Le Fan Fiction di croweitalia

titolo:  Redemption
autrice: Lalla Usai
e-mail: lallausai@tiscalinet.it
data di edizione: 22 agosto 2001
argomento della storia: Cort, dopo "Pronti a morire" - per leggere le altre storie scritte da lalla, cerca nell'indice delle fanfiction
riassunto breve: Cort incontra un'altra donna in cerca di vendetta...
lettura vietata ai minori di anni: 18
note:  Aldilà degli appunti che si possono muovere al film di Sam Raimi (per conto mio non è un capolavoro ma neppure una porcheria, ben interpretato da un manipolo di ottimi attori, inoltre ha avuto il merito di lanciare sulla ribalta internazionale Russell Crowe, il Marlon Brando del Terzo Millennio) è indubbio che il personaggio di Cort eserciti un grande fascino: killer pentito, fradicio d’acqua, incatenato, sporco, ex cattivo e tutt’altro che brutto… Chi se lo dimentica, sudato e ansimante tra le braccia di Sharon Stone, rapinosa emula di Calamity Jane? Questo seguito, se una fanfic può diventare veicolo anche di un messaggio, vuol essere un omaggio, oltre che al fascino sensuale di un Russell Crowe ancora più bello del solito (il che è tutto dire…) alla città di New Orleans e ai Neri d’America, i cui antenati hanno portato le catene con rabbia, dignità o rassegnazione. E quel ferro pesa ancora sulle nostre coscienze. (Lalla Usai)

 

Redemption

MARDI GRAS

 

Adesso me ne vado, pensava Mama Rose, prima che l’unico cliente della giornata varcasse la soglia della sua bottega. Scendo in strada a guardare le maschere, e i fuochi, a sentire le trombe e i tamburi. E’ l’ultimo giorno di Carnevale, domani sarà tempo di piangere, pregare e pentirsi di quel che si è fatto e che non si è fatto. E di tornare a lavorare duro, perché non era facile mettere assieme il pranzo con la cena. Non erano più i tempi in cui aveva visto la luce, quelli della schiavitù, ma non era facile neppure allora, per chi era nero come lei. Anche se il suo piccolo commercio di roba usata, qualsiasi genere di roba usata, vestiti, mobilio, attrezzi e quant’altro, le permetteva di campare alla men peggio e di godere perfino del rispetto che viene da un relativo benessere, perlomeno fra la sua gente.

-Desidera?

Un bianco dai lunghi capelli dorati. Non ne capitavano molti, nella sua bottega. Lo accolse con il sorriso dei giorni migliori, mettendo in mostra una chiostra incompleta di denti nella larga bocca che le spaccava in due come un cocomero la facciona nera e lustra sotto il tignon (il fazzolettone che le donne di colore annodavano sulla testa N.d.A.) di cotone stampato a colori allegri. Per quanto avesse imparato sulla sua pelle che era sempre meglio non fidarsi, dei bianchi.

-Vende… anche vestiti?

Era sporco, e puzzava come un cane bagnato. Chissà da quanto tempo si portava addosso gli stracci scoloriti che indossava,un paio di pantaloni sformati e una redingote dal colore indefinibile sopra una camicia che doveva essere tutta un rattoppo. Mama Rose provò compassione per lui, anche se non sapeva neppure chi era. Giovane, questo era certo: avrebbe potuto essere suo nipote, non fosse stato bianco. E straniero, non parlava come quelli del Vieux Carré (il quartiere vecchio di New Orleans, abitato dai creoli di origine e di madrelingua francese e spagnola N.d.A.). Doveva trattarsi di un americano, di uno di quei villani che, finita la guerra, avevano invaso la città portandosi appresso i loro modi rozzi e la loro parlata ridicola, oltre al vizio di ubriacarsi come spugne e di metter mano alla pistola al minimo pretesto. Di solito avevano le tasche piene di dollari, sì. Ma questo aveva tutta l’aria d’averci le ragnatele o i buchi, nelle tasche delle brache.

-Ampia scelta, per gente della sua taglia.

Mama Rose lo squadrò da intenditrice: aveva le gambe dritte e abbastanza lunghe, le spalle grosse e forti, non un filo di grasso superfluo.

-Non ho molto da spendere…

Il sorriso era timido, gentile. E gli occhi azzurri come il vaso di vetro che Mama Rose metteva in mezzo al tavolo quando era stagione di fiori, quasi sempre, perché grazie a Dio a New Orleans l’inverno durava poco, anche se si faceva sentire.

I pantaloni di tela blu erano scoloriti e facevano le borse sulle ginocchia, ma avevano dei rinforzi di cuoio all’interno delle cosce, comodi quando si andava a cavallo. Dovevano essere appartenuti a un vaccaro, chissà quanto tempo prima. La giacca era di panno ordinario e sul dietro della camicia di flanella a scacchi campeggiava un foro di pallottola, ancora circondato dall’alone lasciato dalla polvere e dalla macchia di sangue che nessuna lisciva e nessun’acqua bollente erano riuscite a lavare via. Il precedente proprietario è morto ammazzato, avrebbe voluto dirgli; vada tranquillo, la roba tolta di dosso ai morti ammazzati porta fortuna e mi creda, è vero, ma non c’era bisogno di parole per convincerlo, aveva fretta, e guardava continuamente fuori per controllare che il suo cavallo fosse sempre lì. C’era, qui non è posto di ladri, signor americano, e nessuno te lo tocca, il tuo brocco rognoso. Comprò anche un paio di stivali consumati e un cambio di biancheria, e saldò il conto con un mazzetto di dollari bisunti che s’era cavato di tasca, senza fare storie.

-Dove lo trovo un albergo per…

-In fondo alla Rue Toulouse.- Un posto a buon mercato, dove avrebbe trovato un piatto di jambalaya da mettere sotto i denti, mezza pinta di whisky per ubriacarsi dimenticando i suoi guai, una tinozza d’acqua e un pezzo di sapone per lavarsi di dosso tutto il sudiciume, un fondo di letto e, se ne aveva voglia, una ragazza con cui dividerlo.

-Arrivederci, madame.

Pura cortesia, non si sarebbero più rivisti. L’espressione del suo viso era dolce e gentile, ma forse solo perché aveva tratti regolari, quasi infantili, grandi occhi chiari e quei riccioli dorati d’arcangelo impastati di polvere e di sudore. Mama Rose immaginò una pistola infilata alla cintura. Tutti giravano armati, in città e non solo. E i segni rossi che i polsini lisi della camicia non riuscivano a nascondere? Quell’uomo aveva portato le catene. Proprio come lei, tanti, tanti anni prima, quando ne aveva tredici e il padrone l’aveva trascinata al mercato per venderla, incurante delle lacrime che la straziavano, mentre abbracciava per l’ultima volta sua madre: non l’ avrebbe più rivista.

-Anche quella… è in vendita?

Con un piede e mezzo fuori dalla porta, il giovane indicava una vanga arrugginita.

