Le Fan Fiction di croweitalia

titolo: Operazione 'Singing Lavatory'
autrice: Lalla Usai
e-mail: lallausai@tiscalinet.it
data di edizione: 17 aprile 2003
argomento della storia: Cantacesso IV…- per leggere le altre scritte da lalla, cerca nell'indice delle fanfiction
riassunto breve: Potrebbe sembrare un sequestro di persona, invece…
lettura vietata ai minori di anni: …otto

OPERAZIONE “SINGING LAVATORY”

 

Parte prima MOSCHE DA BAR IN COSTA SMERALDA

 

E’ molto tardi, ma il barista sa che non può buttarli fuori dal locale, anche se è morto di stanchezza e si ritirerebbe molto volentieri a dormire. Sa che i miliardari vanno trattati con i guanti, anche quando sono ubriachi da non reggersi in piedi e l’orologio appeso al muro segna le tre del mattino.

Se non altro, questi sono due ubriachi tranquilli e, ringraziando il Padreterno, non gli hanno sfasciato il locale, come altre volte è capitato. Beh, tanto i ricchi pagano, per mettere tutto a tacere e non rischiare la reputazione. Ma i due, almeno in quel senso, non gli creeranno problemi. Questo è certo.

L’uomo ha tutta l’aria di uno alla sua prima sbronza, anche se, all’apparenza, dimostra una cinquantina d’anni. Il naso paonazzo spicca come una lanterna cinese sulla faccia gialla. I capelli color pannocchia, sicuramente un parrucchino, gli si drizzano sul cranio appuntito e le luci al neon baluginano sul candore abbagliante della dentiera. Indossa un giacca azzurra coi bottoni dorati da yachtman che su di lui ci sta come i cavoli a merenda. Sembrerebbe impossibile, eppure il tre alberi ancorato nel porticciolo e che porta il nome curioso di CELLULOSA è il suo: il panfilo di Giacomo Leopardi Cantacesso, che anche se sembra il due di briscola è uno degli uomini più ricchi d’Italia, il re della carta igienica.

Gli è bastata mezza bottiglia d’Amaretto di Saronno per inciuccarsi e adesso guarda di fronte a sé, con gli occhi cotti dalla sbornia, la donna.

Lei stringe tra le mani il bicchiere vuoto e altrettanto vuota è la bottiglia di bourbon che le sta davanti. E’ una finta bionda magra come un chiodo, indossa una minigonna che le scopre due gambette ossute e un top incollato alle tette inesistenti.Vista da lontano, sembra una bambina di otto anni. Vista da vicino, ne dimostra quaranta portati male.

Anche il buon Umberto Smaila, che continua stoicamente a cantare per gli unici clienti del locale, andrebbe volentieri a casa sua a dormire, tantopiù che da un paio di giorni è tormentato da un feroce mal di denti. Attacca “Tutto quello che un uomo” e i due si guardano negli occhi. Si sono parlati per ore, confidandosi i reciproci problemi, lei in inglese, lui in italiano. Nessuno dei due ha capito un’acca, ma continuano a guardarsi negli occhi…E a leggersi dentro le risposte di cui vanno alla ricerca.

Lui, con la bocca impastata dall’Amaretto di Saronno le ha raccontato che la donna di cui è da anni disperatamente innamorato, tale Allegretti Gisella, dipendente del parastato, dopo aver accettato di accompagnarlo in crociera sul suo yacht e di godersi un mese di vacanze extralusso in Costa Smeralda, non appena messo piede a terra se l’è filata con l’animatore di un villaggio Alpitour, un ragazzotto di venticinque anni con il brillantino all’orecchio, i colpi di sole e un culo che pare scolpito da Fidia. Il sospiro ha rischiato di trasformarsi in un conato di vomito e il conato di vomito si è riciclato in un sonoro ruttaccio maleodorante, ma anche la sua interlocutrice è talmente ubriaca che di sicuro non se n’è neppure accorta.

“Tu sarai la regina dei miei desideri…Tutto quello che un uomo sognare potrà…”sussurra Smaila con voce flautata. E il Cantacesso fa mentalmente sue quelle tenere parole accompagnate dagli accordi struggenti del blues.

Adesso tocca alla donna parlare. Lui si beve con occhi adoranti le sue parole, anche se non capisce quasi un accidente. E lei parla a valanga di un individuo che non chiama per nome ma that dirty bastard. Dice che continua a sopportarlo solo perché è ricco da far schifo ma, per il resto, non se la sentirebbe di augurarlo nemmeno alla sua peggiore nemica. Lo sporco bastardo in questione è uno che guarda con occhi libidinosi qualsiasi femmina tra i quindici e i sessant’anni, se la femmina ci sta, e purtroppo ci sta quasi sempre trattandosi di un gran bell’uomo, non se lo fa dire due volte, se non è fuori per lavoro è sempre in giro con quei brutti ceffi degli amici a combinare casini, se si incazza smoccola come uno scaricatore di porto e arriva anche a menare le mani, beve come dieci spugne, fuma come cento turchi, deve patire qualche grave forma di artrite al dito medio che tiene sempre rigido e puntato al cielo…E pensare che, prima del matrimonio mogio mogio le aveva promesso che sarebbe cambiato, invece…

La donna tira su col naso e continua con il suo sfogo. E’ arrivato a costringermi a dividere il letto con…con…

Il Cantacesso rizza le antenne, cerca di far emergere dai recessi della memoria il misero inglese studiato alla ragioneria. Con chi la sfortunata è stata costretta dal mostro a dividere il letto? Una sera di temporale, con un rottweiller di sessanta chili che, poverino, è terrorizzato dai tuoni. Un’altra volta con un ornitorinco, tu non hai idea di che razza di animali schifosi e puzzolenti siano gli ornitorinchi e di quanti parassiti abbiano…Gli dice che il farabutto mantiene come principesse duecento e passa vacche Angus in un orribile ranch lontano da qualsiasi forma di civiltà e che teme, prima o poi, di essere costretta a dividere il letto con qualcuno di quei puzzolenti mostri cornuti. Gli confida anche di temere che il suo uomo, villoso e barbuto come un cavernicolo, abbia addosso più pulci lui delle sue bestiacce…Cantacesso afferra qualcosa e gongola. Certo, sapere che l’uomo più desiderato della terra ha le pulci non è lo stesso che scoprirlo finocchio dichiarato, ma è comunque una bella soddisfazione.

Si versa dell’altro Amaretto di Saronno, lo butta giù come una smorfia quasi che fosse olio di fegato di merluzzo mentre lei continua a parlare di vacche, cani, pulci e ornitorinchi, brutte bestiacce con il corpo da talpa, le pinne da foca e il becco da papera, che in diecimila anni di evoluzione ancora non hanno deciso se essere mammiferi, uccelli o pesci.

Lei, che ha finito il suo whisky ma ha ancora voglia di bere, si riempie il bicchiere del micidiale intruglio zuccherino avanzato dal suo interlocutore e, dopo una smorfia, fa: “Cows, dogs, bugs and and duck billed platypus (ornitorinco, N.d.A.) …FUCK!!!” Il povero Cantacesso, che ha quasi completamente dimenticato il poco inglese che qualcuno tentò invano di ficcargli in testa quando andava a scuola, pensa che il disgraziato, al pari di certe vecchie gattare, ami più gli animali che non gli esseri umani. Tutti: vacche, cani, insetti, ornitorinchi…Perfino i FUCHI!

