Redemption
MARDI GRAS
Adesso me ne vado, pensava Mama Rose, prima che l’unico
cliente della giornata varcasse la soglia della sua bottega. Scendo in
strada a guardare le maschere, e i fuochi, a sentire le trombe e i
tamburi. E’ l’ultimo giorno di Carnevale, domani sarà tempo di
piangere, pregare e pentirsi di quel che si è fatto e che non si è
fatto. E di tornare a lavorare duro, perché non era facile mettere
assieme il pranzo con la cena. Non erano più i tempi in cui aveva visto
la luce, quelli della schiavitù, ma non era facile neppure allora, per
chi era nero come lei. Anche se il suo piccolo commercio di roba usata,
qualsiasi genere di roba usata, vestiti, mobilio, attrezzi e quant’altro,
le permetteva di campare alla men peggio e di godere perfino del rispetto
che viene da un relativo benessere, perlomeno fra la sua gente.
-Desidera?
Un bianco dai lunghi capelli dorati. Non ne capitavano
molti, nella sua bottega. Lo accolse con il sorriso dei giorni migliori,
mettendo in mostra una chiostra incompleta di denti nella larga bocca che
le spaccava in due come un cocomero la facciona nera e lustra sotto il
tignon (il fazzolettone che le donne di colore annodavano sulla testa
N.d.A.) di cotone stampato a colori allegri. Per quanto avesse
imparato sulla sua pelle che era sempre meglio non fidarsi, dei bianchi.
-Vende… anche vestiti?
Era sporco, e puzzava come un cane bagnato. Chissà da
quanto tempo si portava addosso gli stracci scoloriti che indossava,un
paio di pantaloni sformati e una redingote dal colore indefinibile sopra
una camicia che doveva essere tutta un rattoppo. Mama Rose provò
compassione per lui, anche se non sapeva neppure chi era. Giovane, questo
era certo: avrebbe potuto essere suo nipote, non fosse stato bianco. E
straniero, non parlava come quelli del Vieux Carré (il quartiere
vecchio di New Orleans, abitato dai creoli di origine e di madrelingua
francese e spagnola N.d.A.). Doveva trattarsi di un americano, di uno
di quei villani che, finita la guerra, avevano invaso la città portandosi
appresso i loro modi rozzi e la loro parlata ridicola, oltre al vizio di
ubriacarsi come spugne e di metter mano alla pistola al minimo pretesto.
Di solito avevano le tasche piene di dollari, sì. Ma questo aveva tutta l’aria
d’averci le ragnatele o i buchi, nelle tasche delle brache.
-Ampia scelta, per gente della sua taglia.
Mama Rose lo squadrò da intenditrice: aveva le gambe
dritte e abbastanza lunghe, le spalle grosse e forti, non un filo di
grasso superfluo.
-Non ho molto da spendere…
Il sorriso era timido, gentile. E gli occhi azzurri
come il vaso di vetro che Mama Rose metteva in mezzo al tavolo quando era
stagione di fiori, quasi sempre, perché grazie a Dio a New Orleans l’inverno
durava poco, anche se si faceva sentire.
I pantaloni di tela blu erano scoloriti e facevano le
borse sulle ginocchia, ma avevano dei rinforzi di cuoio all’interno
delle cosce, comodi quando si andava a cavallo. Dovevano essere
appartenuti a un vaccaro, chissà quanto tempo prima. La giacca era di
panno ordinario e sul dietro della camicia di flanella a scacchi
campeggiava un foro di pallottola, ancora circondato dall’alone lasciato
dalla polvere e dalla macchia di sangue che nessuna lisciva e nessun’acqua
bollente erano riuscite a lavare via. Il precedente proprietario è morto
ammazzato, avrebbe voluto dirgli; vada tranquillo, la roba tolta di dosso
ai morti ammazzati porta fortuna e mi creda, è vero, ma non c’era
bisogno di parole per convincerlo, aveva fretta, e guardava continuamente
fuori per controllare che il suo cavallo fosse sempre lì. C’era, qui
non è posto di ladri, signor americano, e nessuno te lo tocca, il tuo
brocco rognoso. Comprò anche un paio di stivali consumati e un cambio di
biancheria, e saldò il conto con un mazzetto di dollari bisunti che s’era
cavato di tasca, senza fare storie.
-Dove lo trovo un albergo per…
-In fondo alla Rue Toulouse.- Un posto a buon mercato,
dove avrebbe trovato un piatto di jambalaya da mettere sotto i denti,
mezza pinta di whisky per ubriacarsi dimenticando i suoi guai, una tinozza
d’acqua e un pezzo di sapone per lavarsi di dosso tutto il sudiciume, un
fondo di letto e, se ne aveva voglia, una ragazza con cui dividerlo.
-Arrivederci, madame.
Pura cortesia, non si sarebbero più rivisti. L’espressione
del suo viso era dolce e gentile, ma forse solo perché aveva tratti
regolari, quasi infantili, grandi occhi chiari e quei riccioli dorati d’arcangelo
impastati di polvere e di sudore. Mama Rose immaginò una pistola infilata
alla cintura. Tutti giravano armati, in città e non solo. E i segni rossi
che i polsini lisi della camicia non riuscivano a nascondere? Quell’uomo
aveva portato le catene. Proprio come lei, tanti, tanti anni prima, quando
ne aveva tredici e il padrone l’aveva trascinata al mercato per
venderla, incurante delle lacrime che la straziavano, mentre abbracciava
per l’ultima volta sua madre: non l’ avrebbe più rivista.
-Anche quella… è in vendita?
Con un piede e mezzo fuori dalla porta, il giovane
indicava una vanga arrugginita.
Certo, tutto è in vendita, ragazzo. Se avessi avuto l’età
che hai ora quarant’anni fa, avresti imparato che anche gli uomini si
potevano vendere e comprare, come balle di cotone, come vacche o cavalli.
-Mi è morto il cane. Devo seppellirlo da qualche
parte, gli volevo bene e non mi sembra giusto gettarlo via come una scarpa
rotta.
Sotterrare un cane, come si fa coi cristiani? Non
provocare Dio, ragazzo. Un cane è un cane, l’anima mica ce l’ha… E
guardami in faccia, mentre parli, o potrei anche pensare che mi stai
raccontando delle balle.
-La prenda. Quella gliela regalo.
E lo guardò uscire, staccare le redini dall’anello,
altare in sella e dileguarsi in fondo alla strada, mentre lo strepito
delle trombe e dei tamburi si faceva più vicino, più forte e il cielo
della sera s’accendeva dei lampi colorati dei bengala.
