Lecita follia
Mi chiamo Margherita
Smithers: il motivo di questo nome? Se ve lo dico
promettete di non ridere? Promettete? … Bè, il mio
papà, di origine inglese, ha conosciuto la mia mamma,
italianissima, durante un viaggio a Frosinone. Lui all’epoca
era studente di legge e dice di essersi innamorato della
mamma al primo sguardo. Bè, la prima sera l’ha
portata in una pizzeria, quando lei è rimasta incinta
di me il mio papà ha deciso che mi avrebbe dato il nome
della cosa che aveva mangiato la sera del loro primo
appuntamento … ogni giorno del mio compleanno alzo gli
occhi al cielo e ringrazio il Paradiso intero che, in
quel tanto celebrato giorno, non abbia fatto ordinare a
mio padre una sogliola o che so io … la polenta con la
porchetta. Per tutta la vita mi sono portata dietro
questo nome, che adesso mi piace, ma che da piccola mi
ha dato non poco filo da torcere. Ho passato metà della
mia infanzia in disparate città italiane e tutta la mia
adolescenza e oltre in giro per l’Europa e per il
mondo… mia madre era impiegata al Ministero e papà
avvocato. Per il lavoro di mamma abbiamo passato un bel
po’ di tempo a viaggiare: cinque anni a Roma, cinque a
Londra, tre a Washington DC, tre a Bonn … ah, per la
cronaca, io mi sono laureata in legge a Yale … ho
seguito le orme di papino, ma non sono avvocato, tutt’altro.
La mia vita ha avuto risvolti ben diversi … viaggia di
qua e viaggia di là, con papà inglese e mamma “italiana-giramondo”
ho imparato tre lingue come l’Ave Maria. E questo
faccio … lavoro ormai da tre anni come interprete,
segretaria, traduttrice, seconda moglie, cameriera,
babysitter, sguattera, serva e schiava del mio capo …
all’Ambasciata Australiana di Berlino in Wallstrasse
76-79. Ah, all’occorrenza sono anche guida turistica
dell’Ambasciata stessa, se la situazione lo richiede.
Ma vi stavo dicendo del mio nome…bè, voi sapete come
sanno essere cattivi i bambini … e poco furbi certi
genitori, che con tutta l’ingenuità di questo mondo
vanno a raccontare a tutti come mai hanno dato un certo
determinato nome alla loro figliola….da quell’infausto
giorno battute del tipo “con o senza origano” o
versioni più audaci del tipo “ti voglio con doppia
mozzarella” si sono sprecate; ma crescendo impari a
non farci caso e anzi, il tuo nome diventa motivo di
orgoglio…e impari anche a ridere di te stessa, come
quella volta in cui mi sono presentata ad un belloccio
del mio corso di diritto penale dicendo “sono
Margherita, come la pizza!” Si è innamorato di me al
primo assaggio … volevo dire sguardo. Ad ogni modo
eccomi qui, come dicevo, da tre anni al servizio, nel
vero senso della parola, di un tale che mi tocca
chiamare capo, di cui non faccio il nome per ragioni di
ordinaria decenza e che un giorno è stato la vera e
propria causa della famosa “goccia”, quella che fa
traboccare il vaso, che fa straripare i fiumi, quella in
grado di tirare fuori la bestia anche da una donna che
fino a poco prima era pronta a definirsi posata ed
equilibrata. Ma occorre andare con ordine perché già
vi vedo belle che secche.
Il punto, il punto …
ora ci arrivo…
Tutto è cominciato in
quel freddo mese di Febbraio di un anno fa, sì, il mese
del Berlinale, quello in cui la città è presa d’assalto
da ogni sorta di animale da cinema pronto a farsi la
maratona del festival cinematografico, o la posta
davanti a tutti gli alberghi possibili e immaginabili in
attesa della sua celebrità preferita. Lo so perché mi
è capitato più volte di andare a fare da interprete a
queste megagalattiche conferenze stampa piene di
attoroni e attorone che non spiccicavano una sola parola
di tedesco. E allora ecco che interviene Margherita, che
vi salva la vita! Non male come esperienza, però, ne ho
viste di celebrità, che almeno sono un po’ più
guardabili del capo e che appunto per questo rendono
più sopportabili i loro capricci. In realtà amo il mio
lavoro, lo amo dal primo giorno in cui ho incominciato a
farlo e come potrebbe essere diversamente? Viaggio un
sacco, vedo gente sempre nuova e interessante, lo stress
è ampiamente ripagato da tutte queste soddisfazioni …
ho sempre creduto. Ma arrivano dei momenti in cui ….
