Le Fan Fiction di croweitalia

titolo:  Mio Signore, mio amante (My Lord, My Lover, febbraio 2001)
autrice: Ilaria (per leggere le altre storie scritte da Ilaria consulta l'elenco delle fanfiction)
e-mail: droit_et_loyal@telvia.it
data di edizione: 09 giugno 2003
argomento della storia: Massimo Decimo Meridio
riassunto breve: l’incontro tra Antinoo, un eunuco persiano, e un gladiatore chiama l’Ispanico…
lettura vietata ai minori: SI. La storia non contiene scene di sesso dettagliate, ma l’argomento potrebbe risultare scabroso.
NOTA: Quella che segue è una storia "slash", un termine che nel gergo della fan fiction significa la presenza di una relazione sentimentale/ d'amore / sessuale tra due personaggi dello stesso sesso. In questo caso, due uomini. Questo tipo di storie è molto popolare nel mondo anglosassone, al punto che è spesso più semplice trovare storie "slash" che "hetero". Personalmente io non ho problemi con questo tipo di storie, purché siano scritte bene, abbiamo una buona trama e, soprattutto, rispettino i personaggi. Accade infatti spesso che, per farli innamorare, i personaggi principali della serie TV / film siano distorti al punto tale di avere in comune con il personaggio originale, soltanto il nome. Ciò è accaduto spesso con "Il Gladiatore" ed è questa la ragione che mi ha portato a scrivere la storia. In effetti, stanca di leggere storie improbabili dove Massimo si innamora di Commodo, avventure che non tengono conto né delle premesse del film né del modo in cui gli antichi romani vedevano l'omosessualità (essi differivano molto dai greci che la consideravano la forma d'amore più pura. I romani l'ammettevano, ma soltanto alla condizione che il cittadino romano coinvolto fosse il partner dominante e che avesse rapporti con schiavi e liberti. La legge era severa ed un senatore avrebbe potuto essere rimosso dal proprio ufficio se sorpreso ad essere un omosessuale passivo. C'erano naturalmente delle eccezioni, vedasi alcuni imperatori, ma si era sostanzialmente ritenuti dei libertini e la preferenza era di tenere tali vizi segreti), ho deciso di sfidare me stessa scrivendo una storia che tenesse conto di tutte queste variabili, così come dell'immenso amore che Massimo aveva per la moglie. Il risultato è questo racconto, il primo e probabilmente unico mio lavoro nel campo della “slash”. Ve lo propongo perché, a detta di molti, Antinoo è uno dei miei personaggi migliori e perché, in effetti, sono molto affezionata a questa storia, nata come una sfida e diventata, almeno per me, uno dei miei lavori preferiti. J Ilaria.

MIO SIGNORE, MIO AMANTE

 

Di Ilaria

La prima volta che incontrai il mio signore, egli era uno schiavo, un gladiatore che combatteva in un’arena di provincia. E adesso è l’uomo più potente del mondo. Questo potrebbe sembrare incredibile perfino alla mia mente e mi spinge a ripercorrere la nostra storia insieme fin dal suo inizio.

*****

La prima volta che lo vidi fu nell'arena di Zucchabar. Ho sempre odiato i Ludi Gladiatorii, considerandoli un inutile, barbaro spreco di vite umane. Ma quel giorno fatale, vi assistetti assieme ad uno dei miei migliori clienti, il quale aveva insistito affinché lo accompagnassi. Lo spettacolo fu crudele e noioso finché la folla non cominciò ad invocare un nome, un nome tanto famoso che persino io lo conoscevo. Stavano chiamando l’Ispanico, il più grande gladiatore che si fosse mai visto in Africa. Una volta entrato nell’arena, egli rimase fermo alcuni secondi prima di iniziare a combattere, e ciò mi diede modo di osservarlo. Era un uomo alto e robusto, con una barba scura e curata e gambe e braccia muscolose e abbronzate.

Avevo appena terminato il mio esame, che egli attaccò: aveva sei avversari di fronte, ma li fece fuori con preoccupante rapidità e precisione. Rimasi sconvolto da quella dimostrazione di ferocia, e così il resto del pubblico, che cadde in un silenzio assoluto. Poi l'Ispanico ci riportò alla realtà scagliando una delle sue spade contro la tribuna delle autorità e gridando con rabbia: "Non vi siete divertiti? NON VI SIETE DIVERTITI? Non siete qui per questo?"

Credo fu quello il momento in cui iniziai ad amarlo, perché capii che tutta la sua rabbia e il suo disgusto non erano indirizzati al pubblico...Essi erano diretti contro se stesso. Quell’uomo non era uno stupido bruto, ma un essere dotato d’intelligenza. E stava soffrendo.

E, per la prima volta in vita mia, decisi di recarmi ancora ai Giochi per assistere al prossimo combattimento dell'Ispanico.

*****

Tuttavia il destino volle che lo incontrassi molto più presto e in una circostanza totalmente diversa.

Il giorno dopo, mentre mi stavo riposando a casa mia, sentii qualcuno bussare alla porta; poiché avevo concesso un giorno di riposo ai miei servi, andai io stesso ad aprire e mi ritrovai davanti un uomo grande e grosso, vestito di scuro. Aveva la barba grigia e occhi chiari e calcolatori.

"Sono qui per parlare con Antinoo," disse.

"Sono io," replicai e lui mi osservò attentamente, prima di continuare, "Mi chiamo Proximo. Posso entrare?"

Riconobbi il nome del proprietario di una delle scuole per gladiatori di Zucchabar. Aprii la porta e lo feci accomodare, domandandomi nel frattempo che cosa mai un uomo simile potesse volere da uno come me.

"Che cosa posso fare per te, domine?" domandai.

"Voglio usufruire dei tuoi servigi per questa notte."

M’irrigidii e lo squadrai da capo a piedi. Non dava proprio l’impressione di essere il genere d’uomo che amava passare il suo tempo con un eunuco della Media.

Egli notò la mia espressione e scoppiò a ridere. "Non è per me, ma per uno dei miei gladiatori."

Questo mi lasciò senza parole.Voleva pagare i servigi di uno dei più raffinati prostituti di Zucchabar per un miserabile schiavo?

"Domine, credo che ci sia un errore..." cominciai, ma Proximo m’interruppe agitando una mano.

"Nessun errore. So che costi molto, ma ho bisogno di te."

La curiosità rimpiazzò la sorpresa. "Perché vuoi spendere tanto denaro per uno schiavo?”

Proximo si mise a passeggiare nell'atrio, sfiorando i mobili e spiegando, "E' il mio migliore combattente e mi sta rendendo ricco, molto ricco. Mi piace, mi rammenta me stesso quando ero giovane, ma è per me un enigma e questo non mi aggrada. Voglio conoscerlo, voglio sapere quali ruote devo far girare per ottenere da lui ciò che voglio. Sembra non aver bisogno di nulla di ciò che normalmente necessita agli altri uomini, ma poiché è umano anche lui, suppongo abbia dei bisogni molto forti. Tuttavia ha sempre rifiutato le donne che gli ho mandato nella cella. Così ho deciso di provarci con un maschio, per vedere se è più ricettivo e tu sei il meglio che si possa trovare in città." Si avvicinò e mi fissò negli occhi."Accetterai?"

