Parte prima MOSCHE DA BAR IN COSTA
SMERALDA
E’ molto tardi, ma il barista sa
che non può buttarli fuori dal locale, anche se è
morto di stanchezza e si ritirerebbe molto volentieri a
dormire. Sa che i miliardari vanno trattati con i
guanti, anche quando sono ubriachi da non reggersi in
piedi e l’orologio appeso al muro segna le tre del
mattino.
Se non altro, questi sono due
ubriachi tranquilli e, ringraziando il Padreterno, non
gli hanno sfasciato il locale, come altre volte è
capitato. Beh, tanto i ricchi pagano, per mettere tutto
a tacere e non rischiare la reputazione. Ma i due,
almeno in quel senso, non gli creeranno problemi. Questo
è certo.
L’uomo ha tutta l’aria di uno
alla sua prima sbronza, anche se, all’apparenza,
dimostra una cinquantina d’anni. Il naso paonazzo
spicca come una lanterna cinese sulla faccia gialla. I
capelli color pannocchia, sicuramente un parrucchino,
gli si drizzano sul cranio appuntito e le luci al neon
baluginano sul candore abbagliante della dentiera.
Indossa un giacca azzurra coi bottoni dorati da yachtman
che su di lui ci sta come i cavoli a merenda.
Sembrerebbe impossibile, eppure il tre alberi ancorato
nel porticciolo e che porta il nome curioso di CELLULOSA
è il suo: il panfilo di Giacomo Leopardi Cantacesso,
che anche se sembra il due di briscola è uno degli
uomini più ricchi d’Italia, il re della carta
igienica.
Gli è bastata mezza bottiglia d’Amaretto
di Saronno per inciuccarsi e adesso guarda di fronte a
sé, con gli occhi cotti dalla sbornia, la donna.
Lei stringe tra le mani il bicchiere
vuoto e altrettanto vuota è la bottiglia di bourbon che
le sta davanti. E’ una finta bionda magra come un
chiodo, indossa una minigonna che le scopre due gambette
ossute e un top incollato alle tette inesistenti.Vista
da lontano, sembra una bambina di otto anni. Vista da
vicino, ne dimostra quaranta portati male.
Anche il buon Umberto Smaila, che
continua stoicamente a cantare per gli unici clienti del
locale, andrebbe volentieri a casa sua a dormire,
tantopiù che da un paio di giorni è tormentato da un
feroce mal di denti. Attacca “Tutto quello che un uomo”
e i due si guardano negli occhi. Si sono parlati per
ore, confidandosi i reciproci problemi, lei in inglese,
lui in italiano. Nessuno dei due ha capito un’acca, ma
continuano a guardarsi negli occhi…E a leggersi dentro
le risposte di cui vanno alla ricerca.
Lui, con la bocca impastata dall’Amaretto
di Saronno le ha raccontato che la donna di cui è da
anni disperatamente innamorato, tale Allegretti Gisella,
dipendente del parastato, dopo aver accettato di
accompagnarlo in crociera sul suo yacht e di godersi un
mese di vacanze extralusso in Costa Smeralda, non appena
messo piede a terra se l’è filata con l’animatore
di un villaggio Alpitour, un ragazzotto di venticinque
anni con il brillantino all’orecchio, i colpi di sole
e un culo che pare scolpito da Fidia. Il sospiro ha
rischiato di trasformarsi in un conato di vomito e il
conato di vomito si è riciclato in un sonoro ruttaccio
maleodorante, ma anche la sua interlocutrice è talmente
ubriaca che di sicuro non se n’è neppure accorta.
“Tu sarai la regina dei miei
desideri…Tutto quello che un uomo sognare potrà…”sussurra
Smaila con voce flautata. E il Cantacesso fa mentalmente
sue quelle tenere parole accompagnate dagli accordi
struggenti del blues.
Adesso tocca alla donna parlare. Lui
si beve con occhi adoranti le sue parole, anche se non
capisce quasi un accidente. E lei parla a valanga di un
individuo che non chiama per nome ma that dirty
bastard. Dice che continua a sopportarlo solo
perché è ricco da far schifo ma, per il resto, non se
la sentirebbe di augurarlo nemmeno alla sua peggiore
nemica. Lo sporco bastardo in questione è uno che
guarda con occhi libidinosi qualsiasi femmina tra i
quindici e i sessant’anni, se la femmina ci sta, e
purtroppo ci sta quasi sempre trattandosi di un gran
bell’uomo, non se lo fa dire due volte, se non è
fuori per lavoro è sempre in giro con quei brutti ceffi
degli amici a combinare casini, se si incazza smoccola
come uno scaricatore di porto e arriva anche a menare le
mani, beve come dieci spugne, fuma come cento turchi,
deve patire qualche grave forma di artrite al dito medio
che tiene sempre rigido e puntato al cielo…E pensare
che, prima del matrimonio mogio mogio le aveva promesso
che sarebbe cambiato, invece…
La donna tira su col naso e continua
con il suo sfogo. E’ arrivato a costringermi a
dividere il letto con…con…
Il Cantacesso rizza le antenne, cerca
di far emergere dai recessi della memoria il misero
inglese studiato alla ragioneria. Con chi la sfortunata
è stata costretta dal mostro a dividere il letto? Una
sera di temporale, con un rottweiller di sessanta chili
che, poverino, è terrorizzato dai tuoni. Un’altra
volta con un ornitorinco, tu non hai idea di che razza
di animali schifosi e puzzolenti siano gli ornitorinchi
e di quanti parassiti abbiano…Gli dice che il
farabutto mantiene come principesse duecento e passa
vacche Angus in un orribile ranch lontano da qualsiasi
forma di civiltà e che teme, prima o poi, di essere
costretta a dividere il letto con qualcuno di quei
puzzolenti mostri cornuti. Gli confida anche di temere
che il suo uomo, villoso e barbuto come un cavernicolo,
abbia addosso più pulci lui delle sue bestiacce…Cantacesso
afferra qualcosa e gongola. Certo, sapere che l’uomo
più desiderato della terra ha le pulci non è lo stesso
che scoprirlo finocchio dichiarato, ma è comunque una
bella soddisfazione.
Si versa dell’altro Amaretto di
Saronno, lo butta giù come una smorfia quasi che fosse
olio di fegato di merluzzo mentre lei continua a parlare
di vacche, cani, pulci e ornitorinchi, brutte bestiacce
con il corpo da talpa, le pinne da foca e il becco da
papera, che in diecimila anni di evoluzione ancora non
hanno deciso se essere mammiferi, uccelli o pesci.
Lei, che ha finito il suo whisky ma
ha ancora voglia di bere, si riempie il bicchiere del
micidiale intruglio zuccherino avanzato dal suo
interlocutore e, dopo una smorfia, fa: “Cows, dogs,
bugs and and duck billed platypus (ornitorinco, N.d.A.)
…FUCK!!!” Il povero Cantacesso, che ha quasi
completamente dimenticato il poco inglese che qualcuno
tentò invano di ficcargli in testa quando andava a
scuola, pensa che il disgraziato, al pari di certe
vecchie gattare, ami più gli animali che non gli esseri
umani. Tutti: vacche, cani, insetti, ornitorinchi…Perfino
i FUCHI!
