Di Ilaria
La prima volta che incontrai il mio signore, egli era
uno schiavo, un gladiatore che combatteva in un’arena
di provincia. E adesso è l’uomo più potente del
mondo. Questo potrebbe sembrare incredibile perfino alla
mia mente e mi spinge a ripercorrere la nostra storia
insieme fin dal suo inizio.
*****
La prima volta che lo vidi fu nell'arena di Zucchabar.
Ho sempre odiato i Ludi Gladiatorii, considerandoli un
inutile, barbaro spreco di vite umane. Ma quel giorno
fatale, vi assistetti assieme ad uno dei miei migliori
clienti, il quale aveva insistito affinché lo
accompagnassi. Lo spettacolo fu crudele e noioso finché
la folla non cominciò ad invocare un nome, un nome
tanto famoso che persino io lo conoscevo. Stavano
chiamando l’Ispanico, il più grande gladiatore che si
fosse mai visto in Africa. Una volta entrato nell’arena,
egli rimase fermo alcuni secondi prima di iniziare a
combattere, e ciò mi diede modo di osservarlo. Era un
uomo alto e robusto, con una barba scura e curata e
gambe e braccia muscolose e abbronzate.
Avevo appena terminato il mio esame, che egli
attaccò: aveva sei avversari di fronte, ma li fece
fuori con preoccupante rapidità e precisione. Rimasi
sconvolto da quella dimostrazione di ferocia, e così il
resto del pubblico, che cadde in un silenzio assoluto.
Poi l'Ispanico ci riportò alla realtà scagliando una
delle sue spade contro la tribuna delle autorità e
gridando con rabbia: "Non vi siete divertiti? NON
VI SIETE DIVERTITI? Non siete qui per questo?"
Credo fu quello il momento in cui iniziai ad amarlo,
perché capii che tutta la sua rabbia e il suo disgusto
non erano indirizzati al pubblico...Essi erano diretti
contro se stesso. Quell’uomo non era uno stupido
bruto, ma un essere dotato d’intelligenza. E stava
soffrendo.
E, per la prima volta in vita mia, decisi di recarmi
ancora ai Giochi per assistere al prossimo combattimento
dell'Ispanico.
*****
Tuttavia il destino volle che lo incontrassi molto
più presto e in una circostanza totalmente diversa.
Il giorno dopo, mentre mi stavo riposando a casa mia,
sentii qualcuno bussare alla porta; poiché avevo
concesso un giorno di riposo ai miei servi, andai io
stesso ad aprire e mi ritrovai davanti un uomo grande e
grosso, vestito di scuro. Aveva la barba grigia e occhi
chiari e calcolatori.
"Sono qui per parlare con Antinoo," disse.
"Sono io," replicai e lui mi osservò
attentamente, prima di continuare, "Mi chiamo
Proximo. Posso entrare?"
Riconobbi il nome del proprietario di una delle
scuole per gladiatori di Zucchabar. Aprii la porta e lo
feci accomodare, domandandomi nel frattempo che cosa mai
un uomo simile potesse volere da uno come me.
"Che cosa posso fare per te, domine?"
domandai.
"Voglio usufruire dei tuoi servigi per questa
notte."
M’irrigidii e lo squadrai da capo a piedi. Non dava
proprio l’impressione di essere il genere d’uomo che
amava passare il suo tempo con un eunuco della Media.
Egli notò la mia espressione e scoppiò a ridere.
"Non è per me, ma per uno dei miei
gladiatori."
Questo mi lasciò senza parole.Voleva pagare i
servigi di uno dei più raffinati prostituti di
Zucchabar per un miserabile schiavo?
"Domine, credo che ci sia un
errore..." cominciai, ma Proximo m’interruppe
agitando una mano.
"Nessun errore. So che costi molto, ma ho
bisogno di te."
La curiosità rimpiazzò la sorpresa. "Perché
vuoi spendere tanto denaro per uno schiavo?”
Proximo si mise a passeggiare nell'atrio, sfiorando i
mobili e spiegando, "E' il mio migliore combattente
e mi sta rendendo ricco, molto ricco. Mi piace, mi
rammenta me stesso quando ero giovane, ma è per me un
enigma e questo non mi aggrada. Voglio conoscerlo,
voglio sapere quali ruote devo far girare per ottenere
da lui ciò che voglio. Sembra non aver bisogno di nulla
di ciò che normalmente necessita agli altri uomini, ma
poiché è umano anche lui, suppongo abbia dei bisogni
molto forti. Tuttavia ha sempre rifiutato le donne che
gli ho mandato nella cella. Così ho deciso di provarci
con un maschio, per vedere se è più ricettivo e tu sei
il meglio che si possa trovare in città." Si
avvicinò e mi fissò negli
occhi."Accetterai?"
Annuii lentamente. Ero affascinato da questo schiavo.
Quale uomo, sapendo che sarebbe probabilmente morto il
giorno dopo nell’arena, poteva rifiutare, volta dopo
volta quel po' di conforto che il padrone gli offriva?
Sapevo per esperienza personale che quando le
circostanze sono così contrarie, di solito uno è
veloce ad afferrare al volo tutte le occasioni, senza
gettarne via alcuna. “Accetterò, ma voglio due
guardie nei pressi della cella, in caso dovesse
diventare violento.”
“Le avrai.”
Parlammo poi del mio compenso e trovammo un accordo
senza troppo discutere, e io promisi di recarmi alla sua
scuola di gladiatori prima del tramonto.
*****
Quella stessa sera giunsi alla scuola di Proximo con
in mente una precisa strategia d’azione. Avevo
trascorso tutto il pomeriggio pensando al mio nuovo,
misterioso “cliente” e a ponderare le parole di
Proximo. Ero giunto alla conclusione che avrei dovuto
essere accorto, con quest’uomo. Niente adescamenti
sfacciati. Ero rinomato per i miei modi raffinati e le
mie molte abilità, e quella notte avrei potuto metterli
alla prova. L’idea era interessante, stimolante;
proprio quel che occorreva per scacciare via la noia che
stava incominciando ad opprimermi in quel periodo.
Non appena arrivai, Proximo mi condusse in una stanza
al piano superiore. Due guardie erano vicine ad una
porta chiusa e sghignazzarono quando mi videro. Non feci
caso alle loro espressioni, c’ero abituato. Ma restai
piacevolmente sorpreso quando sentii Proximo dire, “Fate
sparire quelle stupide smorfie dalla faccia e siate
pronti ad intervenire se l’Ispanico dovesse causare
guai.”
“L’Ispanico?”sussurrai mentre un brivido mi
correva lungo la schiena.
“Sì, è il nome con cui lo schiavo viene chiamato.”
Detto questo, Proximo aprì la porta e m’introdusse
nella stanza.
*****
Il locale era piccolo e arredato sommariamente con un
letto, una sedia, un tavolaccio e un bacile pieno
d'acqua. Era illuminato da alcune lampade ad olio, che
mi consentirono di vedere il suo unico occupante.
