L'Occasione
Esco dalla clinica intorno
alle 21 alla fine del mio turno di lavoro ed il freddo mi colpisce come
uno schiaffo in pieno viso. Rialzo la sciarpa e la premo contro la bocca
per evitare che l’aria gelida mi penetri nei polmoni.
Sono un medico anestesista,
mi occupo anche di terapia del dolore. E di dolore ne vedo parecchio tutti
i giorni. Il mio lavoro comunque mi piace, lo svolgo con passione e cerco
di non fare mai differenza tra un paziente e l’altro.
Lavoro in ospedale, ma
molte volte le mie prestazioni vengono richieste anche in cliniche private
e naturalmente io accetto di intervenire perche’ oltre a diversificare
il mio lavoro mi fanno guadagnare bene. Per evitare conflitti con le
equipe mediche che intervengono al di fuori delle strutture pubbliche,
accetto di intervenire soltanto alla clinica "Fiore di Malva",
la piu’ esclusiva della citta’.
All’inizio confesso che
il nome di mio padre, chirurgo di fama, mi servi’ per aprirmi la strada
nella giungla feroce di questo settore sanitario, ma poi la mia
professionalita’ e (non sono modesta) la mia bravura, mi aprirono molte
porte. Il nome di mio padre ora viene associato a me in modo diverso, ed
io ne sono assolutamente fiera.
Ho trentanove anni, mi
chiamo Adriana e gli amici mi chiamano scherzosamente Drin.
Sono alta 165 centimetri,
ho gli occhi neri e i capelli color cannella (naturalmente tinti) e a
quanto mi dicono sono una bella donna. Credo che sia cosi’, almeno, io
mi vedo cosi’.
Sono una persona molto
diretta, non sono falsamente modesta e ho anche una certa dose di
presunzione che nel mio lavoro, essendo donna, serve parecchio.
La mia vita sentimentale e’
piuttosto turbolenta, in questo periodo vedo una specie di Dr. Ross, che
lavora al pronto soccorso di pediatria e qualche volta usciamo insieme.
Di solito passiamo una
serata piacevole prima a cena, poi a teatro o a casa mia, o a casa sua,
dipende dagli sviluppi.
Quello che certamente non
mi aspettavo e’ che nella mia vita piombasse quest’avventura che mi
pare ancora del tutto irreale.
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Ero appena rientrata da una
bella vacanza alle Maldive, un piccolo atollo con soli sette alloggi, uno
diverso dall’altro, pieni di charme e privacy. Il fatto e’ che io feci
questa vacanza da sola, occupai quindi il bungalow doppio pur essendo una
single. Mi presero tutti per un’eccentrica un po’ pazzoide, forse
lesbica (gli sguardi degli altri ospiti parlavano chiaro): altrimenti
perche’ sarei stata sola in un posto da innamorati in luna di miele?
Naturalmente non mi
interessai piu’ di tanto ai commenti altrui, fu una settimana dedicata
al sole, al relax, alle lunghe nuotate con maschera e pinne per godermi il
colore dei pesci che popolano quell’arcipelago di sogno. Feci alcune
immersioni magnifiche e sfiancanti. Le nuotate quotidiane mi resero tonica
e piena di vitalita’, cosa che in citta’ era del tutto impensabile
dati i miei orari e il mio lavoro molto impegnativo.
Lasciai quindi quel
paradiso completamente rimessa a nuovo, tornai a casa abbronzata e in
grande forma. Ricevetti anche una proposta di matrimonio da parte di
Andrea (il Dr. Ross), e mi stupii non poco per questo.
Ci pensai anche seriamente
alla sua proposta, dopotutto l’eta’ per il matrimonio ce l’avevo ed
aspettare ancora mi avrebbe resa definitivamente zitella .
Ma chissa’ perche’
lasciai la cosa in sospeso, non mi pronunciai ne’ in positivo ne’ in
negativo.
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Quando il taxi mi lascio’
davanti a casa stava piovendo, cosa abbastanza normale, abitare a Milano e’
come abitare a Londra per quanto riguarda il clima .
Entrai in casa, il tepore
che mi accolse mi fece ritornare il sangue in circolazione, feci una
doccia e me ne andai a letto senza ascoltare neppure la segreteria
telefonica. E questo fu un errore, ma non potevo saperlo in quel momento.
Dormii come un sasso,
tuttavia qualcosa nel mio inconscio mi disturbo’ perche’ mi svegliai
in piena notte sudata e con il cuore che batteva all’impazzata.