Umberto Smaila, che ha dovuto cedere
le armi al suo fastidioso mal di denti, lascia il locale
e il barista guarda con occhio torvo i due che non si
decidono ad andarsene.Lei continua a parlare, a
ingargarozzarsi di Amaretto di Saronno e lui a
contemplarla con l’occhio cotto. Non capisce quasi
niente dei suoi sproloqui, durante i quali la donna
continua a descrivere in toni apocalittici un incallito
bevitore, donnaiolo, fumatore che ad andargli vicino
puzza quanto le caldaie dell’Orient-Express al tempo
in cui i treni andavano a carbonella e baciarlo è lo
stesso che leccare un portacenere.
Il farabutto, gli dice, che ha una
bella voce e giusto per uscire dalla solita routine ogni
tanto incide un disco, ha dedicato il suo ultimo lavoro
non a lei…ma a tutte le altre donne che ha amato! Il
grafico che doveva occuparsi di realizzare la copertina
si era messo le mani nei capelli: come stampare nello
spazio risicato di un cd un numero di nomi pari a quello
di una petizione referendaria di Marco Pannella?
I due si sono alzati in piedi e, con
passo barcollante, si apprestano, almeno così si augura
il barista, a lasciare il locale. Invece no. Lei fissa
lui con i suoi occhietti che sembrano asole di camicia e
gli fa: ”Sing me a song…Kantesiessow…”
dopodiché gli si abbarbica addosso come una zecca a un
cane randagio.”Please, Kantesiessow…” Quell’abbraccio
disperato e il fatto che le brevi frasi da lei
pronunciate siano al suo livello medio di comprensione
dell’inglese, commuovono il Cantacesso non meno del
fatto che, per la prima volta in vita sua, il derelitto
si sia trovato ad avere a che fare con una donna più
bassa di lui nonostante poggi i piedi su venti
centimetri di zeppa in stile Elton John prima maniera,
o, a scelta, peripatetica in attesa dei clienti davanti
al fuocherello. E allora, con voce che pare quella di un
cane idrofobo giunto alla fase terminale della sua
malattia, attacca”Son contento di morire, ma mi
dispiace/mi dispiace di morire ma son contento!”
salvo poi rendersi conto che, forse, quello non è
proprio il brano di repertorio più adatto per far la
serenata a una fanciulla. E allora riattacca ”Alice
guarda i gatti…” Non si ricorda le parole. Ma la
sera prima ha visto Zelig e poi tanto la fanciulla in
questione non capisce l’italiano “…e i gatti
guardano le alici…”
Lo sguardo del barista da torvo
diventa truce, man mano che le ore trascorrono il
disgraziato somiglia sempre di più a Jack Nicholson in Shining.Le
cinque. Già si ode, proveniente dall’entroterra
gallurese qualche sonoro chicchirichì…
Lui ha terminato la sua esibizione
canora. Lei gli sorride, neanche avesse appena visto gli
U2 in concerto con Bono Vox in stato di grazia. La
commozione inizia a far girare vorticosamente le
interiora del Cantacesso che, questa volta, non riesce a
convertire il conato in ruttaccio e rovescia sui piedi
alla malcapitata il contenuto del suo stomaco, un
cocktail a base di riso in bianco, mozzarella, succhi
gastrici e Amaretto di Saronno.
Il barista comincia a sbraitare e ad
agitare le mani. E i due, alla luce incerta che, data l’ora
legale, non è ancora neppure quella del primo mattino,
lasciano il locale. Finalmente è riuscito a cacciarli
via, pensa. E chissenefrega se lui è un grosso
imprenditore e lei una nullità sposata a un
popolarissimo divo di Hollywood. E chissenefrega se con
tutta probabilità appostati fuori come avvoltoi in
attesa che il moribondo diventi cadavere ci sono un
battaglione di paparazzi per i quali non esiste né
giorno né notte. Basta che sia scoop.
Parte seconda UNA VACANZA
RILASSANTE
Dopo un giorno passato a meditarci
su, ho deciso di accettare la proposta di Graziella.
Brava ragazza e buona amica, per carità, la Graziella,
ma appartiene a quella categoria di donne che mi fanno
una rabbia…Non avrebbe bisogno di lavorare, visto che
il marito dentista guadagna i soldi a palate, ma lei
dice che a stare in casa si annoia. Comunque non sono
qui per criticarla, anche perché con me è stata
davvero carina. Siccome trova che ultimamente abbia l’aria
sbattuta e un bisogno disperato di una bella vacanza, mi
ha detto, perché non vai a passare un mese a Cannigione
(località della Costa Smeralda N.d.A.) dove io e
Agenore, che poi sarebbe il marito dentista, abbiamo un
appartamento in un residence tanto carino? Quest’anno
non ci possiamo andare, sai, lui vuol farsi la crociera
ai Caraibi, è sempre stato il suo sogno…Almeno ti
diverti, prendi un po’ di sole e mi apri casa…
E mi libero del Cantacesso e delle
paturnie sue, penso prima di telefonarle per dirle che
accetto la sua proposta. Incondizionatamente. Ho già
preso le ferie e dopodomani parto.
La vita è terribilmente cara, da
queste parti, penso mentre infilo la chiave nella toppa.
Ma io ho unicamente intenzione di abbronzarmi, nuotare e
riposarmi. L’appartamentino, carinissimo, anche se è
un buco di venti metri quadrati, dispone di un angolo
cottura, sicché non sarò costretta a dilapidare nei
ristoranti i miei risparmi. Pastasciutta casalinga e un
bel piatto d’insalata mi basteranno a campare e mi
aiuteranno a smaltire i chili di troppo. Avendo
viaggiato in aereo non ho potuto portare con me la mia
Seicento, ma sono riuscita a trovare, al noleggio, una
Smart che sembra l’auto di Topolino, e questa è l’unica
spesa che dovrebbe incidere seriamente sul mio budget.
Il cellulare avrei voluto lasciarlo a casa, ma mia madre
è anziana…Del computer, invece, non riesco a farne a
meno e mi sono tirata appresso il mio fedele portatile
con il quale mi farò qualche bella navigata quando, la
sera, mi verrà la tentazione di uscire e di dilapidare
i miei pochi soldi in questo posto per gente ricca,
spensierata e spendacciona.
Bah. Arrivo al residence alle nove di
sera, mi gira la testa perché non sono mai riuscita a
superare del tutto la paura dell’aereo, mi sdraio sul
letto, mi accendo una sigaretta, chiudo gli occhi…Toccata
e fuga. E’ fatta, penso. Mi ha scovata anche qui.
Deve avermi presa per il suo
salvagente o roba del genere, tremo al pensiero che si
innamori di me perché uno così non lo vorrei manco
scannata, e mi domando come mai, con tutti i soldi che
ha, non riesce a liberarsi di quella caterva di
complessi di tutti i generi che si porta appresso
dacché sta al mondo. O forse, in realtà, lo so anche
troppo bene. Del resto, basta guardarlo per rendersene
conto. Poveretto.
Gli affari, invece, procedono a
gonfie vele. Adesso si è messo a produrre anche
assorbenti igienici, altro articolo che mai conoscerà
crisi: mini, midi, maxi, supersoffici, extrasottili, con
le maxi ali manco si trattasse di un condor…Quest’ultimo
modello è stato battezzato “A Silvia”. Ringraziando
il Cielo, non gli è passata per l’anticamera del
cervello l’infelice idea, per restare in tema
leopardiano, di chiamarli “Il passero solitario.” O,
peggio, “La passera solitaria.” Altrimenti sarebbe
stato da denunciare, processare e condannare all’ergastolo
senza attenuanti.
“Pronto, Laura?”
“Sì?”
“Tu che sai l’inglese, fuck vuol
dire fuco, o…”
“Vaffanculo.”