LA FLEUR
L’albergo in fondo alla Rue Toulouse era una bettola
d’infimo ordine con un nome pretenzioso, "La Fleur"; lo
gestiva un energumeno con gli avambracci tatuati e un’ampia finestra al
posto dei denti davanti. Costava poco, come gli aveva detto la vecchia
negra della bottega e in quanto a pulizia e discrezione doveva lasciare
parecchio a desiderare, ma Cort non era in grado di pretendere di più,
nelle condizioni in cui si trovava, e poi non era intenzionato a
trattenercisi più d’una o due notti. Ordinò la cena e gli portarono
jambalaya di gamberi mezza fredda e un tozzo di pane di granturco. Da
bere, acqua. Masticò lentamente, immaginando di metter sotto i denti
qualcosa di diverso da quella brodaglia piccante che non gli piaceva
proprio. Ma aveva fame, e ripulì il piatto.
-Vorrei lavarmi.
-In camera c’è una tinozza. Le farò portare l’acqua.
Calda costa di più. E per il sapone c’è un supplemento di spesa.
Sono troppo sudicio per sperare che acqua fredda senza
sapone bastino a levarmi di dosso polvere, sudore, sangue e quant’altro.
A Redemption lo avevano costretto a dormire per diverse notti all’addiaccio,
incatenato all’abbeveratoio dei cavalli e a lavarsi con l’acqua della
pioggia. Solo una volta aveva avuto modo di posare le chiappe su un letto
decente: ma non aveva dormito. Pagò senza commenti, salì in camera: un
bugigattolo con un letto sfatto, una sedia sfondata e la tinozza piena a
metà. Si spogliò, entrò nell’acqua. Era appena tiepida e il vento di
febbraio penetrava in refoli gelidi attraverso le connessure della
finestra. Rabbrividì, e i peli delle braccia gli si drizzarono, ma era
piacevole sentirsi di nuovo fresco e pulito, dopo tanto tempo.
SUSAN
-Hai bisogno d’aiuto?
Non aveva chiesto una donna. L’avrebbe mandata via,
anche se aveva i capelli biondi e sottili. Come Ellen. Perché mi fai
questo? Perché potremmo essere tutt’e due morti, domani… Se fosse
morto, era certo che si sarebbe ritrovato all’inferno, il posto che
compete agli assassini e ai fornicatori.
Era più giovane di Ellen, ma meno bella, con i suoi
lineamenti puntuti e la pelle bianchissima chiazzata di lentiggini scure.
Senza che lui le dicesse niente, gli strofinò la schiena, gli sciacquò
via il sapone dai capelli.
-Come sono belli… Sembrano d’oro.
Avrebbe voluto mandarla via, e che se ne andasse alla
svelta, prima che l’acqua finisse di sfreddarsi e lui dovesse venir
fuori dalla tinozza.
-Ellen…
-No,non Ellen. Susan.
Aveva le labbra troppo sottili, i denti troppo piccoli,
il naso troppo corto e gli occhi troppo chiari. No, non era Ellen. Ellen
era il demonio, la tentazione, quella una ragazzetta qualsiasi, anche se
voleva esattamente ciò che l’altra aveva preteso e s’era presa.
-Sei bello.
Le sorrise. Era sempre stato bello, fin da ragazzino, e
le donne lo notavano. Perfino a Redemption, con tutte quelle catene e quel
sudiciume addosso. Era solo per la sua bellezza, che Ellen l’aveva
preso, malgrado lui avesse cercato mille scuse balbettanti per
respingerla, ma la verità era che anche lui la voleva, non poteva
negarlo, come la volevano tutti. Li avrebbero messi l’uno contro l’altra
e uno dei due non ne sarebbe uscito vivo, lui trascinato di forza in quel
buco fetido e squallido, costretto ad ammazzare malgrado la sua volontà,
lei divorata dal tarlo della vendetta. Prendiamoci adesso quello che
entrambi vogliamo, Cort. Domani potremmo essere morti. Tutti e due.
Susan guardava i rivoli d’acqua scorrergli sulla
gola, sulle spalle, tra i peli biondi del petto. Non gliene capitavano
molto spesso, uomini come quello.
-Vattene, non ho chiesto una donna.
Il tono era gentile, quasi implorante. Se è solo
questione di soldi possiamo anche accomodarla fra noi… No, non era
questione di soldi. Quel gran pezzo d’uomo dai lunghi capelli biondi
portava al collo un crocifisso di legno, doveva essere un predicatore, e i
predicatori non vanno a puttane. Peccato che abbiano orrore del peccato.
Di quel peccato. Eppure, c’è di molto peggio, pensava Susan.
-Allora, proprio non…
-Vattene. Ti prego.
Gli guardò ancora una volta il crocifisso di legno che
gli dondolava sul petto. Ti chiederei perché Dio ci ha fatti come ci ha
fatti, e poi ci castiga se cadiamo in tentazione. Ma oggi non è ancora
tempo di penitenza. Quello verrà domani. Ti chiederei tante cose,
predicatore. Anche il perché di quei segni rossi che hai intorno ai
polsi, come se avessi portato, per molto tempo, catene che ti sono state
tolte solo da poco.
BAYOU SAINT JEAN
Le paludi che circondavano la città potevano essere il
posto giusto, pensava Cort. Il posto giusto per sotterrare il suo povero
cane morto di vecchiaia, il suo povero cane a cui non importava niente se
la mano che leccava era quella di un assassino. Un cane non è un
cristiano, gli aveva detto la vecchia della bottega, guardandolo fisso con
quei suoi occhi scettici, e sporgenti come quelli di un rospo. Beh, il
posto ci sarebbe, ma io non ci andrei. Il bayou St.Jean. Ci sono i
fantasmi, lì, e i lupi mannari, e i cani del diavolo, e… Dio, quanto
sono superstiziosi tutti quanti, da queste parti, bianchi e negri. La
superstizione è peccato, non te l’ha mai detto nessuno, vecchia?
Fantasmi, cani del diavolo… C’era nebbia e nebbia soltanto, un vapore
verdastro che si alzava dall’acqua marcia della palude avvolgendo tutto
e lasciando intravedere appena i tronchi chiazzati di muffa delle querce,
i muschi lunghi come capelli che pendevano dai rami contorti simili alle
dita artritiche d’una vecchia strega. Gli unici rumori erano il crepitio
secco delle canne, il latrare rabbioso di un cane, amplificato dalla
distanza. Non si sentivano uccelli che cantavano, rane che gracidavano,
ronzii d’insetti. Era inverno e faceva ancora freddo, nonostante l’inverno
durasse poco, da quelle parti.