Sì, anche le pizze escono dal forno belle che bruciate.
Febbraio dicevo …
non era da molto che avevo finito di traslocare nella
mia nuova casa, finalmente da sola e indipendente? Bè,
considerando che la mia ex-casa era occupata dal mio
ex-ragazzo probabilmente intento a condividere il nostro
ex-letto con la mia ex-compagna di appartamento, non mi
sembrava l’inizio di un periodo così edificante della
mia vita…ma come si dice…chi ben comincia…e le mie
intenzioni erano più che buone: mese nuovo, vita nuova!
La mia casetta non era male, decisa a sponsorizzarmi
fino all’ultimo centesimo da sola, non avevo scelto un
appartamento di molte pretese. Preferivo qualcosa in
centro piuttosto che una casa stracostosa alla
periferia. E così ho fatto. Un bell’appartamentino
vicino al Tiergarten, sì proprio lui …il famoso “Zoo
di Berlino” dove i famosi “ragazzi” andavano a …
bè, la storia è nota. Dunque, casa dolcissima,
soprattutto dopo il mio tocco personale: le candele
profumate alla vaniglia per il salotto e alla mela verde
per il bagno, le foto delle mie amiche più care appese
alla parete e i miei cd in bella vista sulla scrivania…un
dettaglio che vivessi al quarto piano senz’ascensore
… tutta salute per i glutei d’acciaio che mi sarei
fatta. “Margherita dai glutei d’acciaio” … non
male come idea, potrei pensarci per la prossima serie
dei miei biglietti da visita. Tutto bene, dunque? Sì,
fino a quella mattina…no a QUELLE mattine, a quella
settimana, a quei maledetti sette giorni che mi hanno
poi portato al famoso giorno dell’esplosione finale.
Sapete come si dice, …lo diceva un tizio famoso, un
tale Shakespeare (sì, sempre lui), “le disgrazie non
vengono mai sole” e porco giuda se quell’uomo le
sapeva tutte! Bè, stavo tornando a casa dopo una
giornata ultra piena: il mio capo non mi aveva fatto
uscire fino all’ultimo, così bravo ogni volta a
trovare all’ultimo secondo, tutti gli impegni da
organizzare in una volta sola e via a far riecheggiare
il mio nome per i corridoi dell’Ambasciata emettendo
lo stesso suono che esce dalla bocca di un maiale in
fase di macellazione. Occhi al cielo, ma subito
efficiente agli ordini, dottore. Ma in fondo non gli si
poteva voler proprio male, dava la vita per il suo
lavoro, d’accordo, ne succhiava anche un po’ della
mia, ma non si poteva negare che provasse nei miei
confronti grande stima. Non perdeva occasione di farmelo
notare con sguardi molto compiaciuti … al di là di
ogni tentazione per la sottoscritta… ma senza dubbio
compiaciuti. Fatto è che, dopo un’altra giornata
estenuante, tra telefonate, pacchi e pacchi di documenti
da tradurre, corse a destra e a manca a soccorrere i
poveri dipendenti che di tedesco ne masticavano poco,
insomma, il delirio, torno a casa con un solo unico
desiderio: guardarmi il mio programma preferito “la
Tata”, la paladina di tutte le bambinaie. Mi stravacco
sul letto (a due piazze belle comode tutte per me) e con
il telecomando accendo il televisore lasciato in
stand-by. Primo tentativo … nulla, secondo…niente.
Guardo il telecomando come se all’improvviso dovesse
parlarmi … non proferisce verbo. Santa polenta, penso,
devono essersi scaricate le batterie. Sono le sette
passate … ormai sti fancazzisti tedeschi hanno già
chiuso da ore i negozi…farò a meno del telecomando e
userò i tasti del televisore rinunciando alla comodità
del lettone. Seduta per terra metto in moto la scatola a
colori. Che bello, penso, proprio la puntata che non
avevo visto; quella che ogni volta non riesco a vedere
fino alla fine per qualche imprevisto, quella in cui
forse Francesca riesce a baciarsi il Signor Sheffield.
Sono anni che mi riguardo tutta la serie per arrivare a
quella puntata … ecco, ecco il punto che aspettavo …
ma no … ma NO!! Che cosa succede?!?! Sbraito da sola
per la casa di fronte ad un televisore che d’improvviso
si è spento da solo. Guardo se per caso la spina si è
staccata, no è tutto a posto. Accendo e spengo la
televisione più volte … cambio anche canale … nulla…è
venuto a mancarmi proprio sul più bello. Avvilita ci
rinuncio e rimango nel silenzio del mio salotto a
chiedermi due cose: Margherita, perché hai fatto la
taccagna e ti sei comprata un televisore di seconda
mano? E poi … Ma Francesca l’avrà poi baciato il
Signor Sheffield? Nessuna delle risposte date alle due
domande mi avrebbe di certo aggiustato il televisore.