Mi interrompe la comunicazione. Ha
equivocato ed è sicuramente offeso con me, ma io gli
stavo semplicemente fornendo la traduzione esatta di
quel termine che lui credeva significasse il maschio
dell’ape…In ogni caso, forse sono riuscita a
liberarmi di lui per un giorno o due. Forse.
Parte terza SOSPETTO SEQUESTRO
Le otto del mattino.Mi pavoneggio
davanti allo specchio con il costume da bagno appena
acquistato, rigorosamente intero perché non ho alcuna
intenzione di esporre i miei cuscinetti al pubblico
ludibrio, anche se qui perfino le vecchie di settant’anni
prendono il sole a tette sciolte. Beh, più che
pavoneggiarmi sto semplicemente controllando la tenuta
di tette, cosce, culo e pancia. Sembra che reggano.
Infilo i jeans, una t shirt bianca e
mi appresto a lasciare l’appartamento per recarmi in
spiaggia. Nel borsone ho messo gli occhiali da sole con
le lenti graduate, la crema protettiva e l’ultimo
giallo di Andrea Camilleri. Sono pronta.
Apro la porta, esco…Sul
pianerottolo, qualcuno mi fissa. Mi chiama per nome e
cognome, mi chiede se sono io. Dopo essere stata per un
attimo sfiorata dal sospetto di trovarmi di fronte a un
maniaco assassino, riacquisto la mia lucidità e gli
chiedo che vuole. Dimostra sessant’anni, ha una
faccetta vizza cotta dal sole, gli occhi azzurri ed è
vestito in tenuta marinaresca.
Il Russell Coutts (sarebbe lo
skipper di Alinghi, niente a che vedere con Ciccionostro
N.d.A.) dei poveri diavoli si presenta come
Giambattista Parodi e, con marcato accento genovese, mi
dice di essere il comandante della barca del commendator
Leopardi Cantacesso. Insomma, non potendo o volendo
rompermi le palle direttamente, adesso il disgraziato lo
fa per interposta persona. Sto per esplodere in una
sequenza di parolacce degne di Russell Crowe nei cessi
dello Zuma, se ne avessi la stazza e la rissosità penso
che menerei anche le mani…Ma mi trattengo. Braccio di
Ferro ha l’aria preoccupata. Il mio intuito mi dice
che è accaduto qualcosa di brutto al Cantacesso.
-Belin d’un belin,
guardi qui, signora…
Mi porge un foglietto stropicciato.
“ Non imischiateci (sic!) la polizzia (sic!).” C’è
scritto sopra, in stampatello e con la grafia incerta e
gli orrori ortografici di chi ha poco studio o cerca di
spacciarsi per tale.
Inghiottisco a fatica il groppo che
mi va su e giù dallo stomaco alla gola e viceversa.
Sembrerebbe un sequestro, penso, e il sangue mi si gela.
Dov’è stato visto il commendatore per l’ultima
volta? Braccio di Ferro mi cita, tra un belin e l’altro,
il nome di un noto locale di Porto Cervo, dove il
Cantacesso avrebbe passato la notte, ubriacandosi
sproloquiando e cantando in compagnia di una biondina
mal vestita e con i capelli unti. Forse era ancora lì,
mi dico, quando mi ha telefonato per chiedermi che cosa
significa fuck. Alle nove di sera del giorno dopo.
Strano. Con una donna…bionda, malvestita…Mi hanno
detto che dalle parti di Santa Teresa di Gallura c’è
una comunità di punkabestia (emarginati che
vivono in compagnia dei loro cani chiedendo l’elemosina
ai passanti N.d.A.). Forse è lì che l’ha pescata
e se l’è tirata appresso.
Rinfrancata, saluto il vecchio
marinaio, raggiungo la spiaggia, mi godo le mie due ore
di sole…Non di più, ho la pelle delicata. A
mezzogiorno mi rivesto e me ne vado. E così quell’imbecille
è riuscito a rimorchiare una barbona e a farsi l’avventuretta...
Eppure, il pensiero di quel biglietto sibillino e
sgrammaticato mi fa correre un brivido gelato lungo il
solco della schiena, anche se qui si muore di caldo.
Barbona, avventuretta…o sequestro?
Non so che pesci prendere. Né certo
mi snebbia le idee il pacchettino che la portiera dello
stabile mi consegna. Il postino l’ha appena portato,
mi dice. E’ stato inviato per posta prioritaria dall’
ufficio di un centro qua vicino, a giudicare dal timbro.
E’ uno di quei sacchetti imbottiti che vengono usati
per spedire oggetti come libri o cd. Non c’è
mittente. L’impulso mi suggerirebbe di aprirlo. Ma mi
trattengo, ripensando a storie truculente di orecchie
tagliate. Lo accantono. E cerco invano qualche santo a
cui votarmi.
I criminali che hanno in mano
Cantacesso, perché ormai in me si è radicata la
certezza che di sequestro si tratti, non vogliono che la
polizia venga avvertita. Il biglietto non parla di
ritorsioni ma le intuisco, quelli dell’Anonima hanno
dato in diverse occasioni ampia dimostrazione della loro
spietatezza. E io, in fondo, al Cantacesso voglio bene:
non fosse stato per lui, sarei ancora a rischiare l’esaurimento
nervoso alla ASL numero 20…In ogni caso, è chiaro che
non posso gestire da sola la faccenda. Che fare?
Tempo fa, ho letto da qualche parte
che esistono agenzie specializzate in questo genere di
trattative. Non in Italia, forse. E in ogni caso,
carissime. Ma Cantacesso ha un sacco di soldi e, sono
sicura, preferirebbe scucirli a qualcuna di questi
agenzie piuttosto che all’Anonima Sequestri. Non mi
resta che connettermi ad Internet.
Luthan Risk. London. I migliori sulla
piazza. Posso mandare una e mail alla loro casella di
posta elettronica o telefonare. Nel sito c’è il
numero. Me la cavo benino con l’inglese. Telefono.
Non immaginavo tanta efficienza.
Domani stesso mi manderanno il migliore dei loro agenti,
Terry Thorne, direttamente ad Olbia dall’aeroporto di
Heathrow. Dovrò solamente accollarmi il disturbo di
andare a prenderlo alle otto di sera. Bene, e che Dio me
la mandi buona.
Parte quarta IL MEDIATORE
Dopo una nottataccia passata a
rivoltarmi nel letto pensando al destino ingrato del
povero Cantacesso e a questo Terry Thorne che dovrebbe
aiutarmi a toglierlo dai casini dietro pagamento di
lauta ricompensa, mi alzo, butto giù una frettolosa
colazione e vado a passare un paio d’ore in spiaggia
cercando di dimenticare tutti i miei guai. Inutile dire
che non ci riesco. Torno a casa, mi scaldo una pizza
surgelata nel microonde, la mangio tutta nonostante
faccia schifo, perché è noto all’universo mondo che
la sottoscritta quando ha qualche problema s’ingozza
come una porca e, quel che è peggio, potrebbe mangiare
anche un vassoio di plastica trovandolo pure saporito.
Le sei e mezza. Ora di andare ad
Olbia a rilevare l’agente segreto. Chissà com’è.
Un po’ di curiosità ce l’ho e, contrariamente al
mio solito, prima di uscire mi agghindo e mi profumo
come faceva l’Allegretti. Con la speranza che il
suddito di Sua Maestà Britannica in questione
rassomigli a Pierce Brosnan e non a Mr Bean.