Scese da cavallo, impugnò saldamente la vanga nelle
mani, iniziò a scavare. Il posto era asciutto, ai piedi di un grosso
albero. Proprio l’ ideale per sotterrarci una bestiola morta. Fin da
bambino era stato solito scavare buche ai piedi degli alberi per
seppellirci i suoi animaletti. Lo faceva sempre, anche se suo padre lo
ammazzava di botte ogni volta che veniva a saperlo. Pure lui era convinto
che gli animali non avessero il diritto di essere pianti perché erano
solo gli uomini, fatti a immagine di Dio, a potersi vantare di possedere
un’anima, e le bestie erano cose soltanto, di cui disporre a proprio
piacimento. Gli uomini come suo padre ragionavano così, quelli che
avevano la bocca sempre piena di citazioni bibliche e la verga ben salda
in pugno. Non ama suo figlio chi gli risparmia le vergate, diceva la
Bibbia, e Cort pensava che bene doveva avergliene voluto davvero
parecchio, quell’omiciattolo basso, dai capelli neri e dalle mani
indurite dal lavoro, con tutte le botte che gli aveva somministrato, in
sedici anni che era rimasto con lui. Non gli somigliava per niente, così
come non gli somigliava sua madre, una creatura grassa e sfiorita che
parlava con voce asmatica, si trascinava ansimando come un mantice in
quella loro bicocca di tronchi d’albero dove vivevano e non gli aveva
mai accarezzato i capelli, come se non fosse stata lei a metterlo al
mondo. Non sono i tuoi veri genitori, ti hanno preso dal brefotrofio che
ancora non camminavi neppure. Sei un bastardo, Cort, un figlio di nessuno.
La vanga affondava a fatica nella terra indurita. Un
gatto. Un cucciolo di procione. Un cane, un merlo,un altro cane…Creature
senz’anima e senza ragione che gli avevano voluto bene. Molto più di
quanto glien’avesse voluto quell’uomo dalla fronte bassa, nero come un
carbonaio che l’aveva tolto dal brefotrofio solo per lesinargli il cibo
e le carezze e per non risparmiargli le busse. Sei un bastardo, Cort. Un
figlio di nessuno. Meglio figlio di nessuno che di quell’uomo senza
sentimenti. Chiamatemi tutti quanti figlio di un cane e non mi offenderò,
pensava in quei momenti, mentre il suo vecchio segugio senza l’anima gli
lavava la faccia sudicia e gli cancellava via le lacrime dalle guance
graffiate con la sua lingua umida e calda.
Cort si asciugò con la manica della giacca la fronte
sudata. La buca era abbastanza profonda da accogliere la piccola carcassa
di un cane. Anche lui, pensava, avrebbe voluto che, una volta morto,
qualcuno sotterrasse la sua grossa carcassa all’ombra di un grande
albero, senza lapidi e senza croci. Come i suoi animali.
ROURKE
Gli sarebbe piaciuto credere che quella fatica fossero
le ultime, doverose onoranze a un amico che non c’era più. Non era
così. Nella cassetta di legno, ce n’era una, più piccola, di zinco. E
dentro quella, i centoventimila dollari che aveva vinto, a Redemption,
mostrando di essere il più veloce di tutti, con la pistola. L’ultimo
dei suoi cani lo aveva seppellito, ai piedi di una pianta come quella,
oltre quattro anni prima. Dopo, non aveva più avuto il tempo d’occuparsi
di un animale che non fosse il suo cavallo.
Quello era denaro maledetto, costato sangue e
spergiuro. Herod l’aveva costretto ad ammazzare, ancora una volta, come
ai vecchi tempi, come quando, insieme, rapinavano le diligenze lungo il
confine, prima che i soldati federali li sorprendessero e li riempissero
di piombo. Prima che padre Ramon li accogliesse nella sua missione di
Hermosillo e li curasse, come figli. Prima che Herod… Aveva peccato, si
domandò ricoprendo con grandi badilate di terra la piccola cassa, aveva
peccato a spedire al Creatore un uomo come quello, un assassino, un
profittatore, una dannata sanguisuga? Aveva peccato, a liberare Redemption
dal male che si respirava nell’aria, che faceva di tutti, uomini, donne,
perfino bambini, creature abbiette, che era come se avessero perso l’anima
per strada? Forse i miasmi umidi della palude avrebbero fatto marcire quel
denaro del diavolo, o forse… Erano un mucchio di soldi, gli orfanelli di
Hermosillo avrebbero potuto riavere la casa che i tirapiedi di Herod
avevano distrutto con il fuoco, quando erano andati a prelevarlo. Le cose
non sono di Dio né del diavolo, sono dell’uomo e diventano buone o
cattive secondo l’uso che se ne fa. Padre Ramon lo diceva sempre.
-Predicatore…
La vanga gli cadde, e la mano gli corse, rapida, alla
pistola che portava infilata alla cintura.Si voltò.
-Spara, predicatore…
Avrebbe sparato, anche se non voleva farlo, come nel
corso del suo primo duello, a Redemption. Si sarebbe fatto ammazzare,
piuttosto che premere il grilletto, perché non era più quello che era
stato, il killer dalla mira infallibile, era diventato un uomo di Dio. Ma
aveva ragione Herod, l’istinto di conservazione è più forte di
qualsiasi vocazione al martirio.
-Spara, predicatore.
Aveva riconosciuto Rourke dal tatuaggio sul polso,
gliel’aveva notato a Redemption, quando anche lui s’era iscritto alla
gara. Ma non era riuscito a partecipare a nessuno dei duelli, s’era
iscritto per ultimo e, prima che il suo nome fosse estratto a sorte, Herod
era stato ammazzato. Era disarmato, e lo guardava con aria di sfida. Magro
e sporco, come il vecchio cavallo che montava.
-Vattene, Rourke. Devi essere pazzo.
Già. Cort non spara. Cort non vuole più ammazzare
nessuno… E’ sazio abbastanza, di morti ammazzati, sazio fino alla
nausea e al vomito.
Spronò il cavallo, si dileguò tra gli alberi,
inghiottito dalla nebbia, lui, con il suo vecchio cavallo, la sua giacca
chiazzata di fango, il suo dragone tatuato sul polso. Già, devi essere
pazzo, Rourke, perché se non lo fossi non cercheresti la morte come la
cerchi.
MASSASAUGA
Cort si chinò a raccogliere da terra la vanga. Si
domandò se Rourke l’avesse visto fare quello che aveva fatto e potesse
tornare indietro per mettere le mani sul suo tesoro. Mio Dio, aveva la
faccia da pazzo e voleva che lo ammazzassi. Era completamente fuori di
testa, come se avesse visto il diavolo. No, un uomo in quelle condizioni
ha altro per la mente che andare a rubare un tesoro nascosto.
Tornerò. Una paio di giorni ancora e sarò di nuovo ad
Hermosillo, dai bambini. Avrebbero avuto nuovamente la casa che Herod
aveva fatto distruggere, e la minestra e il pane, tutti i giorni: come
aveva promesso a padre Ramon, mentre gli moriva fra le braccia. Sparagli,
gli aveva ingiunto Herod, sparagli prima che IO ti ammazzi, maledetto
bastardo… Gli sarebbero bastate mille vite e mille morti, per scontare
quel peccato, o sarebbe stato dannato per sempre?
La terra appena smossa aveva un odore umido di funghi,
muffa, foglie marcite. Era nera e grassa, terra buona contaminata dal
marciume e dalla maledizione oscura della palude, terra che nessuno
avrebbe voluto. Eppure, qualcuno doveva essere stato signore e padrone di
tutto quello che i suoi occhi vedevano, prima che accadesse qualcosa.