Che fare? Il tecnico
lo si può chiamare solo tra due giorni visto che il
Sabato e la Domenica non lavorano. Pazienteremo…
stanca, me ne vado a letto.
Il buon giorno si vede
dal mattino? Mai detto fu più profetico! Mi alzo ormai
con l’orologio biologico fissato per le sei
abbandonando ogni speranza di recuperare quelle due o
tre ore di sonno perdute durante le ore di
straordinario. Ciò che adoro più di ogni altra cosa
appena alzata è bermi un bel bicchiere di succo d’arancia
bello fresco. Con il sole che già dalle prime ore del
mattino mi illumina a giorno la stanza, mi dirigo
sorridente verso il frigo non senza prima aver lanciato
uno sguardo di sfida al televisore che osa guardarmi
spento e minaccioso. Dopo due sorsi di spremuta mi
accorgo che non è affatto fredda … in effetti,
nemmeno aprendo la porta del frigorifero ho notato la
fuoriuscita di quella piacevole brezzolina tipica. Per
pura curiosità, velata comunque da un certo sospetto,
tocco il cartone del latte, la bottiglia dell’acqua e
…tanto per farmi un altro po’ di male, apro il
congelatore: una pozza d’acqua … oh santa …
santissima polenta! Ma sono ancora ottimista, forse mi
è partita la luce durante la notte … con gesto
automatico allungo una mano verso l’interruttore senza
staccare gli occhi dal frigorifero e accendo la luce. La
luce si accende. Altra controprova … guardo la
radiosveglia: se fosse partita la luce, la si vedrebbe
lampeggiare, ma non lampeggia. Sospetto, tremendo
sospetto…è partito anche il frigorifero. Mi siedo per
terra: no, non può essere vero … e adesso che cavolo
faccio? Ma niente panico. A tutto c’è rimedio. Sono
solo due giorni. Devo solo aspettare Lunedì … l’inizio
di una nuova settimana, quando il mio capo torna tutto
bello pimpante e con la voce rischiarata pronto ad
ululare come un eunuco del “teatro sotto la scala”,
il mio nome, manco fosse un grido di guerra:
“Margheritaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!”
“Sì, mi dica,
dottore.”
“Per favore,
Margherita, sarebbe così gentile da controllarmi queste
fatture, me le ha mandate l’avvocato di mia moglie,
secondo me c’è qualcosa che non quadra, lei che se ne
intende, le guardi un po’ …”
“Va bene.”
“E poi senta,
Margherita, ci sono queste quattro dichiarazioni fatte
dal rappresentante degli agricoltori tedesco che
andrebbero tradotte, sono quasi urgenti …”
“Sì, dottore”
“… ah, se poi
fosse così cortese da mandarmele per email così ne
prendo visione …”
“Certamente.”
Faccio per dirigermi
nel mio ufficio.
“Ah, Margheritaaa.”
Scherzavo.
“Mi dica, dottore”
“Quelle fatture …
che le ho dato, se potessi contare sulla sua solita
discrezione…”
“Senza dubbio.”
Sono quasi alla porta,
ce la posso fare.
“Margheritaaa..”
Alzo gli occhi al
cielo …
“No, mi sono
dimenticato cosa volevo dirle.”
Andiamo bene …
Seduta nel mio ufficio
tra le pratiche di divorzio del mio capo e il lavoro
ufficiale datomi sempre da lui, i problemi del fine
settimana devono per forza essere messi da parte. A meno
che non crollino mentre sono assente, penso, le quattro
mura e il tetto sulla testa per cui ho pagato,
dovrebbero essere ancora garantiti.
Bussano alla porta.
“Hey, Margherita, mi
han mandato sta roba dall’Ambasciata italiana, tu non
è che ci capisci qualcosa?”
“Fammi un po’
vedere …” scruto … chiedo “perché l’han
mandata a noi sta roba?”
“E che ne so, mi han
detto di chiedere a te se avessi avuto problemi a capire
di che si trattasse. Hai molto da fare?”
Lo guardo come se
potessi fargli capire con un solo sguardo che ne ho fin
sopra i capelli di roba da fare. Speranza vana, è un
uomo, come potersi aspettare tanto? E poi, diciamocelo,
io sono troppo buona e, lo confesso, tradurre dall’italiano
mi piace da morire, quindi capitolo.
“Dai lasciamela qui
che vedo che posso fare.”