Certo, tutto è in vendita, ragazzo. Se avessi avuto l’età che hai ora quarant’anni fa, avresti imparato che anche gli uomini si potevano vendere e comprare, come balle di cotone, come vacche o cavalli.

-Mi è morto il cane. Devo seppellirlo da qualche parte, gli volevo bene e non mi sembra giusto gettarlo via come una scarpa rotta.

Sotterrare un cane, come si fa coi cristiani? Non provocare Dio, ragazzo. Un cane è un cane, l’anima mica ce l’ha… E guardami in faccia, mentre parli, o potrei anche pensare che mi stai raccontando delle balle.

-La prenda. Quella gliela regalo.

E lo guardò uscire, staccare le redini dall’anello, altare in sella e dileguarsi in fondo alla strada, mentre lo strepito delle trombe e dei tamburi si faceva più vicino, più forte e il cielo della sera s’accendeva dei lampi colorati dei bengala.

 

LA FLEUR

 

L’albergo in fondo alla Rue Toulouse era una bettola d’infimo ordine con un nome pretenzioso, "La Fleur"; lo gestiva un energumeno con gli avambracci tatuati e un’ampia finestra al posto dei denti davanti. Costava poco, come gli aveva detto la vecchia negra della bottega e in quanto a pulizia e discrezione doveva lasciare parecchio a desiderare, ma Cort non era in grado di pretendere di più, nelle condizioni in cui si trovava, e poi non era intenzionato a trattenercisi più d’una o due notti. Ordinò la cena e gli portarono jambalaya di gamberi mezza fredda e un tozzo di pane di granturco. Da bere, acqua. Masticò lentamente, immaginando di metter sotto i denti qualcosa di diverso da quella brodaglia piccante che non gli piaceva proprio. Ma aveva fame, e ripulì il piatto.

-Vorrei lavarmi.

-In camera c’è una tinozza. Le farò portare l’acqua. Calda costa di più. E per il sapone c’è un supplemento di spesa.

Sono troppo sudicio per sperare che acqua fredda senza sapone bastino a levarmi di dosso polvere, sudore, sangue e quant’altro. A Redemption lo avevano costretto a dormire per diverse notti all’addiaccio, incatenato all’abbeveratoio dei cavalli e a lavarsi con l’acqua della pioggia. Solo una volta aveva avuto modo di posare le chiappe su un letto decente: ma non aveva dormito. Pagò senza commenti, salì in camera: un bugigattolo con un letto sfatto, una sedia sfondata e la tinozza piena a metà. Si spogliò, entrò nell’acqua. Era appena tiepida e il vento di febbraio penetrava in refoli gelidi attraverso le connessure della finestra. Rabbrividì, e i peli delle braccia gli si drizzarono, ma era piacevole sentirsi di nuovo fresco e pulito, dopo tanto tempo.

 

SUSAN

 

-Hai bisogno d’aiuto?

Non aveva chiesto una donna. L’avrebbe mandata via, anche se aveva i capelli biondi e sottili. Come Ellen. Perché mi fai questo? Perché potremmo essere tutt’e due morti, domani… Se fosse morto, era certo che si sarebbe ritrovato all’inferno, il posto che compete agli assassini e ai fornicatori.

Era più giovane di Ellen, ma meno bella, con i suoi lineamenti puntuti e la pelle bianchissima chiazzata di lentiggini scure. Senza che lui le dicesse niente, gli strofinò la schiena, gli sciacquò via il sapone dai capelli.

-Come sono belli… Sembrano d’oro.

Avrebbe voluto mandarla via, e che se ne andasse alla svelta, prima che l’acqua finisse di sfreddarsi e lui dovesse venir fuori dalla tinozza.

-Ellen…

-No,non Ellen. Susan.

Aveva le labbra troppo sottili, i denti troppo piccoli, il naso troppo corto e gli occhi troppo chiari. No, non era Ellen. Ellen era il demonio, la tentazione, quella una ragazzetta qualsiasi, anche se voleva esattamente ciò che l’altra aveva preteso e s’era presa.

-Sei bello.

Le sorrise. Era sempre stato bello, fin da ragazzino, e le donne lo notavano. Perfino a Redemption, con tutte quelle catene e quel sudiciume addosso. Era solo per la sua bellezza, che Ellen l’aveva preso, malgrado lui avesse cercato mille scuse balbettanti per respingerla, ma la verità era che anche lui la voleva, non poteva negarlo, come la volevano tutti. Li avrebbero messi l’uno contro l’altra e uno dei due non ne sarebbe uscito vivo, lui trascinato di forza in quel buco fetido e squallido, costretto ad ammazzare malgrado la sua volontà, lei divorata dal tarlo della vendetta. Prendiamoci adesso quello che entrambi vogliamo, Cort. Domani potremmo essere morti. Tutti e due.

Susan guardava i rivoli d’acqua scorrergli sulla gola, sulle spalle, tra i peli biondi del petto. Non gliene capitavano molto spesso, uomini come quello.

-Vattene, non ho chiesto una donna.

Il tono era gentile, quasi implorante. Se è solo questione di soldi possiamo anche accomodarla fra noi… No, non era questione di soldi. Quel gran pezzo d’uomo dai lunghi capelli biondi portava al collo un crocifisso di legno, doveva essere un predicatore, e i predicatori non vanno a puttane. Peccato che abbiano orrore del peccato. Di quel peccato. Eppure, c’è di molto peggio, pensava Susan.

-Allora, proprio non…

-Vattene. Ti prego.

Gli guardò ancora una volta il crocifisso di legno che gli dondolava sul petto. Ti chiederei perché Dio ci ha fatti come ci ha fatti, e poi ci castiga se cadiamo in tentazione. Ma oggi non è ancora tempo di penitenza. Quello verrà domani. Ti chiederei tante cose, predicatore. Anche il perché di quei segni rossi che hai intorno ai polsi, come se avessi portato, per molto tempo, catene che ti sono state tolte solo da poco.

 

 

BAYOU SAINT JEAN

 

Le paludi che circondavano la città potevano essere il posto giusto, pensava Cort. Il posto giusto per sotterrare il suo povero cane morto di vecchiaia, il suo povero cane a cui non importava niente se la mano che leccava era quella di un assassino. Un cane non è un cristiano, gli aveva detto la vecchia della bottega, guardandolo fisso con quei suoi occhi scettici, e sporgenti come quelli di un rospo. Beh, il posto ci sarebbe, ma io non ci andrei. Il bayou St.Jean. Ci sono i fantasmi, lì, e i lupi mannari, e i cani del diavolo, e… Dio, quanto sono superstiziosi tutti quanti, da queste parti, bianchi e negri. La superstizione è peccato, non te l’ha mai detto nessuno, vecchia? Fantasmi, cani del diavolo… C’era nebbia e nebbia soltanto, un vapore verdastro che si alzava dall’acqua marcia della palude avvolgendo tutto e lasciando intravedere appena i tronchi chiazzati di muffa delle querce, i muschi lunghi come capelli che pendevano dai rami contorti simili alle dita artritiche d’una vecchia strega. Gli unici rumori erano il crepitio secco delle canne, il latrare rabbioso di un cane, amplificato dalla distanza. Non si sentivano uccelli che cantavano, rane che gracidavano, ronzii d’insetti. Era inverno e faceva ancora freddo, nonostante l’inverno durasse poco, da quelle parti.