Annuii lentamente. Ero affascinato da questo schiavo. Quale uomo, sapendo che sarebbe probabilmente morto il giorno dopo nell’arena, poteva rifiutare, volta dopo volta quel po' di conforto che il padrone gli offriva? Sapevo per esperienza personale che quando le circostanze sono così contrarie, di solito uno è veloce ad afferrare al volo tutte le occasioni, senza gettarne via alcuna. “Accetterò, ma voglio due guardie nei pressi della cella, in caso dovesse diventare violento.”

“Le avrai.”

Parlammo poi del mio compenso e trovammo un accordo senza troppo discutere, e io promisi di recarmi alla sua scuola di gladiatori prima del tramonto.

*****

Quella stessa sera giunsi alla scuola di Proximo con in mente una precisa strategia d’azione. Avevo trascorso tutto il pomeriggio pensando al mio nuovo, misterioso “cliente” e a ponderare le parole di Proximo. Ero giunto alla conclusione che avrei dovuto essere accorto, con quest’uomo. Niente adescamenti sfacciati. Ero rinomato per i miei modi raffinati e le mie molte abilità, e quella notte avrei potuto metterli alla prova. L’idea era interessante, stimolante; proprio quel che occorreva per scacciare via la noia che stava incominciando ad opprimermi in quel periodo.

Non appena arrivai, Proximo mi condusse in una stanza al piano superiore. Due guardie erano vicine ad una porta chiusa e sghignazzarono quando mi videro. Non feci caso alle loro espressioni, c’ero abituato. Ma restai piacevolmente sorpreso quando sentii Proximo dire, “Fate sparire quelle stupide smorfie dalla faccia e siate pronti ad intervenire se l’Ispanico dovesse causare guai.”

“L’Ispanico?”sussurrai mentre un brivido mi correva lungo la schiena.

“Sì, è il nome con cui lo schiavo viene chiamato.” Detto questo, Proximo aprì la porta e m’introdusse nella stanza.

 

*****

 

Il locale era piccolo e arredato sommariamente con un letto, una sedia, un tavolaccio e un bacile pieno d'acqua. Era illuminato da alcune lampade ad olio, che mi consentirono di vedere il suo unico occupante. L'Ispanico stava in piedi dando le spalle ad una finestrella e guardando nella mia direzione. Visto da vicino, sembrava ancor più notevole che nell'arena; inutile poi dire che era molto attraente. Il suo corpo era coperto da una ruvida tunica blu che metteva in evidenza la muscolatura possente del petto e delle spalle, lasciandogli braccia e gambe scoperte. Mi stava guardando con una strana espressione e pensai che sembrava sorpreso...Probabilmente si aspettava una donna e adesso si stava domandando che cosa volesse da lui il tipo bruno, piccolo, pallido e vestito di seta che gli stava di fronte. Rimanemmo per alcuni istanti in silenzio quindi decisi di rompere l'attesa."Buonasera, mio signore. Io sono Antinoo." L’avevo chiamato “signore” perché volevo comprendesse che io ero al suo servizio e non viceversa. L’Ispanico socchiuse gli occhi e, lasciando il suo posto accanto alla finestra, mi venne incontro, fermandosi proprio di fronte a me e offrendomi l'opportunità di osservare da vicino il suo viso. Il primo pensiero che mi venne in mente fu "Dei, ma quanto è bello!" Aveva il naso dritto, una piccola bocca sensuale e un mento volitivo incorniciato da una morbida barba ben curata. Ma il suo tratto più caratteristico erano gli occhi, due meravigliosi laghi color acquamarina che mi catturarono letteralmente. Quegli occhi mi stavano osservando sospettosi, quindi lui parlò per la prima volta.

"Chi sei?"Aveva una voce profonda e sensuale.

"Un massaggiatore." Non era una vera e propria bugia perché ero, e sono, molto esperto nell'arte dei massaggi.

"Un che?" Sembrò non credere alle sue orecchie.

"Un massaggiatore. Proximo mi ha detto che il combattimento di ieri ti ha lasciato indolenzito e vuole che ti rimetta in forma. Lasciami sistemare la tua schiena.” Quella era davvero una bugia, Proximo non mi aveva detto niente del genere, ma io lo vidi guardarsi furtivamente la spalla sinistra.

“E così ho pizzicato la corda giusta!” pensai, “E’ davvero dolorante!” Giusto quello di cui avevo bisogno per convincerlo a sdraiarsi sul letto.

L'Ispanico mi guardò ancora con i suoi occhi acuti, studiandomi. Restai impassibile fino al suo lento cenno d'assenso. Egli mi voltò la schiena e in pochi secondi si tolse la cintura di cuoio, la tunica azzurra e i sandali, tenendosi addosso solo la biancheria di lino. Mentre lo guadavo stendersi sul giaciglio, provai una violenta emozione attraversarmi al solo pensiero di toccare quella pelle bronzea e quei muscoli scolpiti. Sforzandomi di non perdere il controllo, mi avvicinai al tavolo e vi posai la sacca di cuoio che avevo portato con me. Ben conscio del suo sguardo che seguiva ogni mia mossa, aprii la borsa e ne trassi fuori un'ampollina. La stappai e mi versai l'olio profumato nelle mani, per intiepidirlo. Quindi andai verso il letto e cominciai il massaggio. La prima sensazione che provai sfiorando la sua pelle fu eccitante e meravigliosa. Dovetti impormi di restare calmo e di seguire il mio piano passo dopo passo. Per prima cosa, mi occupai delle spalle e della parte alta delle braccia, premendo in profondità le dita finché non sentii i suoi muscoli rilassarsi e sciogliersi sotto la pelle unta d’olio, che brillava come bronzo lucidato al lume delle lampade. Quando fui soddisfatto, passai alla seconda fase della mia strategia e cominciai a massaggiarlo un po' più giù. Tra le nozioni apprese in Media quando stavo ricevendo i primi insegnamenti per diventare uno schiavo adibito all'altrui piacere, c'era la conoscenza di certi punti del corpo maschile che, correttamente stimolati, provocavano a quel medesimo corpo reazioni incontrollabili. E cominciai a fargli proprio quello, stimolando certi punti particolari. Pian piano l'Ispanico, che fino a quel momento era rimasto passivo sotto le mie mani e stava addirittura per addormentarsi, si arrese e cominciò a reagire alle mie attenzioni. Iniziò a contorcersi e il suo respiro si fece più rapido. Quindi, con la velocità di un fulmine, rotolò sulla schiena, si sedette e mi afferrò per la gola con una mano

"Che mi stai facendo?" sibilò e io sentii sulla guancia il suo respiro lieve e tiepido. Mi stava fissando con uno sguardo selvaggio, le pupille dilatate.

Senza abbassare gli occhi, replicai, "Sto facendo in modo che tu mi voglia quanto io voglio te.”