L'Ispanico stava in piedi dando le spalle ad una
finestrella e guardando nella mia direzione. Visto da
vicino, sembrava ancor più notevole che nell'arena;
inutile poi dire che era molto attraente. Il suo corpo
era coperto da una ruvida tunica blu che metteva in
evidenza la muscolatura possente del petto e delle
spalle, lasciandogli braccia e gambe scoperte. Mi stava
guardando con una strana espressione e pensai che
sembrava sorpreso...Probabilmente si aspettava una donna
e adesso si stava domandando che cosa volesse da lui il
tipo bruno, piccolo, pallido e vestito di seta che gli
stava di fronte. Rimanemmo per alcuni istanti in
silenzio quindi decisi di rompere
l'attesa."Buonasera, mio signore. Io sono Antinoo."
L’avevo chiamato “signore” perché volevo
comprendesse che io ero al suo servizio e non viceversa.
L’Ispanico socchiuse gli occhi e, lasciando il suo
posto accanto alla finestra, mi venne incontro,
fermandosi proprio di fronte a me e offrendomi
l'opportunità di osservare da vicino il suo viso. Il
primo pensiero che mi venne in mente fu "Dei, ma
quanto è bello!" Aveva il naso dritto, una piccola
bocca sensuale e un mento volitivo incorniciato da una
morbida barba ben curata. Ma il suo tratto più
caratteristico erano gli occhi, due meravigliosi laghi
color acquamarina che mi catturarono letteralmente.
Quegli occhi mi stavano osservando sospettosi, quindi
lui parlò per la prima volta.
"Chi sei?"Aveva una voce profonda e
sensuale.
"Un massaggiatore." Non era una vera e
propria bugia perché ero, e sono, molto esperto
nell'arte dei massaggi.
"Un che?" Sembrò non credere alle sue
orecchie.
"Un massaggiatore. Proximo mi ha detto che il
combattimento di ieri ti ha lasciato indolenzito e vuole
che ti rimetta in forma. Lasciami sistemare la tua
schiena.” Quella era davvero una bugia, Proximo non mi
aveva detto niente del genere, ma io lo vidi guardarsi
furtivamente la spalla sinistra.
“E così ho pizzicato la corda giusta!”
pensai, “E’ davvero dolorante!” Giusto
quello di cui avevo bisogno per convincerlo a sdraiarsi
sul letto.
L'Ispanico mi guardò ancora con i suoi occhi acuti,
studiandomi. Restai impassibile fino al suo lento cenno
d'assenso. Egli mi voltò la schiena e in pochi secondi
si tolse la cintura di cuoio, la tunica azzurra e i
sandali, tenendosi addosso solo la biancheria di lino.
Mentre lo guadavo stendersi sul giaciglio, provai una
violenta emozione attraversarmi al solo pensiero di
toccare quella pelle bronzea e quei muscoli scolpiti.
Sforzandomi di non perdere il controllo, mi avvicinai al
tavolo e vi posai la sacca di cuoio che avevo portato
con me. Ben conscio del suo sguardo che seguiva ogni mia
mossa, aprii la borsa e ne trassi fuori un'ampollina. La
stappai e mi versai l'olio profumato nelle mani, per
intiepidirlo. Quindi andai verso il letto e cominciai il
massaggio. La prima sensazione che provai sfiorando la
sua pelle fu eccitante e meravigliosa. Dovetti impormi
di restare calmo e di seguire il mio piano passo dopo
passo. Per prima cosa, mi occupai delle spalle e della
parte alta delle braccia, premendo in profondità le
dita finché non sentii i suoi muscoli rilassarsi e
sciogliersi sotto la pelle unta d’olio, che brillava
come bronzo lucidato al lume delle lampade. Quando fui
soddisfatto, passai alla seconda fase della mia
strategia e cominciai a massaggiarlo un po' più giù.
Tra le nozioni apprese in Media quando stavo ricevendo i
primi insegnamenti per diventare uno schiavo adibito
all'altrui piacere, c'era la conoscenza di certi punti
del corpo maschile che, correttamente stimolati,
provocavano a quel medesimo corpo reazioni
incontrollabili. E cominciai a fargli proprio quello,
stimolando certi punti particolari. Pian piano
l'Ispanico, che fino a quel momento era rimasto passivo
sotto le mie mani e stava addirittura per addormentarsi,
si arrese e cominciò a reagire alle mie attenzioni.
Iniziò a contorcersi e il suo respiro si fece più
rapido. Quindi, con la velocità di un fulmine, rotolò
sulla schiena, si sedette e mi afferrò per la gola con
una mano
"Che mi stai facendo?" sibilò e io sentii
sulla guancia il suo respiro lieve e tiepido. Mi stava
fissando con uno sguardo selvaggio, le pupille dilatate.
Senza abbassare gli occhi, replicai, "Sto
facendo in modo che tu mi voglia quanto io voglio te.”
"Non vado con gli uomini," ringhiò senza
allentare la stretta sulla mia gola.
"Ma io non sono un uomo come gli altri. Sono un
eunuco della Media. E posso farti provare un piacere
tale che in vita tua non hai mai sperimentato."
"Non voglio."
"Ne sei certo?" Allungai la mano e gli
sfiorai il membro rigido attraverso la biancheria. Lui
gemette, chiudendo gli occhi. "Io penso che tu lo
voglia invece."
L'Ispanico mi guardò ancora e nei suoi occhi lessi
un misto di desidero e...di paura.
"Non temere," gli sussurrai ancora,
"Il suo ricordo è al sicuro con me."
Sembrò sbalordito e, per una frazione di secondo,
temetti che stesse per picchiarmi. Invece spostò la
mano dalla gola alla nuca e mi strinse a sé,
imprigionandomi la bocca in un bacio bruciante.
Nel giro di pochi minuti giacevamo vicini, i miei
vestiti ammonticchiati sul pavimento, i nostri corpi
schiacciati uno contro l’altro. Lui non sapeva niente
dell’amore tra due uomini e provai grande diletto ad
insegnarglielo. Si dimostrò molto entusiasta e, quando
alla fine mi penetrò, sentii un piacere mai provato in
tanti anni di carriera. Fu così intenso che mi strappò
un grido, e sentii che egli s’irrigidiva sopra di me,
preoccupato di avermi causato del dolore. Contrassi i
miei muscoli interni per dimostrargli che andava tutto
bene e per incoraggiarlo a muoversi. Lo fece,
raggiungendo rapidamente un violento orgasmo. Dopo di
che, rotolò via e giacque appagato al mio fianco.
Restai silenzioso, aspettando che si riprendesse,
osservando il suo largo petto alzarsi e abbassarsi
affannosamente e sperai che avesse provato lo stesso
piacere che mi aveva cagionato. Tuttavia, quando pochi
minuti dopo mi guardò, mi accorsi dai suoi occhi che
era profondamente turbato.
“C’è qualcosa che non va?” chiesi.