Umberto Smaila, che ha dovuto cedere le armi al suo fastidioso mal di denti, lascia il locale e il barista guarda con occhio torvo i due che non si decidono ad andarsene.Lei continua a parlare, a ingargarozzarsi di Amaretto di Saronno e lui a contemplarla con l’occhio cotto. Non capisce quasi niente dei suoi sproloqui, durante i quali la donna continua a descrivere in toni apocalittici un incallito bevitore, donnaiolo, fumatore che ad andargli vicino puzza quanto le caldaie dell’Orient-Express al tempo in cui i treni andavano a carbonella e baciarlo è lo stesso che leccare un portacenere.

Il farabutto, gli dice, che ha una bella voce e giusto per uscire dalla solita routine ogni tanto incide un disco, ha dedicato il suo ultimo lavoro non a lei…ma a tutte le altre donne che ha amato! Il grafico che doveva occuparsi di realizzare la copertina si era messo le mani nei capelli: come stampare nello spazio risicato di un cd un numero di nomi pari a quello di una petizione referendaria di Marco Pannella?

I due si sono alzati in piedi e, con passo barcollante, si apprestano, almeno così si augura il barista, a lasciare il locale. Invece no. Lei fissa lui con i suoi occhietti che sembrano asole di camicia e gli fa: ”Sing me a song…Kantesiessow…” dopodiché gli si abbarbica addosso come una zecca a un cane randagio.”Please, Kantesiessow…” Quell’abbraccio disperato e il fatto che le brevi frasi da lei pronunciate siano al suo livello medio di comprensione dell’inglese, commuovono il Cantacesso non meno del fatto che, per la prima volta in vita sua, il derelitto si sia trovato ad avere a che fare con una donna più bassa di lui nonostante poggi i piedi su venti centimetri di zeppa in stile Elton John prima maniera, o, a scelta, peripatetica in attesa dei clienti davanti al fuocherello. E allora, con voce che pare quella di un cane idrofobo giunto alla fase terminale della sua malattia, attacca”Son contento di morire, ma mi dispiace/mi dispiace di morire ma son contento!” salvo poi rendersi conto che, forse, quello non è proprio il brano di repertorio più adatto per far la serenata a una fanciulla. E allora riattacca ”Alice guarda i gatti…” Non si ricorda le parole. Ma la sera prima ha visto Zelig e poi tanto la fanciulla in questione non capisce l’italiano “…e i gatti guardano le alici…”

Lo sguardo del barista da torvo diventa truce, man mano che le ore trascorrono il disgraziato somiglia sempre di più a Jack Nicholson in Shining.Le cinque. Già si ode, proveniente dall’entroterra gallurese qualche sonoro chicchirichì…

Lui ha terminato la sua esibizione canora. Lei gli sorride, neanche avesse appena visto gli U2 in concerto con Bono Vox in stato di grazia. La commozione inizia a far girare vorticosamente le interiora del Cantacesso che, questa volta, non riesce a convertire il conato in ruttaccio e rovescia sui piedi alla malcapitata il contenuto del suo stomaco, un cocktail a base di riso in bianco, mozzarella, succhi gastrici e Amaretto di Saronno.

Il barista comincia a sbraitare e ad agitare le mani. E i due, alla luce incerta che, data l’ora legale, non è ancora neppure quella del primo mattino, lasciano il locale. Finalmente è riuscito a cacciarli via, pensa. E chissenefrega se lui è un grosso imprenditore e lei una nullità sposata a un popolarissimo divo di Hollywood. E chissenefrega se con tutta probabilità appostati fuori come avvoltoi in attesa che il moribondo diventi cadavere ci sono un battaglione di paparazzi per i quali non esiste né giorno né notte. Basta che sia scoop.

 

Parte seconda UNA VACANZA RILASSANTE

 

Dopo un giorno passato a meditarci su, ho deciso di accettare la proposta di Graziella. Brava ragazza e buona amica, per carità, la Graziella, ma appartiene a quella categoria di donne che mi fanno una rabbia…Non avrebbe bisogno di lavorare, visto che il marito dentista guadagna i soldi a palate, ma lei dice che a stare in casa si annoia. Comunque non sono qui per criticarla, anche perché con me è stata davvero carina. Siccome trova che ultimamente abbia l’aria sbattuta e un bisogno disperato di una bella vacanza, mi ha detto, perché non vai a passare un mese a Cannigione (località della Costa Smeralda N.d.A.) dove io e Agenore, che poi sarebbe il marito dentista, abbiamo un appartamento in un residence tanto carino? Quest’anno non ci possiamo andare, sai, lui vuol farsi la crociera ai Caraibi, è sempre stato il suo sogno…Almeno ti diverti, prendi un po’ di sole e mi apri casa…

E mi libero del Cantacesso e delle paturnie sue, penso prima di telefonarle per dirle che accetto la sua proposta. Incondizionatamente. Ho già preso le ferie e dopodomani parto.

La vita è terribilmente cara, da queste parti, penso mentre infilo la chiave nella toppa. Ma io ho unicamente intenzione di abbronzarmi, nuotare e riposarmi. L’appartamentino, carinissimo, anche se è un buco di venti metri quadrati, dispone di un angolo cottura, sicché non sarò costretta a dilapidare nei ristoranti i miei risparmi. Pastasciutta casalinga e un bel piatto d’insalata mi basteranno a campare e mi aiuteranno a smaltire i chili di troppo. Avendo viaggiato in aereo non ho potuto portare con me la mia Seicento, ma sono riuscita a trovare, al noleggio, una Smart che sembra l’auto di Topolino, e questa è l’unica spesa che dovrebbe incidere seriamente sul mio budget. Il cellulare avrei voluto lasciarlo a casa, ma mia madre è anziana…Del computer, invece, non riesco a farne a meno e mi sono tirata appresso il mio fedele portatile con il quale mi farò qualche bella navigata quando, la sera, mi verrà la tentazione di uscire e di dilapidare i miei pochi soldi in questo posto per gente ricca, spensierata e spendacciona.

Bah. Arrivo al residence alle nove di sera, mi gira la testa perché non sono mai riuscita a superare del tutto la paura dell’aereo, mi sdraio sul letto, mi accendo una sigaretta, chiudo gli occhi…Toccata e fuga. E’ fatta, penso. Mi ha scovata anche qui.

Deve avermi presa per il suo salvagente o roba del genere, tremo al pensiero che si innamori di me perché uno così non lo vorrei manco scannata, e mi domando come mai, con tutti i soldi che ha, non riesce a liberarsi di quella caterva di complessi di tutti i generi che si porta appresso dacché sta al mondo. O forse, in realtà, lo so anche troppo bene. Del resto, basta guardarlo per rendersene conto. Poveretto.

Gli affari, invece, procedono a gonfie vele. Adesso si è messo a produrre anche assorbenti igienici, altro articolo che mai conoscerà crisi: mini, midi, maxi, supersoffici, extrasottili, con le maxi ali manco si trattasse di un condor…Quest’ultimo modello è stato battezzato “A Silvia”. Ringraziando il Cielo, non gli è passata per l’anticamera del cervello l’infelice idea, per restare in tema leopardiano, di chiamarli “Il passero solitario.” O, peggio, “La passera solitaria.” Altrimenti sarebbe stato da denunciare, processare e condannare all’ergastolo senza attenuanti.