Qualcosa mi disse di
ascoltare i messaggi registrati in segreteria telefonica e cosi’ feci.
Mi alzai e dopo aver bevuto
un bicchiere d’acqua misi in funzione il registratore. Naturalmente i
messaggi erano tanti come mi ero aspettata, ma li ascoltai comunque tutti
e con attenzione.
Purtroppo l’ultimo non
era stato registrato completamente a causa dello riempimento della
segreteria stessa.
Recitava cosi’: Ciao
Drin, sono Corradi, ti prego di cercarmi a qualsiasi ora tu arrivi a casa.
E’ molto importante, abbiamo un intervento da prima……………….
Fine del messaggio.
Erano le quattro del
mattino, l’ora del sonno piu’ profondo, quando veramente la tua mente
e tutto il tuo essere stanno riposando per compensare le energie spese
durante il giorno: come potevo svegliare Eugenio Corradi a quell’ora
della notte?
No, impensabile. Qualsiasi
cosa poteva attendere ancora un paio d’ore, non era il caso di allarmare
tutta la famiglia nel cuore della notte. Tuttavia non mi tranquillizzai
nonostante i miei sforzi per farlo.
Dopo qualche ora avrei
dovuto essere in ospedale, prendere le consegne, pianificare gli
interventi, giudicai possibile e sensato rimandare al mattino dopo la
telefonata a Corradi. Me ne ritornai a letto, e mi riaddormentai subito.
^-------^
Il brutto della fine di una
vacanza e’ che oltre a dover ricominciare da dove hai lasciato tutte le
cose, il lavoro, la casa, la famiglia ecc; devi anche rimetterti in
automobile al mattino nell’ora di punta ed iniziare la giornata
arrabbiandoti con i cafoni e i prepotenti che popolano le strade cittadine
al mattino.
Ormai da tanto tempo mi ero
ripromessa di non far caso a queste tirannie da parte degli schizzati di
turno, ma a volte e’ impossibile non cedere alla rabbia ed insultare
qualcuno che ti tratta come un’idiota.
Mi calmai, mi dissi che era
meglio mantenere la calma e il giusto equilibrio per affrontare la
giornata, entrare in sala operatoria gia’ in fibrillazione non
prometteva nulla di buono.
Non era quello che ci si
aspettava da me.
Entrai in ospedale dove ho
un piccolo studio che mi serve anche da spogliatoio. Mi liberai degli
strati di vestiario multipli, tolsi gli stivali di capretto tinta caffe’
che amavo tanto, infilai il camice bianco e gli zoccoli d’ordinanza.
Uscii dallo studiolo e mi
diressi al distributore automatico del caffe’, stranamente quel mattino
non c’era nessuno.
Mi diressi poi alla sala
dei palinsesti (cosi’ amavamo definirla). Era una grande sala con
diverse sedie intorno ad un grande tavolo rotondo. Un tabellone magnetico
giganteggiava su una parete. Sul tabellone erano indicati gli interventi,
gli orari degli interventi, le equipe mediche abbinate a quegli interventi
e quant’altro.
Cercai il mio nome e lo
lessi accanto ad un intervento di asportazione di un’ernia del disco su
una giovane donna: come inizio non era poi cosi’ catastrofico, si
trattava di una lombare, un intervento di routine.
Raggiunsi velocemente la
sala operatoria indicata sul tabellone, prima di entrare mi lavai, mi
infilai il camice verde e le calzature appena uscite dall’autoclave, la
cuffietta e i guanti.
I miei colleghi mi fecero
cenni di benvenuto attraverso il vetro che separava la sala operatoria,
sorrisero sotto le mascherine ed ammiccarono alla mia abbronzatura.
Tutto procede bene dissi
tra me, si ritorna alla normalita’.
Appena preparata la
paziente con una dose di tranquillante, praticai l’iniezione lombare
(tecnica nella quale eccellevo, senza falsa modestia) con fermezza e senza
indecisione. La giovane paziente sorrideva per farsi coraggio e si stupi’
di non aver sentito alcun dolore. Ora era piu’ rilassata e anche tutti
noi lo eravamo.
Il chirurgo procedette
quindi all’intervento che duro’ circa un’ora, senza alcun intoppo ne’
complicazione.
L’intervento era
tecnicamente terminato ed io stavo accingendomi ad uscire dalla sala
operatoria quando qualcuno busso ’alla porta a vetri della sala stessa.