“Non riesco a capire cosa mi sia successo... non ho
mai desiderato un maschio, prima...” Sembrava
vergognarsi e, ben più importante, era come se fosse
spaventato dalle proprie azioni, come se fosse all’improvviso
incerto su se stesso. L’avevo visto capitare già
altre volte, anche ad uomini che mi avevano scelto di
loro spontanea volontà.
“Ne avevi bisogno, davvero,” dissi cercando di
confortarlo.
“Rifiuto di pensare che questa sia la sola ragione,
perché mi abbasserebbe a livello di una bestia in
calore.”
Stavolta sembrava adirato e provai a calmarlo, “Ascolta,
non so se potrà servirti da consolazione, ma non sei il
primo uomo che con me reagisce in questo modo. Forse è
qualcosa di connaturato alla mia essenza... Non sono una
donna, ma neppure del tutto uomo. Non riesco a
spiegarmi, ma le cose stanno così.”
Lo guardai riflettere attentamente sulle mie parole,
le mascelle serrate e lo sguardo distante, e dopo
qualche minuto si rilassò un po’, come se avesse
trovato una spiegazione plausibile. Qualche secondo
ancora, poi mi guardò e mi chiese, “Perché hai
gridato poco fa? Ti ho fatto male? Ho fatto qualcosa di
sbagliato?”
Sorrisi, commosso dalla viva preoccupazione che avevo
letto nei suoi splendidi occhi e gli dissi la verità,
“No, non mi hai fatto male. Il mio grido era di
piacere, non di dolore.”
“Oh...” Sembrava confuso, “Ero convinto che tu
non sentissi niente...Voglio dire, dopo quel che ti
hanno fatto, io...”L’Ispanico stava ora balbettando,
palesemente imbarazzato e un sorriso mi nacque
spontaneo.
“Quando mi tagliarono, non mi privarono del tutto
della possibilità di provare piacere, ma è molto rara
per me un’esperienza del genere. A dire il vero, è la
prima volta in quasi dieci anni.” Lo guardai con
affetto e lui rispose con un altro “Oh...” prima di
tacere nuovamente.
Restammo così per parecchi minuti, fissando il
soffitto della stanza ed ascoltando i rumori che
giungevano da fuori attraverso la finestra aperta,
finché lui non riprese a parlare.
“Come lo sapevi?”
“Che cosa?”
“Mi hai detto: “Il suo ricordo è al sicuro con
me.” Che cosa intendevi?” Il tono era gentile, ma
era chiaro che si aspettava una risposta.
“Ho tirato ad indovinare. So che Proximo ti ha
mandato diverse volte delle donne e tu le hai sempre
rifiutate. E tu stesso mi hai detto che non vai con i
maschi. Ora, sapendo che sei un uomo molto sensuale, me
ne sono accorto dalle tue reazioni mentre ti
massaggiavo, ho pensato che tu intendessi tener fede ad
un qualche genere di promessa ...Dico bene?”
L’Ispanico annuì mormorando un sì e gli occhi gli
diventarono tristissimi. Voltò la testa e in un attimo
vi fu silenzio nella stanza, ma non era un silenzio
carico di disagio e mi diede il tempo di pensare e di
interrogarmi in merito splendido, virile uomo che mi
giaceva accanto. Esplorai i miei sentimenti nei suoi
riguardi: se prima di incontrarlo ne ero incuriosito,
adesso ne ero completamente affascinato. Che genere d’uomo
si nascondeva sotto l’apparenza del feroce gladiatore?
Avevo già scoperto che, pur nel turbine della passione,
era un amante dolce e gentile. Sapevo anche che era
talmente fedele alla propria donna da mantenere i voti
fatti nei confronti di lei anche nella sua situazione
disperata. Ma quali altre virtù e qualità nascondeva
agli occhi del mondo?
Le mie riflessioni furono interrotte dall’Ispanico
che si voltò di lato e mi guardò."Chi
sei?"domandò, "E perché sei ciò che sei?
Sei uno schiavo? Chi ti ha ridotto così?" Il suo
tono era gentile e sinceramente interessato, e questo mi
riscaldò il cuore. Lo imitai, voltandomi verso di lui
e, con la testa appoggiata al gomito, cominciai a
raccontargli la mia storia."Sono nato in Media
ventiquattro anni fa. Sai dove si trova il mio
paese?" Lui annuì. "Mio padre era un piccolo
nobile e la mia famiglia viveva in campagna. Quando
avevo nove anni, mio padre commise l'errore di
impegolarsi dalla parte sbagliata nel corso di una
guerra locale. La sua fazione venne sconfitta e il
vincitore si vendicò distruggendo la mia casa e
uccidendo i miei genitori. Io e mia sorella fummo tenuti
in vita e ceduti a un mercante di schiavi che mi fece
castrare e addestrare come paggio."Mi fermai per
raccogliere le idee e, guardandolo, vidi che gli occhi
gli brillavano, come se fossero pieni di lacrime.
Sforzandomi di non fissarlo, andai avanti con il mio
racconto."Man mano che il tempo passava, fui
venduto parecchie volte finché finii nelle mani di un
mercante romano di seta. Egli era affascinato dalle
usanze orientali, desiderava un eunuco personale e mi
fece addestrare per le mie nuove “mansioni”."
Feci un sorrisetto ironico, "Sono stato al suo
servizio per dieci anni e durante quel periodo
viaggiammo parecchio finché non giungemmo qui e lui
decise di fermarsi. Egli mi affrancò due anni fa, poco
prima di morire. E quando accadde, io mi ritrovai senza
altri mezzi di sostentamento all’infuori delle mie “conoscenze”.
Così, decisi di vendere i miei servizi agli uomini più
facoltosi della città ed eccomi qui..." la mia
voce si spense in un sussurro di auto-disapprovazione.
Guardai ancora i suoi occhi e vidi che mi stava
osservando con un'espressione quasi tenera dipinta sul
viso, invece del solito disgusto che ero abituato a
vedere in faccia alla gente quando venivano a sapere che
avevo iniziato la carriera di prostituto per libera
scelta. Egli sembrò leggermi nella mente perché disse,
pacatamente, "Non devi vergognartene; hai fatto
quello che dovevi fare per sopravvivere. Come ho fatto
io. E dai tuoi vestiti, posso intuire che te la passi
molto bene."
Sorrisi. "Sì, è vero. In questi due anni ho
imparato a leggere e a scrivere perché non voglio
essere un prostituto per tutta la vita. Ho bisogno di un
altro po' di denaro, dopodiché potrò comprarmi una
piccola fattoria." Lui sorrise debolmente e,
diventando sfacciato, gli domandai, "E tu,
Ispanico, puoi dirmi come sei diventato
gladiatore?"
I suoi lineamenti si indurirono, quindi chiuse gli
occhi. "No." replicò con voce così piena di
dolore che sentii una stretta al cuore. Allungai una
mano e gli accarezzai la guancia barbuta. Non mi
respinse e accettò la mia offerta di conforto. Quindi
aprì di nuovo gli occhi e vidi che si erano riempiti
un'altra volta di desiderio.