“Pronto, Laura?”

“Sì?”

“Tu che sai l’inglese, fuck vuol dire fuco, o…”

“Vaffanculo.”

Mi interrompe la comunicazione. Ha equivocato ed è sicuramente offeso con me, ma io gli stavo semplicemente fornendo la traduzione esatta di quel termine che lui credeva significasse il maschio dell’ape…In ogni caso, forse sono riuscita a liberarmi di lui per un giorno o due. Forse.

 

Parte terza SOSPETTO SEQUESTRO

 

Le otto del mattino.Mi pavoneggio davanti allo specchio con il costume da bagno appena acquistato, rigorosamente intero perché non ho alcuna intenzione di esporre i miei cuscinetti al pubblico ludibrio, anche se qui perfino le vecchie di settant’anni prendono il sole a tette sciolte. Beh, più che pavoneggiarmi sto semplicemente controllando la tenuta di tette, cosce, culo e pancia. Sembra che reggano.

Infilo i jeans, una t shirt bianca e mi appresto a lasciare l’appartamento per recarmi in spiaggia. Nel borsone ho messo gli occhiali da sole con le lenti graduate, la crema protettiva e l’ultimo giallo di Andrea Camilleri. Sono pronta.

Apro la porta, esco…Sul pianerottolo, qualcuno mi fissa. Mi chiama per nome e cognome, mi chiede se sono io. Dopo essere stata per un attimo sfiorata dal sospetto di trovarmi di fronte a un maniaco assassino, riacquisto la mia lucidità e gli chiedo che vuole. Dimostra sessant’anni, ha una faccetta vizza cotta dal sole, gli occhi azzurri ed è vestito in tenuta marinaresca.

Il Russell Coutts (sarebbe lo skipper di Alinghi, niente a che vedere con Ciccionostro N.d.A.) dei poveri diavoli si presenta come Giambattista Parodi e, con marcato accento genovese, mi dice di essere il comandante della barca del commendator Leopardi Cantacesso. Insomma, non potendo o volendo rompermi le palle direttamente, adesso il disgraziato lo fa per interposta persona. Sto per esplodere in una sequenza di parolacce degne di Russell Crowe nei cessi dello Zuma, se ne avessi la stazza e la rissosità penso che menerei anche le mani…Ma mi trattengo. Braccio di Ferro ha l’aria preoccupata. Il mio intuito mi dice che è accaduto qualcosa di brutto al Cantacesso.

-Belin d’un belin, guardi qui, signora…

Mi porge un foglietto stropicciato. “ Non imischiateci (sic!) la polizzia (sic!).” C’è scritto sopra, in stampatello e con la grafia incerta e gli orrori ortografici di chi ha poco studio o cerca di spacciarsi per tale.

Inghiottisco a fatica il groppo che mi va su e giù dallo stomaco alla gola e viceversa. Sembrerebbe un sequestro, penso, e il sangue mi si gela. Dov’è stato visto il commendatore per l’ultima volta? Braccio di Ferro mi cita, tra un belin e l’altro, il nome di un noto locale di Porto Cervo, dove il Cantacesso avrebbe passato la notte, ubriacandosi sproloquiando e cantando in compagnia di una biondina mal vestita e con i capelli unti. Forse era ancora lì, mi dico, quando mi ha telefonato per chiedermi che cosa significa fuck. Alle nove di sera del giorno dopo. Strano. Con una donna…bionda, malvestita…Mi hanno detto che dalle parti di Santa Teresa di Gallura c’è una comunità di punkabestia (emarginati che vivono in compagnia dei loro cani chiedendo l’elemosina ai passanti N.d.A.). Forse è lì che l’ha pescata e se l’è tirata appresso.

Rinfrancata, saluto il vecchio marinaio, raggiungo la spiaggia, mi godo le mie due ore di sole…Non di più, ho la pelle delicata. A mezzogiorno mi rivesto e me ne vado. E così quell’imbecille è riuscito a rimorchiare una barbona e a farsi l’avventuretta... Eppure, il pensiero di quel biglietto sibillino e sgrammaticato mi fa correre un brivido gelato lungo il solco della schiena, anche se qui si muore di caldo. Barbona, avventuretta…o sequestro?

Non so che pesci prendere. Né certo mi snebbia le idee il pacchettino che la portiera dello stabile mi consegna. Il postino l’ha appena portato, mi dice. E’ stato inviato per posta prioritaria dall’ ufficio di un centro qua vicino, a giudicare dal timbro. E’ uno di quei sacchetti imbottiti che vengono usati per spedire oggetti come libri o cd. Non c’è mittente. L’impulso mi suggerirebbe di aprirlo. Ma mi trattengo, ripensando a storie truculente di orecchie tagliate. Lo accantono. E cerco invano qualche santo a cui votarmi.

I criminali che hanno in mano Cantacesso, perché ormai in me si è radicata la certezza che di sequestro si tratti, non vogliono che la polizia venga avvertita. Il biglietto non parla di ritorsioni ma le intuisco, quelli dell’Anonima hanno dato in diverse occasioni ampia dimostrazione della loro spietatezza. E io, in fondo, al Cantacesso voglio bene: non fosse stato per lui, sarei ancora a rischiare l’esaurimento nervoso alla ASL numero 20…In ogni caso, è chiaro che non posso gestire da sola la faccenda. Che fare?

Tempo fa, ho letto da qualche parte che esistono agenzie specializzate in questo genere di trattative. Non in Italia, forse. E in ogni caso, carissime. Ma Cantacesso ha un sacco di soldi e, sono sicura, preferirebbe scucirli a qualcuna di questi agenzie piuttosto che all’Anonima Sequestri. Non mi resta che connettermi ad Internet.

Luthan Risk. London. I migliori sulla piazza. Posso mandare una e mail alla loro casella di posta elettronica o telefonare. Nel sito c’è il numero. Me la cavo benino con l’inglese. Telefono.

Non immaginavo tanta efficienza. Domani stesso mi manderanno il migliore dei loro agenti, Terry Thorne, direttamente ad Olbia dall’aeroporto di Heathrow. Dovrò solamente accollarmi il disturbo di andare a prenderlo alle otto di sera. Bene, e che Dio me la mandi buona.

 

Parte quarta IL MEDIATORE

 

Dopo una nottataccia passata a rivoltarmi nel letto pensando al destino ingrato del povero Cantacesso e a questo Terry Thorne che dovrebbe aiutarmi a toglierlo dai casini dietro pagamento di lauta ricompensa, mi alzo, butto giù una frettolosa colazione e vado a passare un paio d’ore in spiaggia cercando di dimenticare tutti i miei guai. Inutile dire che non ci riesco. Torno a casa, mi scaldo una pizza surgelata nel microonde, la mangio tutta nonostante faccia schifo, perché è noto all’universo mondo che la sottoscritta quando ha qualche problema s’ingozza come una porca e, quel che è peggio, potrebbe mangiare anche un vassoio di plastica trovandolo pure saporito.

Le sei e mezza. Ora di andare ad Olbia a rilevare l’agente segreto. Chissà com’è. Un po’ di curiosità ce l’ho e, contrariamente al mio solito, prima di uscire mi agghindo e mi profumo come faceva l’Allegretti. Con la speranza che il suddito di Sua Maestà Britannica in questione rassomigli a Pierce Brosnan e non a Mr Bean.