Scese da cavallo, impugnò saldamente la vanga nelle mani, iniziò a scavare. Il posto era asciutto, ai piedi di un grosso albero. Proprio l’ ideale per sotterrarci una bestiola morta. Fin da bambino era stato solito scavare buche ai piedi degli alberi per seppellirci i suoi animaletti. Lo faceva sempre, anche se suo padre lo ammazzava di botte ogni volta che veniva a saperlo. Pure lui era convinto che gli animali non avessero il diritto di essere pianti perché erano solo gli uomini, fatti a immagine di Dio, a potersi vantare di possedere un’anima, e le bestie erano cose soltanto, di cui disporre a proprio piacimento. Gli uomini come suo padre ragionavano così, quelli che avevano la bocca sempre piena di citazioni bibliche e la verga ben salda in pugno. Non ama suo figlio chi gli risparmia le vergate, diceva la Bibbia, e Cort pensava che bene doveva avergliene voluto davvero parecchio, quell’omiciattolo basso, dai capelli neri e dalle mani indurite dal lavoro, con tutte le botte che gli aveva somministrato, in sedici anni che era rimasto con lui. Non gli somigliava per niente, così come non gli somigliava sua madre, una creatura grassa e sfiorita che parlava con voce asmatica, si trascinava ansimando come un mantice in quella loro bicocca di tronchi d’albero dove vivevano e non gli aveva mai accarezzato i capelli, come se non fosse stata lei a metterlo al mondo. Non sono i tuoi veri genitori, ti hanno preso dal brefotrofio che ancora non camminavi neppure. Sei un bastardo, Cort, un figlio di nessuno.

La vanga affondava a fatica nella terra indurita. Un gatto. Un cucciolo di procione. Un cane, un merlo,un altro cane…Creature senz’anima e senza ragione che gli avevano voluto bene. Molto più di quanto glien’avesse voluto quell’uomo dalla fronte bassa, nero come un carbonaio che l’aveva tolto dal brefotrofio solo per lesinargli il cibo e le carezze e per non risparmiargli le busse. Sei un bastardo, Cort. Un figlio di nessuno. Meglio figlio di nessuno che di quell’uomo senza sentimenti. Chiamatemi tutti quanti figlio di un cane e non mi offenderò, pensava in quei momenti, mentre il suo vecchio segugio senza l’anima gli lavava la faccia sudicia e gli cancellava via le lacrime dalle guance graffiate con la sua lingua umida e calda.

Cort si asciugò con la manica della giacca la fronte sudata. La buca era abbastanza profonda da accogliere la piccola carcassa di un cane. Anche lui, pensava, avrebbe voluto che, una volta morto, qualcuno sotterrasse la sua grossa carcassa all’ombra di un grande albero, senza lapidi e senza croci. Come i suoi animali.

 

ROURKE

 

Gli sarebbe piaciuto credere che quella fatica fossero le ultime, doverose onoranze a un amico che non c’era più. Non era così. Nella cassetta di legno, ce n’era una, più piccola, di zinco. E dentro quella, i centoventimila dollari che aveva vinto, a Redemption, mostrando di essere il più veloce di tutti, con la pistola. L’ultimo dei suoi cani lo aveva seppellito, ai piedi di una pianta come quella, oltre quattro anni prima. Dopo, non aveva più avuto il tempo d’occuparsi di un animale che non fosse il suo cavallo.

Quello era denaro maledetto, costato sangue e spergiuro. Herod l’aveva costretto ad ammazzare, ancora una volta, come ai vecchi tempi, come quando, insieme, rapinavano le diligenze lungo il confine, prima che i soldati federali li sorprendessero e li riempissero di piombo. Prima che padre Ramon li accogliesse nella sua missione di Hermosillo e li curasse, come figli. Prima che Herod… Aveva peccato, si domandò ricoprendo con grandi badilate di terra la piccola cassa, aveva peccato a spedire al Creatore un uomo come quello, un assassino, un profittatore, una dannata sanguisuga? Aveva peccato, a liberare Redemption dal male che si respirava nell’aria, che faceva di tutti, uomini, donne, perfino bambini, creature abbiette, che era come se avessero perso l’anima per strada? Forse i miasmi umidi della palude avrebbero fatto marcire quel denaro del diavolo, o forse… Erano un mucchio di soldi, gli orfanelli di Hermosillo avrebbero potuto riavere la casa che i tirapiedi di Herod avevano distrutto con il fuoco, quando erano andati a prelevarlo. Le cose non sono di Dio né del diavolo, sono dell’uomo e diventano buone o cattive secondo l’uso che se ne fa. Padre Ramon lo diceva sempre.

-Predicatore…

La vanga gli cadde, e la mano gli corse, rapida, alla pistola che portava infilata alla cintura.Si voltò.

-Spara, predicatore…

Avrebbe sparato, anche se non voleva farlo, come nel corso del suo primo duello, a Redemption. Si sarebbe fatto ammazzare, piuttosto che premere il grilletto, perché non era più quello che era stato, il killer dalla mira infallibile, era diventato un uomo di Dio. Ma aveva ragione Herod, l’istinto di conservazione è più forte di qualsiasi vocazione al martirio.

-Spara, predicatore.

Aveva riconosciuto Rourke dal tatuaggio sul polso, gliel’aveva notato a Redemption, quando anche lui s’era iscritto alla gara. Ma non era riuscito a partecipare a nessuno dei duelli, s’era iscritto per ultimo e, prima che il suo nome fosse estratto a sorte, Herod era stato ammazzato. Era disarmato, e lo guardava con aria di sfida. Magro e sporco, come il vecchio cavallo che montava.

-Vattene, Rourke. Devi essere pazzo.

Già. Cort non spara. Cort non vuole più ammazzare nessuno… E’ sazio abbastanza, di morti ammazzati, sazio fino alla nausea e al vomito.

Spronò il cavallo, si dileguò tra gli alberi, inghiottito dalla nebbia, lui, con il suo vecchio cavallo, la sua giacca chiazzata di fango, il suo dragone tatuato sul polso. Già, devi essere pazzo, Rourke, perché se non lo fossi non cercheresti la morte come la cerchi.

 

MASSASAUGA

 

Cort si chinò a raccogliere da terra la vanga. Si domandò se Rourke l’avesse visto fare quello che aveva fatto e potesse tornare indietro per mettere le mani sul suo tesoro. Mio Dio, aveva la faccia da pazzo e voleva che lo ammazzassi. Era completamente fuori di testa, come se avesse visto il diavolo. No, un uomo in quelle condizioni ha altro per la mente che andare a rubare un tesoro nascosto.