"Ti voglio ancora," disse con voce ruvida,
ma la sua era più una domanda che una richiesta.
Sorrisi e, annuendo con soddisfazione, mi chinai a
baciarlo.
Quella notte ci unimmo per due volte e in entrambe le
occasioni, provai piacere invece del dolore consueto.
Dopo crollai esausto e mi addormentai tra le sue
braccia.
Al mattino ci separammo senza l’imbarazzo che di
solito accompagna queste situazioni. Prima che le
guardie lo portassero via, l'Ispanico inchinò la testa
e con un lieve sorriso disse, “Grazie di tutto,
Antinoo." Avrei voluto rispondergli, “Sono io che
debbo ringraziarti per quel che mi hai fatto provare,”
ma la presenza delle guardie mi fece desistere.
Dopo che egli fu scomparso dalla stanza, giunse
Proximo e mi diede il mio compenso. “So che hai avuto
successo!” Mi disse con un sorrisetto complice, “E
più di una volta.” Mi studiò dalla testa ai piedi e
continuò, “Forse farei bene a provarti io stesso.”
Esplose in una grassa risata e io sorrisi
distrattamente, tutta la mia attenzione concentrata sull’Ispanico
che veniva condotto via dalle guardie attraverso il
cortile interno che io potevo scorgere dalla finestra.
In quel preciso istante, ebbi la premonizione(o forse la
speranza?)che lo avrei visto di nuovo.
*****
Nei giorni seguenti, la mia vita procedette secondo
il solito. Avevo clienti regolari che venivano a
trovarmi o mi chiamavano presso le loro ville, e passavo
molto del mio tempo a casa leggendo ma, soprattutto,
pensando all’Ispanico. Sembrava non riuscissi a
cancellarlo dalla mia testa. Ogni volta che chiudevo gli
occhi, vedevo il suo viso o sentivo la sua voce e il
tocco delle sue mani. Presto divenne quasi un’ossessione
e cominciai a cercare un modo un modo per rivederlo.
Mi recai persino alla scuola di Proximo e provai a
gettare un'occhiata aldilà delle sbarre di ferro, ma fu
tutto inutile. Finché una mattina, circa quindici
giorni dopo quella notte fatale, Proximo venne a
cercarmi a casa e dopo un breve saluto mi
chiese,"Sei libero stanotte?"
Ero cosi nervoso che a malapena annuii. "Buono a
sapersi; probabilmente l'Ispanico avrà bisogno di te,
dopo i giochi di questo pomeriggio”
E così avrebbe combattuto ancora! Cercando di
scacciare la mia paura, risposi, "Sarò da te al
tramonto, come l'altra volta."
Proximo annuì quindi se ne andò, lasciandomi solo.
Passai il resto della mattinata e il primo pomeriggio
in uno stato di totale nervosismo, sperando che il tempo
passasse in fretta ma temendo nel contempo il momento in
cui i giochi sarebbero iniziati. Non riuscii a
convincermi a recarmi nell'arena, avevo troppa paura per
l'Ispanico. Ma alla fine non resistetti e decisi per un
compromesso. Affittai un cavallo e galoppai fino alle
colline che circondavano l'arena. Da quella posizione,
non potevo vedere quel che succedeva nell’anello di
sabbia, ma potevo sentire le urla della folla. Fu così
che udii gli spettatori acclamare il nome dell'Ispanico
quando egli scese nell’arena. Dopo di che, vi furono
lunghi, interminabili momenti di silenzio e di suoni
indecifrabili che accompagnarono gli sviluppi del
combattimento, seguiti quindi da un'altra bordata di
grida entusiaste: "Ispanico! Ispanico!"
Mi lasciai scappare un sospiro di sollievo, prima di
spronare il cavallo e correre verso casa a prepararmi
alla notte imminente.
Fui condotto nella stessa stanza della prima notte,
ed una delle guardie aprì la porta, facendomi entrare.
L'Ispanico mi stava aspettando, seduto al tavolo. Non
appena entrai, lui si alzò e mi venne incontro. Un
leggero sorriso gli aleggiava sulle labbra, e mi attirò
a se, stringendomi forte. Fui piacevolmente sorpreso
dalle sue azioni e contraccambiai il gesto. Qui mi
lasciò andare e fatti alcuni passi indietro, mi guardò
negli occhi ed esordì,"Buona sera, Antinoo. Che
piacere rivederti.”
"Signore," replicai chinando il capo.
"Per favore, non chiamarmi così: sono solo uno
schiavo." Disse piano, tristemente.
"E allora dimmi come devo chiamarti."
Speravo che mi rivelasse il suo vero nome ma si limitò
a rispondermi, "Chiamami Ispanico." Il mio
disappunto dovette essere così evidente nel mio sguardo
che lui allungò la mano e, accarezzandomi la guancia
aggiunse, "Mi dispiace, ma non sono ancora pronto a
svelarlo. Non ho più pronunciato il mio nome dal giorno
in cui divenni schiavo...ad esso sono legati ricordi
troppo dolorosi...Puoi perdonarmi?"
"Sì, mio Ispanico," sussurrai, incantato
ancora una volta dalla sincerità e dalla dolcezza del
suo sguardo e premetti ancora più forte la guancia
contro la sua mano callosa da combattente.
Sorrise al mio gesto e alle mie parole e mi baciò
teneramente. Quindi si mosse e andò verso letto.
"Vieni qui,” mi disse, “ho proprio bisogno di
uno di quei tuoi meravigliosi massaggi." Lo seguii,
ed un ampio sorriso mi si dipinse sul volto quando lo
vidi togliersi tutti i vestiti, compresa la biancheria.
Ero sicuro che quella sarebbe stata una serata molto
piacevole.
Quella notte ci amammo una volta soltanto perché il
mio Ispanico era troppo stanco a causa del combattimento
svoltosi nel pomeriggio (lo avevano costretto a battersi
contro un rinoceronte, dei misericordiosi! E i lividi
sul suo corpo testimoniavano i pericoli corsi), ma
passammo la notte chiacchierando. O, per la precisione,
io parlai, mentre lui mi ascoltava tenendomi tra le sue
braccia forti. Gli raccontai dei miei progetti in merito
della fattoria che intendevo acquistare, e gli narrai
del mio paese natale, la Media. Era molto interessato al
racconto delle costumanze dei diversi popoli che vivono
lì. Gli parlai anche dei vari paesi che avevo visitato
nel corso dei viaggi compiuti con il mio ultimo padrone
e discutemmo delle diverse usanze praticate nelle varie
regioni dell’Impero. Ciò mi dimostrò che non era un
uomo comune. Era istruito, e il suo modo di esprimersi
lo dimostrava chiaramente, e doveva anche aver viaggiato
molto. Avevo sentito dire che era stato un soldato (e
quel che restava del tatuaggio SPQR sul suo braccio lo
attestava) ed ero sicuro che all’interno dell’esercito
avesse ricoperto una posizione di comando. Il che mi
portò a domandarmi come fosse possibile che un uomo del
genere potesse essere finito a combattere nell’arena.
