla
punto elenco una carota
punto elenco una costa di sedano
punto elenco uno spicchio d'aglio
punto elenco mezzo bicchiere di vino bianco
punto elenco olio d'oliva
punto elenco sale
punto elenco pepe

Tempo di preparazione: 3 ore e mezzo

Preparazione della carne:
Fate spurgare la coda di bue, tagliata a pezzi per 4 ore in acqua abbondante e fredda.

Quindi:
Mettere i pezzetti di coda di bue spurgati in una casseruola con abbondante acqua fredda e portare ad ebollizione. Sbollentare la carne per una decina di minuti. Mettere i pezzi di coda in un'altra casseruola con abbondante acqua fredda salata [sale grosso]. Far prendere l'ebollizione e schiumare, quindi aggiungere le verdure aromatiche e continuare la cottura a fuoco moderato per 3 ore.
Ora fate un soffritto mescolate e fate insaporire la carne, bagnare col vino e farlo evaporare. Mescolarvi il pomodoro, condire con sale, pepe e continuare la cottura per circa un'ora. Importante durante la cottura allungare la salsa, se restringe troppo, col brodo di cottura della coda.
La coda alla vaccinara è pronta!!!!!

Preparazione:
Tagliate la coda a pezzi e lavateli bene sotto l'acqua fredda, scolateli e metteteli a cuocere in acqua bollente per una ventina di minuti, scolateli e teneteli da parte. Preparate un trito di cipolla, aglio, carota e prezzemolo e fatelo imbiondire in una casseruola con 5 cucchiai di olio, unitevi il prosciutto tagliato a dadini e dopo qualche istante la coda. Fate rosolare, salate, pepate e bagnate col vino, che farete sfumare a fuoco vivace. Aggiungete il pomodoro, girate bene e coprite; continuate la cottura a fuoco lento per due ore e mezzo. Unite ora il sedano a fettine e continuate la cottura per ulteriori 20 minuti, aggiungendo del brodo [quello di cottura della coda] se necessario.
Accompagnata da tagliatelline all'uovo condite con semplice burro, sarà un ottimo piatto unico.

[***] Nota di cuocopercaso62:Non molto facile...

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Carciofi alla romana

Nota:
Questo piatto si prepara tradizionalmente con i carciofi romani, detti anche "margherite", che sono senza spine. Un piatto semplice e gustoso, che prevede però carciofi ben sodi
e teneri.

Carciofi alla romana
Carciofi alla romana

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 4 carciofi Margerita
punto elenco 4 cucchiai di olio d'oliva
punto elenco 1 spicchi d'aglio
punto elenco un ciuffo di prezzemolo
punto elenco 2 ramaioli di brodo
punto elenco sale
punto elenco pepe

Tempo di preparazione: 20 minuti

Preparazione:
Lavate i carciofi e mondateli dei gambi e delle foglie più dure, poi tagliate la parte alta fino ad ottenere il "cuore" che deve essere di nuovo sciacquato sotto l'acqua corrente Sistemate i cuori in un pentolino alto e non troppo largo, con l'olio sotto. Tritate aglio e prezzemolo e sistematelo sopra ai carciofi, fateli quindi cuocere a fuoco lento coperti. Dopo 5 minuti aggiungete il brodo e coprite di nuovo, portate a cottura. Potete servirli caldi o freddi.

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Penne all'arrabbiata

Nota:
Le penne all’arrabbiata fanno parte della tradizione culinaria Romana, che ci regala un altro piatto fatto proprio, nonostante sia stato preparato in molte altre regioni italiane; una specialità semplice dai sapori decisi.

Penne all'arrabbiata
Penne all'arrabbiata

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 400 gr. di penne rigate
punto elenco 500 gr. di polpa di pomodoro
punto elenco mezza cipolla
punto elenco peperoncino
punto elenco olio extravergine d'oliva
punto elenco sale
punto elenco pepe

Tempo di preparazione: 20 minuti

Preparazione:
In un tegame con l'olio, soffriggete la cipolla finemente tritata e fatela imbiondire, aggiungete la polpa di pomodoro e il peperoncino (quanto ne volete), aggiustate di sale e lasciate cuocere per qualche minuto. Nel frattempo cuocete le penne in abbondante acqua salata, scolatele al dente e versatele nel tegame con il sugo, rigirandole qualche minuto per insaporirle.

Variante: Molte ricette riportano l'uso di uno spicchio d'aglio e uno scalogno al posto della cipolla, da provare.

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Supplì di riso

Ingredienti per 6 persone:

punto elenco 300 gr. di riso
punto elenco 100 gr. di mozzarella di bufala
punto elenco 100 gr. di burro
punto elenco 80 gr. di vitello
punto elenco 50 gr. di animelle
punto elenco 50 gr. di cuore di vitello
punto elenco 50 gr di fegatini di pollo
punto elenco 25 g di funghi
punto elenco 1 cipolla
punto elenco 1/2 bicchiere di latte
punto elenco 2 cucchiai di parmigiano
punto elenco 2 uova
punto elenco 1/2 bicchiere di vino bianco
punto elenco 1 cucchiaio di strutto
punto elenco 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro
punto elenco pane grattugiato
punto elenco olio per friggere
punto elenco farina
punto elenco sale

Supplì di riso
Supplì di riso

Tempo di preparazione: 90 minuti circa

Preparazione:
Ammorbidite i funghi in acqua tiepida. Mettete a bollire in una pentola, 1/2 litro di acqua salata con 70 gr di burro. Al bollore, aggiungete il riso e cuocetelo mescolando di tanto in tanto. A cottura ultimata, toglietelo dal fuoco e aggiungetevi 2 uova e il parmigiano grattugiato. Versatelo in un grande piatto di portata, stendetelo in modo uniforme e lasciatelo raffreddare. Intanto, mettete sul fuoco in una casseruola, il rimanente burro, lo strutto, 1/4 di cipolla tritata, il cuore, i fegatini, il vitello, le animelle e i funghi tagliati a pezzettini, rosolate per alcuni minuti, poi aggiungete il vino bianco, che farete asciugare e il concentrato di pomodoro sciolto in poca acqua. Regolate di sale. Continuate la cottura, fino a quando il sugo si sarà ristretto, aggiungete la farina, mescolate bene e continuate la cottura per qualche minuto, infine togliete dal fuoco. Preparate la mozzarella a pezzetti. Prendete con un cucchiaio tanto riso quanto un uovo, arrotondatelo bene dandogli la forma di una crocchetta, con l'indice fate un buco abbastanza profondo e riempite con il ragù preparato e qualche pezzetto di mozzarella. Richiudete con un po' di riso e passate il supplì nel pane grattugiato facendolo aderire bene. Friggete in padella con olio ben caldo.

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