Tornerò. Una paio di giorni ancora e sarò di nuovo ad Hermosillo, dai bambini. Avrebbero avuto nuovamente la casa che Herod aveva fatto distruggere, e la minestra e il pane, tutti i giorni: come aveva promesso a padre Ramon, mentre gli moriva fra le braccia. Sparagli, gli aveva ingiunto Herod, sparagli prima che IO ti ammazzi, maledetto bastardo… Gli sarebbero bastate mille vite e mille morti, per scontare quel peccato, o sarebbe stato dannato per sempre?

La terra appena smossa aveva un odore umido di funghi, muffa, foglie marcite. Era nera e grassa, terra buona contaminata dal marciume e dalla maledizione oscura della palude, terra che nessuno avrebbe voluto. Eppure, qualcuno doveva essere stato signore e padrone di tutto quello che i suoi occhi vedevano, prima che accadesse qualcosa. Prima della guerra, forse, o di qualche altra calamità altrettanto rovinosa. Si chinò, prese una manciata di quella terra, l’annusò, lasciò che gli filtrasse tra le dita, che gli sporcasse il palmo della mano. Sì, doveva essere appartenuta a qualcuno, chissà quanto tempo prima. Qualcuno che aveva abitato nella villa in rovina che si stagliava contro l’orizzonte, con le colonne doriche e il capitello del patio, con il viale delle querce che portava dritto all’ingresso principale. Una casa stregata che brulicava di fantasmi, come sostenevano le vecchie negre. Di fantasmi, lupi mannari e cani del diavolo.

Era freddo, adesso che il sole stava calando. Ed era come se il freddo acutizzasse l’odore d’umido, di muffa e di marcio di quella nera terra di nessuno. Gli sembrò di percepite in lontananza l’abbaiare furibondo d’una muta di cani sulle tracce sanguinolente di una preda ferita. Magari erano i cani del diavolo di cui gli aveva detto la vecchia, a New Orleans. Un brivido freddo lo attraversò tutto e si strinse le braccia intorno al corpo, strofinandosi con le mani per riscaldarsi.

Era tempo di andarsene. Chinatosi a raccattare la vanga, percepì all’improvviso una fitta acuta e calda come di aghi arroventati che gli bucavano la pelle del polso, proprio sopra quella dannata cicatrice ancora fresca. Riuscì a strapparsi dalla carne i denti del serpente, un crotalo massasauga e a pensare che il momento della resa dei conti era arrivato, prima di crollare svenuto su quella terra nera e maledetta.

 

CELIA

 

Si sentì come doveva sentirsi l’unico superstite di un naufragio, quando cominciò ad uscire lentamente dal suo lungo sonno senza sogni. Forse era morto, pensava, ma i morti non colgono la differenza tra il freddo e il caldo, i morti non sentono niente. Morire è proprio non sentire più nulla, né male né desiderio. E neppure il pulsare del cuore dentro la piccola ferita che i denti del serpente massasauga gli avevano lasciato sul polso, una ferita che, provvidenzialmente, qualcuno aveva allargato con la punta di un coltello per far uscire fuori il veleno. Sicuramente lo stesso che lo aveva trascinato fin lì, spogliato dei suoi vestiti, adagiato sul letto.Un uomo, grosso e forte almeno quanto lui. Ma la mano che gli aveva lavato via il sudore della febbre, la mano che aveva sentito, nell’incoscienza, posarsi leggera sul suo petto per ascoltare se il cuore gli batteva ancora, se era vivo, quella no… Non era la mano di un uomo, avrebbe scommesso, sicuro di vincere, tutto il denaro che aveva seppellito ai piedi della quercia. Quella era la mano di una donna.

-Ben tornato nel mondo dei vivi… Cort.

Avrebbe dovuto domandarle come sapeva il suo nome, ma mentre la nebbia si dileguava via dai suoi occhi, ebbe solo il coraggio di chiederle piano se quello era l’aldilà, e lei un angelo. O un demonio.

-Saresti proprio un bel ragazzo, senza tutta quella barba.

La mano di cui aveva percepito il contatto nel delirio della febbre era la stessa che gli accarezzava piano la guancia ispida. Lunga, sottile e nervosa. La mano di una donna. Di quella donna.

La nebbia dell’incoscienza si era dileguata del tutto e lei era sempre lì, in piedi accanto al letto, mentre lui le serrava tra le dita il polso sottile.

-Come sa che mi chiamo Cort… madame?

-Hai detto tante di quelle cose, mentre deliravi.

-E’ durata molto?

-Tre giorni. C’è stato un momento in cui ho creduto che non ce l’avresti fatta. Davvero.

Cort sospirò, lasciandole andare il polso. Non era morto, e chissà quante stupidaggini aveva detto, intanto che non c’era con la testa per colpa di quel maledetto serpente e del suo veleno. Magari la bella donna che lo aveva curato doveva essersi fatta pure quattro risate alle sue spalle e con lei l’uomo grosso che l’aveva trascinato fin lì e adagiato sul letto. Era anche possibile che avesse parlato del suo tesoro nascosto e che quei due…

-Grazie di tutto, madame… A lei e a chi…

-Celia. E’ solo me che devi ringraziare, ho fatto tutto io.

Celia. Alta, slanciata, e tutta nera. Come una vedova. I capelli lunghi e ricciuti che le incorniciavano la faccia erano lucidi come le piume di un corvo, la pelle liscia aveva le sfumature del bronzo e dell’oro.

-Sei un predicatore, Cort?

Un sorriso fugace, un baluginare di denti bianchi tra le labbra carnose le illuminò un attimo soltanto la faccia scura. Era bella da mozzare il fiato.

-Ho detto anche questo?

-Hai detto tutto.

E a lei non era sfuggito niente. In quei tre giorni, non doveva aver lasciato un attimo solo il letto dove lui giaceva, in pericolo di vita. Cort era sicuro di aver sentito il calore del suo corpo, come se gli avesse dormito vicino, sicuramente l’aveva fatto solo per scaldarlo, quando stava male.

-Madame, io…

-Sei un uomo fortunato, Cort. Se non avessi deciso di uscire a cavallo e non ti avessi trovato, penso che saresti morto. In circostanze normali, il veleno del crotalo massasauga difficilmente perdona. E poi…

Aveva gli occhi del colore di una lama affilata, sotto l’arco delicato delle sopracciglia, il naso piccolo e sottile e una bocca da tentare il più casto degli uomini. Cort inghiottì il groppo che gli serrava la gola, al pensiero di quel che doveva nascondere il castigato abito nero che copriva il suo corpo snello dalla gola alle caviglie. Qualcuno gli aveva detto, tanto tempo prima, che nessuna donna poteva battere, in quanto a bellezza, le mulatte di New Orleans e Celia era la prova lampante che quel qualcuno non mentiva.