Tutti ci voltammo verso l’ingresso e fui molto sorpresa di vedere
Eugenio Corradi dietro il vetro che mi faceva cenno di uscire subito.
Avevo completamente
dimenticato di richiamarlo. Mi arrabbiai per questo, non era da me
trascurare la richiesta di un collega. Un collega come Corradi poi! Uno
dei migliori per quanto riguarda la ricostruzione di tendini, legamenti e
funzionalita’ articolare.
Corsi fuori imbarazzata,
scusandomi ancor prima che lui aprisse bocca.
Non mi lascio’ il tempo
di parlare.
"Drin! Perche’ non
hai richiamato? Ti avevo pregato di farlo ad ogni costo, era molto
importante!"
"Scusami Eugenio –
risposi – ma non so come sia potuto accadere, questa mattina il tragitto
in auto da casa mia mi ha annientata e ho dimenticato di richiamarti. E’
troppo tardi?"
"Dipende da te. Come
sei messa con l’ospedale, i tuoi interventi di oggi? Sei sostituibile?
Qualcuno puo’ coprirti?"
"Non so… se e’
necessario.. devo parlare con i colleghi: Ma che cosa c’e’ di cosi’
importante?"
"Russel Crowe"
rispose Corradi senza aggiungere altro.
"Russel Crowe?"
dissi io di rimando guardandolo come se fosse un po’ tocco.
"Si, lui, il
Gladiatore - confermo’ Eugenio - e’ a Milano lo sai, partecipera’ al
concerto di Armani con la sua band" concluse.
Non lo sapevo? Certo che lo
non lo sapevo. Non ero certo al corrente di tutti gli spostamenti di un
attore che oltretutto per me non era nulla di speciale.
"Che cosa c’entro io
con Crowe Eugenio? Fami capire" gli chiesi
"Ha un problema ad una
spalla, si e’ riacutizzato un dolore dovuto ad una ricostruzione che gli
fecero in seguito ad una caduta. Non riesce quasi a reggere la
chitarra." Disse ancora Corradi.
"Il concerto sara’
tra cinque giorni, e’ un concerto di beneficenza, non vuole mancare, ma
cosi’ non puo’ neppure muoversi, soffre molto" lo disse con una
semplicita’ sconcertante.
O Signore pensai, soffre
molto? Poveretto, cerchiamo di aiutarlo dissi tra me.
"Caro Eugenio, io sono
a tua disposizione, ma come posso aiutarti?" domandai
"Assistimi in sala,
dovro’ anestetizzarlo" disse
"Scherzi? Per cosi’
poco vuoi anestetizzarlo? " domandai incredula
"E’ indispensabile,
ha una microfrattura e bisogna ridurla chirurgicamente, altrimenti non
avra’ piu’ la possibilita’ di vivere senza essere accompagnato
perennemente da un dolorino alla spalla. Sembra una cosa da nulla, in
realta’ e’ qualcosa che a lungo andare ti esaurisce: allora?"
disse poi guardandomi negli occhi. "sai che io mi fido ciecamente di
te" –prosegui’ – "e in questo caso piu’ che mai mi
aspetto che tutto vada bene. Sai, potrebbe essere un grande lancio
pubblicitario. Hai qualche problema?" concluse.
"Problemi? Io? No, e’
un paziente come un altro –risposi non del tutto certa di essere
sincera-, quando lo vediamo?"
"Subito" rispose
sorridendo Eugenio Corradi, ed io mi sentii mancare.
Mi giustificai con il
primario di terapia antalgica e gli feci firmare un ordine per un
intervento fuori ospedale. Entrai poi nel piccolo bagno che serve a tutti
noi per ricomporsi dopo gli interventi e le visite e guardandomi allo
specchio pensai: sto sognando. Intanto mi vestii, pensai di truccarmi, ma
non lo feci. Mi spruzzai un po’ di profumo sul collo, mi pettinai.
Rimasi a guardarmi allo specchio ancora un po’, tanto per darmi un po’
di coraggio. Io, Adriana Covrieri, degna erede del grande chiururgo a cui
erano dedicati interi padiglioni negli ospedali, mi sentii come una
quindicenne al suo debutto.
^-------^
Eugenio Corradi mi
attendeva in macchina. Scese ad aprirmi la portiera, la richiuse e risali’
in macchina velocemente.
Non parlammo lungo il
tragitto verso la clinica "Fiore di Malva", lui sembrava
addirittura essere un po’ sotto pressione. Io, comunque, non stavo
meglio di lui.