Strada facendo, me lo figuro come una
sorta di bietolone lentigginoso e corpulento e mi chiedo
come cazzo farà ad accomodarsi in questa scatola di
sardine che ho noleggiato, a paragone della quale la mia
fida Seicento sembrava il Titanic. Boh.
Arrivo in aeroporto che sono le otto
meno un quarto. Una hostess con il dono della
chiaroveggenza mi si avvicina e mi invita ad accomodarmi
in una saletta dove io e il passeggero in arrivo da
Londra, Mr Terence Thorne, ci saremmo potuti incontrare
evitando il bailamme della folla e possibili equivoci.
Io mi accomodo, perché, per quanto stupido possa
sembrare, ho le gambe che mi fanno giacomo giacomo come
al liceo prima delle interrogazioni di matematica.
Scartabello uno di quei giornali
infarciti di pubblicità e splendide fotografie di
paesaggi che si possono reperire solo negli aeroporti e
mi dispongo mentalmente ad una breve attesa agitata. L’aereo
non è in ritardo. Anzi, è puntualissimo.
-Miss Laura De Martini?
Non oso alzare gli occhi dal
giornale, nella frazione di secondo che la bella voce
maschile impiega a pronunciare la fatidica domanda passo
in rassegna tutti gli inglesi più racchi di cui
conservo memoria, dal segretario della Nato Robertson al
maestro del cinema Ridley Scott, transitando
naturalmente per Sua Altezza Reale il Principe Carlo. Ma
logica e creanza impongono che alzi gli occhi sul mio
interlocutore, il quale poveretto è rimasto con la mano
tesa come uno stoccafisso davanti a ‘sta cretina con
gli occhialetti tondi che non sa quali pesci pigliare.
-Yes, it is.
Faccio, prima di strozzarmi con la
mia stessa lingua. Mr Thorne ha i capelli chiari e
qualche lentiggine ma la sua somiglianza col mostro
partorito dalla mia fantasia malata finisce lì. E’
alto senza essere un gigante, uno e ottanta circa, ha i
capelli corti e ricci e un delizioso facciotto un po’
infantile un po’ impunito illuminato da stupendi occhi
color acquamarina. Sono convinta di non aver mai visto,
a parte la transitoria trasformazione del Cantacesso di
cui fui inconsapevole testimone un paio d’anni fa, un
uomo più bello di questo qui. E’ perfino meglio del
mio idolo cinematografico che, quando l’ho incontrato
all’atelier di Armani, mi è sembrato bonazzo sì, ma
un po’ appesantito e decisamente sciattone. Mr Thorne
indossa una giacca di lino beige su una t shirt nera, un
paio di blue jeans, scarpe Geox direttamente sui piedi
scalzi, emana un leggerissimo profumo di colonia, non
credo si tratti di dopobarba perché non è rasato di
fresco, e tiene a tracolla un borsone da viaggio. La
valigia che spinge con il carrellino non è troppo
voluminosa. Quando la carico in macchina, la Smart
ringrazia.
Dall’aeroporto di Olbia al
residence di Cannigione ci saranno tre quarti d’ora di
viaggio e a me non piace correre. Lui si gode estasiato
lo stupendo panorama, io devo fare sforzi titanici per
ricordarmi che sto guidando un’auto su una strada
piena di curve e non posso distrarmi ammirando il SUO
altrettanto stupendo panorama. Ma ogni tanto l’occhio
mi cade sul profilo perfetto, sulle sopracciglia folte e
dritte, sullo sfarfallio delle lunghissime ciglia
dorate. E penso con orgoglio che mi sto scarrozzando il
classico uomo con cui le donne adorano pavoneggiarsi in
giro. Ho perfino dimenticato i motivi per cui quest’Apollo
posa le natiche sode sul sedile di fianco al mio: i guai
di Giacomo Leopardi Cantacesso.
-Mai stato da queste parti?
Faccio, tanto per rompere il
silenzio. No, mi risponde lui. Bellissimi posti. Mi
sembra un tipo di poche parole. Peccato, a me piacciono
quelli loquaci. Comunque mi dice che padroneggia
perfettamente l’italiano e che, se preferisco,
possiamo conversare nella mia lingua. Io, naturalmente,
preferisco.
Parla poco, e non sfiora neanche di
straforo il motivo per cui è qui. Riservato, com’è
giusto che sia. Il problema è serio, non possiamo
affrontarlo parlandone a spizzichi e a monconi. Meglio
discuterne approfonditamente appena giunti a casa.
Giungiamo a destinazione che è quasi
buio, ma da queste parti si vive di notte e la strada è
piena di gente. Sembra che tutti ci guardino. Varchiamo
la soglia e la portinaia, che è pettegola come tutte le
appartenenti a tale categoria professionale, ci squadra
da capo a piedi. Allora lui fa quello che mai mi sarei
immaginata: molla la valigia, mi abbraccia e, prima di
darmi il tempo di protestare, mi caccia in bocca un
palmo di lingua. Sono annichilita. Sotto lo sguardo a
periscopio della portinaia, continua il suo gioco di
seduzione, sfiorandomi con le sue piccole, soffici
labbra polpose, il lobo dell’orecchio e sussurrandomi
“Meglio che tutti credano che si è portata l’amante
in casa, miss…Per lei, per me…e per il mio cliente.”
Dovevo immaginarlo che sotto c’era il trucco, ma
intanto muscoli, ossa e tendini delle mie povere gambe
si sono trasformati in créme caramel.
Quando apro la porta dell’appartamento
mi sembra deluso. Forse non se l’aspettava tanto
microscopico. Dopo che la porta si è chiusa alle nostre
spalle, si accomoda su una poltroncina e mi fa:
-Naturalmente, vista l’assoluta
segretezza della mia missione, è da escludersi
tassativamente che io alloggi in un albergo della Costa
Smeralda nel mese di luglio. Risiederò qui. Il posto mi
sembra discreto. L’appartamento è piccolo, ma sono
abituato ad arrangiarmi. Per esempio…-e butta l’occhio
ceruleo sul letto matrimoniale -dormirò nel sacco a
pelo. Non le creerò alcun disturbo, miss De Martini.
Sì, in un sacco a pelo ai piedi del
mio letto, visto che questo dannato appartamento è un
monolocale in cui l’unico vano che sia chiuso da una
porta è il bagno. Dopo aver dato l’addio alla mia
reputazione di brava ragazza, quantomeno agli occhi
della portinaia, debbo solo sperare che il bellissimo
giovanotto con cui dovrò dividere l’alloggio per
chissà quanto tempo non sia un maniaco stupratore e
assassino. Io ho il terrore dei maniaci stupratori e
assassini. Riesco a vederli nei posti più impensati.
Parte quinta PRELIMINARI DI
INDAGINE
E’ presto per coricarci, anche
perché il caldo e l’irrequietezza non mi farebbero
chiudere occhio. Dopo avergli preparato una pastasciutta
superveloce che divora con gagliardo appetito (mi ha
appena detto che non ha problemi con il cibo, è
abituato a mangiare qualsiasi cosa), si appresta ad
iniziare le indagini. Appena messo piede in casa, si
toglie la giacca e la lingua mi si incolla al palato: ha
spalle poderose, bellissime braccia scolpite e
centoventi centimetri di torace come minimo: visto che
ha ritenuto opportuno spacciarsi per il mio gigolo o
roba del genere, non vedo l’ora di togliermi la
soddisfazione di esibirlo in spiaggia.
-Mi hanno detto che il… presunto
sequestrato è uno degli uomini più ricchi d’Italia.
Berlusconi? Moratti? De Benedetti? Benetton?
-Giacomo Leopardi Cantacesso.