-I denti non ti hanno trovato la vena. Ringrazia il polsino della camicia, che ha asciugato parte del veleno, e anche questa.

Le dita calde e sottili gli percorsero la crosta indurita intorno al polso, quindi salirono lungo i tendini tesi, accarezzarono i muscoli gonfi del braccio.

-Sei un bellissimo ragazzo, Cort. Mi sarebbe dispiaciuto se fossi morto. Davvero.

 

IL BRANCO

 

Era ancora debole e la testa gli girava. Oltre all’acquaccia nera che Celia l’aveva costretto a inghiottire mentre era incosciente e che continuava a propinargli, sostenendo che l’avrebbe aiutato a espellere dal corpo fino all’ultima goccia di veleno, erano tre giorni che non metteva niente dentro lo stomaco. Sei giovane e forte, ce la farai, gli diceva lei. Le stesse cose che gli aveva detto padre Ramon quando gli aveva estratto una pallottola da un fianco e un’altra dalla spalla. Herod era conciato peggio, ma alla fine ce l’avevano fatta, tutti e due. Invece era stato proprio padre Ramon a non farcela.

-Sei sempre così triste, Cort?

Forse non ho detto proprio tutto quanto, mentre deliravo, altrimenti non mi faresti certe domande. O, forse, Celia parlava tanto per parlare. Quanto era bella. Si muoveva con la leggerezza circospetta di un felino e aveva l’aria di essere pericolosa come un’arma puntata.

-Vive… Vive qui tutta sola, madame?

Gli occhi della donna s’erano piantati nei suoi come chiodi e le labbra si erano piegate appena nella parodia di un sorriso ironico che gelò di colpo tutto il sangue nelle vene di Cort.

-Scommetto che ci proveresti, se ti dicessi di sì, predicatore.

-Sono un gentiluomo… Malgrado quello che mi è uscito di bocca mentre deliravo forse potrebbe far credere tutto il contrario.

-Allora scusami se l’ho messo in dubbio. Del resto, sei un uomo di Dio, nonostante tutto… Io e te non siamo fatti della stessa pasta, e non soltanto perché tu sei bianco e io nera.

-Madame, io…

-Smettila con questo madame. Io sono Celia. Vorresti mettere qualcosa sotto i denti, Cort? Giorno più, giorno meno, ormai è da tre che non mangi.

Tè, biscotti ancora caldi di forno, latte di capra appena munto. Come se li era procurati? Quella donna lo incuriosiva e lo inquietava.

-Al bayou vive una colonia di pescatori di gamberi. Sono tutti negri, ci siamo sempre aiutati a vicenda. Quando qualcuno di loro scende in città, compra le provviste anche per me, e io li curo quando si ammalano, aiuto le loro donne a partorire… E’ stato il più robusto di loro a portarti fino qui, da sola non ce l’avrei mai fatta a trascinare la tua grossa carcassa priva di sensi che credi?

-Ma sei stata tu a trovarmi…

-…e a succhiarti il veleno dal corpo. Avevo voglia di carne arrosto, ed ero uscita a caccia, col cavallo, i cani e il fucile. Mentre deliravi, dicevi d’essere in grado di staccare le ali a una mosca in volo con un colpo di carabina. Forse non sono così brava, ma me la cavo anch’io.

-Che ho detto d’altro?

-Tante cose interessanti.

E così tu adesso sai tutto di me. Ma io non so nulla di te, se non che sei bella da farmi scoppiare il cuore per il desiderio… Avvicinati ancora Celia. Avvicinati e accarezzami, come quando pensavi che non sentissi niente. Invece io le sentivo dappertutto, quelle tue mani delicate e quando mi toccavi credevo d’impazzire…

Non ci fu bisogno di costringerla, e Cort la sentì fremere, mentre se la stringeva contro e le leccava piano le labbra. Certo, da lei si sarebbe aspettato una reazione molto diversa dallo schiaffo che gli stampò, con tutta l’insospettabile forza che possedeva, sulla guancia ispida.

-Usala solo per le prediche, la tua dannata lingua. Non vivo sola.

Un breve sibilo e il cane, silenzioso come un’ombra, corse ad accucciarsi ai piedi di Celia. Era tutto nero, più lupo che mastino. Cort non aveva mai visto un cane così grosso.

-Werewolf. Lui ubbidisce a me e gli altri a lui. Sword. Raptor. Vampire. Wrath. Sono addestrati a uccidere. Hanno già ucciso (per chi non sapesse l’inglese, i nomi dei cani di Celia sono: Lupo Mannaro, Spada, Predatore, Vampiro e Rabbia.Teneri cuccioletti… N.d.A.)

Altri quattro cani grossi e neri circondarono il letto e gli puntarono in faccia gli occhi rossi e feroci, scoprendo in un ringhio le zanne acuminate.

Non vivo sola. I miei compagni sono un vecchio cavallo e un branco di cani. Non vivo sola. I miei compagni sono i fantasmi che infestano questa casa e i diavoli che mi divorano il cuore. Non dovevi provarci, Cort. Ti avevo avvertito.

 

I FANTASMI DEL PASSATO

 

Non sei mio prigioniero, nonostante tutto; sei libero di andartene quando vuoi, di tornare nel posto da dove sei venuto Cort. Non aizzerò il branco contro di te per impedirti di fuggire e non ho mai avuto intenzione di farti del male. Sei gentile… Gentile come lo era mio padre. Lui me lo ricordo bene, mia madre no, è morta che avevo solo pochi mesi. Aveva gli occhi dolci e miti, come ce li hanno tanti di noi e credeva nei suoi sogni. Sono stati i sogni a uccidere David Judd, mio padre. E per poco non hanno ucciso anche me.

Celia aveva apparecchiato la tavola del salone, acceso le candele. Cort meritava i riguardi dell’ospite, anche se la cena era soltanto pasticcio di cacciagione con riso selvatico di contorno e composta di mele. E una bottiglia di vino, vecchio di chissà quanto, che poteva essere diventato miele o aceto.

Celia aveva indossato un abito che apparteneva a quella casa e non a lei, un abito da sera come si usavano quarant’anni prima, con la sottana larga, la scollatura profonda e le spalle scoperte. Cort portava la sua solita roba ma, ripulito e sbarbato, sembrava più giovane di dieci anni.

-L’avevi promesso, Celia…

-Di dirti quello che già sai, Cort?

-No, quello che pensi di me.