Prima della guerra, forse, o di qualche altra calamità altrettanto
rovinosa. Si chinò, prese una manciata di quella terra, l’annusò,
lasciò che gli filtrasse tra le dita, che gli sporcasse il palmo della
mano. Sì, doveva essere appartenuta a qualcuno, chissà quanto tempo
prima. Qualcuno che aveva abitato nella villa in rovina che si stagliava
contro l’orizzonte, con le colonne doriche e il capitello del patio, con
il viale delle querce che portava dritto all’ingresso principale. Una
casa stregata che brulicava di fantasmi, come sostenevano le vecchie
negre. Di fantasmi, lupi mannari e cani del diavolo.
Era freddo, adesso che il sole stava calando. Ed era
come se il freddo acutizzasse l’odore d’umido, di muffa e di marcio di
quella nera terra di nessuno. Gli sembrò di percepite in lontananza l’abbaiare
furibondo d’una muta di cani sulle tracce sanguinolente di una preda
ferita. Magari erano i cani del diavolo di cui gli aveva detto la vecchia,
a New Orleans. Un brivido freddo lo attraversò tutto e si strinse le
braccia intorno al corpo, strofinandosi con le mani per riscaldarsi.
Era tempo di andarsene. Chinatosi a raccattare la
vanga, percepì all’improvviso una fitta acuta e calda come di aghi
arroventati che gli bucavano la pelle del polso, proprio sopra quella
dannata cicatrice ancora fresca. Riuscì a strapparsi dalla carne i denti
del serpente, un crotalo massasauga e a pensare che il momento della resa
dei conti era arrivato, prima di crollare svenuto su quella terra nera e
maledetta.
CELIA
Si sentì come doveva sentirsi l’unico superstite di
un naufragio, quando cominciò ad uscire lentamente dal suo lungo sonno
senza sogni. Forse era morto, pensava, ma i morti non colgono la
differenza tra il freddo e il caldo, i morti non sentono niente. Morire è
proprio non sentire più nulla, né male né desiderio. E neppure il
pulsare del cuore dentro la piccola ferita che i denti del serpente
massasauga gli avevano lasciato sul polso, una ferita che,
provvidenzialmente, qualcuno aveva allargato con la punta di un coltello
per far uscire fuori il veleno. Sicuramente lo stesso che lo aveva
trascinato fin lì, spogliato dei suoi vestiti, adagiato sul letto.Un
uomo, grosso e forte almeno quanto lui. Ma la mano che gli aveva lavato
via il sudore della febbre, la mano che aveva sentito, nell’incoscienza,
posarsi leggera sul suo petto per ascoltare se il cuore gli batteva
ancora, se era vivo, quella no… Non era la mano di un uomo, avrebbe
scommesso, sicuro di vincere, tutto il denaro che aveva seppellito ai
piedi della quercia. Quella era la mano di una donna.
-Ben tornato nel mondo dei vivi… Cort.
Avrebbe dovuto domandarle come sapeva il suo nome, ma
mentre la nebbia si dileguava via dai suoi occhi, ebbe solo il coraggio di
chiederle piano se quello era l’aldilà, e lei un angelo. O un demonio.
-Saresti proprio un bel ragazzo, senza tutta quella
barba.
La mano di cui aveva percepito il contatto nel delirio
della febbre era la stessa che gli accarezzava piano la guancia ispida.
Lunga, sottile e nervosa. La mano di una donna. Di quella donna.
La nebbia dell’incoscienza si era dileguata del tutto
e lei era sempre lì, in piedi accanto al letto, mentre lui le serrava tra
le dita il polso sottile.
-Come sa che mi chiamo Cort… madame?
-Hai detto tante di quelle cose, mentre deliravi.
-E’ durata molto?
-Tre giorni. C’è stato un momento in cui ho creduto
che non ce l’avresti fatta. Davvero.
Cort sospirò, lasciandole andare il polso. Non era
morto, e chissà quante stupidaggini aveva detto, intanto che non c’era
con la testa per colpa di quel maledetto serpente e del suo veleno. Magari
la bella donna che lo aveva curato doveva essersi fatta pure quattro
risate alle sue spalle e con lei l’uomo grosso che l’aveva trascinato
fin lì e adagiato sul letto. Era anche possibile che avesse parlato del
suo tesoro nascosto e che quei due…
-Grazie di tutto, madame… A lei e a chi…
-Celia. E’ solo me che devi ringraziare, ho fatto
tutto io.
Celia. Alta, slanciata, e tutta nera. Come una vedova.
I capelli lunghi e ricciuti che le incorniciavano la faccia erano lucidi
come le piume di un corvo, la pelle liscia aveva le sfumature del bronzo e
dell’oro.
-Sei un predicatore, Cort?
Un sorriso fugace, un baluginare di denti bianchi tra
le labbra carnose le illuminò un attimo soltanto la faccia scura. Era
bella da mozzare il fiato.
-Ho detto anche questo?
-Hai detto tutto.
E a lei non era sfuggito niente. In quei tre giorni,
non doveva aver lasciato un attimo solo il letto dove lui giaceva, in
pericolo di vita. Cort era sicuro di aver sentito il calore del suo corpo,
come se gli avesse dormito vicino, sicuramente l’aveva fatto solo per
scaldarlo, quando stava male.
-Madame, io…
-Sei un uomo fortunato, Cort. Se non avessi deciso di
uscire a cavallo e non ti avessi trovato, penso che saresti morto. In
circostanze normali, il veleno del crotalo massasauga difficilmente
perdona. E poi…
Aveva gli occhi del colore di una lama affilata, sotto
l’arco delicato delle sopracciglia, il naso piccolo e sottile e una
bocca da tentare il più casto degli uomini. Cort inghiottì il groppo che
gli serrava la gola, al pensiero di quel che doveva nascondere il
castigato abito nero che copriva il suo corpo snello dalla gola alle
caviglie. Qualcuno gli aveva detto, tanto tempo prima, che nessuna donna
poteva battere, in quanto a bellezza, le mulatte di New Orleans e Celia
era la prova lampante che quel qualcuno non mentiva.
-I denti non ti hanno trovato la vena. Ringrazia il
polsino della camicia, che ha asciugato parte del veleno, e anche questa.
Le dita calde e sottili gli percorsero la crosta
indurita intorno al polso, quindi salirono lungo i tendini tesi,
accarezzarono i muscoli gonfi del braccio.
-Sei un bellissimo ragazzo, Cort. Mi sarebbe
dispiaciuto se fossi morto. Davvero.