"Non vado con gli uomini," ringhiò senza allentare la stretta sulla mia gola.

"Ma io non sono un uomo come gli altri. Sono un eunuco della Media. E posso farti provare un piacere tale che in vita tua non hai mai sperimentato."

"Non voglio."

"Ne sei certo?" Allungai la mano e gli sfiorai il membro rigido attraverso la biancheria. Lui gemette, chiudendo gli occhi. "Io penso che tu lo voglia invece."

L'Ispanico mi guardò ancora e nei suoi occhi lessi un misto di desidero e...di paura.

"Non temere," gli sussurrai ancora, "Il suo ricordo è al sicuro con me."

Sembrò sbalordito e, per una frazione di secondo, temetti che stesse per picchiarmi. Invece spostò la mano dalla gola alla nuca e mi strinse a sé, imprigionandomi la bocca in un bacio bruciante.

Nel giro di pochi minuti giacevamo vicini, i miei vestiti ammonticchiati sul pavimento, i nostri corpi schiacciati uno contro l’altro. Lui non sapeva niente dell’amore tra due uomini e provai grande diletto ad insegnarglielo. Si dimostrò molto entusiasta e, quando alla fine mi penetrò, sentii un piacere mai provato in tanti anni di carriera. Fu così intenso che mi strappò un grido, e sentii che egli s’irrigidiva sopra di me, preoccupato di avermi causato del dolore. Contrassi i miei muscoli interni per dimostrargli che andava tutto bene e per incoraggiarlo a muoversi. Lo fece, raggiungendo rapidamente un violento orgasmo. Dopo di che, rotolò via e giacque appagato al mio fianco. Restai silenzioso, aspettando che si riprendesse, osservando il suo largo petto alzarsi e abbassarsi affannosamente e sperai che avesse provato lo stesso piacere che mi aveva cagionato. Tuttavia, quando pochi minuti dopo mi guardò, mi accorsi dai suoi occhi che era profondamente turbato.

“C’è qualcosa che non va?” chiesi.

“Non riesco a capire cosa mi sia successo... non ho mai desiderato un maschio, prima...” Sembrava vergognarsi e, ben più importante, era come se fosse spaventato dalle proprie azioni, come se fosse all’improvviso incerto su se stesso. L’avevo visto capitare già altre volte, anche ad uomini che mi avevano scelto di loro spontanea volontà.

“Ne avevi bisogno, davvero,” dissi cercando di confortarlo.

“Rifiuto di pensare che questa sia la sola ragione, perché mi abbasserebbe a livello di una bestia in calore.”

Stavolta sembrava adirato e provai a calmarlo, “Ascolta, non so se potrà servirti da consolazione, ma non sei il primo uomo che con me reagisce in questo modo. Forse è qualcosa di connaturato alla mia essenza... Non sono una donna, ma neppure del tutto uomo. Non riesco a spiegarmi, ma le cose stanno così.”

Lo guardai riflettere attentamente sulle mie parole, le mascelle serrate e lo sguardo distante, e dopo qualche minuto si rilassò un po’, come se avesse trovato una spiegazione plausibile. Qualche secondo ancora, poi mi guardò e mi chiese, “Perché hai gridato poco fa? Ti ho fatto male? Ho fatto qualcosa di sbagliato?”

Sorrisi, commosso dalla viva preoccupazione che avevo letto nei suoi splendidi occhi e gli dissi la verità, “No, non mi hai fatto male. Il mio grido era di piacere, non di dolore.”

“Oh...” Sembrava confuso, “Ero convinto che tu non sentissi niente...Voglio dire, dopo quel che ti hanno fatto, io...”L’Ispanico stava ora balbettando, palesemente imbarazzato e un sorriso mi nacque spontaneo.

“Quando mi tagliarono, non mi privarono del tutto della possibilità di provare piacere, ma è molto rara per me un’esperienza del genere. A dire il vero, è la prima volta in quasi dieci anni.” Lo guardai con affetto e lui rispose con un altro “Oh...” prima di tacere nuovamente.

Restammo così per parecchi minuti, fissando il soffitto della stanza ed ascoltando i rumori che giungevano da fuori attraverso la finestra aperta, finché lui non riprese a parlare.

“Come lo sapevi?”

“Che cosa?”

“Mi hai detto: “Il suo ricordo è al sicuro con me.” Che cosa intendevi?” Il tono era gentile, ma era chiaro che si aspettava una risposta.

“Ho tirato ad indovinare. So che Proximo ti ha mandato diverse volte delle donne e tu le hai sempre rifiutate. E tu stesso mi hai detto che non vai con i maschi. Ora, sapendo che sei un uomo molto sensuale, me ne sono accorto dalle tue reazioni mentre ti massaggiavo, ho pensato che tu intendessi tener fede ad un qualche genere di promessa ...Dico bene?”

L’Ispanico annuì mormorando un sì e gli occhi gli diventarono tristissimi. Voltò la testa e in un attimo vi fu silenzio nella stanza, ma non era un silenzio carico di disagio e mi diede il tempo di pensare e di interrogarmi in merito splendido, virile uomo che mi giaceva accanto. Esplorai i miei sentimenti nei suoi riguardi: se prima di incontrarlo ne ero incuriosito, adesso ne ero completamente affascinato. Che genere d’uomo si nascondeva sotto l’apparenza del feroce gladiatore? Avevo già scoperto che, pur nel turbine della passione, era un amante dolce e gentile. Sapevo anche che era talmente fedele alla propria donna da mantenere i voti fatti nei confronti di lei anche nella sua situazione disperata. Ma quali altre virtù e qualità nascondeva agli occhi del mondo?

Le mie riflessioni furono interrotte dall’Ispanico che si voltò di lato e mi guardò."Chi sei?"domandò, "E perché sei ciò che sei? Sei uno schiavo? Chi ti ha ridotto così?" Il suo tono era gentile e sinceramente interessato, e questo mi riscaldò il cuore. Lo imitai, voltandomi verso di lui e, con la testa appoggiata al gomito, cominciai a raccontargli la mia storia."Sono nato in Media ventiquattro anni fa. Sai dove si trova il mio paese?" Lui annuì. "Mio padre era un piccolo nobile e la mia famiglia viveva in campagna. Quando avevo nove anni, mio padre commise l'errore di impegolarsi dalla parte sbagliata nel corso di una guerra locale. La sua fazione venne sconfitta e il vincitore si vendicò distruggendo la mia casa e uccidendo i miei genitori. Io e mia sorella fummo tenuti in vita e ceduti a un mercante di schiavi che mi fece castrare e addestrare come paggio."Mi fermai per raccogliere le idee e, guardandolo, vidi che gli occhi gli brillavano, come se fossero pieni di lacrime. Sforzandomi di non fissarlo, andai avanti con il mio racconto."Man mano che il tempo passava, fui venduto parecchie volte finché finii nelle mani di un mercante romano di seta. Egli era affascinato dalle usanze orientali, desiderava un eunuco personale e mi fece addestrare per le mie nuove “mansioni”." Feci un sorrisetto ironico, "Sono stato al suo servizio per dieci anni e durante quel periodo viaggiammo parecchio finché non giungemmo qui e lui decise di fermarsi. Egli mi affrancò due anni fa, poco prima di morire. E quando accadde, io mi ritrovai senza altri mezzi di sostentamento all’infuori delle mie “conoscenze”. Così, decisi di vendere i miei servizi agli uomini più facoltosi della città ed eccomi qui..." la mia voce si spense in un sussurro di auto-disapprovazione. Guardai ancora i suoi occhi e vidi che mi stava osservando con un'espressione quasi tenera dipinta sul viso, invece del solito disgusto che ero abituato a vedere in faccia alla gente quando venivano a sapere che avevo iniziato la carriera di prostituto per libera scelta. Egli sembrò leggermi nella mente perché disse, pacatamente, "Non devi vergognartene; hai fatto quello che dovevi fare per sopravvivere. Come ho fatto io. E dai tuoi vestiti, posso intuire che te la passi molto bene."