Strada facendo, me lo figuro come una sorta di bietolone lentigginoso e corpulento e mi chiedo come cazzo farà ad accomodarsi in questa scatola di sardine che ho noleggiato, a paragone della quale la mia fida Seicento sembrava il Titanic. Boh.

Arrivo in aeroporto che sono le otto meno un quarto. Una hostess con il dono della chiaroveggenza mi si avvicina e mi invita ad accomodarmi in una saletta dove io e il passeggero in arrivo da Londra, Mr Terence Thorne, ci saremmo potuti incontrare evitando il bailamme della folla e possibili equivoci. Io mi accomodo, perché, per quanto stupido possa sembrare, ho le gambe che mi fanno giacomo giacomo come al liceo prima delle interrogazioni di matematica.

Scartabello uno di quei giornali infarciti di pubblicità e splendide fotografie di paesaggi che si possono reperire solo negli aeroporti e mi dispongo mentalmente ad una breve attesa agitata. L’aereo non è in ritardo. Anzi, è puntualissimo.

-Miss Laura De Martini?

Non oso alzare gli occhi dal giornale, nella frazione di secondo che la bella voce maschile impiega a pronunciare la fatidica domanda passo in rassegna tutti gli inglesi più racchi di cui conservo memoria, dal segretario della Nato Robertson al maestro del cinema Ridley Scott, transitando naturalmente per Sua Altezza Reale il Principe Carlo. Ma logica e creanza impongono che alzi gli occhi sul mio interlocutore, il quale poveretto è rimasto con la mano tesa come uno stoccafisso davanti a ‘sta cretina con gli occhialetti tondi che non sa quali pesci pigliare.

-Yes, it is.

Faccio, prima di strozzarmi con la mia stessa lingua. Mr Thorne ha i capelli chiari e qualche lentiggine ma la sua somiglianza col mostro partorito dalla mia fantasia malata finisce lì. E’ alto senza essere un gigante, uno e ottanta circa, ha i capelli corti e ricci e un delizioso facciotto un po’ infantile un po’ impunito illuminato da stupendi occhi color acquamarina. Sono convinta di non aver mai visto, a parte la transitoria trasformazione del Cantacesso di cui fui inconsapevole testimone un paio d’anni fa, un uomo più bello di questo qui. E’ perfino meglio del mio idolo cinematografico che, quando l’ho incontrato all’atelier di Armani, mi è sembrato bonazzo sì, ma un po’ appesantito e decisamente sciattone. Mr Thorne indossa una giacca di lino beige su una t shirt nera, un paio di blue jeans, scarpe Geox direttamente sui piedi scalzi, emana un leggerissimo profumo di colonia, non credo si tratti di dopobarba perché non è rasato di fresco, e tiene a tracolla un borsone da viaggio. La valigia che spinge con il carrellino non è troppo voluminosa. Quando la carico in macchina, la Smart ringrazia.

Dall’aeroporto di Olbia al residence di Cannigione ci saranno tre quarti d’ora di viaggio e a me non piace correre. Lui si gode estasiato lo stupendo panorama, io devo fare sforzi titanici per ricordarmi che sto guidando un’auto su una strada piena di curve e non posso distrarmi ammirando il SUO altrettanto stupendo panorama. Ma ogni tanto l’occhio mi cade sul profilo perfetto, sulle sopracciglia folte e dritte, sullo sfarfallio delle lunghissime ciglia dorate. E penso con orgoglio che mi sto scarrozzando il classico uomo con cui le donne adorano pavoneggiarsi in giro. Ho perfino dimenticato i motivi per cui quest’Apollo posa le natiche sode sul sedile di fianco al mio: i guai di Giacomo Leopardi Cantacesso.

-Mai stato da queste parti?

Faccio, tanto per rompere il silenzio. No, mi risponde lui. Bellissimi posti. Mi sembra un tipo di poche parole. Peccato, a me piacciono quelli loquaci. Comunque mi dice che padroneggia perfettamente l’italiano e che, se preferisco, possiamo conversare nella mia lingua. Io, naturalmente, preferisco.

Parla poco, e non sfiora neanche di straforo il motivo per cui è qui. Riservato, com’è giusto che sia. Il problema è serio, non possiamo affrontarlo parlandone a spizzichi e a monconi. Meglio discuterne approfonditamente appena giunti a casa.

Giungiamo a destinazione che è quasi buio, ma da queste parti si vive di notte e la strada è piena di gente. Sembra che tutti ci guardino. Varchiamo la soglia e la portinaia, che è pettegola come tutte le appartenenti a tale categoria professionale, ci squadra da capo a piedi. Allora lui fa quello che mai mi sarei immaginata: molla la valigia, mi abbraccia e, prima di darmi il tempo di protestare, mi caccia in bocca un palmo di lingua. Sono annichilita. Sotto lo sguardo a periscopio della portinaia, continua il suo gioco di seduzione, sfiorandomi con le sue piccole, soffici labbra polpose, il lobo dell’orecchio e sussurrandomi “Meglio che tutti credano che si è portata l’amante in casa, miss…Per lei, per me…e per il mio cliente.” Dovevo immaginarlo che sotto c’era il trucco, ma intanto muscoli, ossa e tendini delle mie povere gambe si sono trasformati in créme caramel.

Quando apro la porta dell’appartamento mi sembra deluso. Forse non se l’aspettava tanto microscopico. Dopo che la porta si è chiusa alle nostre spalle, si accomoda su una poltroncina e mi fa:

-Naturalmente, vista l’assoluta segretezza della mia missione, è da escludersi tassativamente che io alloggi in un albergo della Costa Smeralda nel mese di luglio. Risiederò qui. Il posto mi sembra discreto. L’appartamento è piccolo, ma sono abituato ad arrangiarmi. Per esempio…-e butta l’occhio ceruleo sul letto matrimoniale -dormirò nel sacco a pelo. Non le creerò alcun disturbo, miss De Martini.

Sì, in un sacco a pelo ai piedi del mio letto, visto che questo dannato appartamento è un monolocale in cui l’unico vano che sia chiuso da una porta è il bagno. Dopo aver dato l’addio alla mia reputazione di brava ragazza, quantomeno agli occhi della portinaia, debbo solo sperare che il bellissimo giovanotto con cui dovrò dividere l’alloggio per chissà quanto tempo non sia un maniaco stupratore e assassino. Io ho il terrore dei maniaci stupratori e assassini. Riesco a vederli nei posti più impensati.

 

Parte quinta PRELIMINARI DI INDAGINE

 

E’ presto per coricarci, anche perché il caldo e l’irrequietezza non mi farebbero chiudere occhio. Dopo avergli preparato una pastasciutta superveloce che divora con gagliardo appetito (mi ha appena detto che non ha problemi con il cibo, è abituato a mangiare qualsiasi cosa), si appresta ad iniziare le indagini. Appena messo piede in casa, si toglie la giacca e la lingua mi si incolla al palato: ha spalle poderose, bellissime braccia scolpite e centoventi centimetri di torace come minimo: visto che ha ritenuto opportuno spacciarsi per il mio gigolo o roba del genere, non vedo l’ora di togliermi la soddisfazione di esibirlo in spiaggia.