“Grazie, sei
gentilissima”
Nella mezz’ora
successiva … l’inferno: quattordici telefonate una
dopo l’altra smistate per errore dal centralino al mio
telefono … con i relativi insulti delle persone che
speravano di parlare con non so chi e si ritrovavano
invece a parlare con Margherita Smithers. “Margherita
chi?” … ‘quella che vi salva il deretano ogni
volta che mandate un ministro che non capisce un’acca
di tedesco’, avrei voluto dire a tutti questi
faccioni … ma anni in Ambasciata ti insegnano le arti
basilari della diplomazia, e poi io sono una signora…almeno
credevo di esserlo…fino a quel giorno famoso. Le
quattordici telefonate sono state intervallate da
entrate e uscite di individui di varia natura con vari
plichi da tradurre di altrettanta dubbia origine; non
parliamo poi delle varie richieste extra: “Margherita,
ti spiace dare un’occhiata a questo?” “Margherita,
saresti così gentile da dare una letta a quello?” “Margherita,
secondo te come si può mandare a quel paese un paese
senza veramente dirglielo in modo esplicito?” “Margherita
…” “Margherita”, e tra tutte, quella del mio
uomo, “Margheriiiiiiiitaaaaaaaaaaaa”, il mio capo
… la testa mi scoppia, ma scatto come una molla,
mentre ancora mi preme sapere se Francesca si è baciata
il signor Sheffield.
“Margherita, senta,
sono pronti i documenti che le ho dato da tradurre ieri?”
“Ieri era Domenica,
dottore”
“L’altro ieri,
allora.”
“Era Sabato.”
“Ma, lei ce li ha
pronti o no, Margherita?”
“Temo di non aver
ricevuto i documenti di cui parla, dottore.”
“Giusto … giusto
…adesso glieli do.”
‘e poi mi chiedo
come mai la moglie l’abbia lasciato’
Faccio per tornarmene
ai miei appartamenti. E sento un ribollio nel sangue.
Sento il mio capo al
telefono che parla animosamente.
“Sì, … sì …
ah, questo non l’avevamo previsto … ma sì certo, ho
chi può fare al caso vostro.”
Chissà perché ho un
atroce sospetto … sento nelle vene che tra poco
sentirò pronunciare per l’ennesima volta:
“Margheriiiitaaa!!!”
‘NO, basta, non ne
posso più!’
Mentre mi dirigo verso
il mio ufficio con l’intenzione di chiudermici dentro
e buttare via la chiave, vedo un altro dei miei numerosi
colleghi pronto a venirmi incontro con un altro
malloppone dei suoi, ma mi sa che farà una brutta fine.
Lo guardo malissimo ed è come se la mia femminilità e
soprattutto signorilità sia d’improvviso stata
soppiantata da un’incredibile donna-Hulk: verde di
rabbia e con la bile che esce da tutti i pori. C’è un
solo posto dove non mi si può venire a bussare … il
bagno delle signore.
Mi ci chiudo dentro
sbattendo la porta. Mi appoggio al lavandino guardando
verso il basso … ‘calma, devo stare calma o li
ammazzo tutti’. Mi guardo allo specchio … per
fortuna il trucco è ancora intatto, ma io sto per
diventare matta se ancora sento deturpare il mio nome
per loschi fini. NO, quel che è troppo è troppo,
arrivano giorni in cui non è più il tuo buon senso a
scegliere, ma qualche altra parte del tuo cervello. E
qualche volta dare retta anche a quella vocina non fa
poi così male. Ho bisogno di una pausa e un bel giretto
per l’Ambasciata farà proprio alla bisogna. Di
soppiatto esco dalla porta del bagno accertandomi che
non ci sia nessuno nel corridoio. Apro la porta, scendo
lo scalone che mi porta in un’altra ala del palazzo.
Il fatto di essere stata usata spesso da guida per le
scolaresche o le varie mogli dei ministri, mi ha
permesso di imparare a conoscere quell’edificio come
le mie tasche. Arrivo nell’atrio, ho un tale nervoso
addosso che non riesco a calmarmi; l’atrio è così
spazioso e luminoso, l’ideale per farsi passeggiate
scarica-nervi. Ma non riesco nemmeno a camminare,
combattuta tra il desiderio di ribellarmi e il senso di
colpa per essermene andata lasciando il mio povero capo
a cantare il mio nome senza risposta. C’è una piccola
sala d’aspetto dietro ad una discreta porta nella
parte sinistra dell’atrio, entro e appoggiandomi al
termosifone mi escono i soliti famosi gargarismi.
“Fanculo … fanculo
… fanculo!”