Ma non gli chiesi nulla, perché mi resi conto che non
era ancora pronto a rispondermi.
Parlai per ore e alla fine cademmo addormentati l’uno
tra le braccia dell’altro, ma questa volta mi svegliai
prima di lui e trascorsi l’alba a contemplarlo mentre
riposava. Sentii uno strano calore pervadermi mentre
osservavo il suo viso da vicino, e capii che, per la
prima volta in vita mia, mi ero innamorato. Di lui.
Nei due- tre mesi successivi, lo rividi ogni dieci,
quindici giorni, di solito la sera che seguiva i
combattimenti del mio Ispanico. Quelle rare notti
divennero il fulcro della mia vita ed organizzai le mie
giornate intorno ad esse. Non volli mai andare a vederlo
combattere; la mia paura per la sua incolumità era
troppo forte. Detestavo l'idea che il rischio della sua
vita fosse il prezzo da pagare al tempo che
trascorrevamo insieme. Inoltre mi domandavo perché
Proximo fosse tanto sollecito a spendere tutti quei
soldi per uno schiavo. In verità, il mio Ispanico lo
stava arricchendo e io potevo vedere le prove di ciò
nelle trasformazioni subite dall'abitazione del lanista:
nuovi mobili, nuovi tappeti, nuove coppe d'oro e
d'argento. Nonostante ciò il suo comportamento rimaneva
inusuale e così una sera ne parlai con il mio Ispanico.
Lui sorrise malinconico e rispose,"Con te, Proximo
sta comprando la mia compiacenza. Vuole che io non mi
limiti a uccidere i miei avversari ma dia spettacolo per
la folla. Vuole che io sia un intrattenitore, non un
macellaio e tu sei il compenso per le mie esibizioni.”
La sua voce grondava disgusto.
"Detesti così tanto fare ciò?" Domandai
carezzandogli il braccio. Il mio Ispanico mi guardò con
espressione seria, "Sì. Certe volte temo di
perdere la mia anima." Mi fece un debole
sorriso,"Ma per fortuna ho ancora te." Detto
questo, pose fine alla questione rotolandomi sopra e
baciandomi con passione.
Non parlammo più del suo e del mio
"lavoro" perché entrambi sapevamo bene che il
nostro tempo insieme era un fin troppo breve intermezzo
nello squallore e nella brutalità delle nostre vite
quotidiane. Erano molte le cose che amavo in lui: la sua
gentilezza, la sua indulgenza e il suo profondo senso
dell'umorismo. Ma più di tutto amavo la sua sincerità
e la gioia che mostrava ogni volta che mi vedeva. Per
uno come me, abituato ad essere usato quindi scaricato
da ipocriti sempre timorosi per la loro reputazione, le
sue aperte reazioni rappresentavano un dono prezioso. E
io ero sicuro che non fosse solo perché, essendo uno
schiavo, non aveva una reputazione da salvaguardare. Ero
certo che si sarebbe comportato così fosse pure stato
Cesare in persona.
Con lui, mi sentivo amato e considerato, cosa che,
dalla morte dei miei genitori, non avevo più
sperimentato.
Ma con l’arrivo della primavera e l'inizio del
tempo propizio alla navigazione, la nostra breve
stagione felice ebbe fine.
*****
Quando giunsi a casa di Proximo, trovai il mio
Ispanico che mi aspettava nella nostra solita stanza.
Subito percepii una sensazione estremamente sgradevole;
l'atmosfera era carica di tristezza. Sentendo un brivido
corrermi lungo la schiena, non lo salutai ma gli chiesi,
"Che è successo?"
Lui mi guardò con gli occhi pieni di dolore e
rispose, "Questa è la nostra ultima notte insieme.
Domani lascerò Zucchabar per Roma.”
"Che cosa?!" la mia voce risuonò come un
lamento strozzato.
Egli annuì triste. "Il nuovo imperatore ha
organizzato una serie di giochi nella capitale e sta
ingaggiando gladiatori da tutte le province... Scusami
per il dolore che ti sto causando."
Scusarsi? Lui? Si sentiva responsabile? Lui che non
aveva alcun controllo della propria vita? Lo presi tra
le braccia e ci stringemmo con forza, cercando di
trovare conforto l'uno nell'altro alla nostra pena.
Provai il bisogno irresistibile di sentirlo vicino,
tutto per me e cominciai a togliergli di dosso i
vestiti, non vedendo l’ora di sentire la sua pelle
contro la mia e baciandolo nel frattempo freneticamente.
Facemmo l'amore con frenesia e furia e al momento dell’orgasmo,
lui gridò, “Antinoo, ti amo!” Era la prima volta
che qualcuno me lo diceva e fui travolto dall’emozione.
“Anch’io ti amo, mio Ispanico.”
Adagiandosi delicatamente sulla mia schiena, mi
sussurrò all’orecchio, “Massimo.”
“Cosa?”
“Massimo. E’ il mio nome.”
Voltai la testa di lato e lo guardai con gli occhi
pieni di lacrime. Mi aveva appena dato la sola cosa che
aveva tenuto per se durante tutto il tempo che eravamo
stati insieme: il dono della sua fiducia.
Sorrisi, e dissi, “E’ un bellissimo nome. Ti si
addice.”
“Lo pensi davvero?” Lo sentii sorridere contro la
mia spalla.
“Ne sono certo.”
Massimo allora rotolò al mio fianco
e prendendomi tra le braccia, cominciò a raccontarmi la
sua storia.
Mi disse che era stato un generale sotto il regno di
Marco Aurelio e che il defunto imperatore avrebbe voluto
farne il suo erede. Mi narrò come il principe Commodo
uccise suo padre dopo aver conosciuto i suoi piani e
ordinò l’esecuzione di Massimo e dei suoi familiari.
Mi raccontò della sua cavalcata a rotta di collo dalla
Germania all'Hispania e del dolore devastante alla
scoperta dei corpi bruciati e crocifissi della moglie
adorata e del figlioletto. La voce gli si ruppe quando
mi rese partecipe delle promesse fatte sulla tomba dei
sui cari (vendicarli e restare fedele ai voti
matrimoniali) e io lo strinsi tra le braccia quando lui
si mise a piangere, ricacciando indietro le mie lacrime
perché sapevo che dovevo essere forte per lui. Dopo un
po' si calmò e mi disse che sperava di riuscire ad
avvicinarsi a Commodo nella sua veste di gladiatore per
poterlo infine uccidere. Quelle ultime parole mi
impedirono di parlargli della mia intenzione di usare il
denaro che avevo risparmiato per acquistare il podere
per riscattarlo da Proximo: l'avrei fatto senza esitare
ma sapevo che Massimo avrebbe rifiutato: egli sentiva il
bisogno di adempiere alle sue promesse. In preda
all'emozione del momento, esclamai, "Lascia che ti
segua, Massimo! Ho abbastanza soldi messi da parte da
poter vivere a Roma!
