LONTANO DAL MONDO
Un’isola. Il mare.
Strano, per quel che la
riguardava, il mare l’aveva sempre detestato, fin da bambina. Bagnati la
testa, mettiti il cappellino, non entrare in acqua, hai appena mangiato…E
il sole, quel sole che “fa tanto bene alle ossa”, diceva sua madre,
invece a lei sapeva solo di noia e di bruciature che poi bisognava ungere
con quelle pomate puzzolenti, altrimenti erano dolori, notti in bianco, la
pelle che diventava rossa come una fragola e veniva via a strati, come la
buccia delle cipolle…
L’acqua. Quella le
metteva paura. Non stava mai ferma, ed era come se volesse inghiottirti,
sommergerti dietro un niente che sapeva di sale e bruciava gli occhi. Non
aveva mai imparato a nuotare perché non se l’era mai sentita, neanche
da grande, di vincere le sue paure ed era pure per quello che al mare si
annoiava. Si morse le labbra e si domandò come avesse potuto scegliere
consapevolmente, una come lei, di trascorrere un mese tutta sola, lontana
dal mondo, in un isolotto lontano alcune miglia dalla costa in cui l’unica
traccia di una passata presenza umana era il faro che, nei prossimi trenta
giorni, sarebbe stato la sua casa.
Solo il suo cane le sarebbe
mancato. Non i figli adolescenti, che rientravano a casa solamente per
mangiare, dormire, e non raccontavano niente di sé. Noi i colleghi dell’ufficio,
né, men che meno, le idiozie che passava la TV. Il marito? Tante volte,
si era domandata se non stesse con lui per forza d’inerzia. Sarebbe
mancata, a tutti quanti? Ci sperava, quando, contrariamente alle sue
previsioni, aveva saputo di essere stata scelta. Un esperimento
scientifico. Trenta giorni tutta sola, niente radio, niente televisione,
niente notizie, buone o cattive, a proposito di come il mondo girava.
Tanto, avrebbe continuato a girare anche senza di lei, si era detta,
mentre stipava nella valigia qualche vestito e qualche libro. Unico
obbligo, redigere giorno per giorno il diario della sua solitudine. Un
diario dove avrebbe scritto poche parole, ne era sicura. Sensazioni brevi,
come versi di poesie ermetiche. Se la sarebbe goduta, come no, la
compagnia di se stessa.
La brezza che soffiava era
fresca, ristoratrice. Passeggiando lungo la battigia, L. si disse che non
avrebbe mai trovato il mare della sua infanzia e dell’estate bello come
lo trovava allora che era metà ottobre, quando i genitori la obbligavano
a quella noiosa vita da spiaggia e quando, da grande, ci tornava perché
era lì che andavano le amiche, sempre speranzose d’accalappiare un
fidanzato, ed era lì che doveva andare, con i bambini, perché il sole
fortifica le ossa e l’aria iodata aiuta a crescere sani, lo diceva
sempre la pediatra. Ma l’isola, la solitudine, i gabbiani, il cielo
notturno illuminato da miriadi di stelle erano tutt’un’altra cosa.
Qui sto bene. Si disse da
sé sola. Tranquilla, serena, lontana dal rumore del mondo. Sono cattiva,
forse. Un mostro di egoismo. Sono scappata come una vigliacca, mi sono
nascosta a chi mi vuole bene e non può fare a meno di me…Due figli, di
diciotto e sedici anni. Un uomo che, tra fidanzamento e matrimonio, era
con lei da oltre ventidue. Non è giusto, fuggire da chissà che cosa, io
la chiamo noia, ma quante me la invidierebbero questa mia noia tranquilla…Le
donne musulmane, intabarrate nei loro lunghi mantelli. O, semplicemente,
quelle sposate con mariti violenti, che le picchiavano e le umiliavano.
Ripensò a sua cugina e a tutti i problemi che le aveva causato il figlio
tossicodipendente. Lei aveva un buon lavoro, una bella famiglia serena.
Che cosa era andata a cercare, nell’isola deserta? Se stessa?
Non le avevano consentito
di portare con sé la radio. Niente notizie. Niente musica. Niente di
niente, solo qualche libro, oltre alle provviste di cibo e agli effetti
personali, il minimo indispensabile. Posso portare un binocolo con me?
Quello glielo avevano consentito, e si divertiva a puntarlo sulla linea
dell’orizzonte, per spiare le nuvole e il volo degli uccelli.