Che sei un assassino pentito, Cort. Che hai ucciso con le tue mani l’uomo che ha tentato di salvarti dall’inferno e che piangevi, quando Herod ti ha costretto a farlo, puntandoti alla tempia la canna della sua pistola. Lui diceva, fallo Cort, hai tutto il diritto di salvarti, di vivere la tua vita…Fallo, Dio perdonerà i miei e i tuoi peccati, non hai idea di quanto sia grande la misericordia del Signore… Hai premuto il grilletto, e padre Ramon aveva alzato le dita per benedirti, prima di morire. Herod rideva di te, ti guardava piangere e vomitare e ti diceva femminuccia, finocchio schifoso… Quanto hai bevuto, per cancellare quelle immagini dai tuoi incubi, Cort? Herod, che ammiravi, che speravi fosse il tuo vero padre, Herod che ti aveva insegnato a sparare e a cavalcare, e che aveva gli occhi del tuo stesso colore… Padre Ramon, che aveva venduto il calice d’argento per sfamare i suoi orfani. Padre Ramon che aveva accolto nella sua missione due banditi e aveva ricevuto la morte, a compenso della sua carità… Padre Ramon, che ti aveva salvato dall’inferno, finchè gli sgherri di Herod ti hanno trascinato a Redemption e costretto ad ammazzare di nuovo.

-Che penso di te, Cort? Senza tutto quel pelo in faccia… sei bellissimo, ecco.

Gli carezzò il dorso della mano, con le sue dita lunghe, sottili e brune. In casa faceva tutto quanto, gli aveva detto, ma non aveva le mani sciupate. Ed era un mistero che in quel relitto del passato, pieno di polvere, di ragnatele e puzza di muffa ci vivesse da padrona e non da serva, che avesse indossato, per onorarlo come ospite, il vestito e i gioielli di una signora bianca, di una che lì era sicuramente nata, vissuta e forse anche morta e seppellita.

-Brindiamo, Cort?

Gli occhi chiari come quelli di un puma le brillavano attraverso il cristallo del calice. Il vino troppo vecchio non aveva perduto il suo sapore, anzi, era diventato dolce come e più del miele.

-A che cosa brindiamo, Celia?

-A noi due. A quello che eravamo. A quello che ci hanno fatto diventare. E a quello che saremo... Dopo.

 

A NOI DUE

 

Celia centellinò il vino con una smorfia. Non era abituata a bere, suo padre,disse, era solito definire roba del diavolo qualsiasi cosa contenesse anche un solo goccio d’alcol.

-Ne ha visti e conosciuti tanti, rovinati dal vizio del bere.

-Molti bevono per dimenticare i loro guai, Celia.

La vide sorridere, così terribilmente bella, alla luce fioca del tramonto e delle candele.

-E noi abbiamo i guai nostri, Cort… Tutti e due.

Tutti quelli che lui non aveva saputo tenere per sé, quando stava male: che era un bastardo figlio di nessuno, che il padre adottivo gli somministrava dosi massicce di busse citando le Sacre Scritture, che a sedici anni era scappato da casa irretito dalle chiacchiere d’ un poco di buono che si chiamava Herod, sparava da dio e aveva l’età giusta e gli occhi della stessa sfumatura d’azzurro dei suoi, tant’è vero che lui, stupido, aveva sperato perfino fosse il suo vero padre.

-Beviamo,e dimentichiamo tutto, Cort… Tutto quanto.

La vide intingere nel vino il suo indice sottile, passarglielo lentamente sulle labbra, quindi dentro la bocca socchiusa.

-A noi due, Cort.

A me, cagna del diavolo, a me, capobranco di una muta assassina, a me, strega nera della palude maledetta e a te, assassino pentito in cerca di una redenzione che non avrai. Hai ucciso il prete cattolico che ti aveva salvato la vita e tentato inutilmente di salvarti l’anima… Quell’Herod ti ci aveva costretto. E hai ucciso Herod, la tua anima nera. Tu e quella Ellen, che ti ha voluto e ti ha avuto… Sei bellissimo, Cort, bastardo figlio di nessuno, assassino pentito e dannato senza possibilità di redenzione.

Continuava a sorridergli con quei denti grandi, bianchi e perfetti tra le labbra livide, a tenergli piantati nei suoi gli occhi chiari da predatore, che pungevano come due chiodi. Continuava a sorridergli, invitante, mentre il sontuoso abito di velluto, cucito chissà quanti anni prima per una signora bianca, le scivolava via dalle spalle, e più giù, lungo il corpo di bronzo, fino a lasciarla completamente nuda.

-Cort…

La pelle di lei che fremeva di freddo e di desiderio, il soffio di voce con cui aveva pronunciato il suo nome gli incendiarono il sangue.

-Avvicinati, Cort… Non ti farò mangiare dai miei cani, lo giuro.

Gli afferrò con entrambe le mani i lunghi capelli biondi, mentre lui le esplorava la bocca con la lingua avida e calda che sapeva ancora di quel vino dolce che avevano bevuto. Poi lo aiutò a spogliarsi, accendendogli dentro mille piccoli fuochi, quando le sue sottili mani scure lo accarezzarono dappertutto, e questa volta era cosciente.

Cort, bastardo figlio di nessuno. Cort assassino. Cort capace di cavare gli occhi a una mosca in volo con un colpo di rivoltella. Cort peccatore pentito… Celia aveva offerto la sua grande bocca carnosa, la sua gola pulsante, i suoi seni alti e sodi ai baci e ai morsi di quell’uomo che le aveva rivelato tutto di sé nel delirio dell’incoscienza. Un uomo bianco, come… Chiuse gli occhi per distoglierli dalla sua testa bionda, s’ingiunse da sé sola d’ignorare il piacere che stava dando al suo corpo. E’ la serata giusta per ubriacarci, le aveva detto. Peccato sprecare questo vino. E le aveva versato quel che restava nel suo bicchiere sui seni, sul ventre, fra le cosce, una goccia alla volta, lentamente, e altrettanto lentamente aveva lambito e succhiato ogni brandello della sua pelle, fino a portarla sull’orlo della pazzia, ancor prima di averla penetrata.

 

IL DRAGONE

 

Cort bastardo figlio di nessuno. Cort assassino… Cort, cane di un bianco. Celia lo baciò una volta ancora su quella bella bocca che aveva, per poi seguire il percorso di una goccia mista di vino e del suo sudore lungo la vena che gli batteva sul collo, tra la peluria bionda e leggera del petto. Voglio vederti impazzire, Cort… Gli morse piano un capezzolo, glielo leccò. Glielo succhiò. Lo sentì gemere.

Cort, assassino pentito… E’ vero che hai seppellito centoventimila dollari e non un cane morto, ai piedi della quercia grande? Hai detto tutto quanto e anche di più, mentre deliravi… Ma non me ne importa, sei così bello e così bravo a darmi piacere. Vorrei che stessi con me per sempre, Cort cane d’un bianco.

-Non ne hai ancora abbastanza, Celia?

Le aveva sorriso, strizzando gli occhi e sollevando gli angoli delle labbra, come un bambino discolo. Credo che non ne avrei abbastanza di te mai e poi mai… Anche se mi maledico ogni volta che lo penso. Forse avrei dovuto lasciarti morire.

Lo fece impazzire ancora, con le mani e con la bocca. E lasciò che la prendesse un’altra volta.

