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Ricette d'autore...

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...Ovvero, le ricette trovate su libri antichi.

Nota: tutte le ricette sono, volutamente, copiate e trascritte così come si trovano sui libri, Errori compresi, parole antiquate, ecc. ecc. :-)

Titoli delle ricette / consigli / suggerimenti
Per fare berlingozzi alla senese Utilizzo della carne A tavola con i De Medici La cucina nella Roma antica
Per fare zucche fritte Per fare brodo lardieri de salvaticina Firenze del '500 Gli ingredienti
Patina de cucurbitas Per cocer capponi, fasani et altri volatili Per fare torta bianca de riso Il sale e le spezie
In molti modi Per fare ogni bello arrosto Per fare uno migliaccio Il pane
Per far la zucca fritta Per fare peperata de salvaticina Per fare brasiole de carne de vitello Il vino
Minestra di zucca Biscottini di pasta di mandorle Per fare menestra de farro Alcune ricette
De fungi Biscotti di farina di riso    
Metodi per cucinare i funghi      
Lo spignolo      
I funghi      
De’ funghi      

Per fare zucche fritte

Piglia le zuccolle tenere che non siano molto grosse, e poi che le avrai rasate le taglierai in fette sottili e le distenderai, gettandogli sopra del sale, tanto che piglino un poco detto sale. Poi friggerai in olio o butirro, secondo che vorrai, infarinandole però prima. E poi che seranno fritte le imbandirai ponendogli sopra finocchi freschi sgranati o agresto.

Cristoforo da Messisbugo da “Libro novo” (1559)

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Patina de cucurbitas

Metti in una padella le fette di zucca lessate e poi fritte, irrorale di salsa di cumino e aggiungi sopra un po’ di olio. Fai cuocere e servi.

Marco Gavio Apicio da “De re coquinaria” (I secolo d.C.)

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In molti modi

La zucca, che da’ Latini vien detta cucurbita, è molto in consuetudine nelli cibi dell’omo, cotta in minestre in torte in frittelle, con la carne con l’olio con il formaio et in molti modi como bene si puol considerare appresso de buoni cuochi.

Costanzo Felici da “Lettera sulle insalate” (1564)

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Per far la zucca fritta

Farai così: taglierai la zucca per lungo a modo e grossezza di stringhe di maccheroni. Mettila poi in una conca e quando sarà stata per un’ora mettila sopra una tavola a scolare con un peso sopra acciò scoli bene, infarinala poi e friggila in olio bollente.

Francesco Gaudenzio da “Il Panunto toscano” (1705)

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Minestra di zucca

Fate cuocere la zucca tanto che non vi resti più umido e che sia tutta sfatta; dopo butirro e sale fatele fare del sugo, a parte fate scaldare del latte al bisogno e vi metterete il zuccaro che vi piace e l’unirete alla zucca, e avanti di metterla nel piatto vi metterete sotto fette di pane e la farete scaldare a piccolo fuoco nel medesimo piatto.

Anonimo reggiano da “Libro di casa” (1750 circa)

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De fungi

Li fungi voleno essere alesati e con quelli bullire i piri o freschi o sechi che de loro sono triaca, specialmente i salvatici, overo pezzi di pane cum uno poco de calamento. Dopo se manze cum bone spetie, dolce o forte, olio o sale.

Michele Savonarola da “Libretti de tutte le cose che se magnano” (1450)

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Metodi per cucinare i funghi

In primo luogo si devono cuocere in acqua insieme con quella parte succosa del peduncolo con la quale sono attaccati al terreno, con mollica di pane, con pere o con germogli e piccioli di pere. Alcuni vi mettono l’aglio, ritenendo che sia efficace contro il veleno. Lessati e salati si friggono nell’olio o nello strutto. Come sono fritti, si spruzzano con agliata o con salsa verde. C’è chi li cuoce alla brace dopo averli voltati e rivoltati e poi se li mangia cosparsi di pepe e cannella.

Bartolomeo Platina da “De honesta voluptate” (1474)

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Lo spignolo

Lo Spignolo ai giorni nostri è il fungo più pregiato e di maggior prezzo. Sono commestibili sia crudi che cotti, alla brace e coi sughi, freschi e secchi.

Costanzo Felici da “Lectio nona de fungis” (1571)

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I funghi

Quei che sono buoni mangiandone troppa quantità soffocano. Quei che si salano diventano sicuri col beneficio del sale. Bisogna mangiarne molto pochi e bevergli appresso vin buono ma in poca quantità.

Baldassarre Pisanelli da “Trattato della natura de’ cibi” (1611)

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De’ funghi

Si servono i funghi con butirro, o olio, un senso d’aglio, prezzemolo, acciughe, pepe e sugo di limone. Si servono con culì di prosciutto, o gambari. Si friggono in pastetta o infarinati e dorati. Se ne fanno zuppe. Si usano nei ragù. Se ne fanno salse.

Vincenzo Corrado da “Il cuoco galante” (1786)

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Per dare ad intender qual carne merita andare arrosto et quale allesso.

Carne grossa di bove et de vacca vole esser allessa; carne de vitello, zioè il pecto davanti è bono allesso, et la lonza arrosto, et le cosse in polpette. Carne de castrone tutta è bona allesso, salvo la spalla, che è bona arrosto, et etiamdio la cossa. Carne de porco non è sana in nullo modo; pur la schina vole essere arrosto quando è fresco con cepolle, et il resto per salare o come ti piace. Carne di capretto è tutta bona allesso et arrosto; ma la parte de drieto è meglio arrosto. Similemente è l'agnello. Carne de capra è bona del mese de jennaro con la agliata. De la carne del cervo la parte denanzi è bona in brodo lardieri, le lonze se potono far arrosto, et le cosse son bone in pastello secco o in polpette. Similemente è bona la carne del capriolo. Carne de porco salvatico vole esser in peperata, o in civero, o in brodo lardieri. Carne de lepore è tutta bona arrosta, ma la parte de drieto è migliore, et la parte denanzi è bona in sapore, come è dicto. Carne de coniglio è meglio arrosto che in niuno altro modo, et li lumbi sonno la miglior parte di esso. Carne di urso è bona in pastelli.