IL BRANCO
Era ancora debole e la testa gli girava. Oltre all’acquaccia
nera che Celia l’aveva costretto a inghiottire mentre era incosciente e
che continuava a propinargli, sostenendo che l’avrebbe aiutato a
espellere dal corpo fino all’ultima goccia di veleno, erano tre giorni
che non metteva niente dentro lo stomaco. Sei giovane e forte, ce la
farai, gli diceva lei. Le stesse cose che gli aveva detto padre Ramon
quando gli aveva estratto una pallottola da un fianco e un’altra dalla
spalla. Herod era conciato peggio, ma alla fine ce l’avevano fatta,
tutti e due. Invece era stato proprio padre Ramon a non farcela.
-Sei sempre così triste, Cort?
Forse non ho detto proprio tutto quanto, mentre
deliravo, altrimenti non mi faresti certe domande. O, forse, Celia parlava
tanto per parlare. Quanto era bella. Si muoveva con la leggerezza
circospetta di un felino e aveva l’aria di essere pericolosa come un’arma
puntata.
-Vive… Vive qui tutta sola, madame?
Gli occhi della donna s’erano piantati nei suoi come
chiodi e le labbra si erano piegate appena nella parodia di un sorriso
ironico che gelò di colpo tutto il sangue nelle vene di Cort.
-Scommetto che ci proveresti, se ti dicessi di sì,
predicatore.
-Sono un gentiluomo… Malgrado quello che mi è uscito
di bocca mentre deliravo forse potrebbe far credere tutto il contrario.
-Allora scusami se l’ho messo in dubbio. Del resto,
sei un uomo di Dio, nonostante tutto… Io e te non siamo fatti della
stessa pasta, e non soltanto perché tu sei bianco e io nera.
-Madame, io…
-Smettila con questo madame. Io sono Celia. Vorresti
mettere qualcosa sotto i denti, Cort? Giorno più, giorno meno, ormai è
da tre che non mangi.
Tè, biscotti ancora caldi di forno, latte di capra
appena munto. Come se li era procurati? Quella donna lo incuriosiva e lo
inquietava.
-Al bayou vive una colonia di pescatori di gamberi.
Sono tutti negri, ci siamo sempre aiutati a vicenda. Quando qualcuno di
loro scende in città, compra le provviste anche per me, e io li curo
quando si ammalano, aiuto le loro donne a partorire… E’ stato il più
robusto di loro a portarti fino qui, da sola non ce l’avrei mai fatta a
trascinare la tua grossa carcassa priva di sensi che credi?
-Ma sei stata tu a trovarmi…
-…e a succhiarti il veleno dal corpo. Avevo voglia di
carne arrosto, ed ero uscita a caccia, col cavallo, i cani e il fucile.
Mentre deliravi, dicevi d’essere in grado di staccare le ali a una mosca
in volo con un colpo di carabina. Forse non sono così brava, ma me la
cavo anch’io.
-Che ho detto d’altro?
-Tante cose interessanti.
E così tu adesso sai tutto di me. Ma io non so nulla
di te, se non che sei bella da farmi scoppiare il cuore per il desiderio…
Avvicinati
ancora Celia. Avvicinati e accarezzami, come quando pensavi che non
sentissi niente. Invece io le sentivo dappertutto, quelle tue mani
delicate e quando mi toccavi credevo d’impazzire…
Non ci fu bisogno di costringerla, e Cort la sentì
fremere, mentre se la stringeva contro e le leccava piano le labbra.
Certo, da lei si sarebbe aspettato una reazione molto diversa dallo
schiaffo che gli stampò, con tutta l’insospettabile forza che
possedeva, sulla guancia ispida.
-Usala solo per le prediche, la tua dannata lingua. Non
vivo sola.
Un breve sibilo e il cane, silenzioso come un’ombra,
corse ad accucciarsi ai piedi di Celia. Era tutto nero, più lupo che
mastino. Cort non aveva mai visto un cane così grosso.
-Werewolf. Lui ubbidisce a me e gli altri a lui. Sword.
Raptor. Vampire. Wrath. Sono addestrati a uccidere. Hanno già ucciso (per
chi non sapesse l’inglese, i nomi dei cani di Celia sono: Lupo Mannaro,
Spada, Predatore, Vampiro e Rabbia.Teneri cuccioletti… N.d.A.)
Altri quattro cani grossi e neri circondarono il letto
e gli puntarono in faccia gli occhi rossi e feroci, scoprendo in un
ringhio le zanne acuminate.
Non vivo sola. I miei compagni sono un vecchio cavallo
e un branco di cani. Non vivo sola. I miei compagni sono i fantasmi che
infestano questa casa e i diavoli che mi divorano il cuore. Non dovevi
provarci, Cort. Ti avevo avvertito.
I FANTASMI DEL PASSATO
Non sei mio prigioniero, nonostante tutto; sei libero
di andartene quando vuoi, di tornare nel posto da dove sei venuto Cort.
Non aizzerò il branco contro di te per impedirti di fuggire e non ho mai
avuto intenzione di farti del male. Sei gentile… Gentile come lo era mio
padre. Lui me lo ricordo bene, mia madre no, è morta che avevo solo pochi
mesi. Aveva gli occhi dolci e miti, come ce li hanno tanti di noi e
credeva nei suoi sogni. Sono stati i sogni a uccidere David Judd, mio
padre. E per poco non hanno ucciso anche me.
Celia aveva apparecchiato la tavola del salone, acceso
le candele. Cort meritava i riguardi dell’ospite, anche se la cena era
soltanto pasticcio di cacciagione con riso selvatico di contorno e
composta di mele. E una bottiglia di vino, vecchio di chissà quanto, che
poteva essere diventato miele o aceto.
Celia aveva indossato un abito che apparteneva a quella
casa e non a lei, un abito da sera come si usavano quarant’anni prima,
con la sottana larga, la scollatura profonda e le spalle scoperte. Cort
portava la sua solita roba ma, ripulito e sbarbato, sembrava più giovane
di dieci anni.
-L’avevi promesso, Celia…
-Di dirti quello che già sai, Cort?
-No, quello che pensi di me.
Che sei un assassino pentito, Cort. Che hai ucciso con
le tue mani l’uomo che ha tentato di salvarti dall’inferno e che
piangevi, quando Herod ti ha costretto a farlo, puntandoti alla tempia la
canna della sua pistola. Lui diceva, fallo Cort, hai tutto il diritto di
salvarti, di vivere la tua vita…Fallo, Dio perdonerà i miei e i tuoi
peccati, non hai idea di quanto sia grande la misericordia del Signore… Hai
premuto il grilletto, e padre Ramon aveva alzato le dita per benedirti,
prima di morire. Herod rideva di te, ti guardava piangere e vomitare e ti
diceva femminuccia, finocchio schifoso… Quanto hai bevuto, per cancellare
quelle immagini dai tuoi incubi, Cort? Herod, che ammiravi, che speravi
fosse il tuo vero padre, Herod che ti aveva insegnato a sparare e a
cavalcare, e che aveva gli occhi del tuo stesso colore… Padre Ramon, che
aveva venduto il calice d’argento per sfamare i suoi orfani. Padre Ramon
che aveva accolto nella sua missione due banditi e aveva ricevuto la
morte, a compenso della sua carità… Padre Ramon, che ti aveva salvato
dall’inferno, finchè gli sgherri di Herod ti hanno trascinato a
Redemption e costretto ad ammazzare di nuovo.