Non volle credere ai suoi
occhi, da principio. Le avevano garantito che non c’era nessuno, sull’isola,
e lui era lì, seduto sulla battigia, con la brezza della sera a
spettinargli i capelli e i piedi nell’acqua. Portava addosso soltanto un
paio di pantaloni larghi di cotone kaki arrotolati fin sotto le ginocchia
e aveva nelle striature dei capelli e nel colore della pelle, la stessa
sfumatura di miele. Un uomo giovane e forte, spuntato da chissà dove, si
ritrovò a pensare. Chissà chi era.Ebbe paura, e si rammaricò che la
porta non chiudesse a chiave. Non si sentiva più al sicuro, adesso che
aveva scoperto di non essere sola.
Si sorprese a spiarlo,
nascosta, con il suo binocolo, e una volta si meravigliò perché era come
se lui le avesse sorriso. Barba lunga, una gran zazzera di capelli quasi
biondi che gli arrivavano alle spalle. Occhi chiari, immaginava, ma di
quale colore ?Azzurri. O magari verdi. Un gran bel ragazzo, visto da una
certa distanza, ma era sicura che non sarebbe rimasta delusa neanche
guardandolo da vicino. Alto, forte. Già, forte sul serio, non
semplicemente palestrato come i bulletti che si vedevano in giro e che
occhieggiavano dalle pagine dei giornali. Un uomo vero. L. sospirò,
stringendosi nel cardigan di cotone.
Non sono più sola, aveva
scritto nel suo diario. Sull’isola c’è uno sconosciuto, e io ho paura…O
forse era qualcuno mandato appositamente lì per studiare le sue reazioni
a un’intrusione improvvisa e inaspettata in un mondo tranquillo,in una
solitudine dove non avrebbe corso alcun pericolo. Se avesse trovato il
coraggio di parlargli, forse i suoi dubbi e le sue paure sarebbero stati
fugati. Quanto mancava al rientro al suo mondo e alle sue certezze? Venti
giorni esatti. Tanti. Troppi. Lui, dove stava? In qualche altro rudere, in
una vecchia barca lasciata in secca? L. Ripensò a un film visto in
televisione, l’ anno prima:”Ore dieci, calma piatta”. Due coniugi
giovani, belli e ricchi in crociera solitaria sul loro veliero, soccorrono
un naufrago. Un ragazzo carino, gentile, apparentemente innocuo. Invece…
I film sono finzione, la
vita è qualcosa di molto diverso. E non necessariamente di spiacevole,
pensò L. lasciando la relativa sicurezza del faro per uscire all’aperto.
-Chi sei?
Gli si era rivolta in
inglese. L’uomo, visto da vicino, aveva in tutto e per tutto l’aspetto
di un nordico:lunghi capelli quasi biondi, occhi tra il verde e l’azzurro,
bellissimi. Occhi che, aprendosi al mondo, hanno visto sicuramente il
mare, per prima cosa.
-Uly.
E rise. Una risatina un po’
sciocca, che gli disegnò due ventagli di rughe sottili agli angoli degli
occhi e gli scoprì i denti, piccoli e bianchissimi.
-E che ci fai, qui?
-Quello che ci fai tu.
Fuggo.
Non rise, questa volta. Era
grosso e forte, pensò L., proprio come le era sembrato guardandolo da
lontano. Grosso e forte, ma ben proporzionato, tanto da muoversi con
grazia e agilità, malgrado la stazza da lottatore. Il viso aveva tratti
delicati, quasi infantili, induriti solo un poco dalla barba incolta: naso
dritto,non troppo grande, labbra tenere, fossette sulle guance e sul
mento. Doveva essere stato un bambino bellissimo. Quanto tempo prima? Era
giovane. Non un ragazzino, ma giovane sì, più di lei. Chissà da dove
veniva. E chi era. Malgrado lo vedesse per la prima volta, L. notò in lui
qualcosa di familiare, come se avesse visto altre volte la sua faccia,
ascoltato altre volte la sua voce grave. Una voce molto bella, come tutto
il resto.
-Non ti annoi, tutta sola?
-E tu, non ti annoi?
-Perché rispondi a una mia
domanda con un’altra domanda?
L. gli sorrise, anche se
gli occhi le restarono seri. Dormiva sotto le stelle, le aveva detto, e si
lavava con l’acqua del mare. Quando si scatenò il temporale, lo invitò
ad accomodarsi dentro quella che sarebbe stata la sua casa, per qualche
giorno ancora. Malgrado non avesse del tutto vinto la paura che lo
sconosciuto le incuteva. Malgrado non avesse mai creduto che non avesse un
rifugio da qualche parte, una tenda, una barca in secca, la torre
medioevale d’avvistamento mezza diroccata…
Aveva un bel corpo, la
pelle chiara sotto l’abbronzatura intensa. Doveva sapere di sale, si
ritrovò a pensare la donna, e un lungo brivido l’attraversò tutta
quanta. Sei inglese, americano? Kangaroo. Aussie. Ah. Uly è il tuo vero
nome? Un’altra risatina. Probabilmente no, ma non le disse nulla, si
limitò a sorseggiare il tè caldo che L. gli aveva preparato e a leccare
il cucchiaino: quando i suoi figli lo facevano, lei li rimproverava
sempre. Non sta bene, diceva. Ma, naturalmente, non osò dire nulla a quel
giovane selvaggio.