-Mi hanno detto che il… presunto sequestrato è uno degli uomini più ricchi d’Italia. Berlusconi? Moratti? De Benedetti? Benetton?

-Giacomo Leopardi Cantacesso.

-Giacomo Leopardi, come il grande poeta- fa lui arricciando il suo splendido naso romano- Cantacesso… Singing Lavatory… Un cognome alquanto strano.

-L’ha acquisito dopo essere stato legalmente adottato dallo zio che gli ha lasciato in eredità i suoi stabilimenti.

Mi guarda con i suoi occhi acuti e mi sorride. Lo guardo anch’io e penso che se Giacomo Leopardi (non il Cantacesso, l’altro) fosse stato come lui anziché gobbo e stortignaccolo, probabilmente invece del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” avrebbe scritto la serie completa delle Osterie. E il mondo avrebbe perso un grande poeta, ma le varie Silvia, Nerina, Aspasia e compagnia bella se la sarebbero spassata alla grande.

-Che cosa producono gli stabilimenti…ehm…Leopardi Cantacesso?

Carta igienica. Salviette. Anche assorbenti, faccio io diventando rossa come un pomodoro fradicio perché ai miei tempi di certe cose non si parlava in pubblico e anche se quei tempi sono cambiati e gli ammennicoli in questione te li servono nella pubblicità televisiva a tutte le ore e in tutte le salse, non sono abituata a discettarne con giovani maschi pressoché sconosciuti, stranieri e di bellissimo aspetto.

-Chi è per lei questa persona?

-E’ importante saperlo?

-Perché risponde alla mia domanda con un’altra domanda?

-Non credevo che voialtri inglesi foste così indiscreti.

-Ma io non sono inglese. Sono australiano.

Ah, penso. Australiano. Dal Continente Nuovissimo vengono i più sontuosi maschi della terra: Russell Crowe, Mel Gibson, Hugh Jackman… Altro che Mr Bean, Ridley Scott, Sir Robertson e il principe Carlo.

-Non è mio marito, né il mio fidanzato e neppure il mio amante, se è questo che le preme di sapere.

-Un amico?

-Più o meno.

-Come mai…ha deciso di prendere lei in mano la faccenda? Non ha altri parenti, questo…Leopardi Cantacesso?

Gli spiego che il derelitto è celibe, figlio unico di madre vedova ottantaseienne e quasi completamente svanita, che vive con una cameriera filippina e una badante rumena le quali masticano a stento l’italiano e non sarebbero in grado di gestire l’emergenza.

-Gli deve…qualcosa?

Mi ha dato una mano per quel che concerne il lavoro, gli faccio sorridendogli in tralice. Quando mi chiede quale attività esercito, gli rispondo che sono impiegata presso l’Assessorato Provinciale ai Beni Culturali e riesco a leggergli nel pensiero che non capisce quale nesso possa esserci tra un miliardario e una nullità come la sottoscritta.

-Ha una sua foto?

Ce l’ho. Gliela mostro. Non è molto nitida, ma si riesce a distinguerlo con sufficiente chiarezza. Anche lui, arricciando il bel naso romano mi dimostra di aver capito.Tutto quanto.

-Potrebbe non essere un caso facile.

-Senta, miss: ho liberato un diplomatico francese prigioniero dei ribelli ceceni e un ingegnere americano sequestrato dai narcotrafficanti nella giungla della Colombia. Non credo di aver bisogno dei suoi consigli.

Mi verrebbe la tentazione di schiaffeggiarlo ma non posso fare a meno di lui, eppoi grosso com’è non credo che resterebbe fermo a lasciarsi schiaffeggiare da un metro e sessanta di donnetta che adora la nutella e detesta le palestre. Magnifiche credenziali, gli faccio. Si è occupato di qualche altro sequestro in Italia? E lui mi racconta della sua prima impresa al servizio della Luthan Risk, quando ha strappato dalle grinfie della ‘ndrangheta calabrese la giovane moglie di un imprenditore agricolo di sessant’anni. La quale, tra parentesi, si era pure innamorata del suo carceriere. Sindrome di Stoccolma? Faccio io. No, sindrome della puttana, mi risponde lui, mentre un sorriso angelico gli illumina il viso rotondo da monello impunito.

E ‘ quasi mezzanotte, ma non abbiamo sonno, né lui, né io. Forse è per la fretta di venire a capo di qualcosa, forse perché imbarazza un po’ entrambi dividere la stessa camera.

-Ha qualche motivo per credere che si tratti proprio di un rapimento? Il Cantacesso non potrebbe essersi allontanato di sua spontanea volontà…che so, con una donna?

Anche lui deve credere la faccenda poco probabile, dopo aver visto la fotografia. Dicendogli ecco che cosa mi fa propendere per l’ipotesi sequestro gli allungo il bigliettino laconico e sgrammaticato e il pacchetto che non ho ancora avuto il coraggio di aprire. Puzza, e temo possa contenere l’orecchio in decomposizione del Cantacesso. O peggio.

Lui legge il biglietto, apre la busta…Conosco il fetore della putrefazione, mi fa con la consueta delicatezza australiana che lo contraddistingue: questa è semplicemente carta di cattiva qualità, riciclata e trattata con chissà quale porcheria chimica. Ma io chiudo gli occhi e volto ugualmente la testa dall’altra parte. Sto per urlare, quando Thorne estrae dalla busta una matassa di pelo che rassomiglia a una cavia peruviana: il parrucchino del Cantacesso.

Si è spaventata? Mi fa sghignazzando e io lo ammazzerei volentieri. Ma quando mi prende tra le braccia e mi liscia la schiena per calmarmi allora non lo ammazzerei più. Adesso è convinto che si tratti di sequestro? Gli dico. Meno che mai, risponde con sicumera. Che lei sappia…E’ stato visto con qualche donna, ultimamente? Gli racconto della barbona con cui si è sbronzato in un locale chic di Porto Cervo.

-Senta…Dopodomani cominceremo le indagini. Dopodomani, per vedere se, nel frattempo, qualcuno si farà vivo. Tutti possono sbagliare…Anche Terry Thorne. Ma è un’ipotesi altamente improbabile.

E’ quasi l’una quando ci corichiamo. Lui si toglie tutto, meno le mutande. Lo fa per delicatezza nei miei riguardi, dice, a conferma del fatto che dev’essere abituato a dormire nudo e in buona compagnia. Accidenti, è bellissimo, penso tra me e me. E anche, porca miseria, che avrà al massimo trentacinque, trentasei anni e io ne ho dieci di più…Comunque, mi lascio scappare la fatidica domanda: è sposato, mr Thorne?

-Lo sono stato. A ventidue anni, quando ero tenente dei Royal Marines, ho messo incinta la figlia del colonnello. E a ventotto, quando ho divorziato, ho dovuto dire addio alla mia brillante carriera. Ma è andata meglio così: con mia moglie avevo iniziato a litigare due giorni dopo le nozze e la Luthan Risk paga meglio dell’esercito. Mi dispiace solo di non avere abbastanza tempo per mio figlio.

La voce diventa malinconica e mi rattristo anch’io. Se gli somiglia, dev’essere proprio un bel ragazzino, penso prima di chiudere gli occhi.