-Che penso di te, Cort? Senza tutto quel pelo in faccia…
sei
bellissimo, ecco.
Gli carezzò il dorso della mano, con le sue dita
lunghe, sottili e brune. In casa faceva tutto quanto, gli aveva detto, ma
non aveva le mani sciupate. Ed era un mistero che in quel relitto del
passato, pieno di polvere, di ragnatele e puzza di muffa ci vivesse da
padrona e non da serva, che avesse indossato, per onorarlo come ospite, il
vestito e i gioielli di una signora bianca, di una che lì era sicuramente
nata, vissuta e forse anche morta e seppellita.
-Brindiamo, Cort?
Gli occhi chiari come quelli di un puma le brillavano
attraverso il cristallo del calice. Il vino troppo vecchio non aveva
perduto il suo sapore, anzi, era diventato dolce come e più del miele.
-A che cosa brindiamo, Celia?
-A noi due. A quello che eravamo. A quello che ci hanno
fatto diventare. E a quello che saremo... Dopo.
A NOI DUE
Celia centellinò il vino con una smorfia. Non era
abituata a bere, suo padre,disse, era solito definire roba del diavolo
qualsiasi cosa contenesse anche un solo goccio d’alcol.
-Ne ha visti e conosciuti tanti, rovinati dal vizio del
bere.
-Molti bevono per dimenticare i loro guai, Celia.
La vide sorridere, così terribilmente bella, alla luce
fioca del tramonto e delle candele.
-E noi abbiamo i guai nostri, Cort… Tutti e due.
Tutti quelli che lui non aveva saputo tenere per sé,
quando stava male: che era un bastardo figlio di nessuno, che il padre
adottivo gli somministrava dosi massicce di busse citando le Sacre
Scritture, che a sedici anni era scappato da casa irretito dalle
chiacchiere d’ un poco di buono che si chiamava Herod, sparava da dio e
aveva l’età giusta e gli occhi della stessa sfumatura d’azzurro dei
suoi, tant’è vero che lui, stupido, aveva sperato perfino fosse il suo
vero padre.
-Beviamo,e dimentichiamo tutto, Cort… Tutto quanto.
La vide intingere nel vino il suo indice sottile,
passarglielo lentamente sulle labbra, quindi dentro la bocca socchiusa.
-A noi due, Cort.
A me, cagna del diavolo, a me, capobranco di una muta
assassina, a me, strega nera della palude maledetta e a te, assassino
pentito in cerca di una redenzione che non avrai. Hai ucciso il prete
cattolico che ti aveva salvato la vita e tentato inutilmente di salvarti l’anima…
Quell’Herod
ti ci aveva costretto. E hai ucciso Herod, la tua anima nera. Tu e quella
Ellen, che ti ha voluto e ti ha avuto… Sei bellissimo, Cort, bastardo
figlio di nessuno, assassino pentito e dannato senza possibilità di
redenzione.
Continuava a sorridergli con quei denti grandi, bianchi
e perfetti tra le labbra livide, a tenergli piantati nei suoi gli occhi
chiari da predatore, che pungevano come due chiodi. Continuava a
sorridergli, invitante, mentre il sontuoso abito di velluto, cucito
chissà quanti anni prima per una signora bianca, le scivolava via dalle
spalle, e più giù, lungo il corpo di bronzo, fino a lasciarla
completamente nuda.
-Cort…
La pelle di lei che fremeva di freddo e di desiderio,
il soffio di voce con cui aveva pronunciato il suo nome gli incendiarono
il sangue.
-Avvicinati, Cort… Non ti farò mangiare dai miei
cani, lo giuro.
Gli afferrò con entrambe le mani i lunghi capelli
biondi, mentre lui le esplorava la bocca con la lingua avida e calda che
sapeva ancora di quel vino dolce che avevano bevuto. Poi lo aiutò a
spogliarsi, accendendogli dentro mille piccoli fuochi, quando le sue
sottili mani scure lo accarezzarono dappertutto, e questa volta era
cosciente.
Cort, bastardo figlio di nessuno. Cort assassino. Cort
capace di cavare gli occhi a una mosca in volo con un colpo di rivoltella.
Cort peccatore pentito… Celia aveva offerto la sua grande bocca carnosa,
la sua gola pulsante, i suoi seni alti e sodi ai baci e ai morsi di quell’uomo
che le aveva rivelato tutto di sé nel delirio dell’incoscienza. Un uomo
bianco, come… Chiuse gli occhi per distoglierli dalla sua testa bionda, s’ingiunse
da sé sola d’ignorare il piacere che stava dando al suo corpo. E’ la
serata giusta per ubriacarci, le aveva detto. Peccato sprecare questo
vino. E le aveva versato quel che restava nel suo bicchiere sui seni, sul
ventre, fra le cosce, una goccia alla volta, lentamente, e altrettanto
lentamente aveva lambito e succhiato ogni brandello della sua pelle, fino
a portarla sull’orlo della pazzia, ancor prima di averla penetrata.
IL DRAGONE
Cort bastardo figlio di nessuno. Cort assassino… Cort,
cane di un bianco. Celia lo baciò una volta ancora su quella bella bocca
che aveva, per poi seguire il percorso di una goccia mista di vino e del
suo sudore lungo la vena che gli batteva sul collo, tra la peluria bionda
e leggera del petto. Voglio vederti impazzire, Cort… Gli morse piano un
capezzolo, glielo leccò. Glielo succhiò. Lo sentì gemere.
Cort, assassino pentito… E’ vero che hai seppellito
centoventimila dollari e non un cane morto, ai piedi della quercia grande?
Hai detto tutto quanto e anche di più, mentre deliravi… Ma non me ne
importa, sei così bello e così bravo a darmi piacere. Vorrei che stessi
con me per sempre, Cort cane d’un bianco.
-Non ne hai ancora abbastanza, Celia?
Le aveva sorriso, strizzando gli occhi e sollevando gli
angoli delle labbra, come un bambino discolo. Credo che non ne avrei
abbastanza di te mai e poi mai… Anche se mi maledico ogni volta che lo
penso. Forse avrei dovuto lasciarti morire.
Lo fece impazzire ancora, con le mani e con la bocca. E
lasciò che la prendesse un’altra volta.
-Cort…
Lui la guardò in tralice attraverso la cortina delle
lunghe ciglia abbassate. Che vuoi, Celia? Sentirti dire ancora una volta
che sei bellissima e che mi fai bollire il sangue? Dirmi che non sei
ancora sazia?
-Quante cose hai detto, mentre deliravi.