-Giacomo Leopardi, come il grande
poeta- fa lui arricciando il suo splendido naso romano-
Cantacesso… Singing Lavatory… Un cognome
alquanto strano.
-L’ha acquisito dopo essere stato
legalmente adottato dallo zio che gli ha lasciato in
eredità i suoi stabilimenti.
Mi guarda con i suoi occhi acuti e mi
sorride. Lo guardo anch’io e penso che se Giacomo
Leopardi (non il Cantacesso, l’altro) fosse stato come
lui anziché gobbo e stortignaccolo, probabilmente
invece del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”
avrebbe scritto la serie completa delle Osterie. E il
mondo avrebbe perso un grande poeta, ma le varie Silvia,
Nerina, Aspasia e compagnia bella se la sarebbero
spassata alla grande.
-Che cosa producono gli stabilimenti…ehm…Leopardi
Cantacesso?
Carta igienica. Salviette. Anche
assorbenti, faccio io diventando rossa come un pomodoro
fradicio perché ai miei tempi di certe cose non si
parlava in pubblico e anche se quei tempi sono cambiati
e gli ammennicoli in questione te li servono nella
pubblicità televisiva a tutte le ore e in tutte le
salse, non sono abituata a discettarne con giovani
maschi pressoché sconosciuti, stranieri e di bellissimo
aspetto.
-Chi è per lei questa persona?
-E’ importante saperlo?
-Perché risponde alla mia domanda
con un’altra domanda?
-Non credevo che voialtri inglesi
foste così indiscreti.
-Ma io non sono inglese. Sono
australiano.
Ah, penso. Australiano. Dal
Continente Nuovissimo vengono i più sontuosi maschi
della terra: Russell Crowe, Mel Gibson, Hugh Jackman…
Altro che Mr Bean, Ridley Scott, Sir Robertson e il
principe Carlo.
-Non è mio marito, né il mio
fidanzato e neppure il mio amante, se è questo che le
preme di sapere.
-Un amico?
-Più o meno.
-Come mai…ha deciso di prendere lei
in mano la faccenda? Non ha altri parenti, questo…Leopardi
Cantacesso?
Gli spiego che il derelitto è
celibe, figlio unico di madre vedova ottantaseienne e
quasi completamente svanita, che vive con una cameriera
filippina e una badante rumena le quali masticano a
stento l’italiano e non sarebbero in grado di gestire
l’emergenza.
-Gli deve…qualcosa?
Mi ha dato una mano per quel che
concerne il lavoro, gli faccio sorridendogli in tralice.
Quando mi chiede quale attività esercito, gli rispondo
che sono impiegata presso l’Assessorato Provinciale ai
Beni Culturali e riesco a leggergli nel pensiero che non
capisce quale nesso possa esserci tra un miliardario e
una nullità come la sottoscritta.
-Ha una sua foto?
Ce l’ho. Gliela mostro. Non è
molto nitida, ma si riesce a distinguerlo con
sufficiente chiarezza. Anche lui, arricciando il bel
naso romano mi dimostra di aver capito.Tutto quanto.
-Potrebbe non essere un caso facile.
-Senta, miss: ho liberato un
diplomatico francese prigioniero dei ribelli ceceni e un
ingegnere americano sequestrato dai narcotrafficanti
nella giungla della Colombia. Non credo di aver bisogno
dei suoi consigli.
Mi verrebbe la tentazione di
schiaffeggiarlo ma non posso fare a meno di lui, eppoi
grosso com’è non credo che resterebbe fermo a
lasciarsi schiaffeggiare da un metro e sessanta di
donnetta che adora la nutella e detesta le palestre.
Magnifiche credenziali, gli faccio. Si è occupato di
qualche altro sequestro in Italia? E lui mi racconta
della sua prima impresa al servizio della Luthan Risk,
quando ha strappato dalle grinfie della ‘ndrangheta
calabrese la giovane moglie di un imprenditore agricolo
di sessant’anni. La quale, tra parentesi, si era pure
innamorata del suo carceriere. Sindrome di Stoccolma?
Faccio io. No, sindrome della puttana, mi risponde lui,
mentre un sorriso angelico gli illumina il viso rotondo
da monello impunito.
E ‘ quasi mezzanotte, ma non
abbiamo sonno, né lui, né io. Forse è per la fretta
di venire a capo di qualcosa, forse perché imbarazza un
po’ entrambi dividere la stessa camera.
-Ha qualche motivo per credere che si
tratti proprio di un rapimento? Il Cantacesso non
potrebbe essersi allontanato di sua spontanea volontà…che
so, con una donna?
Anche lui deve credere la faccenda
poco probabile, dopo aver visto la fotografia.
Dicendogli ecco che cosa mi fa propendere per l’ipotesi
sequestro gli allungo il bigliettino laconico e
sgrammaticato e il pacchetto che non ho ancora avuto il
coraggio di aprire. Puzza, e temo possa contenere l’orecchio
in decomposizione del Cantacesso. O peggio.
Lui legge il biglietto, apre la busta…Conosco
il fetore della putrefazione, mi fa con la consueta
delicatezza australiana che lo contraddistingue: questa
è semplicemente carta di cattiva qualità, riciclata e
trattata con chissà quale porcheria chimica. Ma io
chiudo gli occhi e volto ugualmente la testa dall’altra
parte. Sto per urlare, quando Thorne estrae dalla busta
una matassa di pelo che rassomiglia a una cavia
peruviana: il parrucchino del Cantacesso.
Si è spaventata? Mi fa sghignazzando
e io lo ammazzerei volentieri. Ma quando mi prende tra
le braccia e mi liscia la schiena per calmarmi allora
non lo ammazzerei più. Adesso è convinto che si tratti
di sequestro? Gli dico. Meno che mai, risponde con
sicumera. Che lei sappia…E’ stato visto con qualche
donna, ultimamente? Gli racconto della barbona con cui
si è sbronzato in un locale chic di Porto Cervo.
-Senta…Dopodomani cominceremo le
indagini. Dopodomani, per vedere se, nel frattempo,
qualcuno si farà vivo. Tutti possono sbagliare…Anche
Terry Thorne. Ma è un’ipotesi altamente improbabile.
E’ quasi l’una quando ci
corichiamo. Lui si toglie tutto, meno le mutande. Lo fa
per delicatezza nei miei riguardi, dice, a conferma del
fatto che dev’essere abituato a dormire nudo e in
buona compagnia. Accidenti, è bellissimo, penso tra me
e me. E anche, porca miseria, che avrà al massimo
trentacinque, trentasei anni e io ne ho dieci di più…Comunque,
mi lascio scappare la fatidica domanda: è sposato, mr
Thorne?
-Lo sono stato. A ventidue anni,
quando ero tenente dei Royal Marines, ho messo incinta
la figlia del colonnello. E a ventotto, quando ho
divorziato, ho dovuto dire addio alla mia brillante
carriera. Ma è andata meglio così: con mia moglie
avevo iniziato a litigare due giorni dopo le nozze e la
Luthan Risk paga meglio dell’esercito. Mi dispiace
solo di non avere abbastanza tempo per mio figlio.
La voce diventa malinconica e mi
rattristo anch’io. Se gli somiglia, dev’essere
proprio un bel ragazzino, penso prima di chiudere gli
occhi.