-Cort…

Lui la guardò in tralice attraverso la cortina delle lunghe ciglia abbassate. Che vuoi, Celia? Sentirti dire ancora una volta che sei bellissima e che mi fai bollire il sangue? Dirmi che non sei ancora sazia?

-Quante cose hai detto, mentre deliravi.

Ho detto di un assassino pentito, di un cane morto, di una bella donna bionda che mi ha fatto quello che mi stai facendo tu perché il giorno seguente saremmo potuti essere morti tutti e due? Ho detto di aver riposto la mia fiducia in un uomo malvagio e che mi sono dannato l’anima senza possibilità di remissione per liberare il mondo dalla sua presenza? O forse ho detto del mio tesoro nascosto?

-Hai parlato di un uomo che aveva un dragone rosso tatuato sul polso destro.

Uno dei tanti che erano scesi a Redemption e avevano messo la loro vita a repentaglio con la speranza di conquistare il premio. Ma non aveva fatto in tempo a scendere in lizza perché Herod era stato ammazzato e tutto era finito. Un uomo magro, con i capelli castani, sulla quarantina. Non lo si notava per niente di particolare, era un tipo silenzioso, e beveva parecchio. Già, non avrebbe avuto niente di degno di nota, non fosse stato per il tatuaggio, un grande dragone fiammante, e gli occhi chiari, spiritati,cerchiati di rosso. Gli stessi che gli aveva sgranato in faccia dicendogli sparami, predicatore quando lo aveva incontrato, poco prima che il serpente lo mordesse.

-Rourke, mi sembra. Mi ha chiesto di sparargli, chissà perché.

Il sole d’un altro mattino di febbraio aveva scacciato il buio della notte. Guardami, Cort, guardami dentro gli occhi e dimmi tutto di lui. Io voglio il Dragone del Klan. Voglio la sua sporca vita.

 

 

DAVID E CELIA JUDD

 

Cort si sollevò puntellandosi sui gomiti e la testa di Celia gli scivolò dal petto allo stomaco, solleticandogli la pelle con i lunghi capelli neri. Voglio la vita di Rourke… Voglio ogni goccia del suo sangue maledetto. Cercava vendetta, come Ellen e lo sguardo determinato lasciava intendere che l’avrebbe avuta. Era molto bella, pensava Cort stringendosela contro, con quella pelle morbida che sembrava cioccolata allungata col latte e il corpo fatto per dare e ricevere piacere. Perché si arrovellava a cercare il modo di lavare con il sangue di un uomo un’offesa ricevuta chissà quanto tempo prima? E perché quell’affronto? Molti uomini che aveva conosciuto disprezzavano i neri, ma una donna come Celia si poteva soltanto desiderare di stringerla tra le braccia.

-Mi piace il sapore della tua pelle, Cort…

E lo baciava, salendo dallo stomaco al petto alle grandi spalle muscolose, gli mordicchiava la gola, il mento, le labbra. Anche a me piacciono i tuoi occhi chiari, pensava lui. Non l’ho mai vista una nera con degli occhi come i tuoi. Occhi acuti e pungenti, tagliati a mandorla come quelli dei gatti, occhi grigi come la lama affilata di un coltello d’acciaio. Mi piacciono i tuoi occhi chiari, le tue labbra carnose e la seta della tua pelle. Quanto sei bella, Celia…

-Voglio quell’uomo, Cort. Voglio il dragone del Klan.

-Ancora?

Cort rise piano, accarezzandole con il pollice il capezzolo turgido. Aveva già notato un piccolo segno bianco, una cicatrice a forma di mezzaluna sopra l’areola scura.

-Uno di quei cani mi aveva morso a sangue. Lui è stato il primo a pagare.

Il tempo è passato, Celia.Vivi il presente, e dimentica tutto il resto… Un piccolo bacio, un morso tenero che non lasciava segni crudeli. Mi piace quando mi fai così, Cort… E gli carezzava la testa bionda, mentre lui le succhiava il seno e la faceva impazzire.

-Manca solo lui, Cort. DEVO vederlo morire.

Il piacere e la rabbia le seccavano la gola, mentre parlava, continuando a carezzare la testa bionda di Cort. Mio padre era come te, un uomo di Dio. Veniva da un posto lontano,dal Nord, gli disse, e non so come siamo finiti in mezzo a queste paludi, io e lui. Mia madre era morta tanto tempo prima e non avevamo parenti che si potessero prendere cura di me.

-E’ successo dieci anni fa: io ne avevo undici.

Mio Dio, eri una bambina quando hai visto gli uomini del Klan, con i cappucci e le tuniche bianche, rompere le ossa a tuo padre con i loro bastoni solo perché, oltre al Vangelo, aveva preteso d’insegnare ai pescatori di gamberi della palude che avevano dei diritti e che l’ignoranza era nemica della libertà. Erano in quattro e l’avevano stuprata in tre, mentre quello che sembrava il capo, bianco e spaventoso come uno spirito maligno, guardava la scena dall’alto del suo cavallo, puntando il suo fucile carico su David Judd che, pesto, sanguinante e con le ossa rotte implorava invano lasciatela stare, e sicuramente se la rideva dietro il cappuccio. Aveva avuto quel che si meritava, il predicatore. E anche quella piccola puttana di sua figlia.

-I tre che mi hanno presa li ho visti in faccia perché avevano gettato via i loro cappucci. All’altro ho visto solo il tatuaggio, quando mi si è avvicinato, s’è tirato su la veste, aperto le brache e mi ha pisciato sopra. La cagna di sua madre dev’essersi fatta sbattere da un bianco, diceva, perché questa bella bambolina negra ha gli occhi chiari… Diversamente non si spiega.

Si era finta morta e non l’avevano finita con un colpo di fucile alla testa, come suo padre. Quanto le era costato, ricacciare indietro le lacrime, ignorare il dolore e la vergogna per il suo piccolo sesso violato e sanguinante, per i vestiti stacciati dalle sudice mani di quegli animali, che l’avevano lasciata quasi nuda? Mia madre non si è mai data a un bianco. Mia madre ERA BIANCA e stava con mio padre semplicemente perché gli voleva bene. Gli occhi chiari mi vengono da lei e saranno l’ultima cosa che vedrete, prima di bruciare per sempre all’inferno.

 

LA CACCIA

 

Nel freddo del primo mattino, la nebbia verdastra della palude velava il cielo e attutiva il gracchiare dei corvi e il latrato rabbioso della muta.

-Avevo quindici anni, quando ho visto Werewolf per la prima volta. Il suo vecchio padrone lo nutriva a pane e acqua e lo teneva tutto il giorno legato a due metri di catena. Lo scioglieva di notte, perché tenesse i ladri fuori dal recinto. Tutti quanti avevano paura di lui.