“Eh sì, sono d’accordo.”
Trasalgo … non sono
sola. Mi giro di scatto…osservo … ma chi è sto
buzzurro che si presenta in Ambasciata in jeans,
scarponcini neri di pelle, e una t-shirt sotto… ok, la
giacca se l’è messa. …? Osservo meglio, anche se da
seduto ha la posa di un vitello al pascolo, con le gambe
divaricate e le dita incrociate su quello che a occhio e
croce sembra un addominale scolpito da mani d’oro,
tutto sommato si può anche continuare ad osservare.
Barbetta fresca di taglio, si vede che è uno che se la
cura; occhio azzurro chiaro striato di verde, si vede
che è uno a cui Madre Natura ha voluto bene; capelli…
bè, mai visti dei riflessi così meravigliosamente
dorati su dei boccoli che dire sangue-facenti è dire
nulla. Sento che l’ormone si sta risvegliando … ‘eh,
si vede, cara la mia Margherita, che è da un po’ che
sei stata piantata.’. Mi guarda massaggiandosi la
barba, dopo un po’ si alza in piedi e viene verso di
me, io non sono molto alta … nemmeno lui lo è … ma
vogliamo fare le difficili di fronte a questo sensuale
insieme di perfette imperfezioni? Ma cerchiamo di
mantenerci sul professionale.
Santa polenta! Ma
possibile che davanti a me ci sia…?
“Mi scusi se sono
diretto, ma a chi stava parlando?”
“Quando?”
“Prima.”
“Prima quando?”
Cerca di rinfrescarmi
la memoria e citandomi dice:
“Fanculo.” Mi
sorride … e non vi dico in che modo altrimenti vi
perdo un’altra volta.
“Ah … oh, …non
ce l’avevo con lei, se è questo che crede.” Per
fortuna la mia arte diplomatica non mi aveva ancora
abbandonato del tutto.
“Questo lo so, ma
con chi ce l’aveva, se non sono indiscreto?”
“Bè … se lo vuole
sapere con tutti quelli del piano di sopra! Sono stufa e
arcistufa, sembra che io qua debba risolvere i problemi
di tutti, non ne posso più.! Proprio più.” Poi il
tono della mia voce si calma, abbasso lo sguardo come
quando ero piccola e chiedevo scusa a mamma e papà per
una marachella delle mie. Chissà perché di fronte a
quest’uomo mi sento messa parimenti in soggezione.
“…e così ho deciso di prendermi una pausa e farmi
un giro per l’edificio … scusi se sono indiscreta
…” lo osservo bene e la mia curiosità è fuori
misura.
“Mi dica.”
“Ma lei…”
In quel mentre sento
risuonare come una sirena dall’allarme, il mio nome da
una porta aperta al piano di sopra.
Guardo quella visione
celestiale di uomo che ho davanti agli occhi e sussulto:
“Oddio, è lui.”
“Chi?”
“Il mio capo.”
“E’ arrabbiato?”
“No, è un
rompicoglioni.”
Si mette a ridere come
un ragazzino.
“Che vogliamo fare?”
Mi guardo attorno
rapidamente, non c’è uscita che io non conosca, né
porta che non sappia dove conduca. Lo afferro per un
braccio e lo trascino via.
“Mi segua.”
Non oppone resistenza.
Infilatici in un corridoio lungo una cinquantina di
metri lo percorriamo tutto mentre noto come, nonostante
il passo di entrambi sia spedito, il mio bel sequestrato
osservi interessato i vari quadri appesi alle pareti.
Non avessi solo voglia di fuggire dalle grinfie del mio
capo, starei anche a spiegargli la rava e la fava di chi
li ha dipinti, quando come e perché, ma non c’è
tempo e arrivati all’ultima porta a destra del
corridoio me lo trascino dietro come un pacco postale.
Chiusa la porta alle mie spalle mi sento già meglio,
qui nessuno ci darà fastidio, penso. Ci ritroviamo,
soli io e lui, nell’atrio buio di una parte dell’ambasciata
per lui anonima. Si guarda attorno incuriosito: è tutto
abbastanza buio e la pietra fredda rende l’ambiente
ancora più elettrizzante. Quante volte l’ho visto
allestito per le cerimonie ufficiali … con quell’aspetto,
silenzioso ma austero, misterioso ed elegante, sembra
però quasi parlare da solo dei mille volti visti e dei
pezzi di storia che gli sono passati davanti. E tutto
sembra ancora più speciale.
“Qui dove siamo?”
“Questo è l’ingresso
ufficiale, aperto solo nelle occasioni particolari; per
quelle scale a destra, si sale verso la parte in cui
risiede l’ambasciatore.”