Maestro Martino da "Libro de arte coquinaria" (sec. XV)

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Per cocer capponi, fasani et altri volatili.

Cicerone, over cigno, ocha, anetra, grua, ocha salvatica, airone et cicogna vogliono essere arrosto piene de aglio o cepolle et altre bone chose. Pavoni, fasani, coturnici, starne, galline salvatiche, pedarelli, quaglie, turdi, merule et tutti li altri boni ucelli vogliono esser arrosto. Pollastri arrosto. Pipioni son boni allesso, ma arrosto son migliori. Palumbi salvatichi son boni arrosto, ma son migliori allesso con pepe et salvia. Cappone bono vole esser allesso, et quando è ben grasso vole esser arrosto; similemente è la gallina. Per haver ogni carne bella allesso. Chi vole haver bella carne allesso la deve dividere in pezi come gli piace, et porla a mollo in aqua fresca per spatio de una hora, poi lavarla bene con aqua calda, et poi iterum con aqua fresca, et ponerla al foco in un caldaro dove non stia a stretto aziò che rimanghi più bianca. Poi gli devi ponere el sale secondo che è necessario, et schiumarla bene sopratutto; et se il sale non fosse netto, ponilo in una pocha d'acqua calda, che in breve spatio serrà dileguato, et converso in salimora, la quale come sia rasectata se potrà poner nel caldaro pianamente, aziò che non ve andassi la terra, che serrà sul fondo; et se la carne fusse vecchia et dura, specialmente cappone et gallina, cavala parechie volte da l'aqua bollente, et rinfredala ne l'aqua fresca, et in questo modo serrà più bella et più presto cotta.

Maestro Martino da "Libro de arte coquinaria" (sec. XV)

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Per fare ogni bello arrosto.

Per fare bello arrosto de pollastri, de capponi, de capretti, o de qualunche altra carne che meriti esser arrosta: prima, se fosse carne grossa, fagli trare un boglio, excepto se fosse de vitello giovine, et poi lardala, come se fanno li arrosti; se fosse cappone, fasano, pollastro, capretto, o qualunch'altra carne, che meriti arrosto, fa' che sia ben netta et polita, poi mettila in aqua bollente, et subito cavala fore, et ponila in aqua freda, et questo se fa aziò che sia più bella, et meglio se possa conciare; poi lardala, zioè con lardo bactuto, et altre chose convenienti odorifere onta bene, secondo el gusto del tuo Signore; et drento se te piace gli poni de bone herbe con prune secche, marasche, et viscioli o, in tempo, de l'agresto, et altre chose simile; poi mittila ordinatamente nel speto, et ponila al foco, et daglilo nel principio ad ascio ad ascio, perché sia bello et bono arrosto se deve cocere pian piano; et quando ti pare che sia presso che cotto, piglia un pane bianco, et grattugialo menuto, et con esso pane mescola tanto sale quanto te pare necessario per lo arrosto; poi gitta questa mescolanza de pane et de sale sopra lo arrosto in modo che ne vadi in ogni loco; poi dalli una bona calda de foco, facendolo voltar presto; et in questo modo haverai el tuo arrosto bello et colorito. De poi mandalo a tabula; quanto più presto, è meglio.

Maestro Martino da "Libro de arte coquinaria" (sec. XV)

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Per fare berlingozzi alla senese

Impastinsi libre tre di fior di farina con sedici uova ben battute et un poco di sale, facendo di modo che la pasta sia più presto tenera che soda; poi d’essa pasta faccisene una ciambellotta tonda; bagnisi amendue le pizze di chiare d’ova battute, acciocché s’attacchino insieme, infarinisi la pala del forno e pongasi sopra la ciambellotta e taglisi in tre luoghi e diasegli il colore con ove battute e subito si spolverizzi di zuccaro e ponghisino al forno che sia ben netto et alquanto caldetto; e come si comincia ad alzare e pigliare il colore, pongasi sopra uno sfoglio di carta, e cotta che sarà servasi calda, perché quando è fredda non è così buona, e non è così ghiaccente e saporita.

Bartolomeo Scappi da “Opera” (1570)

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Biscottini di pasta di mandorle e farina d’amido

Pigliarai due libre di mandole ambrosine pelate, e biscottate in una teglia a fuoco lento, acciò non piglino il color rosso; pestate nel mortaro, li aggiongerai quattro once di fior di cedro, una libra di zuccaro fino, una libra e meza d’amido tamisato; ben pestata ogni cosa insieme, li aggiongerai sei chiare d’ova; e se vorrai mettervi un grano di muschio, o d’ambra, sarà a beneplacito; ed incorporando questi ingredienti, ne farai pasta, preparando una padella grande da forno, polverizzandola di farina, le disporrai dentro i biscottini, grandi come ducatoni, o a beneplacito, avertendo che il forno sia caldo a porzione, lasciando alquanto mitigare (se farà bisogno) l’attività del calore.