Parte quinta INDAGINI E…
La mattina successiva, mi alzo
abbastanza riposata e certa che gli avvenimenti possano
prendere una piega favorevole. Mi fido di questo Terry
Thorne, sono proprio convinta di aver fatto la cosa
giusta, mettendo il Cantacesso nelle sue mani. Ma non
appena lo vedo uscire dalla doccia cambio subito idea in
proposito. Il poveretto lamenta un feroce torcicollo e
mi rodo per il rimorso di averlo lasciato dormire per
terra. Stanotte si farà al contrario, io per terra e
lui nel letto. Mi offro di praticargli un massaggio, un
po’ me la cavicchio, sono stata tre anni fidanzata con
un fisioterapista, ai tempi funesti della ASL numero 20,
e qualche segreto del mestiere mi è riuscito di
carpirglielo.
Comunque, alla fine del trattamento,
lui è soddisfatto, io sono ancora più soddisfatta per
aver messo le mani su cotanto bendiddio e quando gli
propongo di scendere un paio d’ore in spiaggia accetta
con entusiasmo. Dopo avermi strappato la promessa che
gli spalmerò la crema protettiva sulla schiena. Ho la
pelle delicata e non vorrei scottarmi, mi fa. Non gli
dico di no. Mi pare ovvio. Del resto, anch’io ho la
pelle delicata.
In spiaggia, mi tolgo la
soddisfazione di essere guardata con malcelata invidia
da tutte le femmine presenti e anche da un paio di gay.
Soddisfazione amplificata dal fatto che quasi tutte le
femmine in questione sono molto più giovani e carine
della sottoscritta, e sfoggiano disinvolti topless,
mentre io mimetizzo i cuscinetti e i complessi con il
solito olimpionico nero. Lui le guarda, e ci rimango
male. Ma quando ci spalmiamo le rispettive schiene…Che
goduria, è anche meglio della nutella!
Lui nuota come un pesce, io come un
cane in procinto di affogare. Comunque ci divertiamo e
per un paio d’ore i guai del Cantacesso sono
accantonati. A due giorni dalla scomparsa, nessuno si è
fatto vivo, e Thorne è convinto che non si tratti di
sequestro. Domani, comunque, si comincia con le
indagini. Prima tappa, Porto Cervo.
A cena, mangiamo con appetito due
pizze, ottime questa volta, ordinate nel locale sotto
casa. Lui tracanna un paio di birre direttamente dalla
bottiglia, io un brick di acqua San Giorgio: sono
completamente astemia e gli unici vizi che ho sono le
sigarette e la nutella, gli faccio. Ma come, non ha
neanche il vizio principale? Mi domanda lui ammiccando.
Io lo ignoro e mi sdraio sul sacco a pelo. Lui, in un
impeto di pietà, mi invita a coricarmi sul letto, al
suo fianco. Non ho mai stuprato una donna che non ci
sta, mi dice credendo di tranquillizzarmi. Perlomeno
spero non abbia l’abitudine di portarsi a letto le
clienti. Qualche volta è capitato, risponde lui.
Comunque erano consenzienti. L’ultima è stata la
moglie dell’ingegnere sequestrato dai narcotrafficanti:
una certa Alice, lunga, magra, biondina. Un’isterica
rompiballe.
Andiamo bene, penso. Ho accettato la
sua proposta, perché mi piace la vita comoda e detesto
i sacchi a pelo. Ma me ne sto rannicchiata in equilibrio
precario sul bordo del materasso, rischiando di cadere e
sono talmente rigida che se domani non mi alzerò in
preda a dolori atroci sarà un miracolo. Lui se la dorme
beato, russando leggermente. Io, con gli occhi sbarrati
nel buio, ascolto il suo respiro, annuso l’odore
invitante della sua pelle, percepisco il calore che
emana…Nonostante sia buio e non lo veda, mi prudono le
mani. Me ne resto nel mio angolino, ma so che non
resisterò a lungo. Mi è venuta sete. Accendo l’abat
jour per prendere il bicchiere d’acqua dal micro
comodino e guardando la pelle morbida e cremosa del suo
petto, non resisto alla tentazione di posarci sopra la
bocca e di assaporare cotanta prelibatezza.
Il Bello Addormentato nel
Miniappartamento si sveglia, realizza quel che sta
succedendo e mi stritola tra le sue braccia da
lottatore. L’irreparabile sta per accadere e se
proprio qualche traccia della nostra passione dobbiamo
stamparci reciprocamente addosso, bisogna stare attenti
che sia in qualche punto occultabile dai vestiti. Non
possiamo mostrarci a Porto Cervo tartassati di
succhiotti nel corso delle indagini prossime venture…Butto
l’occhio sul comodino, e noto una confezione di
preservativi. La carogna è previdente, penso. Sempre
pronto per ogni evenienza, mr Thorne, ex capitano delle
Forze Speciali e detective specializzato in sequestri di
persona. Boh, gli australiani hanno molto senso pratico,
si dice. Ma mentre lui sta per inguantate il formidabile
attrezzo…Squilla il maledetto cellulare. Il mio.
Lo agguanto, anche se in quel momento
avrei preferito agguantare qualcos’altro, e sento
Terry imprecare come cento turchi a causa, ovviamente,
della brutta piega presa dagli avvenimenti. Pronto?
Faccio. Una vocina contraffatta mi invita a non
immischiarci la polizia. Dopodiché il titolare della
stessa chiude la comunicazione. Guardo il display. Vi
compaiono un numero e un nome: Giacomo Leopardi
Cantacesso. Il deficiente ignora quel trucchetto a base
di cancelletti e asterischi che tutti i ragazzini
conoscono e che permette di occultare la provenienza
della chiamata. Sbatto il telefono, un Motorola Timeport
Tri Band che ho pagato quasi un milione di vecchie lire,
e riprendo a strusciarmi contro la serica pelle
leggermente abbronzata e i tosti muscoli dell’uomo che
mi giace accanto e che sta continuando a inveire perché
ha appena sprecato inutilmente un preservativo. Non
credevo che gli australiani fossero spilorci quanto i
genovesi e gli scozzesi messi insieme.
La mattina dopo siamo più
tranquilli, rilassati, appagati visto che abbiamo avuto
modo di rimediare al contrattempo e, soprattutto, ben
consapevoli entrambi che non si tratta di sequestro. Ma
Terry, al quale adesso do del tu, e ci mancherebbe, dopo
quel che è successo la notte prima, vuole vederci
chiaro, e magari dare una lezioncina a quell’imbecille
di un Mr Singing Lavatory, come lo chiama lui, che
sembra proprio si stia divertendo a prenderlo per il
culo. Sue testuali parole: evidentemente la finezza non
è il forte degli australiani.
Da che parte cominciamo? Al
porticciolo, faccio io, dovrebbe esserci ancorata la
barca del Cantacesso. Quattro chiacchiere con il
comandante potrebbero essere opportune, visto che,
quando gli ho parlato, mi ha dato l’impressione di
sapere qualcosa. Come si chiama la barca? “Cellulosa”.
Terry scoppia in una sonora risata. E’ davvero
irresistibile quando ride.
Il comandante Parodi, infarcendo il
racconto con un centinaio almeno di belin
variamente intercalati, racconta di quando, dopo la
notte brava in un noto locale di cui mi cita il nome, il
commendatore e la bionda, che pareva un minin mortu
(gattino morto N.d.A.) sono saliti a bordo e hanno
continuato a sproloquiare, cantare, tracannare finchè,
dopo aver cacciato anche l’anima, sono crollati sul
ponte come due sacchi di patate marce. La mattina dopo
erano spariti.