“Capisco.”
Lo osservo meglio. La
luce che filtra dai pochi pertugi di finestre poste
molto in alto, gli accarezzano i capelli e tratti del
viso. E’ proprio un bel ragazzo … uno di quelli che
se mi aspettasse a casa dopo il lavoro mi farebbe
dimenticare persino di accendere la tv per guardare “La
Tata”. Sorrido, e lui ricambia con il viso che gli si
illumina tutto. Mi sento quasi più rilassata,
nonostante il mio comportamento sia assolutamente fuori
luogo e passibile di sospensione.
“Santa polenta, se
non fosse che non è possibile, direi che lei è la
copia sputata di Russell Crowe.”
Sorride inclinando la
testa da un lato in un modo così inconfondibile che ha
dell’inquietante. Tira fuori un pacchetto di sigarette
dalla tasca dei pantaloni e se ne accende una. Sto per
venire a mancare. Mi sorride di nuovo, lo possino…
“Io sono Russell
Crowe.”
‘Margherita sei una
cretina … è Febbraio … il Berlinale, hai pure
dovuto tradurre tutto il programma per l’istituto
australiano di cultura…sapevi che doveva arrivare
anche lui, come hai fatto a dimenticartene?!?!’
Mentre ricordo a me stessa di comprarmi un
ricostituente, ma di quelli buoni, Sua testosteronicità
mi rivolge una domanda.
“E lei, come si
chiama?”
“Margherita Smithers,
interprete dell’ambasciata … e molte altre cose all’occorrenza.”
“ ‘Margherita’
… italiano?”
“Sì.” E già
penso che se comincia e farmi battute sul mio nome
potrei scaraventarlo con un bel cinque stampato sulla
faccia, non sono proprio in vena.
“Sono stato in
Italia un po’ di volte…” …eccolo lì, che si
avvia sulla strada del ceffone…ma forse mi sbaglio…
“…Margherita è il
nome di un fiore … vero? Un fiore molto delicato,
cresce nei prati selvatico, ma non deve essere
maltrattato altrimenti si sciupa e perde tutto il suo
candore.” …
…
Rimango imbambolata
per almeno dieci secondi, con la bocca aperta e gli
occhi spalancati in estasi all’udir quelle parole. Il
fatto che tutti i fiori siano delicati non mi interessa
in questo momento … nessuno avrebbe potuto trovare
parole più gentili per descrivere il mio stato d’animo
riuscendo a farmi sentire meglio. Era proprio così, mi
sentivo come se mi fossero state strappate le radici e
pretendessero che ancora fossi efficiente. Proprio così
mi sentivo. E in più il mio frigo era rotto e non
sapevo se Francesca avesse slinguazzato con il signor
Sheffield … avevo tutti i diritti di sentirmi uno
strofinaccio.
Presa da immensa
simpatia per Mr. Crowe decido di proseguire il tour che
di solito era riservato solo a ospiti un po’
particolari, ma ogni tanto era anche bello non dover
badare a troppe formalità e decisamente l’ospite in
questione non ci badava proprio, a parte la cortesia di
darmi della Miss ogni volta. Dopo poco decidemmo di
passare al tu. Non mi andava di sentirmi come se stessi
lavorando. Volevo godermi la mia “pausa” e poi
Russell era decisamente un piacere da portare in giro,
se solo avessi potuto farlo sapere alle mie amiche in
quel momento…
Gli mostrai ogni
anfratto dell’edificio: la sala conferenze, gli
scantinati con ancora diversi dipinti da sistemare alle
pareti, salimmo e scendemmo diverse scale, sembrava un
labirinto, almeno per lui, io mi divertivo da matti, ma
anche lui apprezzava i miei raccontini e mi faceva un
sacco di domande, così orgoglioso della sua ambasciata.
Era passata una buona mezz’ora. Era davvero giunto il
momento di tornare quella che ero, trovare una qualche
scusa per il mio povero capo e rimettermi al lavoro,
nella speranza di avere una seconda occasione di
perdermi in quegli occhi verde azzurri che quando mi
guardavano sembrava che volessero mettere a nudo l’
anima … e non solo quella.
Ripercorrendo tutta la
strada in senso inverso giungemmo alla porta di quel
famoso corridoio. Feci per aprirla, ‘che sciocca’,
pensai, ci vuole il badge; mi frugo nelle tasche pronta
a tirarlo fuori … devo averlo messo in quella interna
della giacca, non c’è … riguardiamo nelle prime …niente.