Sorrisi. "Sì, è vero. In questi due anni ho imparato a leggere e a scrivere perché non voglio essere un prostituto per tutta la vita. Ho bisogno di un altro po' di denaro, dopodiché potrò comprarmi una piccola fattoria." Lui sorrise debolmente e, diventando sfacciato, gli domandai, "E tu, Ispanico, puoi dirmi come sei diventato gladiatore?"

I suoi lineamenti si indurirono, quindi chiuse gli occhi. "No." replicò con voce così piena di dolore che sentii una stretta al cuore. Allungai una mano e gli accarezzai la guancia barbuta. Non mi respinse e accettò la mia offerta di conforto. Quindi aprì di nuovo gli occhi e vidi che si erano riempiti un'altra volta di desiderio.

"Ti voglio ancora," disse con voce ruvida, ma la sua era più una domanda che una richiesta. Sorrisi e, annuendo con soddisfazione, mi chinai a baciarlo.

 

Quella notte ci unimmo per due volte e in entrambe le occasioni, provai piacere invece del dolore consueto. Dopo crollai esausto e mi addormentai tra le sue braccia.

Al mattino ci separammo senza l’imbarazzo che di solito accompagna queste situazioni. Prima che le guardie lo portassero via, l'Ispanico inchinò la testa e con un lieve sorriso disse, “Grazie di tutto, Antinoo." Avrei voluto rispondergli, “Sono io che debbo ringraziarti per quel che mi hai fatto provare,” ma la presenza delle guardie mi fece desistere.

Dopo che egli fu scomparso dalla stanza, giunse Proximo e mi diede il mio compenso. “So che hai avuto successo!” Mi disse con un sorrisetto complice, “E più di una volta.” Mi studiò dalla testa ai piedi e continuò, “Forse farei bene a provarti io stesso.” Esplose in una grassa risata e io sorrisi distrattamente, tutta la mia attenzione concentrata sull’Ispanico che veniva condotto via dalle guardie attraverso il cortile interno che io potevo scorgere dalla finestra. In quel preciso istante, ebbi la premonizione(o forse la speranza?)che lo avrei visto di nuovo.

 

*****

 

Nei giorni seguenti, la mia vita procedette secondo il solito. Avevo clienti regolari che venivano a trovarmi o mi chiamavano presso le loro ville, e passavo molto del mio tempo a casa leggendo ma, soprattutto, pensando all’Ispanico. Sembrava non riuscissi a cancellarlo dalla mia testa. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo il suo viso o sentivo la sua voce e il tocco delle sue mani. Presto divenne quasi un’ossessione e cominciai a cercare un modo un modo per rivederlo.

Mi recai persino alla scuola di Proximo e provai a gettare un'occhiata aldilà delle sbarre di ferro, ma fu tutto inutile. Finché una mattina, circa quindici giorni dopo quella notte fatale, Proximo venne a cercarmi a casa e dopo un breve saluto mi chiese,"Sei libero stanotte?"

Ero cosi nervoso che a malapena annuii. "Buono a sapersi; probabilmente l'Ispanico avrà bisogno di te, dopo i giochi di questo pomeriggio”

E così avrebbe combattuto ancora! Cercando di scacciare la mia paura, risposi, "Sarò da te al tramonto, come l'altra volta."

Proximo annuì quindi se ne andò, lasciandomi solo.

 

Passai il resto della mattinata e il primo pomeriggio in uno stato di totale nervosismo, sperando che il tempo passasse in fretta ma temendo nel contempo il momento in cui i giochi sarebbero iniziati. Non riuscii a convincermi a recarmi nell'arena, avevo troppa paura per l'Ispanico. Ma alla fine non resistetti e decisi per un compromesso. Affittai un cavallo e galoppai fino alle colline che circondavano l'arena. Da quella posizione, non potevo vedere quel che succedeva nell’anello di sabbia, ma potevo sentire le urla della folla. Fu così che udii gli spettatori acclamare il nome dell'Ispanico quando egli scese nell’arena. Dopo di che, vi furono lunghi, interminabili momenti di silenzio e di suoni indecifrabili che accompagnarono gli sviluppi del combattimento, seguiti quindi da un'altra bordata di grida entusiaste: "Ispanico! Ispanico!"

Mi lasciai scappare un sospiro di sollievo, prima di spronare il cavallo e correre verso casa a prepararmi alla notte imminente.

 

Fui condotto nella stessa stanza della prima notte, ed una delle guardie aprì la porta, facendomi entrare. L'Ispanico mi stava aspettando, seduto al tavolo. Non appena entrai, lui si alzò e mi venne incontro. Un leggero sorriso gli aleggiava sulle labbra, e mi attirò a se, stringendomi forte. Fui piacevolmente sorpreso dalle sue azioni e contraccambiai il gesto. Qui mi lasciò andare e fatti alcuni passi indietro, mi guardò negli occhi ed esordì,"Buona sera, Antinoo. Che piacere rivederti.”

"Signore," replicai chinando il capo.

"Per favore, non chiamarmi così: sono solo uno schiavo." Disse piano, tristemente.

"E allora dimmi come devo chiamarti." Speravo che mi rivelasse il suo vero nome ma si limitò a rispondermi, "Chiamami Ispanico." Il mio disappunto dovette essere così evidente nel mio sguardo che lui allungò la mano e, accarezzandomi la guancia aggiunse, "Mi dispiace, ma non sono ancora pronto a svelarlo. Non ho più pronunciato il mio nome dal giorno in cui divenni schiavo...ad esso sono legati ricordi troppo dolorosi...Puoi perdonarmi?"

"Sì, mio Ispanico," sussurrai, incantato ancora una volta dalla sincerità e dalla dolcezza del suo sguardo e premetti ancora più forte la guancia contro la sua mano callosa da combattente.