Bartolomeo Stefani da “L’arte di ben cucinare” (1662)

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Biscotti di farina di riso

Prendete 2 once farina di riso e mettetela con 6 once zuccaro fino, quattro rossi d’ovo, un pizzicotto cedrone grattato. Battete tutto assieme in un mortaio per un quarto d’ora, dopo aggiungete otto bianchi d’ovo sbattuti bene e metteteli nelle cassette di carta unte con butirro e cuoceteli in forno dolce; dopo che saranno freddati li leverete e vi farete sopra un diaccio con bianco d’ovo, un cucchiaro zuccaro finissimo e un poco di cedrone grattato e battetelo bene che venga in spuma e mettetela sopra a detti e fateli seccare in forno.

Anonimo reggiano da “Libro contenente la maniera di cucinare” (1700)

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Per fare peperata de salvaticina

Per fare bona peperata de capriolo, o lepore, o porco salvatico, o d'altra salvagina, piglia tanta aqua, quanto vino roscio, et lavavi bene drente la carne; dapoi passa questa lavatura per la stamigna  agiongendoli tanto sale quanto te pare necessario; et poni a cocere la carne in la dicta aqua et vino; et quando è cotta cacciala fora, et volendone fare duo piattelli, tolli una libra et meza de uva passa, et falla pistare molto bene, et togli altrectanto pane tagliato in fette brusculato bene sopra la graticula, et ben mogliato in bono aceto pistalo insemi con dicta uva passa, et potendo havere del sangue, overo la coratella de la salvagina, sarebe optimo pestarla con queste chose, le quale ben peste se deve distemperare col brodo di questa carne, con un poco de sapa, zioè vino cotto in mosto, et coll'aceto dove è mollato el pane; dapoi passa questa materia per la stamigna in una pignatta, giungendoli spetie, pepero, garofali et cannella, over cinnamomo, secundo te parrà necessario; et questa peperata falla forte o dolce de aceto, et de spetie, secundo el gusto commune, o del tuo Signore. Dapoi falla bollire per spatio de meza hora sopra la brascia, in modo che non habia più foco da una parte che dall'altra, menandola spesse volte col cocchiaro; dapoi frigi la carne predicta con bono lardo, et spartila ne li piattelli, et coprila de la prefata peperata la qual quanto è più negra tanto è più bella.

Maestro Martino da "Libro de arte coquinaria" (sec. XV)

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Per fare brodo lardieri de salvaticina

Per far brodo lardiero de ogni carne salvacina: in prima lava la carne in bon vino bianco mescolato con altrectanto aqua, et passa la lavatura per la stamigna, con la quale ponirai a cocere la dicta carne, agiongendovi bona quantità de lardo, tagliato in pezoli piccoli come dadi da giucare, et ponigli etiamdio bona quantità de salvia rotta con mano in tre o in quattro pezi; et quando è presso che cotta, poneraili de bone spetie, come se dice de sopra. Et per far che 'l brodo sia un poco spesso, togli duo o tre rosci d'ova, secondo la quantità et altrettante fette di pane ben brusculate al foco, et non troppo o niente abrusciate, ma solamente secche, et fane polvere; poi togli un poco de brodo, et distempera queste chose inseme, et ponile nel brodo; et possendo haver del sangue overo la coratella de la salvacina, pestala bene, et ponila a cocere nel prefato brodo, el serrà assai migliore. Ma nota che se del dicto brodo tu vorrai fare piattelli, la carne vole esser tagliata in pezi grossi de una libra o di meza; et volendone fare minestre, vole esser tagliata minuta. Nota etiamdio che la carne da far peperata, et da far brodo lardiero, se coce in la lavatura per non perdere quel sangue che esce fuori lavandola.

Maestro Martino da "Libro de arte coquinaria" (sec. XV)

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Nella cucina di Roma antica

Gli ingredienti

Ruta:
Suffrucite ruderale delle Rutacee ( Ruta graveolens) di odore nauseante,con foglie composte e fiori piccoli,gialli,in corimbi terminali; trova diversi impieghi in medicina per le sue proprietà antielmintiche,ipotensive e sedative.

Santoreggia:
Erba aromatica delle Labiate ( satureia hortensis), con foglie lanceolate, fiori rosei, profumati, coltivata negli orti; si usa in profumeria e in liquoreria o in cucina come aromatizzante di condimenti.

Silfio:
Nome che i Greci davano ad una pianta della Pirenaica, alta sino a tre metri dalle foglie caratteristiche a forma di coppa ove ristagna l’acqua piovana e fiori in capolini gialli ed il suo succo veniva utilizzato in medicina e in culinaria.

Coriandolo:
Pianta erbacea delle Ombrellifere ( Coriandrum satinum), con foglie pennate, fiori bianchi o rosa in ombrelle, i cui frutti a forte sapore aromatico, se secchi, vengono usati in cucina, in liquoreria e anche in medicina.

Levistico:
Pianta erbacea delle Ombrellifere ( Levisticum officinale), nota con il nome di sedano di montagna.

Cumino:
Pianta erbacea delle Ombrellifere ( Cuminum cyminum), con foglie laciniate, fiori bianchi o rosei in ombrelle composte, frutti contenenti diversi semi aromatici, usati in cucina per condimento, in liquoreria per la preparazione del kummel, e in medicina come tonici e diuretici.

Timo:
Piccolo arbusto delle Labiate ( Thymus vulgaris), spontaneo nei luoghi aridi della regione mediterranea e coltivato come pianta per condimento o per estrarne l’essenza; ha foglie piccole a forma di Losanga, tormentose nella pagina inferiore, fiori rosei in spicastri.

Origano:
Erba aromatica delle Labiate ( Origanum vulgare), pelosa, spesso rossastra con foglie ovali crenate, fiori color rosa in spicastri riuniti in pannocchie o corimbi, le une e gli altri usati in cucina come spezie e per aromatizzare la pasta di acciughe nonché in liquoreria.