Atroce sospetto … ho una visione di me che lascio il
badge sulla scrivania del mio ufficio prima di accorrere
all’ululato del mio capo.
Il mio sconcerto si
legge stampato in fronte. Russell accenna un sorriso non
di quelli più convinti, mi sa che ha avuto la stessa
visione.
“Cosa…”
Non osa proseguire …
e io non oso rivelare.
“Ho lasciato il
badge sulla mia scrivania … le porte di quest’ala si
aprono solo dall’esterno …”
“Significa…”
“ … che per uscire
o hai il badge … o non esci.”
“Oh cazzo.”
“Mi hai tolto le
parole di bocca.” Lo guardo con sguardo che più
mortificato non si può e la sigaretta che gli pende all’angolo
della bocca lo fa sembrare più tonto di me.
Ma nel reagire lui è
decisamente più pronto.
“Sì, ma ci deve
essere un modo per uscire da qui, proviamole tutte.”
Conosco benissimo
tutte le sante porte di quell’area e so che non
possono aprirsi, ma fare la disfattista così tutto d’un
botto mi pare brutto e lo assecondo. Magari una delle
tante porte l’ho chiusa male … macché, tutte e nove
le porte di quella maledetta area ufficiale sono
sbarrate. Esasperata picchio coi pugni sull’ultima che
mi capita a tiro. Russell ha un’illuminazione.
“Proviamo con
questo!”
Dalla tasca della
giacca tira fuori il suo cellulare e mi guarda con
sguardo sexy e trionfante.
Ma purtroppo devo
deluderlo.
“In questa zona non
c’è campo.”
Con aria sconsolata e
incredula guarda il suo telefonino … odio avere sempre
ragione.
“Cazzo … hai
ragione.”
Scuoto la testa
rassegnata.
“Sì, ma che si fa,
cazzo? Ci deve essere un modo per uscire, cazzo.”
Dopo aver nominato
più volte il secondo migliore amico dell’uomo, dopo
il cane, si accende un’altra sigaretta, lo guardo,
alzo le spalle, gliela sfilo di bocca e me la infilo
nella mia, tiro due boccate e quasi ci rimetto i
polmoni. Tossisco come una tisica, lui mi riprende la
sigaretta e con l’altra mano si preoccupa che non
sputi tutte le viscere. Mi accarezza la schiena, se la
ride un po’ e mi guarda con tenerezza.
“Stai bene?” vedo
che un po’ continua a ridersela sotto i baffi.
“Sto bene”,
tossicchio un altro po’.
“L’avevi mai fatto
in vita tua?”
“Mai fumata una …
ma caspita come fai, tu? E’ quasi un’ora che fumi,
non ti da fastidio?”
“E’ per scaricare
la tensione.”
“E non conosci altri
modi che possano tornare utili?”
“Sì, di solito o
fumo o …”
Guardo altrove un po’
distratta in attesa di una risposta che non arriva,
guardo verso di lui e allargo le braccia.
“Allora?”
Lui mi guarda, inclina
lievemente la testa da un lato, fa un sorrisino sexy e
si guarda intorno; il suo sguardo malizioso non lascia
spazio a fraintendimenti.
Mi sento una cretina.
“Oh … continua
pure a fumare.”
Passano almeno altre
due ore durante le quali la calma ritrovata grazie alla
gradevole presenza del mio ospite, incomincia di nuovo a
scomparire. Lui nota la mia inquietudine e cerca di
sdrammatizzare, ma io sto dando fuori di matto.
“Ma ti rendi conto
di quanto sono stata cretina? Io nemmeno potrei venirci
qua senza una ragione assegnata, ho praticamente abusato
delle mie possibilità, ho mandato a quel paese il mio
capo, me la sono svignata, ho fatto l’isterica, sai
che significa? Lo sai? Rischio il licenziamento per
questa cazzata, una lavata di capo che nemmeno ti sogni
… e non posso permettermi di perdere il lavoro, per
non parlare poi del fatto che ho frigo e tele da fare
aggiustare … altre spese…” per tutto il tempo
Russell non fa che ripetermi una cosa.