Mi domandavo cosa sarebbe
successo quando ci saremmo trovati di fronte alla star del momento se gia’
prima di incontrarlo ci sentivamo cosi’.
Arrivammo alla clinica,
Corradi parcheggio’ l’automobile di fianco a un’auto nera con i
vetri oscurati. Forse sara’ di Crowe pensai.
Il parco della clinica e’
spettacolare, alberi secolari ne proteggono la facciata alla vista dei
passanti, i bei balconi rinascimentali ne decorano la facciata, tutto
sembra tranne che una clinica.
Salimmo insieme la
scalinata principale fino ad arrivare alla sala di ricevimento, decorata
con pannelli di quercia antica e ammobiliata con bei mobili del settecento
piemontese e lombardo.
Corradi si informo’ sul
paziente mentre io mi sedetti di fianco ad un busto di marmo raffigurante
il fondatore della clinica. Guardai l’orologio, erano le undici appena
passate.
Ero talmente assente che
non sentii il tocco di Corradi sulla mia spalla quando disse: Drin, c’e’
Mr. Crowe. Rimasi assolutamente abbacinata dallo sguardo profondo e
beffardo, assolutamente sincero e accattivante. Mi tese la mano Mr Crowe,
dicendomi, in inglese, che era felice di incontrarmi.
Benedissi in cuor mio mio
padre e mia madre che mi avevano costretto a vivere in Inghilterra un po’
di tempo per imparare a parlare l’inglese come un’inglese o quasi. Fu
automatico il mio rispondere nella sua lingua, lui sorrise e mi strinse
piu’ forte la mano. I suoi occhi non si staccarono dai miei, fu io ad
abbassare lo sguardo, arrossendo sicuramente, come un’educanda.
Mi fisso’ a lungo e poi
mi lascio’ la mano.
Ci spostammo in una stanza
attigua, ci sedemmo su due divanetti, io lo avevo di fronte.
Corradi aveva gia’
parlato con lui, ora voleva che fossi io a spiegare che cosa lo avrebbe
aspettato in sala operatoria. Gli sorrisi, non piu’ in imbarazzo ora.
Parlando da professionista la mia stupida timidezza scomparve.
Egli fu attento ed educato.
Tenne una gamba appoggiata sull’altra, torturandosi l’orlo dei
pantaloni, evidentemente un po’ nervoso per l’intervento.
"Io saro’ nelle sue
mani" disse semplicemente "lei mi avra’ completamente
abbandonato ed inerme" Lo disse languidamente, in modo strascicato.
Mi fece sentire un brivido al ventre.
Fui colpita dal grande
magnetismo che il suo corpo sprigionava. Egli si muoveva come se ogni suo
gesto, spostamento o quant’altro, fosse compiuto per conquistare le
persone che aveva di fronte. Si riconosceva una forte e guizzante
muscolatura attraverso la giacca grigio antracite che indossava, il torace
si intravvedeva poiche’ la sua camicia era aperta sul bel collo
possente. Notai la regolarita’ dei suoi lineamenti, la bocca sensuale,
le piccole orecchie perfette.
Per un attimo mi chiesi se
non sarebbe stato meglio affidarlo alle mani di qualcuno meno coinvolto
emotivamente.
Corradi intervenne dicendo:
"l’intervento e’ fissato per domani mattina, Mr Crowe, questa
notte dovra’ fermarsi in clinica oppure promettermi che osservera’
alcune regole e se ne andra’ a letto presto"
Egli rise scoprendo i denti
piccoli e bianchissimi.
"Restero’ qui"
disse "se esco non assicuro di comportarmi nel modo richiesto, meglio
rimanere qui". Sentii una scarica elettrica passarmi lungo la
schiena, come se qualcuno mi accarezzasse con vigore e dolcezza nello
stesso tempo. Alzai lo sguardo e vidi i suoi occhi puntati esattamente
dentro i miei. Mio Dio, pensai, che cosa sta succedendo? Anche lui sente
quel che sento io?
Ci congedammo da Mr. Crowe
e io gli dissi che sarei passata verso sera per una visita preoperatoria.
Lui sorrise ancora con lo sguardo da pirata e socchiuse la bocca,
pizzicandosi leggermente la lingua tra i denti. Rimasi allocchita, sorrisi
e mi voltai per andarmene.
"A piu’ tardi Mrs.
Drin" disse con voce bassa e vellutata "non si faccia
attendere".