Porro:
Pianta erbacea delle Liliacee ( Allium ampeloprasum): varietà di aglio di cui si consumano oltre al bulbo anche le parti inferiori delle foglie, sia crude, specialmente come ingredienti di salse e vivande.

Finocchio
Pianta erbacea delle Ombrellifere ( Foeniculum vulgare o hanetum foeniculum), con steli eretti, scanalati e carnosi; foglie alterne pennatosette, abbraccianti il fusto con guaine dilatate carnose, che costituiscono il caratteristico corpo (o grumolo), una parte cioè che comunemente viene consumata come ortaggio, fiori piccoli, gialli, in ombrelle, frutti a diachenio, o con semi aromatici.

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Il sale e le spezie

punto elenco Il sale per i Romani non era solo un “condimento” ma anche un vero e proprio alimento. Era persino un sistema di pagamento e i soldati lo ricevevano anche come completamento della paga.
punto elenco Le spezie durante l’ impero ebbero un’ enorme importanza per le mense dei ricchi; venivano importate da Asia, India e Africa.
punto elenco I Romani facevano abbondante uso di spezie nella preparazione dei vari cibi.
punto elenco Oggi, parlando di spezie, vengono in mente solo i condimenti del cibo ma gli scrittori classici per spezie intendevano anche le polveri aromatiche, i cosmetici, gli oli speciali e i profumi.
punto elenco Apicio ci fa capire che per i buongustai romani la funzione delle spezie era soprattutto quella di conservare i cibi, di aromatizzarli e di insaporirli.
punto elenco Apicio considerava le spezie come condimento moderno. Le più usate di queste sono pepe, ligustro, cumino, laser, origano, alloro, maggiorana, zenzero, santoreggia, resta, prezzemolo e rosmarino.
punto elenco I testi scientifici dell’ epoca citano piante di spezie e relativi prodotti usati comunemente nella cucina dell’ epoca imperiale: sono circa 180 fra noti e meno noti.
punto elenco Augusto aveva persino creata una flotta speciale che raggiungeva l’ estremo oriente.
punto elenco La base di smistamento della maggior parte delle spezie era Alessandria d’ Egitto: qui confluivano i carichi arrivati per terra e per mare.
punto elenco Tra le spezie maggiormente usate e provenienti da lontane terre troviamo lo zafferano che proveniva dalla Cilicia e il pepe che era l’ articolo più importante per il suo largo consumo; veniva utilizzato su qualsiasi alimento, dai dolci, alle carni, alle verdure. Ne esistevano tre specie diverse: il lungo, il nero e il bianco. Soprattutto il pepe nero veniva considerato merce di prima necessità.
punto elenco Un intero quartiere di Roma veniva chiamato quartiere delle spezie ed era destinato al loro commercio.
punto elenco Lo zenzero era come una costosa rarità. Era coltivato in Asia sud orientale, ma anche in Etiopia. Si usava ancora verde mescolandolo ai cibi bolliti.
punto elenco Il laser, invece, era una specie di resina ricavata da una pianta coltivata in Libia ed era un misterioso e costosissimo ingrediente.
punto elenco Fu probabilmente la prima droga non latina ad essere consumata dai Romani.
punto elenco Il nardo proveniva dalla dalla Siria, ma se ne coltivava anche in Liguria. Le sue foglie erano utilizzate come aromatizzante. Inoltre era impiegato in medicina, in profumeria e in cucina per insaporire oltre che i cibi anche certe bevande.
punto elenco Noce e macis erano usati anche in cucina come si fa al giorno d’ oggi.
punto elenco Balsamo, incenso e mirra erano usati soprattutto in cosmetica, ma la mirra serviva anche a profumare il vino.
punto elenco Il cumino reale ha trovato il suo migliore impiego come prodotto da mescolare ad altri condimenti o da spargere sulle pagnotte appena sfornate.
punto elenco Le spezie venivano anche usate per insaporire il sale, dato che i romani lo consideravano un contorno, lo mangiavano spesso con il pane e trovavano logico cambiare e arricchire il suo sapore con le spezie. Il sale “condito” non andava a finire
tutto nei cibi, ma serviva in casa come medicinale di pronto uso per certi disturbi.
punto elenco Il sale, praticamente indispensabile e purtroppo quasi introvabile, era importantissimo e il suo commercio e il suo uso si caricarono di simboli religiosi e sociali. La fornitura di sale alla Roma repubblicana era assicurata dalle saline create dal re Anco Marzio alla foce del Tevere.
punto elenco Il sale nell’ uso quotidiano era conservato nel penus e da lì versato nelle saliere disposte sulla tavola.
punto elenco Il sale costava molto anche se, molto spesso,veniva distribuito dagli uffici annonari, e molto spesso il suo prezzo aumentava per via delle spese per trasportarlo in località molto distanti dal mare.
punto elenco Il sale che proveniva dalla salina era chiamato sal popularis e prendeva il nomadi sal mollitus o tritus quando era macinata.
 
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Il pane

Il farro, assieme ai legumi e le verdure fu alla base della alimentazione dei Romani sin dalle origini, mentre i Greci preferivano l'orzo che, però, era meno nutriente del farro visto che conteneva meno proteine e più carboidrati. A protezione di tutti i cereali i Romani avevano posto la dea Cerere e seguivano il parere di un medico, Galeno che raccomandava di lasciare da parte l'orzo, ottimo solo per i cavalli e adottare il farro che era molto più nutriente. L'orzo fu utilizzato solo nei momenti di carestia.