Ho detto di un assassino pentito, di un cane morto, di
una bella donna bionda che mi ha fatto quello che mi stai facendo tu
perché il giorno seguente saremmo potuti essere morti tutti e due? Ho
detto di aver riposto la mia fiducia in un uomo malvagio e che mi sono
dannato l’anima senza possibilità di remissione per liberare il mondo
dalla sua presenza? O forse ho detto del mio tesoro nascosto?
-Hai parlato di un uomo che aveva un dragone rosso
tatuato sul polso destro.
Uno dei tanti che erano scesi a Redemption e avevano
messo la loro vita a repentaglio con la speranza di conquistare il premio.
Ma non aveva fatto in tempo a scendere in lizza perché Herod era stato
ammazzato e tutto era finito. Un uomo magro, con i capelli castani, sulla
quarantina. Non lo si notava per niente di particolare, era un tipo
silenzioso, e beveva parecchio. Già, non avrebbe avuto niente di degno di
nota, non fosse stato per il tatuaggio, un grande dragone fiammante, e gli
occhi chiari, spiritati,cerchiati di rosso. Gli stessi che gli aveva
sgranato in faccia dicendogli sparami, predicatore quando lo aveva
incontrato, poco prima che il serpente lo mordesse.
-Rourke, mi sembra. Mi ha chiesto di sparargli, chissà
perché.
Il sole d’un altro mattino di febbraio aveva
scacciato il buio della notte. Guardami, Cort, guardami dentro gli occhi e
dimmi tutto di lui. Io voglio il Dragone del Klan. Voglio la sua sporca
vita.
DAVID E CELIA JUDD
Cort si sollevò puntellandosi sui gomiti e la testa di
Celia gli scivolò dal petto allo stomaco, solleticandogli la pelle con i
lunghi capelli neri. Voglio la vita di Rourke… Voglio ogni goccia del suo
sangue maledetto. Cercava vendetta, come Ellen e lo sguardo determinato
lasciava intendere che l’avrebbe avuta. Era molto bella, pensava Cort
stringendosela contro, con quella pelle morbida che sembrava cioccolata
allungata col latte e il corpo fatto per dare e ricevere piacere. Perché
si arrovellava a cercare il modo di lavare con il sangue di un uomo un’offesa
ricevuta chissà quanto tempo prima? E perché quell’affronto? Molti
uomini che aveva conosciuto disprezzavano i neri, ma una donna come Celia
si poteva soltanto desiderare di stringerla tra le braccia.
-Mi piace il sapore della tua pelle, Cort…
E lo baciava, salendo dallo stomaco al petto alle
grandi spalle muscolose, gli mordicchiava la gola, il mento, le labbra.
Anche a me piacciono i tuoi occhi chiari, pensava lui. Non l’ho mai
vista una nera con degli occhi come i tuoi. Occhi acuti e pungenti,
tagliati a mandorla come quelli dei gatti, occhi grigi come la lama
affilata di un coltello d’acciaio. Mi piacciono i tuoi occhi chiari, le
tue labbra carnose e la seta della tua pelle. Quanto sei bella, Celia…
-Voglio quell’uomo, Cort. Voglio il dragone del Klan.
-Ancora?
Cort rise piano, accarezzandole con il pollice il
capezzolo turgido. Aveva già notato un piccolo segno bianco, una
cicatrice a forma di mezzaluna sopra l’areola scura.
-Uno di quei cani mi aveva morso a sangue. Lui è stato
il primo a pagare.
Il tempo è passato, Celia.Vivi il presente, e
dimentica tutto il resto… Un piccolo bacio, un morso tenero che non
lasciava segni crudeli. Mi piace quando mi fai così, Cort… E gli
carezzava la testa bionda, mentre lui le succhiava il seno e la faceva
impazzire.
-Manca solo lui, Cort. DEVO vederlo morire.
Il piacere e la rabbia le seccavano la gola, mentre
parlava, continuando a carezzare la testa bionda di Cort. Mio padre era
come te, un uomo di Dio. Veniva da un posto lontano,dal Nord, gli disse, e
non so come siamo finiti in mezzo a queste paludi, io e lui. Mia madre era
morta tanto tempo prima e non avevamo parenti che si potessero prendere
cura di me.
-E’ successo dieci anni fa: io ne avevo undici.
Mio Dio, eri una bambina quando hai visto gli uomini
del Klan, con i cappucci e le tuniche bianche, rompere le ossa a tuo padre
con i loro bastoni solo perché, oltre al Vangelo, aveva preteso d’insegnare
ai pescatori di gamberi della palude che avevano dei diritti e che l’ignoranza
era nemica della libertà. Erano in quattro e l’avevano stuprata in tre,
mentre quello che sembrava il capo, bianco e spaventoso come uno spirito
maligno, guardava la scena dall’alto del suo cavallo, puntando il suo
fucile carico su David Judd che, pesto, sanguinante e con le ossa rotte
implorava invano lasciatela stare, e sicuramente se la rideva dietro il
cappuccio. Aveva avuto quel che si meritava, il predicatore. E anche
quella piccola puttana di sua figlia.
-I tre che mi hanno presa li ho visti in faccia perché
avevano gettato via i loro cappucci. All’altro ho visto solo il
tatuaggio, quando mi si è avvicinato, s’è tirato su la veste, aperto
le brache e mi ha pisciato sopra. La cagna di sua madre dev’essersi
fatta sbattere da un bianco, diceva, perché questa bella bambolina negra
ha gli occhi chiari… Diversamente non si spiega.
Si era finta morta e non l’avevano finita con un
colpo di fucile alla testa, come suo padre. Quanto le era costato,
ricacciare indietro le lacrime, ignorare il dolore e la vergogna per il
suo piccolo sesso violato e sanguinante, per i vestiti stacciati dalle
sudice mani di quegli animali, che l’avevano lasciata quasi nuda? Mia
madre non si è mai data a un bianco. Mia madre ERA BIANCA e stava con mio
padre semplicemente perché gli voleva bene. Gli occhi chiari mi vengono
da lei e saranno l’ultima cosa che vedrete, prima di bruciare per sempre
all’inferno.
LA CACCIA
Nel freddo del primo mattino, la nebbia verdastra della
palude velava il cielo e attutiva il gracchiare dei corvi e il latrato
rabbioso della muta.
-Avevo quindici anni, quando ho visto Werewolf per la
prima volta. Il suo vecchio padrone lo nutriva a pane e acqua e lo teneva
tutto il giorno legato a due metri di catena. Lo scioglieva di notte,
perché tenesse i ladri fuori dal recinto. Tutti quanti avevano paura di
lui.
Ma non tu, Celia. Non hai paura di niente, e te ne
vanti. Cavalchi nella nebbia come un centauro e non spari certo peggio di
me. Sei come Ellen, ami e odi con altrettanta intensità. E hai addestrato
Werewolf ad ammazzare…
L’ho addestrato a puntare la preda e a portarla in
direzione del mio fucile: devo cacciare, se voglio mangiare della carne.