Ma non tu, Celia. Non hai paura di niente, e te ne vanti. Cavalchi nella nebbia come un centauro e non spari certo peggio di me. Sei come Ellen, ami e odi con altrettanta intensità. E hai addestrato Werewolf ad ammazzare…

L’ho addestrato a puntare la preda e a portarla in direzione del mio fucile: devo cacciare, se voglio mangiare della carne. Pernici, ma anche cervi e cinghiali. Per me, e per loro: non hai idea di quanto mangino, cinque grossi cani.

Quattro pernici e un maiale selvatico. Poteva bastare.

-Torniamo indietro, Celia… Fa freddo.

Ma lei spronava il cavallo ad andare avanti, in direzione della palude, come se quello che avevano preso non fosse ancora abbastanza. Che cosa cerchi, Celia? Il dragone del Klan?

Gli aveva raccontato di come i pescatori di gamberi della palude l’avessero salvata e curata, di come una vecchia le avesse insegnato i segreti delle erbe e dei veleni e di come suo figlio, un uomo grosso e forte, che aveva gli stessi occhi dolci di David Judd, le avesse insegnato a sparare. Gli aveva raccontato di come Big Jonathan si fosse innamorato di lei e le avesse chiesto di sposarlo, quando aveva sedici anni. Era stato allora che s’era trasferita nella casa stregata, con i suoi cinque cani e il cavallo scampato all’incendio della baracca di tronchi dove vivevano i fratelli Keller, i suoi stupratori.

-Non è stato per caso, Cort.

Non era stato per caso se due di loro erano morti soffocati dal fumo e se il terzo era stato ritrovato a una decina di metri dalla baracca incenerita, con la gola squarciata e tutto il corpo straziato dai morsi. Erano stati i coyote, avevano raccontato i pescatori della palude allo sceriffo. L’ultima cosa che Josh e Thomas Keller avevano visto era stato il bagliore del fuoco; l’ultima che aveva visto il loro fratello Ashley le zanne scoperte e gli occhi rossi della muta inferocita. E una piccola ombra che si dileguava nella notte stringendo in pugno una torcia fiammeggiante.

 

LA PREDA

 

Il vento del Nord aveva disperso la nebbia del mattino e il freddo di febbraio pungeva la pelle come aghi acuminati, ma loro continuavano ad allontanarsi dalla casa, spronando i cavalli a seguire il galoppo e le grida della muta. Werewolf procedeva in testa, fiutando l’aria naso al vento e gli altri lo seguivano: Vampire, Raptor e le due femmine, Sword e Wrath, neri e feroci tutti quanti come demoni, come i cani del diavolo sputati fuori dall’inferno.

Celia balzò giù dal suo cavallo, quando l’uomo spuntò fuori dai cespugli, magro, sporco di fango, gli occhi spiritati. I cinque cani lo avevano circondato e lo fissavano, immobili, le zanne scoperte, il pelo irto, pronti a saltargli addosso quando la loro padrona avesse ordinato a Werewolf di attaccare.

-Ammazzami. Spara, dannata cagna del diavolo…

La vide scuotere la testa e la treccia,spessa come il polso di un uomo, con cui aveva raccolto i lunghi capelli neri, ondeggiò lenta.

-Non sparo… Dragone del Klan.

Il tatuaggio era ben visibile, rosso come una ferita, tra il polso e il dorso della mano sudicia, dalle unghie spezzate e incrostate di terra.

-Allora spara tu, reverendo… premi quel dannato grilletto, visto che questa puttana non ha nessuna intenzione di farlo.

-Se lo fai ammazzo anche te, Cort.

Tuo padre ha perso tempo a insegnarti che il perdono è più difficile e più nobile della vendetta, Celia… Mio padre non aveva il senso della realtà. Per lui era sufficiente mettere le persone in ginocchio a pregare perché le cose cambiassero. Ma io so che non è così: e anche questa canaglia lo sa bene, vero?

Il mento ispido di Rourke tremava e un filo sottile di saliva gli colava giù dalla bocca semiaperta.

-Un mese fa… Un mese fa un cane idrofobo mi ha morso alla gamba. A Redemption c’ero andato con la speranza che qualcuno mi riempisse di piombo e mi spedisse subito all’altro mondo. Comincio a sentire i sintomi e so di non avere scampo. So anche che non morirò senza accorgermene.

-Cercherò di stare lontana dalla tua bocca e dai tuoi denti infetti, ma potessi dannarmi se… Anche mio padre non è morto senza soffrire.

-David Judd era un brav’uomo…

-E io non lo sono. Crepa pure di morte lenta, Rourke. E’ quello che ti meriti.

-Io non ti ho toccata…

Non mi hai toccata, già, Rourke maledetto te. E non hai fatto niente per impedire che mi toccassero i tuoi degni compari. Sei sceso da cavallo e mi hai pisciato sopra, prima di tirare un colpo di fucile in testa a mio padre… Che colpa avevamo io e lui per meritarci tutto questo? Quella di essere neri? Dopo sei tornato a casa come se niente fosse, hai accarezzato i tuoi bambini, hai fatto l’amore con tua moglie… Mi fai schifo, Rourke.

-Celia…

Sparagli. Fallo per pietà. Sparagli o lo farò io. Quel che è fatto è reso, Celia. Non lo vedi che ha i sintomi? Ho già visto un uomo morire di rabbia. E’ una gran brutta morte.

-Lascialo crepare come crepano i cani, con la schiena spezzata dalle convulsioni e soffocato dalla sua stessa bava: è quello che si merita.

-Potrebbe… morderci e infettarci, Celia.

 

REDENZIONE

 

Già, avrebbe potuto morderli e infettarli. La bava gli colava dalla bocca in un sottile filo giallastro e li guardava con gli occhi folli. Perfino i cani, intuito il pericolo che quella creatura stravolta rappresentava, adesso avevano paura di lui, e se ne stavano ammucchiati in un angolo tutti assieme, uggiolando di spavento come cuccioli abbandonati.

Se vuoi che gli spari, gli fracasserò le ginocchia, così non potrà più muoversi, ma non morirà. Farà in tempo a provare ribrezzo per l’acqua che non potrà bere, e inarcherà la schiena fino a rompersela, e spalancherà la bocca per gridare il suo dolore alla luna e alle stelle… Come i lupi mannari. Come i cani del diavolo.

-Il passato è morto, Celia… E il futuro potrebbe essere… Io e te, in qualche posto…

-Non c’è nessun posto dove la gente sarebbe disposta ad accettare che un bianco e una negra stiano insieme.

-Ma a noi potrebbe non importarcene degli altri.

Le carezzò i capelli con le sue grandi mani ruvide, e lei cercò di sfuggire al suo sguardo. La notte prima, lui le aveva versato dentro il suo seme: poteva essere che avessero imbrogliato il passato, la morte e la paura. Poteva essere che avessero concepito un figlio.

-Sparagli, Celia. Fallo per pietà.

La donna puntò la carabina, fece fuoco. E Rourke crollò a terra, colpito proprio in mezzo alla fronte.

Lalla Usai

Selegas,13/08/01

 

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