Massimo scosse la testa e sorrise dolcemente,
"No, Antinoo, è troppo pericoloso essere associato
a me in qualunque modo. E io ho bisogno di saperti qui,
al sicuro. Io voglio... Io voglio che tu comperi il
podere e cominci una nuova vita in un posto circondato
dalla natura, dal verde, dagli animali... E desidero che
tu pensi a me quando seminerai il tuo primo
raccolto." Questa volta toccò a lui consolarmi
mentre piangevo. Quando infine mi calmai, gli dissi,
"Te lo prometto, Massimo. Te lo prometto."
“Bene," sorrise ancora, "Niente più
parole tristi, stanotte, Antinoo. Cerchiamo di gioire
del nostro tempo insieme." E mi baciò con
gentilezza. Il resto della notte lo passammo amandoci
lentamente, languidamente, assaporando ogni momento,
ogni gesto, sapendo che probabilmente sarebbe stata la
nostra ultima volta. Non ci addormentammo, ma aspettammo
l'alba stretti l'uno tra le braccia dell'altro. Quando
fu giorno, ci alzammo, ci vestimmo e sedemmo al tavolo,
attendendo le guardie.
Quando infine giunsero, io marciai verso la porta
come un soldato, la testa alta e gli occhi asciutti.
Poco prima di lasciare la stanza, mi voltai, e battei
sul petto il pugno destro in un saluto degno di un
generale. Massimo replicò salutandomi nell'identica
maniera e mormorando, "Ti amo."
"Anch'io ti amo."sussurrai voltandomi
indietro e andandomene.
Ancor oggi non capisco come feci a restare calmo in
quei momenti terribili. A dire il vero, neanche li
ricordo molto bene. La sola cosa che rammento è che
noleggiai un cavallo, galoppai fino al deserto e che,
dall’alto di una roccia, guardai in direzione della
carovana che portava via Massimo finché non la vidi
scomparire dalla mia vista. Solo allora, totalmente
privo di forze, ritornai a casa e crollai sul letto,
piangendo finché non mi addormentai.
I mesi che seguirono la partenza di Massimo furono
senza dubbio tra i peggiori della mia vita. Il dolore
non mi abbandonava mai e continuavo a pensare a lui.
Dov'era? Che cosa faceva? Era ancora vivo? Sapevo che
aveva bisogno di compiere la sua vendetta e pregavo gli
dei perché esaudissero il suo desiderio, ma sapevo
anche che uccidere l'imperatore, ammesso che fosse
possibile, significava morte certa…
Col passare del tempo persi la mia voglia di vivere.
Che senso aveva la vita se la sola persona che amavo era
probabilmente morta? Avei voluto morire per rivedere
Massimo nei Campi Elisi, ma il ricordo della sua voce
che mi esortava a cominciare una nuova vita e a pensare
a lui quando avrei seminato il mio primo raccolto, e la
mia promessa di farlo, mi imposero di vivere. Tuttavia,
la tensione emotiva fu tanto forte che iniziai a
dimagrire a vista d'occhio. Molti dei miei clienti
rifiutarono d'incontrarmi ancora, ma non me ne
importava. Avevo risparmiato abbastanza denaro da
comprare il podere e francamente la sola idea che un
altro uomo mi mettesse le mani addosso mi era
intollerabile. Durante i mesi passati con Massimo, avevo
continuato con il mio "lavoro", spesso
pensando a lui quando ero con un altro, ma adesso era
giunto il momento di cambiare vita. Tre mesi dopo la
partenza di Massimo, vendetti la mia casa in città e mi
trasferii in campagna, nel podere appena acquistato,
situato in prossimità di uno dei rari, piccoli laghi
della provincia. Ingaggiai alcuni uomini perché mi
aiutassero a badare alla terra e iniziai una nuova vita.
Vivere in campagna, circondato dalla natura e dai
miei libri, riportò la pace nel mio cuore e nella mia
mente. Io, che avevo sempre fatto in modo che il sole
non sfiorasse la mia pelle perché i clienti mi
preferivano pallido, cominciai a trascorrere le mie
giornate all'aperto, sotto il sole. Col trascorrere del
tempo, la mia pelle si scurì e il corpo cominciò a
riempirsi di muscoli e carne. Certo, essendo un eunuco
non sarei mai potuto sembrare molto mascolino, tuttavia
il mio aspetto non faceva più trapelare la mia
condizione al primo sguardo. Notai altresì un paio di
volte che alcune ragazze che mi guardavano con
civetteria, ma non provai alcun interesse nei loro
riguardi, non solo perché sarebbero mai state
soddisfatte da uno come me (il che era la verità) ma
perché il mio cuore apparteneva a Massimo e a lui
soltanto. Così come lui aveva giurato di non
appartenere a nessuna altra donna, così io giurai di
rimanere casto per il resto della mia vita, se non
potevo stare con lui. La mia promessa era più facile da
mantenere: il sesso per me non costituisce una
necessità impellente. E’ solo un piacere e senza
Massimo non c’era alcun piacere da trovare in esso.
Il tempo passò, ed un giorno in cui mi ero recato a
Zucchabar per visitare la fiera, vidi dei movimenti
vicino alla scuola di Proximo, che era stata deserta fin
dalla primavera precedente. Con il cuore che batteva all’impazzata,
corsi verso il recinto ma mi resi conto che quella gente
che avevo visto si stava limitando a portar via i
mobili. Mi avvicinai a colui che sembrava il capo e
chiesi, “Che succede? Dov’è Proximo?”
“Proximo è morto a Roma senza lasciare eredi e
secondo le leggi è l’erario imperiale a impadronirsi
dei suoi beni.”
“Che cosa gli è capitato?”
“E’ stato ucciso nel corso di una rivolta contro
il defunto imperatore.”
“Oh...E che ne è stato dei suoi schiavi?”
Trattenei il respiro, temendo quella risposta che
tuttavia dovevo avere.
“Molti sono stati uccisi con lui. In quanto agli
altri, penso che adesso siano di proprietà dello Stato.”
Annuii con mestizia. Le mie speranze erano morte
altrettanto celermente di com’erano nate. “Grazie,”
dissi, e me ne andai. Mentre raggiungevo a cavallo la
locanda dov’ero alloggiato, mi domandai come fosse
morto l’imperatore. Non ne sapevo nulla. Le notizie
arrivavano in ritardo in Africa e spesso alterate.
Chiesi qualcosa in città e così scoprii che Commodo
era morto nel Colosseo, ucciso da un ex generale di cui
nessuno sapeva dirmi niente. Mi si strinse la gola,
udendo quelle parole. “E così hai avuto la tua
vendetta, Massimo.” Pensai, “Bene, amore mio.