Com’è la donna? Domanda Terry. Una
bionda secca come un’anciua (acciuga N.d.A.) fa
il lupo di mare. Belin, rassomigliava a
Cappuccetto Rosso della carta igienica. Terry lo guarda
con tanto d’occhi. Una sciacquetta che ha interpretato
lo spot pubblicitario di un prodotto della premiata
ditta Cantacesso. Gli rispondo io. Una tua compaesana.
-Laura, che cazzo vuol dire belin?
Mi chiede non appena lasciamo la
barca, il molo e Braccio di Ferro. Quello che hai appena
detto, faccio io.
Parte sesta LA TELEFONATA
Ci rechiamo in pellegrinaggio nel
locale dove il Cantacesso e la bionda si erano dati alla
pazza gioia pochi giorni avanti e io, spacciandomi, con
un’interpretazione degna del premio Oscar, per l’amante
tradita del re della carta igienica, riesco a scucire
qualche informazione al barman. Scopro che la bionda
secca come un’acciuga che sembra un gatto morto non
somiglia semplicemente a Cappuccetto Rosso dello spot. E’
CAPPUCCETTO ROSSO DELLO SPOT.
Perfetto, penso. Un indizio in più.
Non mi dispiace, sotto sotto, che la bionda abbia
cornificato il suo bellissimo marito con un arnese come
il Cantacesso. Sono soddisfazioni anche queste.
Terry è fermo in un angolo della
piazzetta, con il cellulare incollato all’orecchio.
Non mi avvicino per discrezione, ma riesco a captare
diversi fuck, fucking e motherfucker. Roba che se ci
fosse il Cantacesso presente, il poveretto penserebbe
seriamente di essere finito dentro un alveare.
Dopo venti minuti durante i quali mi
preoccupo seriamente per la sua salute, visto che se ne
dicono di cotte e di crude sulla nocività dei
cellulari, finalmente si avvicina. Era un amico, mi fa,
ostentando una faccia da funerale di milionesima classe.
Uno che sicuramente conosci anche tu.
Chi è? Domando in preda a una folle
curiosità. Lui mi si avvicina, si piega in due su
quella nana che sono e mi sussurra qualcosa all’orecchio.
-Certo che lo conosco. Me lo sogno
una notte sì e una no!
-E la notte no che cos’altro
sogni?! -Mi fa saettandomi un’occhiata che brucia come
il cannello della fiamma ossidrica. Me la cavo in corner
dicendogli ma sogno te, stupidone…E lui replica con
un: è nei pasticci. Non sa che fine ha fatto sua
moglie.
-Com’è che lo conosci?
-Eravamo compagni di scuola. Pur non
essendo parenti neppure alla lontana, ci somigliamo come
due gocce d’acqua. Già da ragazzini ci somigliavamo
talmente che i nostri insegnanti, vedendoci per la prima
volta, ci prendevano per gemelli. Anche se lui vestiva
all’ultima moda e aveva i capelli lunghi mentre io,
che sono figlio di un ufficiale, portavo i capelli a
spazzola e giacca e cravatta come papà comandava già
da quando ero alto così. Un po’ strano,forse, ma gran
bravo ragazzo. Adorava gli animali e si portava in casa
tutti i gatti randagi che riusciva a raccattare. Era
molto carino, e a sei anni già lavorava nel cinema.
-Che specie di studente era? Dimmi
tutto, sono curiosa…
-Eccelleva nello sport, come me. A
dieci anni si è scheggiato un dente giocando a rugby .
Bravissimo in letteratura e in componimento, ma non
capiva un cazzo di matematica. Io invece ero bravissimo
in matematica ma per iscritto non sapevo metter giù due
parole in croce. Sicchè imbrogliavamo i professori: lui
mi scriveva i temi e io gli risolvevo equazioni e
problemi. Nessuno se n’è mai accorto.
Evidentemente, penso, non è solo la
scuola italiana ad essere combinata da schifo, come dice
sempre mia cognata, che insegna inglese alle medie.
-Com’è che adesso si trova nei
pasticci?
-Dieci giorni fa ha litigato
malamente con la moglie e lei se n’è andata sbattendo
la porta. Da allora non l’ha più vista.
-E perché hanno litigato? I giornali
dicono che sono così innamorati…
-I giornali ne dicono tante. Lui, beh…
Adora gli animali, ti dicevo. Da bambino raccattava
gatti randagi e cornacchie con le ali rotte e se li
portava a casa. Adesso ha raccattato un cucciolo di
ornitorinco che alleva a omogeneizzati, fa dormire nel
suo letto e che lei non trova poi così carino. Gli ha
detto tante volte o me o quella bestiaccia, ma siccome
è pieno di soldi , per un po’ ha continuato a
sopportare lui e la bestiaccia. Finchè un giorno …
-Un giorno cosa?
-Lei sta tentando di sfondare come
cantautrice e non fa che strimpellare una pianola tutto
il santo giorno. Lui le ha detto di smetterla almeno
mezz’ora che aveva mal di testa e poi con quelle lagne
stava innervosendo l’ornitorinco. Lei non gli ha dato
retta, e allora lui ha preso la pianola e gliel’ha
scaraventata dalla finestra. E’ fatto così: un gran
bravo ragazzo, ma quando s’incazza non capisce più
niente.
Non oso dirgli che nei suoi panni
avrei fatto la stessa identica cosa. Ma non posso non
dirgli che la bionda misteriosa in fuga col Cantacesso,
Cappuccetto Rosso della carta igienica e la moglie del
divo bello, impossibile e zoofilo sono la stessa
persona.
-Cantacesso è con lei.
Già, mi fa lui. Sono in fuga chissà
da chi e da che cosa, come Thelma e Louise, la cameriera
sgallettata e la moglie infelice del film. L’imprenditore
sgallettato e la cantante infelice. O l’imprenditore
infelice e la cantante sgallettata. A scelta.
Parte settima COME THELMA E LOUISE
I primi giorni era anche divertente,
pensò la donna tracannando a garganella una lunga
sorsata di Amaretto di Saronno direttamente dalla
bottiglia. La pingue carta di credito del suo compagno
di avventure aveva permesso loro di non farsi mancare
niente ed era carino viaggiare in autostop. Da Porto
Cervo, grazie al pollice alzato di lui e, soprattutto,
al top trasparente di lei, erano riusciti ad arrivare
fino a Sassari. Poi, la situazione era precipitata. Un
buzzurone coperto di setole come un cinghiale maschio
incrociato con una gorilla dei monti Virunga (la
regione del Congo dove vivono gli ultimi
esemplari di gorilla di montagna N.d.A.) li aveva
caricati sulla sua R4 antidiluviana. Si era quindi
profuso in complimenti di cui loro non avevano capito il
significato, ma il senso sì, specialmente dopo che la
zampa del cinghial-gorilla si era posata lasciva sul
ginocchietto ossuto della signora.
Era stato allora che il Cantacesso
aveva deciso di acquistare il veicolo: la scelta era
caduta su un Fiorino in attesa di rottamazione, più
rumoroso del decollo di un Concorde, con la portiera
destra che non apriva, la marmitta a penzoloni, i sedili
da cui fuoriuscivano malloppi di gommapiuma muffita e
putrefatta, e in cui aleggiava, incancellabile, l’odore
dei porci che il precedente proprietario era stato
solito trasportare sul pianale dell’automezzo. Ma il
viaggio era continuato senza difficoltà.
In un discount avevano fatto
rifornimento di fette biscottate, scatolette di tonno,
banane e una cassa dell’imitazione ulteriormente
peggiorata dell’Amaretto di Saronno nel quale avevano
preso l’abitudine di affogare i loro dispiaceri. E
dopo essersi ubriacati come spugne, cantavano a
squarciagola. Qualche pastore che pascolava le pecore
nei paraggi, tornava a casa farneticando di diavoli e
spiriti maligni.