Quel che successe quel
pomeriggio non lo ricordo con chiarezza. Fluttuai tra il verosimile e il
sogno, senza svegliarmi mai del tutto. Russel Crowe "sei vero?"
mi domandavo. E ridevo e tremavo e gemevo di piacere al pensiero del
contatto della sua mano e al ricordo dei suoi occhi e della sua voce.
Eppure fino a quel giorno
non mi ero quasi accorta dell’esistenza di quell’uomo.
Cosi’ mi feci una doccia,
sostitui il reggiseno e gli slip di cotone bianco con reggiseno e slip di
pizzo verde acqua. Il perche’ non seppi spiegarmelo, ma intuivo che il
desiderio di entrare in piu’ intimo contatto con lui, con Mr. Crowe, si
stava facendo strada con grande prepotenza.
Trascorsi il resto del
pomeriggio ad ascoltare musica, misi le cuffie e mi rilassai coricata sul
divano pensando che tra poco sarei andata in clinica per visitarlo.
Sorrisi tra me e questo mi schiari’ del tutto le idee.
^--------^
Quando giunsi nel cortile
della clinica era buio e la serata gelida.
Passai davanti all’accettazione
dove si erano radunate alcune persone per ritirare le cartelle cliniche
inerenti i loro ricoveri.
Sostai nello studio dei
paramedici al secondo piano, dove lui era ricoverato, e lessi la sua
cartella cinica. La serie di esami preoperatori era completata ed il mio
paziente risultava essere in ottima salute.
Quindi uscii dallo studio e
mi diressi verso la sua camera. Le camere delle cliniche non hanno chiavi
nelle serrature, quindi la porta era aperta. Naturalmente prima di entrare
bussai ed attesi la sua risposta. Non udii risposta e pensai che non fosse
in camera. Socchiusi quindi la porta ed entrai. Le luci erano tutte
spente, tranne la luce al neon sopra al letto, che era intatto. Sentii lo
scroscio della doccia in bagno e capii perche’ non aveva risposto.
Ero indecisa sul da farsi.
Ero anche intimidita e non sapevo come comportarmi. Non ero certa di voler
restare li’ ad aspettarlo, forse era meglio uscire e ritornare piu’
tardi. Tuttavia rimasi inchiodata al pavimento.
Lui usci’ dopo pochi
minuti, i capelli lunghi bagnati e pettinati all’indietro, i piedi
scalzi e l’accappatoio chiuso con la cintura.
L’atmosfera era satura di
elettricita’, quello non era un semplice incontro tra paziente e medico,
sembrava piu’ l’incontro finale di due poli che si attraggono.
Sorrise (il sorriso, notai
ancora, era cosi’ piratesco ed accattivante da spiazzarti completamente)
e si scuso’ con un cenno per l’abbigliamento. Io feci un cenno con la
testa, affondando le mani a pugno nelle tasche del camice. Ebbi l’impressione
che lui si trovasse a suo agio di fronte al mio imbarazzo. Ebbi anche l’impressione
che lui sapesse benissimo che cosa mi stesse succedendo e non ne fu
sorpreso.
Si avvicino’ al letto
sempre senza parlare. Ci si sedette prima e poi si corico’. Il letto era
sollevato e pertanto il risultato fu che me lo trovai seduto sul suo letto
con la testa appoggiata ai cuscini.
Disse:" Buonasera
dottoressa, e’ qui per la visita?"
Non risposi, non riuscii a
profferire verbo.
Tutti e due eravamo
consapevoli di quanto la tensione sessuale fosse travolgente in quell’istante.
Mi avvicinai al letto, lui
alzo’ un braccio per sfiorarmi il collo. Si sollevo’ completamente e
diritto di fronte a me mi fece scivolare le braccia sotto le ascelle, mi
fissava negli occhi, il suo sguardo non cesso’ mai di essere fisso nel
mio. Mi sentii quasi incantata da quegli occhi pieni di desiderio. Mi
sbottono’ il camice e rimasi solo con gli slip e il reggiseno. Si
abbasso’ di fronte a me e mi affondo’ la lingua nell’ombelico, un
istante, poi si rialzo’, mi abbraccio’ e mi bacio’ a lungo
esplorando la mia bocca con la lingua. Le sue mani, dalla vita salirono
lentissimamente lungo la schiena, fino a fermarsi sulle spalle, mi volto’
poi bruscamente, facendomi cadere sul letto. Lui era ancora in piedi e mi
imprigiono’ le ginocchia con le sue gambe. Il mio corpo sembrava essersi
staccato da me, il desiderio che mi travolgeva ero lo stesso che stava
travolgendo lui.