 

Parte quinta INDAGINI E…

 

La mattina successiva, mi alzo abbastanza riposata e certa che gli avvenimenti possano prendere una piega favorevole. Mi fido di questo Terry Thorne, sono proprio convinta di aver fatto la cosa giusta, mettendo il Cantacesso nelle sue mani. Ma non appena lo vedo uscire dalla doccia cambio subito idea in proposito. Il poveretto lamenta un feroce torcicollo e mi rodo per il rimorso di averlo lasciato dormire per terra. Stanotte si farà al contrario, io per terra e lui nel letto. Mi offro di praticargli un massaggio, un po’ me la cavicchio, sono stata tre anni fidanzata con un fisioterapista, ai tempi funesti della ASL numero 20, e qualche segreto del mestiere mi è riuscito di carpirglielo.

Comunque, alla fine del trattamento, lui è soddisfatto, io sono ancora più soddisfatta per aver messo le mani su cotanto bendiddio e quando gli propongo di scendere un paio d’ore in spiaggia accetta con entusiasmo. Dopo avermi strappato la promessa che gli spalmerò la crema protettiva sulla schiena. Ho la pelle delicata e non vorrei scottarmi, mi fa. Non gli dico di no. Mi pare ovvio. Del resto, anch’io ho la pelle delicata.

In spiaggia, mi tolgo la soddisfazione di essere guardata con malcelata invidia da tutte le femmine presenti e anche da un paio di gay. Soddisfazione amplificata dal fatto che quasi tutte le femmine in questione sono molto più giovani e carine della sottoscritta, e sfoggiano disinvolti topless, mentre io mimetizzo i cuscinetti e i complessi con il solito olimpionico nero. Lui le guarda, e ci rimango male. Ma quando ci spalmiamo le rispettive schiene…Che goduria, è anche meglio della nutella!

Lui nuota come un pesce, io come un cane in procinto di affogare. Comunque ci divertiamo e per un paio d’ore i guai del Cantacesso sono accantonati. A due giorni dalla scomparsa, nessuno si è fatto vivo, e Thorne è convinto che non si tratti di sequestro. Domani, comunque, si comincia con le indagini. Prima tappa, Porto Cervo.

A cena, mangiamo con appetito due pizze, ottime questa volta, ordinate nel locale sotto casa. Lui tracanna un paio di birre direttamente dalla bottiglia, io un brick di acqua San Giorgio: sono completamente astemia e gli unici vizi che ho sono le sigarette e la nutella, gli faccio. Ma come, non ha neanche il vizio principale? Mi domanda lui ammiccando. Io lo ignoro e mi sdraio sul sacco a pelo. Lui, in un impeto di pietà, mi invita a coricarmi sul letto, al suo fianco. Non ho mai stuprato una donna che non ci sta, mi dice credendo di tranquillizzarmi. Perlomeno spero non abbia l’abitudine di portarsi a letto le clienti. Qualche volta è capitato, risponde lui. Comunque erano consenzienti. L’ultima è stata la moglie dell’ingegnere sequestrato dai narcotrafficanti: una certa Alice, lunga, magra, biondina. Un’isterica rompiballe.

Andiamo bene, penso. Ho accettato la sua proposta, perché mi piace la vita comoda e detesto i sacchi a pelo. Ma me ne sto rannicchiata in equilibrio precario sul bordo del materasso, rischiando di cadere e sono talmente rigida che se domani non mi alzerò in preda a dolori atroci sarà un miracolo. Lui se la dorme beato, russando leggermente. Io, con gli occhi sbarrati nel buio, ascolto il suo respiro, annuso l’odore invitante della sua pelle, percepisco il calore che emana…Nonostante sia buio e non lo veda, mi prudono le mani. Me ne resto nel mio angolino, ma so che non resisterò a lungo. Mi è venuta sete. Accendo l’abat jour per prendere il bicchiere d’acqua dal micro comodino e guardando la pelle morbida e cremosa del suo petto, non resisto alla tentazione di posarci sopra la bocca e di assaporare cotanta prelibatezza.

Il Bello Addormentato nel Miniappartamento si sveglia, realizza quel che sta succedendo e mi stritola tra le sue braccia da lottatore. L’irreparabile sta per accadere e se proprio qualche traccia della nostra passione dobbiamo stamparci reciprocamente addosso, bisogna stare attenti che sia in qualche punto occultabile dai vestiti. Non possiamo mostrarci a Porto Cervo tartassati di succhiotti nel corso delle indagini prossime venture…Butto l’occhio sul comodino, e noto una confezione di preservativi. La carogna è previdente, penso. Sempre pronto per ogni evenienza, mr Thorne, ex capitano delle Forze Speciali e detective specializzato in sequestri di persona. Boh, gli australiani hanno molto senso pratico, si dice. Ma mentre lui sta per inguantate il formidabile attrezzo…Squilla il maledetto cellulare. Il mio.

Lo agguanto, anche se in quel momento avrei preferito agguantare qualcos’altro, e sento Terry imprecare come cento turchi a causa, ovviamente, della brutta piega presa dagli avvenimenti. Pronto? Faccio. Una vocina contraffatta mi invita a non immischiarci la polizia. Dopodiché il titolare della stessa chiude la comunicazione. Guardo il display. Vi compaiono un numero e un nome: Giacomo Leopardi Cantacesso. Il deficiente ignora quel trucchetto a base di cancelletti e asterischi che tutti i ragazzini conoscono e che permette di occultare la provenienza della chiamata. Sbatto il telefono, un Motorola Timeport Tri Band che ho pagato quasi un milione di vecchie lire, e riprendo a strusciarmi contro la serica pelle leggermente abbronzata e i tosti muscoli dell’uomo che mi giace accanto e che sta continuando a inveire perché ha appena sprecato inutilmente un preservativo. Non credevo che gli australiani fossero spilorci quanto i genovesi e gli scozzesi messi insieme.

La mattina dopo siamo più tranquilli, rilassati, appagati visto che abbiamo avuto modo di rimediare al contrattempo e, soprattutto, ben consapevoli entrambi che non si tratta di sequestro. Ma Terry, al quale adesso do del tu, e ci mancherebbe, dopo quel che è successo la notte prima, vuole vederci chiaro, e magari dare una lezioncina a quell’imbecille di un Mr Singing Lavatory, come lo chiama lui, che sembra proprio si stia divertendo a prenderlo per il culo. Sue testuali parole: evidentemente la finezza non è il forte degli australiani.

Da che parte cominciamo? Al porticciolo, faccio io, dovrebbe esserci ancorata la barca del Cantacesso. Quattro chiacchiere con il comandante potrebbero essere opportune, visto che, quando gli ho parlato, mi ha dato l’impressione di sapere qualcosa. Come si chiama la barca? “Cellulosa”. Terry scoppia in una sonora risata. E’ davvero irresistibile quando ride.

Il comandante Parodi, infarcendo il racconto con un centinaio almeno di belin variamente intercalati, racconta di quando, dopo la notte brava in un noto locale di cui mi cita il nome, il commendatore e la bionda, che pareva un minin mortu (gattino morto N.d.A.) sono saliti a bordo e hanno continuato a sproloquiare, cantare, tracannare finchè, dopo aver cacciato anche l’anima, sono crollati sul ponte come due sacchi di patate marce. La mattina dopo erano spariti.