Sorrise al mio gesto e alle mie parole e mi baciò teneramente. Quindi si mosse e andò verso letto. "Vieni qui,” mi disse, “ho proprio bisogno di uno di quei tuoi meravigliosi massaggi." Lo seguii, ed un ampio sorriso mi si dipinse sul volto quando lo vidi togliersi tutti i vestiti, compresa la biancheria. Ero sicuro che quella sarebbe stata una serata molto piacevole.

Quella notte ci amammo una volta soltanto perché il mio Ispanico era troppo stanco a causa del combattimento svoltosi nel pomeriggio (lo avevano costretto a battersi contro un rinoceronte, dei misericordiosi! E i lividi sul suo corpo testimoniavano i pericoli corsi), ma passammo la notte chiacchierando. O, per la precisione, io parlai, mentre lui mi ascoltava tenendomi tra le sue braccia forti. Gli raccontai dei miei progetti in merito della fattoria che intendevo acquistare, e gli narrai del mio paese natale, la Media. Era molto interessato al racconto delle costumanze dei diversi popoli che vivono lì. Gli parlai anche dei vari paesi che avevo visitato nel corso dei viaggi compiuti con il mio ultimo padrone e discutemmo delle diverse usanze praticate nelle varie regioni dell’Impero. Ciò mi dimostrò che non era un uomo comune. Era istruito, e il suo modo di esprimersi lo dimostrava chiaramente, e doveva anche aver viaggiato molto. Avevo sentito dire che era stato un soldato (e quel che restava del tatuaggio SPQR sul suo braccio lo attestava) ed ero sicuro che all’interno dell’esercito avesse ricoperto una posizione di comando. Il che mi portò a domandarmi come fosse possibile che un uomo del genere potesse essere finito a combattere nell’arena. Ma non gli chiesi nulla, perché mi resi conto che non era ancora pronto a rispondermi.

Parlai per ore e alla fine cademmo addormentati l’uno tra le braccia dell’altro, ma questa volta mi svegliai prima di lui e trascorsi l’alba a contemplarlo mentre riposava. Sentii uno strano calore pervadermi mentre osservavo il suo viso da vicino, e capii che, per la prima volta in vita mia, mi ero innamorato. Di lui.

Nei due- tre mesi successivi, lo rividi ogni dieci, quindici giorni, di solito la sera che seguiva i combattimenti del mio Ispanico. Quelle rare notti divennero il fulcro della mia vita ed organizzai le mie giornate intorno ad esse. Non volli mai andare a vederlo combattere; la mia paura per la sua incolumità era troppo forte. Detestavo l'idea che il rischio della sua vita fosse il prezzo da pagare al tempo che trascorrevamo insieme. Inoltre mi domandavo perché Proximo fosse tanto sollecito a spendere tutti quei soldi per uno schiavo. In verità, il mio Ispanico lo stava arricchendo e io potevo vedere le prove di ciò nelle trasformazioni subite dall'abitazione del lanista: nuovi mobili, nuovi tappeti, nuove coppe d'oro e d'argento. Nonostante ciò il suo comportamento rimaneva inusuale e così una sera ne parlai con il mio Ispanico. Lui sorrise malinconico e rispose,"Con te, Proximo sta comprando la mia compiacenza. Vuole che io non mi limiti a uccidere i miei avversari ma dia spettacolo per la folla. Vuole che io sia un intrattenitore, non un macellaio e tu sei il compenso per le mie esibizioni.” La sua voce grondava disgusto.

"Detesti così tanto fare ciò?" Domandai carezzandogli il braccio. Il mio Ispanico mi guardò con espressione seria, "Sì. Certe volte temo di perdere la mia anima." Mi fece un debole sorriso,"Ma per fortuna ho ancora te." Detto questo, pose fine alla questione rotolandomi sopra e baciandomi con passione.

Non parlammo più del suo e del mio "lavoro" perché entrambi sapevamo bene che il nostro tempo insieme era un fin troppo breve intermezzo nello squallore e nella brutalità delle nostre vite quotidiane. Erano molte le cose che amavo in lui: la sua gentilezza, la sua indulgenza e il suo profondo senso dell'umorismo. Ma più di tutto amavo la sua sincerità e la gioia che mostrava ogni volta che mi vedeva. Per uno come me, abituato ad essere usato quindi scaricato da ipocriti sempre timorosi per la loro reputazione, le sue aperte reazioni rappresentavano un dono prezioso. E io ero sicuro che non fosse solo perché, essendo uno schiavo, non aveva una reputazione da salvaguardare. Ero certo che si sarebbe comportato così fosse pure stato Cesare in persona.

Con lui, mi sentivo amato e considerato, cosa che, dalla morte dei miei genitori, non avevo più sperimentato.

Ma con l’arrivo della primavera e l'inizio del tempo propizio alla navigazione, la nostra breve stagione felice ebbe fine.

 

*****

Quando giunsi a casa di Proximo, trovai il mio Ispanico che mi aspettava nella nostra solita stanza. Subito percepii una sensazione estremamente sgradevole; l'atmosfera era carica di tristezza. Sentendo un brivido corrermi lungo la schiena, non lo salutai ma gli chiesi, "Che è successo?"

Lui mi guardò con gli occhi pieni di dolore e rispose, "Questa è la nostra ultima notte insieme. Domani lascerò Zucchabar per Roma.”

"Che cosa?!" la mia voce risuonò come un lamento strozzato.

Egli annuì triste. "Il nuovo imperatore ha organizzato una serie di giochi nella capitale e sta ingaggiando gladiatori da tutte le province... Scusami per il dolore che ti sto causando."

Scusarsi? Lui? Si sentiva responsabile? Lui che non aveva alcun controllo della propria vita? Lo presi tra le braccia e ci stringemmo con forza, cercando di trovare conforto l'uno nell'altro alla nostra pena. Provai il bisogno irresistibile di sentirlo vicino, tutto per me e cominciai a togliergli di dosso i vestiti, non vedendo l’ora di sentire la sua pelle contro la mia e baciandolo nel frattempo freneticamente. Facemmo l'amore con frenesia e furia e al momento dell’orgasmo, lui gridò, “Antinoo, ti amo!” Era la prima volta che qualcuno me lo diceva e fui travolto dall’emozione. “Anch’io ti amo, mio Ispanico.”

Adagiandosi delicatamente sulla mia schiena, mi sussurrò all’orecchio, “Massimo.”

“Cosa?”

“Massimo. E’ il mio nome.”

Voltai la testa di lato e lo guardai con gli occhi pieni di lacrime. Mi aveva appena dato la sola cosa che aveva tenuto per se durante tutto il tempo che eravamo stati insieme: il dono della sua fiducia.

Sorrisi, e dissi, “E’ un bellissimo nome. Ti si addice.”

“Lo pensi davvero?” Lo sentii sorridere contro la mia spalla.

“Ne sono certo.”

Massimo allora rotolò al mio fianco e prendendomi tra le braccia, cominciò a raccontarmi la sua storia.