Spero che adesso tu abbia trovato la pace.” Dopo
di ciò corsi nella mia stanza e piansi disperato,
convinto che Massimo fosse ormai irrimediabilmente
perduto, giustiziato dai pretoriani che avevano voluto
così punirlo per l’assassinio di Cesare.
Trascorse ancora del tempo. L’estate cedette il
posto all’autunno, l’autunno all’inverno e, prima
che me ne rendessi conto, di nuovo primavera. Il giorno
del primo anniversario della partenza di Massimo,
piantai un albero vicino al cancello della mia casa. Era
grande, scuro e forte, e mi ricordava il mio perduto
amore. Mentre lo stavo contemplando, vidi un ragazzino
correre nella mia direzione lungo la strada. Riconobbi
il figlio dei vicini e gli gridai sorridendo, “Ehi,
piccolo Tullio, dove vai così di fretta?”
“L’imperatore!”esclamò il ragazzo frenando a
stento la sua corsa, “L’imperatore sta venendo da
questa parte!”
“L’imperatore? Ti stai sicuramente sbagliando.
Deve trattarsi di qualche autorità locale…”
“No, è Cesare in persona! E’ vestito di porpora
e scortato dai pretoriani!” e detto questo Tullio
corse via ad avvertire i suoi genitori.
Diedi un’occhiata alla strada, chiedendomi perché
mai l’imperatore, ammesso che fosse lui, si fosse
avventurato in una regione tanto remota. Non c’era
niente degno di nota nel raggio di diverse miglia.
Tuttavia mi misi la tunica e ordinai ai miei servi di
tenersi pronti a rendere omaggio al corteo che si
avvicinava.
Dopo diversi minuti di silenzio, il rumore degli
zoccoli giunse portato dal vento, mentre una grande nube
di polvere si alzava dalla strada. Le sagome di molti
cavalieri divennero presto riconoscibili: come aveva
detto il piccolo Tullio, erano pretoriani, le guardie
dell’imperatore. E in mezzo a tutto quel nero, potei
vedere chiaramente un uomo vestito di porpora in sella a
un cavallo grigio. I miei servi si erano avvicinati e
adesso eravamo allineati in uno dei campi, pronti a
inchinarci al passaggio dell’imperatore. Ma con mia
grande sorpresa, i cavalieri si arrestarono e i
pretoriani in testa al gruppo si spostarono per lasciare
che Cesare passasse.
Ancor oggi per me è difficile esprimere quel che
sentii quando il cavallo grigio e il suo regale
cavaliere si avvicinarono alla mia posizione e il viso
dell’uomo divenne man mano riconoscibile. Era come se
uno dei miei sogni ricorrenti fosse diventato realtà: i
capelli scuri, la barba, le spalle larghe…Per qualche
secondo, temetti d’essere vittima di un’insolazione,
ma dopo vidi il suo smagliante sorriso e gli occhi
luminosi. Era tutto talmente perfetto che me ne restai
lì paralizzato, finché Massimo non fece avvicinare il
cavallo e smontò.
Ci guardammo l’un l’altro per lunghi,
interminabili momenti. Avrei voluto parlare, ma la
lingua non rispondeva alle mie sollecitazioni. Infine,
caddi in ginocchio ed abbassai la testa. Subito una mano
occupò il mio campo visivo, quindi la voce gentile di
Massimo mi esortò, “Alzati, Antinoo.” Gli presi la
mano, baciai il suo anello e mi rialzai. Lo guardai
negli occhi e lasciai che potesse leggere sul mio viso
la gioia che provavo, sorridendogli. Anche lui mi
sorrise prima di accogliermi fra le sue braccia.
Passammo il resto della giornata chiusi nella mia
camera, riscoprendo l’un l’altro il piacere che i
nostri corpi potevano darci. Accarezzai Massimo dalla
testa ai piedi, davanti e dietro, notando subito le
nuove cicatrici che gli segnavano la pelle. Gli domandai
di esse. “Queste,” rispose indicando alcuni graffi
vicino al collo, “sono il segno della zampata di una
tigre..E questo,” e toccò un piccolo segno nella
regione lombare, “è il ricordo del pugnale di Commodo.
Per poco non mi uccideva. Sono rimasto cinque giorni tra
la vita e la morte. Ma sono sopravvissuto.”
“E adesso sei l’imperatore di Roma,” commentai
impressionato.
“Non avrei voluto ma le persone che mi hanno
aiutato quando mi opponevo a Commodo, un senatore e la
stessa figlia di Marco Aurelio, mi convinsero che Roma
aveva bisogno di un imperatore che rimediasse ai guasti
del folle regno di Commodo. Così accettai e adesso
spero che tu voglia aiutarmi a reggere il peso del mio
nuovo ruolo, stando sempre al mio fianco.” Concluse
con un sorriso.
Lo guardai stupito. “Vuoi davvero che stia con te?
Come amante?”
“Certo. Altrimenti, perché avrei viaggiato da Roma
fino a Zucchabar, chiedendo a tutti quanti se sapevano
dove eri finito? E che starei a fare qui nudo nel tuo
letto con i pretoriani di guardia davanti alla porta?”
Massimo aveva sulle labbra un sorriso ironico.
“Ma tu…adesso sei Cesare…”
“E con ciò? Solo il mio ruolo sociale è cambiato…”
“Dire che è un eufemismo è dire poco..”
“… non il mio cuore.”
“Ma il Senato…Di sicuro vorranno che ti sposi,
che generi un erede…”
Massimo divenne subito serio, “Lo vogliono, ma io
ho detto loro chiaro e tondo che intendo restare fedele
alla promessa fatta a mia moglie: finché vivrò, non
avrò un’altra donna. Quando sarà il momento, mi
sceglierò un successore, qualcuno che sia degno di
essere tale per i suoi meriti, non per il suo sangue. E
adesso, vuoi farmi il favore di dirmi che verrai con me
a Roma? O debbo supporre che tu abbia trovato qualcun
altro?”
Per poco non mi schizzarono via gli occhi e gridai,
“TU!” Mi gettai tra le sue braccia e gli baciai
tutto il viso. “Certo che verrò con te a Roma, mio
signore…mio amante…”
Massimo fece balenare il suo splendido sorriso. “Questo
è parlare!” E mi rotolò sopra, iniziando nuovamente
a fare l’amore.
Epilogo
Sono passati cinque anni da quel giorno bellissimo.
Cinque anni d'amore e di felicità trascorsi accanto a
Massimo.
Certo, non andò tutto liscio al nostro arrivo a
Roma, ed abbiamo avuto diversi problemi per fare sì gli
altri accettassero la nostra relazione. I collaboratori
di Massimo e coloro che gli erano vicini, lo
ossessionarono per mesi, dicendogli che sarebbe stato
opportuno si sposasse. Essi non potevano accettare
l'idea di un imperatore non sposato e con un amante
maschio. Tentarono perfino una soluzione di compromesso,
cercando di convincerlo a prendersi una moglie "pro
forma". Ma Massimo rifiutò recisamente. Non
avrebbe mai più chiamato moglie un'altra donna. La sua
promessa all'amata Selene è sempre valida. Alla fine,
essi sembrarono accettare la sua decisione di adottare
il successore, cosa che altri imperatori, come Traiano e
Adriano, avevano già fatto e la questione del
matrimonio venne accantonata definitivamente. Ma questo
non significò che mi accettassero meglio di prima.