Il farro (triticum dicoccum) fu per circa tre secoli il cereale preferito dai Romani. Era un grano duro la cui spiga non aveva barbe, rivestito di glume molto aderenti e per queste ragioni non poteva essere trebbiato se prima non era tostato,seppure leggermente.
La tostatura fu resa obbligatoria da Numa Pompilio secondo re di Roma. Dal farro deriva il nome farina e con il farro gli sposi facevano offerte agli dei al momento del loro matrimonio. Questa unione veniva appunto chiamata confarreatio. Inizialmente il farro veniva macinato a mano usando due pietre o con il mortaio. La mola ruotante fu scoperta più tardi , fu azionata prima dagli schiavi , poi da asini e muli e, più raramente, da cavalli.
Il pane vero e proprio arrivò sulla mensa dei Romani molto tardi (IV sec a.C.) perché , in origine, con il farro si preparava solo la notissima  puls la polenta.
Plauto afferma che i Greci chiamavano i Romani "polentoni" puliphagonides.  La puls era l'alimento base e, di volta in volta, era arricchita con quel che si aveva sotto mano: legumi, formaggi, verdure, aromi, pesci sotto sale e pezzi di carne.
Con l'arrivo del frumento ,che si poteva ridurre più facilmente in farina, nacque il pane; non solo, ma i soldati, e molti altri con loro, masticavano anche crudi, durante le lunghe marce, "questi nuovi granellini " che venivano dalla Sicilia e dalle coste settentrionali dell'Africa. Man mano che Roma si arricchì si cercò di affinare la farina destinata al pane setacciandola con setacci più o meno fini di crine di cavallo che fornivano farina grossa (cibarium) media (sivigo) e finissima (flos). Nel passare dalla puls al pane (nel II sec. a.C.) si attraversò uno stadio intermedio con una specie di focaccia che si cuoceva sotto la cenere e che si mangiava con companatici diversi. Quello che veniva chiamato pane era in origine soltanto una sorta di galletta dura non lievitata, che diventava subito cattiva e che era anche costosa. Successivamente si scoprì che il pane lievitato era più digeribile, più morbido e persino più gustoso. Se ne produssero vari tipi: quello scuro, popolare (cibarius), quello integrale (prediletto da Augusto il secundarius), quello quasi bianco (panis), quello tenero (siligineus), Quello cotto allo spiedo come si faceva ad Alessandria, e il piceno cotto in vasi di coccio, il nauticus per i marinai, il militaris per il soldati combattenti, il pane al burro ad uso gallico, il pane con frutta, il pane rotondo.
Quello rotondo era il più comune e la pagnotta era divisa in quattro porzioni per via di due tagli praticati in superficie prima di essere cotto. Ovviamente il pane più raffinato non entrava in quelle distribuzioni gratuite alla plebe di cui abbiamo notizia. I soldati avevano le loro gallette, i Romani imprigionati per debiti avevano diritto a 327 grammi al giorno di pane di farro, un schiavo nel  I  a.c. a due pagnotte.
Ma se uno schiavo era incatenato ai lavori forzati riceveva l'equivalente di 1600 grammi giornalieri. I soldati in zona di guerra durante l'impero ricevevano quasi 1200 grammi al giorno, però non mangiavano mai carne si nutrivano di agli, cipolle, formaggio e lardo conservato. Le prime panetterie comparvero a Roma alla fine del III sec. a.c. quando il pane non era ancora lievitato. I panettieri man mano, per soddisfare i gusti di una clientela che diventava sempre più varia cominciarono a porre sui loro banconi pane per tutti i gusti e tutte le tasche. Produssero: un pane speciale da mangiare con le ostriche, un pane al latte, un pane alle uova, un altro insaporito al succo di uva disseccata. Focaccia e pane divennero sempre meno duri e meno acidi e fatti con grano sempre migliore, quello che affluiva dai cosiddetti granai di Roma ,l'Egitto e la Libia, macinato e setacciato con sistemi sempre più moderni. Si arrivò a produrre un tipo di pane più degno di una pasticceria che di una panetteria. Si chiamava artolaganus ed era confezionato con farina sceltissima e impastata con miele, vino, latte, olio, frutta candita a pezzetti e il solito abbondante pepe nero in grani. Nella Roma imperiale le panetterie pubbliche erano 258 e pullulavano di pasticceri, operai, garzoni, schiavi che iniziavano a lavorare molto prima che spuntasse il sole per garantire la sopravvivenza di tutti i cittadini. I prezzi erano amministrati e sul lavoro dei panettieri vigilavano i funzionari dell'Annona e gli incaricati di fornire il grano necessario alla panificazione. Gli edili controllavano giornalmente la qualità di pane che ogni panetteria doveva produrre, il prezzo praticato alla clientela e la qualità del prodotto. Il pane più semplice e meno costoso veniva ritirato dalle autorità che dovevano poi effettuare materialmente la distribuzione gratuita ai meno abbienti ( un chilo di pane a testa a tutti coloro che erano muniti dalla tessera frumentaria). I fornai che avevano in concessione la preparazione di questo pane dei poveri se la passavano piuttosto bene, ma chi aveva più inventiva, chi preparava un pane speciale, per le ricche borse guadagnava ancora di più. Il lavoro nella panetteria iniziava con la pesatura del grano alla presenza degli ispettori pubblici, poi il frumento era vuotato dagli operai nelle pesanti macine azionate da asini o, più frequentemente, da schiavi. Seguiva la setacciatura regolata a seconda del tipo di clientela da servire. Setacci a maglia stretta per ottenere farina molto fine e bianca per i tipi di pane pregiato; setacci a maglia larga per farina scura e grezza adatta a preparare il pane della plebe. Solo in epoca tardo repubblicana si era cominciato ad usare il lievito ottenuto mescolando mosto, miglio o crusca o farina acida e, in epoca più recente quello derivato dalla birra. Le impastatrici con i loro lunghi bracci di legno, erano manovrate da schiavi e poi la pasta era distribuita su assi speciali, le si dava la forma richiesta e si infornava. Alcuni tipi di pane erano ulteriormente trattati da pasticceri che li decoravano con anice, semi di papavero e di sesamo e altre essenze fissate sulla crosta con bianco d'uovo. Per i ragazzi venivano preparate piccole focacce a forma di animali, di vari oggetti, di armi, fatti con pasta variamente dolcificata. I lavoratori della panetteria se di condizione libera, godevano di una buona paga e di un orario di lavoro fissato dalle autorità. Ma la maggior parte degli operai lavorava senza limite di orario e con paga da fame e non sempre il salario veniva loro versato. Gli apprendisti accettavano queste condizioni perché dovevano imparare il mestiere, altri subivano questa sorta di ricatto nella speranza di potersi riscattare dalla condizione di schiavo. Virgilio Eurisace, un liberto, fornitore di stato, si arricchì a tal punto da potersi costruire un sepolcro monumentale presso la odierna Porta Maggiore a Roma. Nel sepolcro è stato rinvenuto un bassorilievo in cui sono riportate tutte le fasi del lavoro in una panetteria con i lavoranti, i pasticceri, le sale di macinazione, gli schiavi che lavoravano nei forni a temperature micidiali e il pane sfornato e posto sui banconi per la vendita.