Mi disse che era stato un generale sotto il regno di Marco Aurelio e che il defunto imperatore avrebbe voluto farne il suo erede. Mi narrò come il principe Commodo uccise suo padre dopo aver conosciuto i suoi piani e ordinò l’esecuzione di Massimo e dei suoi familiari. Mi raccontò della sua cavalcata a rotta di collo dalla Germania all'Hispania e del dolore devastante alla scoperta dei corpi bruciati e crocifissi della moglie adorata e del figlioletto. La voce gli si ruppe quando mi rese partecipe delle promesse fatte sulla tomba dei sui cari (vendicarli e restare fedele ai voti matrimoniali) e io lo strinsi tra le braccia quando lui si mise a piangere, ricacciando indietro le mie lacrime perché sapevo che dovevo essere forte per lui. Dopo un po' si calmò e mi disse che sperava di riuscire ad avvicinarsi a Commodo nella sua veste di gladiatore per poterlo infine uccidere. Quelle ultime parole mi impedirono di parlargli della mia intenzione di usare il denaro che avevo risparmiato per acquistare il podere per riscattarlo da Proximo: l'avrei fatto senza esitare ma sapevo che Massimo avrebbe rifiutato: egli sentiva il bisogno di adempiere alle sue promesse. In preda all'emozione del momento, esclamai, "Lascia che ti segua, Massimo! Ho abbastanza soldi messi da parte da poter vivere a Roma!

Massimo scosse la testa e sorrise dolcemente, "No, Antinoo, è troppo pericoloso essere associato a me in qualunque modo. E io ho bisogno di saperti qui, al sicuro. Io voglio... Io voglio che tu comperi il podere e cominci una nuova vita in un posto circondato dalla natura, dal verde, dagli animali... E desidero che tu pensi a me quando seminerai il tuo primo raccolto." Questa volta toccò a lui consolarmi mentre piangevo. Quando infine mi calmai, gli dissi, "Te lo prometto, Massimo. Te lo prometto."

“Bene," sorrise ancora, "Niente più parole tristi, stanotte, Antinoo. Cerchiamo di gioire del nostro tempo insieme." E mi baciò con gentilezza. Il resto della notte lo passammo amandoci lentamente, languidamente, assaporando ogni momento, ogni gesto, sapendo che probabilmente sarebbe stata la nostra ultima volta. Non ci addormentammo, ma aspettammo l'alba stretti l'uno tra le braccia dell'altro. Quando fu giorno, ci alzammo, ci vestimmo e sedemmo al tavolo, attendendo le guardie.

Quando infine giunsero, io marciai verso la porta come un soldato, la testa alta e gli occhi asciutti. Poco prima di lasciare la stanza, mi voltai, e battei sul petto il pugno destro in un saluto degno di un generale. Massimo replicò salutandomi nell'identica maniera e mormorando, "Ti amo."

"Anch'io ti amo."sussurrai voltandomi indietro e andandomene.

 

Ancor oggi non capisco come feci a restare calmo in quei momenti terribili. A dire il vero, neanche li ricordo molto bene. La sola cosa che rammento è che noleggiai un cavallo, galoppai fino al deserto e che, dall’alto di una roccia, guardai in direzione della carovana che portava via Massimo finché non la vidi scomparire dalla mia vista. Solo allora, totalmente privo di forze, ritornai a casa e crollai sul letto, piangendo finché non mi addormentai.

 

I mesi che seguirono la partenza di Massimo furono senza dubbio tra i peggiori della mia vita. Il dolore non mi abbandonava mai e continuavo a pensare a lui. Dov'era? Che cosa faceva? Era ancora vivo? Sapevo che aveva bisogno di compiere la sua vendetta e pregavo gli dei perché esaudissero il suo desiderio, ma sapevo anche che uccidere l'imperatore, ammesso che fosse possibile, significava morte certa…

Col passare del tempo persi la mia voglia di vivere. Che senso aveva la vita se la sola persona che amavo era probabilmente morta? Avei voluto morire per rivedere Massimo nei Campi Elisi, ma il ricordo della sua voce che mi esortava a cominciare una nuova vita e a pensare a lui quando avrei seminato il mio primo raccolto, e la mia promessa di farlo, mi imposero di vivere. Tuttavia, la tensione emotiva fu tanto forte che iniziai a dimagrire a vista d'occhio. Molti dei miei clienti rifiutarono d'incontrarmi ancora, ma non me ne importava. Avevo risparmiato abbastanza denaro da comprare il podere e francamente la sola idea che un altro uomo mi mettesse le mani addosso mi era intollerabile. Durante i mesi passati con Massimo, avevo continuato con il mio "lavoro", spesso pensando a lui quando ero con un altro, ma adesso era giunto il momento di cambiare vita. Tre mesi dopo la partenza di Massimo, vendetti la mia casa in città e mi trasferii in campagna, nel podere appena acquistato, situato in prossimità di uno dei rari, piccoli laghi della provincia. Ingaggiai alcuni uomini perché mi aiutassero a badare alla terra e iniziai una nuova vita.

Vivere in campagna, circondato dalla natura e dai miei libri, riportò la pace nel mio cuore e nella mia mente. Io, che avevo sempre fatto in modo che il sole non sfiorasse la mia pelle perché i clienti mi preferivano pallido, cominciai a trascorrere le mie giornate all'aperto, sotto il sole. Col trascorrere del tempo, la mia pelle si scurì e il corpo cominciò a riempirsi di muscoli e carne. Certo, essendo un eunuco non sarei mai potuto sembrare molto mascolino, tuttavia il mio aspetto non faceva più trapelare la mia condizione al primo sguardo. Notai altresì un paio di volte che alcune ragazze che mi guardavano con civetteria, ma non provai alcun interesse nei loro riguardi, non solo perché sarebbero mai state soddisfatte da uno come me (il che era la verità) ma perché il mio cuore apparteneva a Massimo e a lui soltanto. Così come lui aveva giurato di non appartenere a nessuna altra donna, così io giurai di rimanere casto per il resto della mia vita, se non potevo stare con lui. La mia promessa era più facile da mantenere: il sesso per me non costituisce una necessità impellente. E’ solo un piacere e senza Massimo non c’era alcun piacere da trovare in esso.

 

Il tempo passò, ed un giorno in cui mi ero recato a Zucchabar per visitare la fiera, vidi dei movimenti vicino alla scuola di Proximo, che era stata deserta fin dalla primavera precedente. Con il cuore che batteva all’impazzata, corsi verso il recinto ma mi resi conto che quella gente che avevo visto si stava limitando a portar via i mobili. Mi avvicinai a colui che sembrava il capo e chiesi, “Che succede? Dov’è Proximo?”

“Proximo è morto a Roma senza lasciare eredi e secondo le leggi è l’erario imperiale a impadronirsi dei suoi beni.”

“Che cosa gli è capitato?”

“E’ stato ucciso nel corso di una rivolta contro il defunto imperatore.”

“Oh...E che ne è stato dei suoi schiavi?” Trattenei il respiro, temendo quella risposta che tuttavia dovevo avere.

“Molti sono stati uccisi con lui. In quanto agli altri, penso che adesso siano di proprietà dello Stato.”