Com’è la donna? Domanda Terry. Una bionda secca come un’anciua (acciuga N.d.A.) fa il lupo di mare. Belin, rassomigliava a Cappuccetto Rosso della carta igienica. Terry lo guarda con tanto d’occhi. Una sciacquetta che ha interpretato lo spot pubblicitario di un prodotto della premiata ditta Cantacesso. Gli rispondo io. Una tua compaesana.

-Laura, che cazzo vuol dire belin?

Mi chiede non appena lasciamo la barca, il molo e Braccio di Ferro. Quello che hai appena detto, faccio io.

 

Parte sesta LA TELEFONATA

 

Ci rechiamo in pellegrinaggio nel locale dove il Cantacesso e la bionda si erano dati alla pazza gioia pochi giorni avanti e io, spacciandomi, con un’interpretazione degna del premio Oscar, per l’amante tradita del re della carta igienica, riesco a scucire qualche informazione al barman. Scopro che la bionda secca come un’acciuga che sembra un gatto morto non somiglia semplicemente a Cappuccetto Rosso dello spot. E’ CAPPUCCETTO ROSSO DELLO SPOT.

Perfetto, penso. Un indizio in più. Non mi dispiace, sotto sotto, che la bionda abbia cornificato il suo bellissimo marito con un arnese come il Cantacesso. Sono soddisfazioni anche queste.

Terry è fermo in un angolo della piazzetta, con il cellulare incollato all’orecchio. Non mi avvicino per discrezione, ma riesco a captare diversi fuck, fucking e motherfucker. Roba che se ci fosse il Cantacesso presente, il poveretto penserebbe seriamente di essere finito dentro un alveare.

Dopo venti minuti durante i quali mi preoccupo seriamente per la sua salute, visto che se ne dicono di cotte e di crude sulla nocività dei cellulari, finalmente si avvicina. Era un amico, mi fa, ostentando una faccia da funerale di milionesima classe. Uno che sicuramente conosci anche tu.

Chi è? Domando in preda a una folle curiosità. Lui mi si avvicina, si piega in due su quella nana che sono e mi sussurra qualcosa all’orecchio.

-Certo che lo conosco. Me lo sogno una notte sì e una no!

-E la notte no che cos’altro sogni?! -Mi fa saettandomi un’occhiata che brucia come il cannello della fiamma ossidrica. Me la cavo in corner dicendogli ma sogno te, stupidone…E lui replica con un: è nei pasticci. Non sa che fine ha fatto sua moglie.

-Com’è che lo conosci?

-Eravamo compagni di scuola. Pur non essendo parenti neppure alla lontana, ci somigliamo come due gocce d’acqua. Già da ragazzini ci somigliavamo talmente che i nostri insegnanti, vedendoci per la prima volta, ci prendevano per gemelli. Anche se lui vestiva all’ultima moda e aveva i capelli lunghi mentre io, che sono figlio di un ufficiale, portavo i capelli a spazzola e giacca e cravatta come papà comandava già da quando ero alto così. Un po’ strano,forse, ma gran bravo ragazzo. Adorava gli animali e si portava in casa tutti i gatti randagi che riusciva a raccattare. Era molto carino, e a sei anni già lavorava nel cinema.

-Che specie di studente era? Dimmi tutto, sono curiosa…

-Eccelleva nello sport, come me. A dieci anni si è scheggiato un dente giocando a rugby . Bravissimo in letteratura e in componimento, ma non capiva un cazzo di matematica. Io invece ero bravissimo in matematica ma per iscritto non sapevo metter giù due parole in croce. Sicchè imbrogliavamo i professori: lui mi scriveva i temi e io gli risolvevo equazioni e problemi. Nessuno se n’è mai accorto.

Evidentemente, penso, non è solo la scuola italiana ad essere combinata da schifo, come dice sempre mia cognata, che insegna inglese alle medie.

-Com’è che adesso si trova nei pasticci?

-Dieci giorni fa ha litigato malamente con la moglie e lei se n’è andata sbattendo la porta. Da allora non l’ha più vista.

-E perché hanno litigato? I giornali dicono che sono così innamorati…

-I giornali ne dicono tante. Lui, beh… Adora gli animali, ti dicevo. Da bambino raccattava gatti randagi e cornacchie con le ali rotte e se li portava a casa. Adesso ha raccattato un cucciolo di ornitorinco che alleva a omogeneizzati, fa dormire nel suo letto e che lei non trova poi così carino. Gli ha detto tante volte o me o quella bestiaccia, ma siccome è pieno di soldi , per un po’ ha continuato a sopportare lui e la bestiaccia. Finchè un giorno …

-Un giorno cosa?

-Lei sta tentando di sfondare come cantautrice e non fa che strimpellare una pianola tutto il santo giorno. Lui le ha detto di smetterla almeno mezz’ora che aveva mal di testa e poi con quelle lagne stava innervosendo l’ornitorinco. Lei non gli ha dato retta, e allora lui ha preso la pianola e gliel’ha scaraventata dalla finestra. E’ fatto così: un gran bravo ragazzo, ma quando s’incazza non capisce più niente.

Non oso dirgli che nei suoi panni avrei fatto la stessa identica cosa. Ma non posso non dirgli che la bionda misteriosa in fuga col Cantacesso, Cappuccetto Rosso della carta igienica e la moglie del divo bello, impossibile e zoofilo sono la stessa persona.

-Cantacesso è con lei.

Già, mi fa lui. Sono in fuga chissà da chi e da che cosa, come Thelma e Louise, la cameriera sgallettata e la moglie infelice del film. L’imprenditore sgallettato e la cantante infelice. O l’imprenditore infelice e la cantante sgallettata. A scelta.

 

Parte settima COME THELMA E LOUISE

 

I primi giorni era anche divertente, pensò la donna tracannando a garganella una lunga sorsata di Amaretto di Saronno direttamente dalla bottiglia. La pingue carta di credito del suo compagno di avventure aveva permesso loro di non farsi mancare niente ed era carino viaggiare in autostop. Da Porto Cervo, grazie al pollice alzato di lui e, soprattutto, al top trasparente di lei, erano riusciti ad arrivare fino a Sassari. Poi, la situazione era precipitata. Un buzzurone coperto di setole come un cinghiale maschio incrociato con una gorilla dei monti Virunga (la regione del Congo dove vivono gli ultimi esemplari di gorilla di montagna N.d.A.) li aveva caricati sulla sua R4 antidiluviana. Si era quindi profuso in complimenti di cui loro non avevano capito il significato, ma il senso sì, specialmente dopo che la zampa del cinghial-gorilla si era posata lasciva sul ginocchietto ossuto della signora.

Era stato allora che il Cantacesso aveva deciso di acquistare il veicolo: la scelta era caduta su un Fiorino in attesa di rottamazione, più rumoroso del decollo di un Concorde, con la portiera destra che non apriva, la marmitta a penzoloni, i sedili da cui fuoriuscivano malloppi di gommapiuma muffita e putrefatta, e in cui aleggiava, incancellabile, l’odore dei porci che il precedente proprietario era stato solito trasportare sul pianale dell’automezzo. Ma il viaggio era continuato senza difficoltà.