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Il vino

Il vino aveva un'importanza particolare per i Romani in quanto era la bevanda più amata e concludeva tutte le cene.
Veniva prodotto sia nella qualità rossa (vinum atrum), sia nella qualità bianca (vinum candidum), era commerciato in larga scala e addirittura si formarono anche alcune cooperative per la vendita di questa bevanda ( collegium); a Roma è stata verificata l'esistenza di un porto e di un mercato attrezzati essenzialmente per la vendita del vino (portum vinarium e forum vinarium). Il Vino era raramente limpido e veniva di solito filtrato con un passino (colum), si beveva quasi sempre allungato con acqua calda o fredda (in inverno a volte anche con neve) in modo da ridurne la gradazione alcolica di solito da 15/16 a 5/6 gradi. I tipi più pregiati erano il Massico e il Falerno (dalla Campania), il Cecubo, il Volturno, l' Albano e il Sabino (dal Lazio) e il Setino; i più scadenti erano il Veietano (come tutti i vini dell'Etruria ), il Vaticano e i vini di Marsiglia ( i vini della Gallia narbonese venivano affumicati e spesso contraffatti ); vi erano anche alcuni vini resinati, ma considerati di cattiva qualità in quanto la resina si aggiungeva ai vini più scadenti in modo che si conservassero più a lungo. Sulle anfore utilizzate per il trasporto era impressa in una targhetta (pittacium) l'origine e la data di produzione per tutelare l'acquirente, anche se già in quell'epoca esistevano casi di adulterazione; ad esempio in una ricetta di Apicio si insegna a trasformare il vino rosso in bianco.
I vini aromatizzati erano chiamati Aromatites, che erano preparati all'incirca come i profumi, prima con mirra poi canna, giunco, cannella, zafferano e palma. Il Gustaticium era un aperitivo che si beveva a digiuno prima del pasto, mescolato con miele (mulsum). Il Passum era un vino fatto con uve secche usato, in genere, come medicinale. Alcune famiglie pompeiane si erano specializzate nella viticoltura e facevano invecchiare nelle cantine le anfore di mulsum. I vini invecchiati (quelli che avevano passato l'estate successiva alla data di produzione) erano di grande pregio sulle tavole dei ricchi Romani, i quali li ostentavano nei loro banchetti. Esistevano anche surrogati del vino come la lora, ricavata dalla fermentazione delle vinacce con acqua subito dopo la vendemmia e la posca, formata da acqua e vino inacidito (acetum). Il consumo del vino ebbe il suo apice durante il periodo imperiale,quando affluivano a Roma grandi quantità di vino sia italico che di importazione. I prezzi andavano dai 30 denari al sestiario (0,54 l) per i vini pregiati (Falernum, Sorrentinum,Tiburtinum), ai 16 denari al sestiario per i vini di media qualità, agli 8 denari per i vini di basso pregio. Il consumo medio di vino in un anno è stato calcolato in 140 - 180 litri a persona, questo grande consumo si pensa che sia dovuto anche al grande apporto calorico che dava alla dieta romana costituita in gran parte da cereali e vegetali.

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Alcune ricette

Ius in dentice asso [Salsa per dentice arrosto]

punto elenco piper
punto elenco ligusticum
punto elenco coriandrum
punto elenco mentam
punto elenco rutam aridam
punto elenco malum Cydonium coctum
punto elenco mel
punto elenco vinum
punto elenco liquamen
punto elenco oleum


Calefacies, amulo obligabis [Scalderai, legherai con amido]

da: De re coquinaria 460

Minutal Matianum [Pasticcio maziano]

Adicies in caccabum oleum, liquamen, cocturam, concides porrum, coriandrum esicia minuta. Spatulam porcinam coctam tessellatim concides cum sua sibi tergila.Facies ut simul cquantur. Media coctura mala Matiana purgata intrinsecus, concisa tessellatim mittes. Dum coquitur, teres piper, cuminum, coriandrum viridem vel semen, mentam, laseris radicem, soffundes acetum, mel, liquamen, defritum modice et ius de suo sibi, aceto modico temperabis. Facies ut ferveat. Cum ferbuerit, tractam confriges et ex ea obligas, piper asparges et inferes.