Annuii con mestizia. Le mie speranze erano morte altrettanto celermente di com’erano nate. “Grazie,” dissi, e me ne andai. Mentre raggiungevo a cavallo la locanda dov’ero alloggiato, mi domandai come fosse morto l’imperatore. Non ne sapevo nulla. Le notizie arrivavano in ritardo in Africa e spesso alterate. Chiesi qualcosa in città e così scoprii che Commodo era morto nel Colosseo, ucciso da un ex generale di cui nessuno sapeva dirmi niente. Mi si strinse la gola, udendo quelle parole. “E così hai avuto la tua vendetta, Massimo.” Pensai, “Bene, amore mio. Spero che adesso tu abbia trovato la pace.” Dopo di ciò corsi nella mia stanza e piansi disperato, convinto che Massimo fosse ormai irrimediabilmente perduto, giustiziato dai pretoriani che avevano voluto così punirlo per l’assassinio di Cesare.

Trascorse ancora del tempo. L’estate cedette il posto all’autunno, l’autunno all’inverno e, prima che me ne rendessi conto, di nuovo primavera. Il giorno del primo anniversario della partenza di Massimo, piantai un albero vicino al cancello della mia casa. Era grande, scuro e forte, e mi ricordava il mio perduto amore. Mentre lo stavo contemplando, vidi un ragazzino correre nella mia direzione lungo la strada. Riconobbi il figlio dei vicini e gli gridai sorridendo, “Ehi, piccolo Tullio, dove vai così di fretta?”

“L’imperatore!”esclamò il ragazzo frenando a stento la sua corsa, “L’imperatore sta venendo da questa parte!”

“L’imperatore? Ti stai sicuramente sbagliando. Deve trattarsi di qualche autorità locale…”

“No, è Cesare in persona! E’ vestito di porpora e scortato dai pretoriani!” e detto questo Tullio corse via ad avvertire i suoi genitori.

Diedi un’occhiata alla strada, chiedendomi perché mai l’imperatore, ammesso che fosse lui, si fosse avventurato in una regione tanto remota. Non c’era niente degno di nota nel raggio di diverse miglia. Tuttavia mi misi la tunica e ordinai ai miei servi di tenersi pronti a rendere omaggio al corteo che si avvicinava.

Dopo diversi minuti di silenzio, il rumore degli zoccoli giunse portato dal vento, mentre una grande nube di polvere si alzava dalla strada. Le sagome di molti cavalieri divennero presto riconoscibili: come aveva detto il piccolo Tullio, erano pretoriani, le guardie dell’imperatore. E in mezzo a tutto quel nero, potei vedere chiaramente un uomo vestito di porpora in sella a un cavallo grigio. I miei servi si erano avvicinati e adesso eravamo allineati in uno dei campi, pronti a inchinarci al passaggio dell’imperatore. Ma con mia grande sorpresa, i cavalieri si arrestarono e i pretoriani in testa al gruppo si spostarono per lasciare che Cesare passasse.

Ancor oggi per me è difficile esprimere quel che sentii quando il cavallo grigio e il suo regale cavaliere si avvicinarono alla mia posizione e il viso dell’uomo divenne man mano riconoscibile. Era come se uno dei miei sogni ricorrenti fosse diventato realtà: i capelli scuri, la barba, le spalle larghe…Per qualche secondo, temetti d’essere vittima di un’insolazione, ma dopo vidi il suo smagliante sorriso e gli occhi luminosi. Era tutto talmente perfetto che me ne restai lì paralizzato, finché Massimo non fece avvicinare il cavallo e smontò.

Ci guardammo l’un l’altro per lunghi, interminabili momenti. Avrei voluto parlare, ma la lingua non rispondeva alle mie sollecitazioni. Infine, caddi in ginocchio ed abbassai la testa. Subito una mano occupò il mio campo visivo, quindi la voce gentile di Massimo mi esortò, “Alzati, Antinoo.” Gli presi la mano, baciai il suo anello e mi rialzai. Lo guardai negli occhi e lasciai che potesse leggere sul mio viso la gioia che provavo, sorridendogli. Anche lui mi sorrise prima di accogliermi fra le sue braccia.

 

Passammo il resto della giornata chiusi nella mia camera, riscoprendo l’un l’altro il piacere che i nostri corpi potevano darci. Accarezzai Massimo dalla testa ai piedi, davanti e dietro, notando subito le nuove cicatrici che gli segnavano la pelle. Gli domandai di esse. “Queste,” rispose indicando alcuni graffi vicino al collo, “sono il segno della zampata di una tigre..E questo,” e toccò un piccolo segno nella regione lombare, “è il ricordo del pugnale di Commodo. Per poco non mi uccideva. Sono rimasto cinque giorni tra la vita e la morte. Ma sono sopravvissuto.”

“E adesso sei l’imperatore di Roma,” commentai impressionato.

“Non avrei voluto ma le persone che mi hanno aiutato quando mi opponevo a Commodo, un senatore e la stessa figlia di Marco Aurelio, mi convinsero che Roma aveva bisogno di un imperatore che rimediasse ai guasti del folle regno di Commodo. Così accettai e adesso spero che tu voglia aiutarmi a reggere il peso del mio nuovo ruolo, stando sempre al mio fianco.” Concluse con un sorriso.

Lo guardai stupito. “Vuoi davvero che stia con te? Come amante?”

“Certo. Altrimenti, perché avrei viaggiato da Roma fino a Zucchabar, chiedendo a tutti quanti se sapevano dove eri finito? E che starei a fare qui nudo nel tuo letto con i pretoriani di guardia davanti alla porta?” Massimo aveva sulle labbra un sorriso ironico.

“Ma tu…adesso sei Cesare…”

“E con ciò? Solo il mio ruolo sociale è cambiato…”

“Dire che è un eufemismo è dire poco..”

“… non il mio cuore.”

“Ma il Senato…Di sicuro vorranno che ti sposi, che generi un erede…”

Massimo divenne subito serio, “Lo vogliono, ma io ho detto loro chiaro e tondo che intendo restare fedele alla promessa fatta a mia moglie: finché vivrò, non avrò un’altra donna. Quando sarà il momento, mi sceglierò un successore, qualcuno che sia degno di essere tale per i suoi meriti, non per il suo sangue. E adesso, vuoi farmi il favore di dirmi che verrai con me a Roma? O debbo supporre che tu abbia trovato qualcun altro?”

Per poco non mi schizzarono via gli occhi e gridai, “TU!” Mi gettai tra le sue braccia e gli baciai tutto il viso. “Certo che verrò con te a Roma, mio signore…mio amante…”

Massimo fece balenare il suo splendido sorriso. “Questo è parlare!” E mi rotolò sopra, iniziando nuovamente a fare l’amore.

 

Epilogo

 

Sono passati cinque anni da quel giorno bellissimo. Cinque anni d'amore e di felicità trascorsi accanto a Massimo.