In un discount avevano fatto rifornimento di fette biscottate, scatolette di tonno, banane e una cassa dell’imitazione ulteriormente peggiorata dell’Amaretto di Saronno nel quale avevano preso l’abitudine di affogare i loro dispiaceri. E dopo essersi ubriacati come spugne, cantavano a squarciagola. Qualche pastore che pascolava le pecore nei paraggi, tornava a casa farneticando di diavoli e spiriti maligni.

Trascorsero la prima notte dentro un nuraghe. Decisero che i nuraghi potevano essere adatti a passarci le notti. Ma quando la signora si rese conto che la loro stessa idea l’avevano avuta, prima, certi topi grandi come yorkshire, certi pipistrelli che sembravano deltaplani e certi ragni pelosi come il deretano di Lucio Dalla, allora aveva iniziato a cambiare opinione. E tra le nebbie del letargo e i fumi dell’Amaretto di Saronno, il Cantacesso l’aveva sentita piagnucolare “I need my platypus…” (Ho bisogno del mio ornitorinco N.d.A.) senza capire un’acca di ciò che stesse dicendo.

Le batterie dei loro cellulari si erano completamente scaricate. Erano fuori dal mondo, come novelli Robinson dopo il naufragio. Che fare? A chi chiedere aiuto?

Nel centro più vicino, scovarono un Internet Point. C’è un sito italiano dedicato a that dirty bastard, si era messa a blaterare lei. Scoviamolo, e forse troveremo qualcuno disposto ad aiutarci.

Lui aveva afferrato qualcosa, malgrado la miseria del suo inglese. Anche che le fans italiane del divo non erano molto ben disposte nei riguardi della sua dolce mogliettina, a proposito della quale ne dicevano di tutti i colori. Avevano coniato per lei certi nomignoli da leccarsi le dita fino ai gomiti, quelle brutte carogne. Ma anche se poteva sembrare strano quello era un fatto che poteva tornare a loro vantaggio.

Cantacesso lasciò un breve appello in messaggeria: cerco ammiratrici sarde di… eccetera eccetera. Al successivo Internet Point seppe con soddisfazione che la sua richiesta era stata accolta. Gli risposero in tre: Mary, Lalla, Malù.

Mary fu la prima a contattarli e si dimostrò molto gentile. Li portò a casa sua, permise loro di rifocillarsi, di lavarsi, di caricare le batterie dei loro cellulari. E dopo averli guardati andarsene, utilizzò un ettolitro di lisoformio per disinfettare il bagno e un quintale di Baygon per eliminare le pulci dalle tende e di tappeti. Quindi si gettò sul divano in preda a un parossismo isterico di risate.

Lalla e Malù si incontrarono a metà strada dai loro rispettivi paesi un paio di giorni dopo. Avevano saputo che i fuggiaschi erano in cerca di un rifugio da non dover dividere con ragni topi e pipistrelli ma allo stesso tempo lontano da occhi indiscreti. Lalla ne aveva sottomano uno perfettamente adeguato. Incurante delle urla provenienti dal piano di sotto (“Mi serve il telefonooo!!!!), si connetté a Internet. Cercò il sito. Cercò la messaggeria. Ho quel che fa per voi, scrisse. Avrebbe avuto una voglia matta di ricattare la bertuccia (così l’aveva soprannominata, la carogna) tuo marito in cambio del buen retiro… Avrebbe voluto strozzarla con le sue mani… Si accontentò di recarsi all’appuntamento.

Fermi davanti al furgone che aveva esalato l’ultimo respiro, sporchi, spettinati, male in arnese, mezzi brilli, i due le sembrarono perfino più brutti che in fotografia. Ma insieme stavano davvero bene, realizzò, invitandoli ad accomodarsi sulla Punto verdolina nuova (quasi) di zecca. Che si era riproposta di disinfettare accuratamente, a operazione ultimata.

Il buen retiro era costituito da una cabina abbandonata dell’Enel, costruita in cima a una piccola altura battuta da tutti i venti che contribuivano alla diffusione delle puzze provenienti dal vicino depuratore fognario, conosciuta con il nome sinistro e pittoresco di “Troddiu de s’Aremmigu” (scoreggia del diavolo, N.d.A.). I due ringraziarono commossi.

 

Parte ottava LA NOTTE DELL’INNOMINATO

 

Qualcuno ha avuto la loro stessa idea, pensò Lalla ghignando, durante l’ultima connessione della giornata. Il messaggio doveva essere opera del detective che era stato messo alle calcagna dei fuggiaschi. Forse della polizia addirittura. Si disconnesse. Si coricò. Era mezzanotte passata.

Non chiuse occhio. E se la polizia avesse scoperto la tresca? Pensò. Non voglio finire in galera a causa della bertuccia!!! O se proprio in galera dovevo finire, l’avessi almeno strozzata…

Si alzò. Si connesse. “So dove sono” digitò. Si coricò. Non riuscì lo stesso ad addormentarsi.

 

EPILOGO

 

Credo di non aver mai visto un posto squallido come questo: una collinetta brulla come il cranio di Cantacesso senza parrucchino in cima alla quale sorge una cabina dimessa dell’Enel, battuta da un feroce maestrale che ulula come il lupo mannaro americano a Londra e puzza più di una fogna. Davanti alla porta, i due guardano per aria con occhi straniti, in attesa dell’elicottero. Che sarà qui a momenti, a quanto mi ha detto Terry. Una piccola folla di curiosi, ragazzini soprattutto, ma anche qualche uomo fatto, qualche robusta casalinga, un paio di procaci squinziette con l’ ombelico al vento e tre o quattro vecchine che, occhi al cielo, mormorano giaculatorie, è venuta a godersi lo spettacolo.

Non credo che sappiano chi c’è a bordo dell’elicottero. Comunque le squinziette con l’ombelico di fuori, le casalinghe culone e perfino le vecchiette si mangiano con gli occhi il mio accompagnatore. E quando l’elicottero atterra e l’altro sbarca, rischiano lo strabismo permanente per guardarli entrambi. E’ uno splendido maschione muscoloso, con una lunga coda bionda che gli invidio da morire. Indossa pantaloni militari e una canotta nera incollata ai pettorali scolpiti. Abbigliamento e capelli a parte, è identico a Terry. Ma questo lo sapevo, quindi non mi stupisco.

Con la faccia dei giorni peggiori, si avvicina alla dolce metà, le borbotta qualcosa che non capisco ma immagino, quindi saetta un’occhiata incendiaria al Cantacesso, che si fa piccolo piccolo. Ma, grazie al Cielo, si limita a quella.

Noto che ha qualcosa a penzoloni sulla pancia: una piccola sacca, una specie di marsupio da cui sbucano due occhietti da talpa e un largo becco di papera: l’ornitorinco.

“Did yow want bike?! And now, pedal!”

E’ incazzato furioso. Prima di salire sull’elicottero che la porterà chissà dove, Cappuccetto Rosso si volta verso il suo compagno di avventure e, con voce di pianto, gli sussurra :”So long, Kantesiessow…” Sono quasi quasi commossa. Menomale che c’è Terry, qui con me, a confortarmi.

Poche ore ancora, e anche noi dovremo salutarci. E’ stato bello conoscerti, gli faccio. Spero tanto di rivederti ancora. Questo non lo so se sarà possibile. Quel che so per certo è che nemmeno questa volta sono riuscita a liberarmi del Cantacesso e che quando sentirò il telefonino squillare…OH NO!!!

 

Fine

Lalla, 13 aprile 2003

 

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