A lungo mi accarezzo’ e
mi bacio’ dappertutto facendomi quasi urlare di piacere.
Mi resi conto in quel
momento che vi erano diversi modi per fare sesso, questo era pero’ molto
diverso da quello che avevo provato prima di allora.
Egli mi sussurro’ parole
infuocate quando mi penetro’ con forza facendomi sussultare. Era sopra
di me e potevo vedere i suoi occhi completamente aperti che ondeggiavano
avanti e indietro, la bocca leggermente aperta, il solito impercettibile
sorriso da pirata sulle labbra.
Quando fui pronta lui se ne
accorse, mi sembrava cosi’ evidente e naturale…
Raggiungemmo insieme l’orgasmo,
qualcosa che io non avevo mai neppure sognato potesse accadere prima di
allora. In quell’istante capii che la mia vita non sarebbe mai piu’
stata la stessa. Affondo’ la testa fra i miei capelli, porto’ la sua
mano sulla mia gola, premendola leggermente, poteva sentire il mio cuore
battere all’impazzata sotto la sua mano.
Sperai di morire in quell’istante,
sarebbe stato perfetto, invece lui scivolo’ fuori da me, appoggio’ la
testa sulla sua mano e stava a guardarmi. Disse "tu sei una donna
eccezionale dottoressa, mi hai quasi fatto scoppiare il cuore di
desiderio, ho pensato a te tutto i giorno".
Poi si alzo’ e si diresse
in bagno completamente nudo mostrandosi senza alcun pudore. Io mi coprii
con il lenzuolo, sorrisi al pensiero che chiunque avrebbe potuto entrare,
noncurante di cio’ che avrebbe potuto vedere.
Ritorno’ con un
asciugamano intorno ai fianchi e mi fece cenno di entrare in bagno. Mi
aiuto’ a lavarmi, mi accarezzo’ con grande dolcezza. Continuo’ ad
accarezzarmi finche’ io credetti di svenire per il piacere. Si sedette
sul bordo della vasca da bagno e mi sollevo’ fino a farmi sedere a
cavalcioni su di lui che era gia’ pronto per penetrarmi ancora una
volta. Credetti di non dover piu’ uscire da quel paradiso che mi stava
annientando, lui aveva gli occhi serrati ora e per un attimo pensai che
stesse per esplodere dentro di me, e l’esplosione ci fu e fu ancora piu’
travolgente, era come una marea che ci stava sommergendo, sempre di piu’,
sempre di piu’. Ci ritrovammo, non so come, coricati sul pavimento
freddo, ansimanti come due naufraghi.
^---^
Quando fui di nuovo vestita
gli dissi che io ero li’ per visitarlo, per prepararlo all’intervento
del mattino dopo. Mi disse che aveva cambiato idea, che non voleva piu’
farsi operare. "Mio Dio" pensai "sicuramente la mia scarsa
serieta’ lo ha dissuaso…"
Non mi diede altre
spiegazioni e mi prego’ di avvertire l’ufficio accettazione di questa
sua decisione. Fece chiamare uno dei suoi bodyguard che sarebbe giunto di
li’ a poco con una cameriera per preparare i bagagli.
Stavo ancora vivendo un
sogno, non sapevo come uscirne. Gli domandai: "ti rivedro’?"
Rispose: "no darling,
non ci rivedremo". Ma lo disse con un senso di impotenza e anche di
rammarico. Sostanzialmente questo non cambiava lo stato delle cose. Si
avvicino’ e mi cinse il collo con una mano, baciandomi affondo’ la sua
lingua dentro la mia bocca, ed io morii per l’ennesima volta.
Quando uscii i suoi uomini
non erano ancora giunti, ma io non mi soffermai piu’ a lungo, e non mi
voltai. Sapevo che lui era sulla soglia della camera, ma non mi voltai.
Non mi cambiai neppure,
infilai il cappotto, afferrai i miei indumenti e scappai via.
^---^
Ed ora sto tornando a casa
dopo aver finito il mio turno in ospedale. Sono passati tre mesi da
allora, naturalmente non ho piu’ avuto sue notizie se non
indirettamente, attraverso i giornali o la televisione. So che sta vivendo
un momento incredibilmente favorevole. Io il mio l’ho gia’ vissuto,
con lui, quel pomeriggio.
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