Trascorsero la prima notte dentro un
nuraghe. Decisero che i nuraghi potevano essere adatti a
passarci le notti. Ma quando la signora si rese conto
che la loro stessa idea l’avevano avuta, prima, certi
topi grandi come yorkshire, certi pipistrelli che
sembravano deltaplani e certi ragni pelosi come il
deretano di Lucio Dalla, allora aveva iniziato a
cambiare opinione. E tra le nebbie del letargo e i fumi
dell’Amaretto di Saronno, il Cantacesso l’aveva
sentita piagnucolare “I need my platypus…”
(Ho bisogno del mio ornitorinco N.d.A.) senza
capire un’acca di ciò che stesse dicendo.
Le batterie dei loro cellulari si
erano completamente scaricate. Erano fuori dal mondo,
come novelli Robinson dopo il naufragio. Che fare? A chi
chiedere aiuto?
Nel centro più vicino, scovarono un
Internet Point. C’è un sito italiano dedicato a that
dirty bastard, si era messa a blaterare lei.
Scoviamolo, e forse troveremo qualcuno disposto ad
aiutarci.
Lui aveva afferrato qualcosa,
malgrado la miseria del suo inglese. Anche che le fans
italiane del divo non erano molto ben disposte nei
riguardi della sua dolce mogliettina, a proposito della
quale ne dicevano di tutti i colori. Avevano coniato per
lei certi nomignoli da leccarsi le dita fino ai gomiti,
quelle brutte carogne. Ma anche se poteva sembrare
strano quello era un fatto che poteva tornare a loro
vantaggio.
Cantacesso lasciò un breve appello
in messaggeria: cerco ammiratrici sarde di… eccetera
eccetera. Al successivo Internet Point seppe con
soddisfazione che la sua richiesta era stata accolta.
Gli risposero in tre: Mary, Lalla, Malù.
Mary fu la prima a contattarli e si
dimostrò molto gentile. Li portò a casa sua, permise
loro di rifocillarsi, di lavarsi, di caricare le
batterie dei loro cellulari. E dopo averli guardati
andarsene, utilizzò un ettolitro di lisoformio per
disinfettare il bagno e un quintale di Baygon per
eliminare le pulci dalle tende e di tappeti. Quindi si
gettò sul divano in preda a un parossismo isterico di
risate.
Lalla e Malù si incontrarono a metà
strada dai loro rispettivi paesi un paio di giorni dopo.
Avevano saputo che i fuggiaschi erano in cerca di un
rifugio da non dover dividere con ragni topi e
pipistrelli ma allo stesso tempo lontano da occhi
indiscreti. Lalla ne aveva sottomano uno perfettamente
adeguato. Incurante delle urla provenienti dal piano di
sotto (“Mi serve il telefonooo!!!!), si connetté a
Internet. Cercò il sito. Cercò la messaggeria. Ho quel
che fa per voi, scrisse. Avrebbe avuto una voglia matta
di ricattare la bertuccia (così l’aveva
soprannominata, la carogna) tuo marito in cambio del
buen retiro… Avrebbe voluto strozzarla con le sue mani…
Si accontentò di recarsi all’appuntamento.
Fermi davanti al furgone che aveva
esalato l’ultimo respiro, sporchi, spettinati, male in
arnese, mezzi brilli, i due le sembrarono perfino più
brutti che in fotografia. Ma insieme stavano davvero
bene, realizzò, invitandoli ad accomodarsi sulla Punto
verdolina nuova (quasi) di zecca. Che si era riproposta
di disinfettare accuratamente, a operazione ultimata.
Il buen retiro era costituito da una
cabina abbandonata dell’Enel, costruita in cima a una
piccola altura battuta da tutti i venti che
contribuivano alla diffusione delle puzze provenienti
dal vicino depuratore fognario, conosciuta con il nome
sinistro e pittoresco di “Troddiu de s’Aremmigu”
(scoreggia del diavolo, N.d.A.). I due
ringraziarono commossi.
Parte ottava LA NOTTE DELL’INNOMINATO
Qualcuno ha avuto la loro stessa
idea, pensò Lalla ghignando, durante l’ultima
connessione della giornata. Il messaggio doveva essere
opera del detective che era stato messo alle calcagna
dei fuggiaschi. Forse della polizia addirittura. Si
disconnesse. Si coricò. Era mezzanotte passata.
Non chiuse occhio. E se la polizia
avesse scoperto la tresca? Pensò. Non voglio finire in
galera a causa della bertuccia!!! O se proprio in galera
dovevo finire, l’avessi almeno strozzata…
Si alzò. Si connesse. “So dove
sono” digitò. Si coricò. Non riuscì lo stesso ad
addormentarsi.
EPILOGO
Credo di non aver mai visto un posto
squallido come questo: una collinetta brulla come il
cranio di Cantacesso senza parrucchino in cima alla
quale sorge una cabina dimessa dell’Enel, battuta da
un feroce maestrale che ulula come il lupo mannaro
americano a Londra e puzza più di una fogna. Davanti
alla porta, i due guardano per aria con occhi straniti,
in attesa dell’elicottero. Che sarà qui a momenti, a
quanto mi ha detto Terry. Una piccola folla di curiosi,
ragazzini soprattutto, ma anche qualche uomo fatto,
qualche robusta casalinga, un paio di procaci
squinziette con l’ ombelico al vento e tre o quattro
vecchine che, occhi al cielo, mormorano giaculatorie, è
venuta a godersi lo spettacolo.
Non credo che sappiano chi c’è a
bordo dell’elicottero. Comunque le squinziette con l’ombelico
di fuori, le casalinghe culone e perfino le vecchiette
si mangiano con gli occhi il mio accompagnatore. E
quando l’elicottero atterra e l’altro sbarca,
rischiano lo strabismo permanente per guardarli
entrambi. E’ uno splendido maschione muscoloso, con
una lunga coda bionda che gli invidio da morire. Indossa
pantaloni militari e una canotta nera incollata ai
pettorali scolpiti. Abbigliamento e capelli a parte, è
identico a Terry. Ma questo lo sapevo, quindi non mi
stupisco.
Con la faccia dei giorni peggiori, si
avvicina alla dolce metà, le borbotta qualcosa che non
capisco ma immagino, quindi saetta un’occhiata
incendiaria al Cantacesso, che si fa piccolo piccolo.
Ma, grazie al Cielo, si limita a quella.
Noto che ha qualcosa a penzoloni
sulla pancia: una piccola sacca, una specie di marsupio
da cui sbucano due occhietti da talpa e un largo becco
di papera: l’ornitorinco.
“Did yow want bike?! And now, pedal!”
E’ incazzato furioso. Prima di
salire sull’elicottero che la porterà chissà dove,
Cappuccetto Rosso si volta verso il suo compagno di
avventure e, con voce di pianto, gli sussurra :”So
long, Kantesiessow…” Sono quasi quasi commossa.
Menomale che c’è Terry, qui con me, a confortarmi.
Poche ore ancora, e anche noi dovremo
salutarci. E’ stato bello conoscerti, gli faccio.
Spero tanto di rivederti ancora. Questo non lo so se
sarà possibile. Quel che so per certo è che nemmeno
questa volta sono riuscita a liberarmi del Cantacesso e
che quando sentirò il telefonino squillare…OH NO!!!
Fine
Lalla, 13 aprile 2003