-Sei qui…perché ami il
mare?
-Io odio il mare. Forse è
perché non ho mai imparato a nuotare.
-Potrei insegnarti.
-L’acqua è fredda e non
ho il costume.
-L’acqua non è fredda e
il costume non ce l’ho neppure io.
L.ridacchiò per mascherare
l’imbarazzo. L’aveva spiato sguazzare nudo nell’acqua, con il suo
binocolo, ma non gli disse nulla. L’aveva trovato molto bello, e
desiderato, nonostante neppure lo conoscesse. Era australiano, le aveva
detto, e si era presentato con quel nomignolo ridicolo che sicuramente non
doveva essere il suo vero nome. Uly. Ulisse, forse? O poteva aver a che
fare con uno sciamano aborigeno? Non era da lì che aveva detto di venire,
dalla terra dei canguri e degli ultimi selvaggi?
La guardava, con quei suoi
occhi teneri e incantevoli che non aveva ancora capito se fossero azzurri
o verdi.
-Se vuoi lavarti via la
salsedine di dosso, ho una scorta d’acqua sufficiente…Non ti dà
fastidio, il sale sulla pelle? Io lo odio.
-No, non più di tanto.
Grazie, comunque.
Aveva acqua dolce a
sufficienza e s’era portata appresso il suo bagno schiuma preferito,
dall’aroma dolce e penetrante di rose e di violette, certo non indicato
alla pelle di un uomo, e glielo disse, quando venne fuori dal bagno con un
asciugamano legato intorno ai fianchi. Ho usato solo l’acqua, non mi
andava di odorare di rose, di violette e di gelsomini come un finocchio,
anche se ci siamo solo io e te, in questo posto fuori dal mondo.
L. gli andò abbastanza
vicino da poter sentire il rumore del suo respiro, l’odore salmastro
della sua pelle. Abbastanza vicino da non riuscire a resistere alla
tentazione di passargli le dita tra i lunghi, splendidi capelli che,
impregnati d’acqua, sembravano più lisci e più scuri di quanto non
fossero in realtà. Con la punta delle dita gli accarezzò la guancia, le
labbra, la gola…Era un invito, quello. Un invito sfacciato a fare quel
che in circostanze normali non avrebbe fatto mai, con uno sconosciuto, con
uno che veniva dall’altra parte del mondo e si portava appresso un
nomignolo ridicolo.
Aveva delle belle labbra,
soffici e calde. Aveva una pelle che sapeva davvero di sale. Di sale e di
uomo, giovane forte selvaggio e affamato…Un animale bellissimo, con la
criniera che stillava una pioggia di goccioline sul collo e che odorava di
sudore e di salsedine. L. gli cinse le grosse spalle con il braccio
sinistro. La vita con l’altro. E con la mano che non era impegnata a
giocare coi lunghi capelli umidi, liberò il suo corpo gagliardo dall’asciugamano.
Quattro
anni dopo
Cri le aveva telefonato,
come al solito. Era la sera del 7 marzo, e voleva proporle qualcosa di
divertente da fare insieme, per la festa della donna. Le solite idiozie,
la solita noia da consumarsi in una pizzeria e poi in un locale zeppo di
donne isteriche, pensò L. scotendo la testa, ma ci sarebbe cascata anche
quella volta. Cri, divorziata e senza figli, aveva, a quaranta passati, il
cervello di una quindicenne. Lei, in vita sua, follia ne aveva fatta una
soltanto, mentre Cri sembrava ne avesse bisogno come dell’aria che
respirava: spese pazze, amanti di cui poteva essere la madre. Avesse avuto
un marito, dei figli grandi, un po’ meno soldi di quelli che aveva,
forse…
-Dai, vieni anche tu…Semel
in anno licet insanire (una volta
all’anno è lecito ammattire N.d.A.)
Una volta all’anno. L’avrebbero
trascinata, lei e quelle matte delle sue amiche a vedere quattro buzzurri
depilati e unti che si spogliavano, come l’anno prima? No, stavolta si
va ad ammirare un uomo come non ce ne sono più. Solo al cinema,
purtroppo.
Un campo di grano. Una
grossa mano che accarezza le spighe. Un pettirosso che saltella sui rami
di un cespuglio. Il primo piano dei suoi occhi verde azzurri, assorti e
malinconici. Uly. Maximus. Russell Crowe.
FINE
Lalla,06/04/02
(Da un’idea di Lynn) |