Sembravano tutti pensare che, visto il mio passato,
potessi esercitare una cattiva influenza su Massimo! Non
sapevano quanto forti fossero la sua moralità e il suo
senso del dovere, altrimenti avrebbero dovuto ridere di
se stessi! La nostra relazione non è nota a tutti,
Massimo in pubblico è molto riservato, anche se mai
freddo e non dimentica mai di accogliere la mia presenza
con un sorriso o uno sguardo caloroso, ma coloro che
sapevano di noi mi temevano, perché avevano imparato
che non potevano usarmi per raggiungerlo. Tuttavia, non
venni mai insolentito o insultato, se si eccettua un
solo caso. Un giorno, mentre io e Massimo eravamo all’aperto
e lui mi mostrava come voleva che fossero potati certi
alberi (dimenticavo di dire che non sono un semplice
mantenuto, ma ho un incarico: supervisore dei giardini
imperiali. E'un compito che amo e per cui ho scoperto di
avere una naturale predisposizione) sentii il senatore
Falco dire ad un suo interlocutore: "Una bella
coppia, non c'è che dire! Un ex prostituto, un ex
gladiatore... due ex schiavi! Stanno davvero bene
insieme!" Il tono era davvero offensivo e come se
non bastasse si mise pure a ridere. Ma il suo
divertimento ebbe breve durata perché Massimo si
mostrò. Non ho mai visto un uomo tremare come Falco
quel giorno. Massimo non alzò la voce ma gli disse
senza mezzi termini che ulteriori insulti avrebbero
causato la scomparsa del senatore da Roma. Era veramente
infuriato, soprattutto perché aveva risparmiato la vita
a Falco, ben noto compagno di bagordi di Commodo, quando
tutti gli avevano consigliato di metterlo a morte.
Quando la notizia si diffuse, nessuno più osò più
pronunciare parola contro di me. Ma ciò non pose fine
ai tentativi di separarci. All’improvviso, molti
giovani, alcuni dei quali molto più belli di me,
cominciarono a circolare per il palazzo: era chiaro il
disegno di attirare Massimo lontano da me in favore di
un compagno più “adeguato”.
Naturalmente, Massimo non li guardò nemmeno. Quello
che mi ha detto il giorno del nostro primo incontro è
vero: lui non va con gli uomini, non è affatto
interessato a loro. Però ama me.
Per fortuna, anche quel periodo ebbe termine e da
allora siamo stati lasciati in pace. Io sono stato
accettato dalle altre persone che vivevano a palazzo,
inclusa l’Augusta Lucilla. All’inizio credo che lei
fosse gelosa di me, ma con il tempo siamo diventati
quasi amici. Lei sa che per nulla al mondo farei del
male a Massimo ed entrambi ci siamo assunti il piacevole
compito di prenderci cura di lui.
*****
E adesso sono qui nella mia stanza che comunica
tramite una porta con quella di Massimo (posso andare e
venire come meglio credo) e i miei servi mi stanno
preparando per il pasto serale. Massimo ha compiuto
quarant'anni oggi, e terremo una cena per festeggiarlo.
Ci saranno solo pochi ospiti, dato che la celebrazione
ufficiale è domani, e si tratta di persone che amano
Massimo prima come uomo che come sovrano. Persone
davanti a cui possiamo anche baciarci, senza
imbarazzarle o essere imbarazzati noi stessi. Chi sono?
L’Augusta Lucilla e suo figlio Lucio, che Massimo
adora e tratta come se si trattasse di un figlio suo; il
senatore Gracco, di cui è nota la passione per i bei
ragazzi, e il migliore amico di Massimo, il Prefetto del
Pretorio Quinto Emilio Leto con la sua graziosa moglie
Antonia. Parlando di Leto, in un primo tempo, non mi
fidavo di lui (dopotutto era stato lui a far arrestare
Massimo in Germania) ma il mio amato lo ha perdonato
quando lui gli ha confessato che Comodo lo aveva
obbligato ad ubbidire minacciando rappresaglie sulla sua
famiglia. Adesso Quinto è il braccio destro di Massimo
in molti compiti, ed è sempre stato uno dei miei più
forti sostenitori, forse perché egli, meglio degli
altri, sa quel che Massimo ha dovuto sopportare quando
ha perso la sua famiglia e come io sia la persona giusta
per lui.
La mia vestizione è quasi completa. Sento dei brusii
provenire dagli appartamenti di Massimo. Licenzio i miei
servi, apro la porta e lui è lì, una figura imponente
e regale. Ogni volta che lo guardo, sembra che il mio
cuore manchi un battito. E' sempre virile, vigoroso e
attraente come la prima volta che ci siamo incontrati.
Massimo mi dà le spalle, intanto che i servi lo
preparano per il bagno. Entro nella stanza e ordino loro
di andarsene. Voglio essere io ad aiutarlo. Loro
ubbidiscono e se ne vanno, lasciandomi solo con il mio
signore, il mio amante.
Mi avvicino, lo abbraccio da dietro, ma lui non è
sorpreso...A volte dimentico che ha ancora l'udito fine
di un soldato. Le sue braccia coprono le mie, e io gli
bacio la parte posteriore del collo.
"Come va, mio signore?"
Lui china la testa sulla mia spalle gemendo
lievemente, "Te l'ho detto tante volte, Antinoo:
non voglio che mi chiami così."
"E invece sai che continuerò a farlo, perché
sei il signore del mio cuore." Gli sussurro
all'orecchio, prendendogli il lobo tra le labbra.
"E tu del mio." Massimo si volta tra le mie
braccia e ci baciamo languidamente. Cinque anni insieme,
e ancora riesce a farmi correre i brividi lungo la
schiena con un semplice bacio. Sento la sua erezione
premermi contro il ventre e capisco con gioia che anche
i miei effetti su di lui non sono cambiati. Prendo la
sua mano e gli dico, "Andiamo, mio Massimo, mio
signore, il tuo bagno è pronto." Vedendo il suo
sguardo allusivo, aggiungo, "Ma ricordati che
abbiamo poco tempo."
"Tanto poco da non poterci concedere un
massaggio?"Massimo mi strizza l’occhio, facendomi
capire che vuole molto ben più di quello, e comincia a
spogliarsi, lasciando cadere i vestiti sul pavimento.
Quindi si volta e s'incammina verso il bagno. Lo seguo,
ammirando la visione della sua schiena forte e mi
sorrido. "C'è sempre il tempo per un massaggio,
Massimo," gli dico prima di spogliarmi e di unirmi
a lui. "Sempre."
Fine