“Calmati, vedrai che
si aggiusta tutto”,
ma io non lo sento
neppure fino a quando anche lui perde la pazienza, mi
afferra sullo stile di “Baciami, Rossella” e … mi
bacia…
e mentre io penso che
quello non sia né il luogo né il momento, sento all’improvviso
dentro di me la mia vera natura rinascere. E le mie
membra sciogliersi come la mozzarella sulla pizza sotto
la virilità di quel bacio che non mi ricordo di averne
mai ricevuto uno uguale. E all’improvviso scompare il
mio capo, scompaiono televisione frigo e stress. Non c’è
nulla se non io e questa meravigliosa creatura divina
che mi sta ricordando, distesa su un pavimento che è
stato precedentemente calpestato da illustri testoni,
che sono una donna… e che donna. Una super donna,
sotto ad un superuomo che, a confronto, quello di
Nietzsche sembra baby-puffo. Altro che le sigarette,
questi sono metodi efficaci per scaricare la tensione e
di certo non fanno male alla salute. Mi rivolta manco
fosse un pizzaiolo che ha tra le mani la pasta pronta da
infornare. Ma che faccia di me ciò che vuole, non ho
più nessun ritegno. Con tanta mozzarella, con doppio
pomodoro, chissenefrega, basta che alla fine sia sazia
anch’io. Non ne potevo più di uomini non in grado di
badare a loro stessi. Almeno questo qua dava l’idea di
avere un certo spirito di iniziativa, un ottimo senso
del “problem solving” … fossero stati tutti così
gli uomini di quell’ambasciata … invece lì sembrava
che tutti sapessero fare solo una cosa bene. Invocare il
mio nome in segno di aiuto. Anche nel sotterraneo dell’ambasciata
australiana sentivo invocare il mio nome, ma era per
tutt’altra ragione. Come poter sottrarsi all’immenso
piacere che provavo nel sentirlo dentro di me.
Impossibile. E quel nome, il mio, risuonava sempre più
forte, sempre più chiaro … oddio, ma …
“Margheriiiiitaaaaaaa”
No, il mio capo.
Come un flash riapro
gli occhi e mi ritrovo a specchiarmi dentro lo specchio
del bagno del mio piano. Sbatto le ciglia e mi guardo
riflessa. Sono forse svenuta? Non ho botte in testa…e
quella che sento … non è un sogno. E’ la voce del
mio capo. Non ho fatto nessuna figuraccia, sono andata
semplicemente in bagno, non rischio nessun
licenziamento. Sento un sorriso riaprirsi nel mio cuore.
Dio, però, lo stress, se li fa brutti gli scherzi. Poco
fa stavo sc…., ma è meglio andare dal mio capo.
Dopo essermi
ricomposta mi presento da lui, che non ci crederete, ma
un po’ mi è mancato, fresca come una Rosellina … o
forse dovrei dire una Margheritina…
Mi guarda con sguardo
paterno, però … anche lui ogni tanto ha un cuore.
“Margherita, la vedo
provata, si sente bene?”
Bè, come avreste
fatto voi a dire in termini diplomatici che stavate bene
perché avevate appena finito di immaginare di essere
materassate da Russell Crowe sul tappeto rosso dell’Ambasciata?
Certe cose vanno semplicemente taciute.
“Sto bene, dottore,
scusi se l’ho fatta aspettare.” In realtà ero
rimasta chiusa in bagno per quaranta normalissimi
secondi, ma questo lo ignoravo.
“Senta Margherita,
mi hanno appena chiamato dall’istituto di cultura. Ci
sarebbe un ospite, inaspettato, in quanto non era
prevista una sua visita in Ambasciata, che desidererebbe
visitare l’edificio. Lei è la più esperta dei
dipendenti e senz’altro la sua presenza sarà più
gradita di quella di qualche suo collega maschio.”
Mi sorride con
affetto. Non posso che ricambiare.
“Sarò lieta di
poter essere utile.”
“L’accompagno, ci
aspetta nella sala d’aspetto.”
Arrivati nel luogo in
questione … quasi vengo a mancare.
“Signor Crowe,
benvenuto in Ambasciata, le presento Miss Margherita
Smithers che le farà da guida in questa visita dell’edificio.
Le auguro un piacevole soggiorno qui a Berlino. La
signorina Smithers saprà rispondere a tutte le sue
domande.”
Il ‘signor Crowe’
mi porge la mano e sembra che sia la prima volta che
vedo una celebrità in vita mia.
Sorrido tra me e me
mentre ci dirigiamo verso il famoso corridoio che però
ho il tempo di mostrare con molta più tranquillità al
nostro ospite, che, come in un film già visto, mi segue
e osserva tutto con sguardo molto interessato.
“E’ permesso
fumare qui?”
Sorrido
“E’ teso signor
Crowe?”
“No, e lei?”
“Nemmeno.”
“Mi fa piacere.”
“Se mi vuol seguire
da questa parte si va nella zona dei ricevimenti
ufficiali.” Apro la porta e lascio che si richiuda
alle mie spalle.
Oh cacchio …oh no
… il badge …l’ho lasciato sulla scrivania!!!
Fine
AleNash
(settembre ’03) |