Traduzione: Metterai a cuocere in una terrina olio, garum,taglierai un porro, coriandolo e piccole polpette. Taglierai a pezzettini una spalla di maiale con la sua cotenna. Farai in modo che cuociano insieme. A mezza cottura aggiungerai mele Maziane pulite all’interno , tagliate a pezzettini. Durante la cottura triterai pepe, cumino, coriandolo verde o seme, menta, radice di silfio,cospargerai di aceto,miele, garum,un po’ di vino cotto, e il suo sugo, stempererai con un po’ di aceto. Porterai ad ebollizione. Quando bollirà, friggerai la sfoglia e legherai con quella, Cospargerai di pepe e servirai

da: De re coquinaria 168

Tiropatinam [Tiropatina]

Accipies lac, adversus quod patinam aestimabis, temperabis lac cum melle quasi ad lactantia, ova quinque ad sextarium mittis, si ad eminam, ova tria. In lacte dissolvis ita ut unum corpus facies, in cumana colas et igne lento coques. Cum duxerit ad se, piper aspargis et inferes.

Traduzione: Prenderai tanto latte quanto entrerà nel tegame, scioglierai latte con il miele quasi per farne un dolce al latte, metti 5 uova per sestiario ( 542 ml) o 3 per emina (271 ml). Sciogli nel latte in modo da fare un corpo unico, cola in una Cumana ( terrina bassa con coperchio) e cuoci a fuoco lento. Quando sarà rappresa cospargi di pepe e servirai.

da: De re coquinaria 302

Ova sfongia ex lacte [Omelette al latte]

Ova quattuor , lactis eminam, olei unciamin se dissolvis ita ut unum corpus facies. In patellam subtilem adicies olei modicum, facies ut bulliat et adicies impensam quam comparasti. Una parte cum fuerit coctum, in disco vertes melle perfundis , piper aspargis et inferes

Traduzione: Mescola 4 uova, un ‘ emina (271 ml) di latte un’ oncia d’olio in modo da fare un corpo unico. Metterai in una padella sottile un po’ d’olio , farai in modo che frigga e aggiungerai la mistura che hai preparato. Quando sarà cotta da una parte la girerai in un piatto, cospargi di pepe e servirai.

da: De re coquinaria 303

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A tavola con i De Medici nella Firenze del '500

Siamo nel '500, in pieno Rinascimento, nel secolo dello sfarzo, dell'opulenza, dei grandi mecenati, che amano circondarsi di artisti, pittori, letterati, musici, sarti, scalchi, paggi, saltimbanchi, e...cuochi! Nelle cucine dei palazzi si spande l'aroma delle spezie esotiche e sulle tavole riccamente imbandite compaiono per la prima volta i pomodori, le patate, il mais, il tacchino, i fagioli, il caffé, il cioccolato, e altri prodotti del Nuovo Mondo scoperto da poco. Firenze ebbe un ruolo importante in questo periodo storico, protagonisti principali i Medici, Granduchi di Toscana, che influenzarono la vita di corte europea. Caterina de'Medici portò alla corte di Francia l'arte culinaria fiorentina, quando nel 1533 s'imbarcò a Livorno quattordicenne per andare sposa al futuro Ennico II, accompagnata da sarti, gioiellieri, profumieri, cuochi e pasticcieri. I suoi gastronomi fecero scuola a generazioni di cuochi francesi, provocando una rivoluzione della tavola in Occidente e segnando l'origine della grande cucina moderna. Nella biblioteca medicea non sarà certo mancata "L'opera nova chiamata EPULARIO, la quale tratta il modo di cucinare ogni carne, uccelli, pesci etc", composta dal Maestro Giovanni de' Roselli, stampata a Venezia nel 1518. E' da quest'opera che abbiamo scelto la ricetta, come un "assaggio", per rievocare un'epoca che appartiene a Portoferraio, epoca del massimo splendore dei Medici e della nascita di Cosmopolis, per opera di Cosim. I de 'Medici, nel 1548. [quella sotto e alcune altre che seguono, tutte con la dicitura di Ricetta di: A tavola con i De Medici]

Per fare torta bianca de riso

Habbi doi libbre de mandorle monde: et ben piste et habbi uno puoco de acqua rosata er de brodo de riso quando cotto et con questo distempirai le diete mandorle et passeralle per la stamegna et pigliarai una libbra de riso. Et cotto che sia et macinarai molto bene con le mandorle, aggiungendovi doi onze de lievito biancho et uno pocho de farina de amido o vero uno poco de ova de luzzo passato per la stamegna come e dicto de sopra; et una libbra de zuccharo. Idem una onza de pignoli
mondati et rotti uno poco nel mortaro, ma non pisti; et fornita de cocere gli mettarai sopra del zuccharo er de lacqua rosata. Et nota che questa torta non vole essere troppo cota.

Ricetta di oggi

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 1l latte
punto elenco 250 gr riso
punto elenco 250 gr zucchero
punto elenco 1 baccello vaniglia
punto elenco 150 grmandorle sbucciate
punto elenco 3 uova 3
punto elenco 1/2 bicchiere rum
punto elenco 350 gr pasta sfoglia

Preparazione:
Mettere a bollire il latte con il baccello di vaniglia; unire il riso e cuocere finché non avrà assorbito tutto il latte. Dovrà avere la consistenza di un risotto. Togliere la vaniglia e aggiungere gr. 150 di zucchero, il rum, i tuorli d'uovo, e le mandorle tagliate a pezzetti e tostate leggermente. Foderare una tortiera con la pasta sfoglia, forellare sul fondo con una forchetta, e versarvi dentro il composto. A parte, fare caramellare il resto dello zucchero con un cucchiaio d'acqua, cospargere sulla superficie della torta e far cuocere in forno a 180° per circa mezz'ora.