Pernici, ma anche cervi e cinghiali. Per me, e per loro: non hai idea di
quanto mangino, cinque grossi cani.
Quattro pernici e un maiale selvatico. Poteva bastare.
-Torniamo indietro, Celia… Fa freddo.
Ma lei spronava il cavallo ad andare avanti, in
direzione della palude, come se quello che avevano preso non fosse ancora
abbastanza. Che cosa cerchi, Celia? Il dragone del Klan?
Gli aveva raccontato di come i pescatori di gamberi
della palude l’avessero salvata e curata, di come una vecchia le avesse
insegnato i segreti delle erbe e dei veleni e di come suo figlio, un uomo
grosso e forte, che aveva gli stessi occhi dolci di David Judd, le avesse
insegnato a sparare. Gli aveva raccontato di come Big Jonathan si fosse
innamorato di lei e le avesse chiesto di sposarlo, quando aveva sedici
anni. Era stato allora che s’era trasferita nella casa stregata, con i
suoi cinque cani e il cavallo scampato all’incendio della baracca di
tronchi dove vivevano i fratelli Keller, i suoi stupratori.
-Non è stato per caso, Cort.
Non era stato per caso se due di loro erano morti
soffocati dal fumo e se il terzo era stato ritrovato a una decina di metri
dalla baracca incenerita, con la gola squarciata e tutto il corpo
straziato dai morsi. Erano stati i coyote, avevano raccontato i pescatori
della palude allo sceriffo. L’ultima cosa che Josh e Thomas Keller
avevano visto era stato il bagliore del fuoco; l’ultima che aveva visto
il loro fratello Ashley le zanne scoperte e gli occhi rossi della muta
inferocita. E una piccola ombra che si dileguava nella notte stringendo in
pugno una torcia fiammeggiante.
LA PREDA
Il vento del Nord aveva disperso la nebbia del mattino
e il freddo di febbraio pungeva la pelle come aghi acuminati, ma loro
continuavano ad allontanarsi dalla casa, spronando i cavalli a seguire il
galoppo e le grida della muta. Werewolf procedeva in testa, fiutando l’aria
naso al vento e gli altri lo seguivano: Vampire, Raptor e le due femmine,
Sword e Wrath, neri e feroci tutti quanti come demoni, come i cani del
diavolo sputati fuori dall’inferno.
Celia balzò giù dal suo cavallo, quando l’uomo
spuntò fuori dai cespugli, magro, sporco di fango, gli occhi spiritati. I
cinque cani lo avevano circondato e lo fissavano, immobili, le zanne
scoperte, il pelo irto, pronti a saltargli addosso quando la loro padrona
avesse ordinato a Werewolf di attaccare.
-Ammazzami. Spara, dannata cagna del diavolo…
La vide scuotere la testa e la treccia,spessa come il
polso di un uomo, con cui aveva raccolto i lunghi capelli neri, ondeggiò
lenta.
-Non sparo… Dragone del Klan.
Il tatuaggio era ben visibile, rosso come una ferita,
tra il polso e il dorso della mano sudicia, dalle unghie spezzate e
incrostate di terra.
-Allora spara tu, reverendo… premi quel dannato
grilletto, visto che questa puttana non ha nessuna intenzione di farlo.
-Se lo fai ammazzo anche te, Cort.
Tuo padre ha perso tempo a insegnarti che il perdono è
più difficile e più nobile della vendetta, Celia… Mio padre non aveva
il senso della realtà. Per lui era sufficiente mettere le persone in
ginocchio a pregare perché le cose cambiassero. Ma io so che non è
così: e anche questa canaglia lo sa bene, vero?
Il mento ispido di Rourke tremava e un filo sottile di
saliva gli colava giù dalla bocca semiaperta.
-Un mese fa… Un mese fa un cane idrofobo mi ha morso
alla gamba. A Redemption c’ero andato con la speranza che qualcuno mi
riempisse di piombo e mi spedisse subito all’altro mondo. Comincio a
sentire i sintomi e so di non avere scampo. So anche che non morirò senza
accorgermene.
-Cercherò di stare lontana dalla tua bocca e dai tuoi
denti infetti, ma potessi dannarmi se… Anche mio padre non è morto senza
soffrire.
-David Judd era un brav’uomo…
-E io non lo sono. Crepa pure di morte lenta, Rourke. E’
quello che ti meriti.
-Io non ti ho toccata…
Non mi hai toccata, già, Rourke maledetto te. E non
hai fatto niente per impedire che mi toccassero i tuoi degni compari. Sei
sceso da cavallo e mi hai pisciato sopra, prima di tirare un colpo di
fucile in testa a mio padre… Che colpa avevamo io e lui per meritarci
tutto questo? Quella di essere neri? Dopo sei tornato a casa come se
niente fosse, hai accarezzato i tuoi bambini, hai fatto l’amore con tua
moglie… Mi fai schifo, Rourke.
-Celia…
Sparagli. Fallo per pietà. Sparagli o lo farò io.
Quel che è fatto è reso, Celia. Non lo vedi che ha i sintomi? Ho già
visto un uomo morire di rabbia. E’ una gran brutta morte.
-Lascialo crepare come crepano i cani, con la schiena
spezzata dalle convulsioni e soffocato dalla sua stessa bava: è quello
che si merita.
-Potrebbe… morderci e infettarci, Celia.
REDENZIONE
Già, avrebbe potuto morderli e infettarli. La bava gli
colava dalla bocca in un sottile filo giallastro e li guardava con gli
occhi folli. Perfino i cani, intuito il pericolo che quella creatura
stravolta rappresentava, adesso avevano paura di lui, e se ne stavano
ammucchiati in un angolo tutti assieme, uggiolando di spavento come
cuccioli abbandonati.
Se vuoi che gli spari, gli fracasserò le ginocchia,
così non potrà più muoversi, ma non morirà. Farà in tempo a provare
ribrezzo per l’acqua che non potrà bere, e inarcherà la schiena fino a
rompersela, e spalancherà la bocca per gridare il suo dolore alla luna e
alle stelle… Come i lupi mannari. Come i cani del diavolo.
-Il passato è morto, Celia… E il futuro potrebbe
essere… Io e te, in qualche posto…
-Non c’è nessun posto dove la gente sarebbe disposta
ad accettare che un bianco e una negra stiano insieme.
-Ma a noi potrebbe non importarcene degli altri.
Le carezzò i capelli con le sue grandi mani ruvide, e
lei cercò di sfuggire al suo sguardo. La notte prima, lui le aveva
versato dentro il suo seme: poteva essere che avessero imbrogliato il
passato, la morte e la paura. Poteva essere che avessero concepito un
figlio.
-Sparagli, Celia. Fallo per pietà.
La donna puntò la carabina, fece fuoco. E Rourke
crollò a terra, colpito proprio in mezzo alla fronte.
Lalla Usai
Selegas,13/08/01 |