Certo, non andò tutto liscio al nostro arrivo a Roma, ed abbiamo avuto diversi problemi per fare sì gli altri accettassero la nostra relazione. I collaboratori di Massimo e coloro che gli erano vicini, lo ossessionarono per mesi, dicendogli che sarebbe stato opportuno si sposasse. Essi non potevano accettare l'idea di un imperatore non sposato e con un amante maschio. Tentarono perfino una soluzione di compromesso, cercando di convincerlo a prendersi una moglie "pro forma". Ma Massimo rifiutò recisamente. Non avrebbe mai più chiamato moglie un'altra donna. La sua promessa all'amata Selene è sempre valida. Alla fine, essi sembrarono accettare la sua decisione di adottare il successore, cosa che altri imperatori, come Traiano e Adriano, avevano già fatto e la questione del matrimonio venne accantonata definitivamente. Ma questo non significò che mi accettassero meglio di prima. Sembravano tutti pensare che, visto il mio passato, potessi esercitare una cattiva influenza su Massimo! Non sapevano quanto forti fossero la sua moralità e il suo senso del dovere, altrimenti avrebbero dovuto ridere di se stessi! La nostra relazione non è nota a tutti, Massimo in pubblico è molto riservato, anche se mai freddo e non dimentica mai di accogliere la mia presenza con un sorriso o uno sguardo caloroso, ma coloro che sapevano di noi mi temevano, perché avevano imparato che non potevano usarmi per raggiungerlo. Tuttavia, non venni mai insolentito o insultato, se si eccettua un solo caso. Un giorno, mentre io e Massimo eravamo all’aperto e lui mi mostrava come voleva che fossero potati certi alberi (dimenticavo di dire che non sono un semplice mantenuto, ma ho un incarico: supervisore dei giardini imperiali. E'un compito che amo e per cui ho scoperto di avere una naturale predisposizione) sentii il senatore Falco dire ad un suo interlocutore: "Una bella coppia, non c'è che dire! Un ex prostituto, un ex gladiatore... due ex schiavi! Stanno davvero bene insieme!" Il tono era davvero offensivo e come se non bastasse si mise pure a ridere. Ma il suo divertimento ebbe breve durata perché Massimo si mostrò. Non ho mai visto un uomo tremare come Falco quel giorno. Massimo non alzò la voce ma gli disse senza mezzi termini che ulteriori insulti avrebbero causato la scomparsa del senatore da Roma. Era veramente infuriato, soprattutto perché aveva risparmiato la vita a Falco, ben noto compagno di bagordi di Commodo, quando tutti gli avevano consigliato di metterlo a morte. Quando la notizia si diffuse, nessuno più osò più pronunciare parola contro di me. Ma ciò non pose fine ai tentativi di separarci. All’improvviso, molti giovani, alcuni dei quali molto più belli di me, cominciarono a circolare per il palazzo: era chiaro il disegno di attirare Massimo lontano da me in favore di un compagno più “adeguato”.

Naturalmente, Massimo non li guardò nemmeno. Quello che mi ha detto il giorno del nostro primo incontro è vero: lui non va con gli uomini, non è affatto interessato a loro. Però ama me.

Per fortuna, anche quel periodo ebbe termine e da allora siamo stati lasciati in pace. Io sono stato accettato dalle altre persone che vivevano a palazzo, inclusa l’Augusta Lucilla. All’inizio credo che lei fosse gelosa di me, ma con il tempo siamo diventati quasi amici. Lei sa che per nulla al mondo farei del male a Massimo ed entrambi ci siamo assunti il piacevole compito di prenderci cura di lui.

 

*****

E adesso sono qui nella mia stanza che comunica tramite una porta con quella di Massimo (posso andare e venire come meglio credo) e i miei servi mi stanno preparando per il pasto serale. Massimo ha compiuto quarant'anni oggi, e terremo una cena per festeggiarlo. Ci saranno solo pochi ospiti, dato che la celebrazione ufficiale è domani, e si tratta di persone che amano Massimo prima come uomo che come sovrano. Persone davanti a cui possiamo anche baciarci, senza imbarazzarle o essere imbarazzati noi stessi. Chi sono? L’Augusta Lucilla e suo figlio Lucio, che Massimo adora e tratta come se si trattasse di un figlio suo; il senatore Gracco, di cui è nota la passione per i bei ragazzi, e il migliore amico di Massimo, il Prefetto del Pretorio Quinto Emilio Leto con la sua graziosa moglie Antonia. Parlando di Leto, in un primo tempo, non mi fidavo di lui (dopotutto era stato lui a far arrestare Massimo in Germania) ma il mio amato lo ha perdonato quando lui gli ha confessato che Comodo lo aveva obbligato ad ubbidire minacciando rappresaglie sulla sua famiglia. Adesso Quinto è il braccio destro di Massimo in molti compiti, ed è sempre stato uno dei miei più forti sostenitori, forse perché egli, meglio degli altri, sa quel che Massimo ha dovuto sopportare quando ha perso la sua famiglia e come io sia la persona giusta per lui.

La mia vestizione è quasi completa. Sento dei brusii provenire dagli appartamenti di Massimo. Licenzio i miei servi, apro la porta e lui è lì, una figura imponente e regale. Ogni volta che lo guardo, sembra che il mio cuore manchi un battito. E' sempre virile, vigoroso e attraente come la prima volta che ci siamo incontrati.

Massimo mi dà le spalle, intanto che i servi lo preparano per il bagno. Entro nella stanza e ordino loro di andarsene. Voglio essere io ad aiutarlo. Loro ubbidiscono e se ne vanno, lasciandomi solo con il mio signore, il mio amante.

Mi avvicino, lo abbraccio da dietro, ma lui non è sorpreso...A volte dimentico che ha ancora l'udito fine di un soldato. Le sue braccia coprono le mie, e io gli bacio la parte posteriore del collo.

"Come va, mio signore?"

Lui china la testa sulla mia spalle gemendo lievemente, "Te l'ho detto tante volte, Antinoo: non voglio che mi chiami così."

"E invece sai che continuerò a farlo, perché sei il signore del mio cuore." Gli sussurro all'orecchio, prendendogli il lobo tra le labbra.

"E tu del mio." Massimo si volta tra le mie braccia e ci baciamo languidamente. Cinque anni insieme, e ancora riesce a farmi correre i brividi lungo la schiena con un semplice bacio. Sento la sua erezione premermi contro il ventre e capisco con gioia che anche i miei effetti su di lui non sono cambiati. Prendo la sua mano e gli dico, "Andiamo, mio Massimo, mio signore, il tuo bagno è pronto." Vedendo il suo sguardo allusivo, aggiungo, "Ma ricordati che abbiamo poco tempo."

"Tanto poco da non poterci concedere un massaggio?"Massimo mi strizza l’occhio, facendomi capire che vuole molto ben più di quello, e comincia a spogliarsi, lasciando cadere i vestiti sul pavimento. Quindi si volta e s'incammina verso il bagno. Lo seguo, ammirando la visione della sua schiena forte e mi sorrido. "C'è sempre il tempo per un massaggio, Massimo," gli dico prima di spogliarmi e di unirmi a lui. "Sempre."

 

Fine


 

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