A tavola con i De Medici: '500 circa

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Per fare uno migliaccio

Pisterai molto bene una libra di casio freschissimo tanto che te pare essere retornato lacte et haverai tre o quatro onze di fiore di farina; et ecto bianchi de ova, et mezza libra di zuccharo, miscolando queste cose et incorporandole bene insieme et haverai la padella senza pasta o crosta et in sul fondo di dentro ve metterai de bon distructo facendone uno solo che sia alto un deto o circa. Et metterai la ditta padella in su la brasia tanto chel distructo sia ben caldo et dentro ve metterai
questa tale compositione dandoli el focho temperato sotto et sopra como e dicto a laltre torte. Et quando sara cocta cavala fora et sovra ve metterai del zuccharo fino er acqua rosa.

Ricetta di oggi

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 400 gr ricotta fresca
punto elenco 75 gr farina
punto elenco 4 uova
punto elenco sale q.b
punto elenco pepe q.b.
punto elenco 70 gr strutto raffinato
punto elenco marmellata di frutti di bosco
punto elenco cannella in polvere q.b

Preparazione:
 In un recipiente lavorare bene la ricotta con la frusta. Aggiungere la farina e incorporare le uova; mescolare sino ad ottenere un composto omogeneo. Salare e pepare. Aggiungere un pizzico di cannella. In una padella di ferro per friggere, far sciogliere lo strutto e versarvi la quantità di composto necessaria per ottenere una frittata spessa circa mezzo centimetro. Far dorare da entrambe le parti. Procedere fino ad esaurimento dall'impasto. Si dovrebbero ottenere quattro grandi frittate. Lo strutto potrà essere sostituito dall'olio di oliva. Accompagnare con marmellata di frutti di bosco.

A tavola con i De Medici: '500 circa

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Per fare brasiole de carne de vitello

Per fare brasiole toglie de la carne de vitello magra de le cosse et tagliarla in fette sottile ma non troppo sottile et battile bene con la chosta delo coltello. Dopoi togli sale et fenochio overo pitartema et ponerai sopra a ogni canto de le fette et puoi mettele in soppresso per spacio de meza hora; setu hai el tempo, et doppoi mettele a rosto sopra la gratucula voltandole secondo che de bisogno tenendoli continuamente una fetta de lardo de sopra per mantenerle morbide. Et queste tale
brasiole o brasiate non debbono esser troppo cote et mangiate de subbito calde.

Ricetta di oggi

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 4 costolette di vitello
punto elenco 20 gr semi di coriandolo
punto elenco 8 fette di lardo o di pancetta
punto elenco 1 mazzo radicchio rosso
punto elenco aceto balsamico q.b
punto elenco olio extravergine di oliva
punto elenco sale q.b...
punto elenco pepe q.b.

Preparazione:
Appiattire leggermente la carne con la costola di un coltello e schiacciare i semi di coriandolo distribuendoli uniformemente sulla carne. Bardare la carne con le fette di lardo o di pancetta, ricoprendola completamente e legandola con dello spago bianco. Lasciare riposare per un po' di tempo, affinché la carne si insaporisca e cuocere a fuoco moderato sopra la griglia. Si serve, dopo aver tolto lo spago, sopra un letto di radicchio rosso condito con aceto balsamico e olio di oliva. Si possono sostituire i semi di coriandolo con dei semi di finocchio selvatico.

A tavola con i De Medici: '500 circa

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Per fare menestra de farro con brodo de carne o de cappone

La prima toglie una libra e meza, et nettalo bene et lavalo et cocilo con brodo de cappone de pollo grasso, o altro brodo et falli bollire assai et misticando lo spesso con lo cocchiaro et quando e coto mettili pepe et bone specie et toglie roscio de ova et distempera bene insieme et dopoi mettila nel dicto farro. Mescola molto bene et vole essere giallo de zafferano.

Ricetta di oggi

Ingredienti per 4 persone:

punto elenco 8 dl brodo di cappone
punto elenco 40 gr burro
punto elenco 1 cipolla rossa piccola
punto elenco 300 gr farro decorticato
punto elenco 1 bicchiere vino bianco secco
punto elenco 1 bustina zafferano
punto elenco parmigiano grattugiato abbondante
punto elenco 2 uova
punto elenco sale  q.b.
punto elenco pepe q.b.

Preparazione:
Preparare un buon brodo di cappone e carne di manzo con un bell'osso di ginocchio, come per il tradizionale pranzo di Natale. Mettere a bagno il farro, almeno la sera avanti, per farlo rinvenire. In un tegame di rame stagnato o di terracotta, far rosolare la cipolla con una noce di burro; aggiungere il farro e farlo insaporire bene nel soffritto. Bagnare con ii vino bianco, nel quale avremo fatto sciogliere lo zafferano. Lasciar evaporare e aggiungere il brodo, a poco a poco, come si fa per il
risotto. Portare a cottura. Ci vorrà più di mezz'ora. Spegnere il fuoco, aggiustare di sale, se necessario. Mantecare con il restante burro crudo e il parmigiano. Lasciar riposare per qualche minuto. Unire due tuorli d'uovo, amalgamare bene e portare in tavola. Si consiglia una spolverata di pepe macinato fresco.

A tavola con i De Medici: '500 circa

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