Le Fan Fiction di croweitalia

titolo:  Lecita follia
autrice: AleNash (per leggere le altre storie scritte da AleNash, consulta l'elenco delle fanfic qui)
e-mail: alessandradonnini@yahoo.it
data di edizione: 01/10/2003
argomento della storia: Margherita Smithers lavora all’Ambasciata Australiana di Berlino
riassunto breve: Giornate stressanti capitano a tutte.
lettura vietata ai minori di anni: 7
note:  Dopo aver attraversato un momento di stress non indifferente che cosa deve fare una persona per scaricare la tensione accumulata per due settimane senza poterla sfogare? C’è chi fuma… e c’è chi torna a casa una bella sera e decide di tramutare tutto in una fanfiction per le sue amiche lontane. Fatti e persone non sono pertanto proprio tutti inventati … buona lettura, mates!;-) (AleNash)

Lecita follia

Mi chiamo Margherita Smithers: il motivo di questo nome? Se ve lo dico promettete di non ridere? Promettete? … Bè, il mio papà, di origine inglese, ha conosciuto la mia mamma, italianissima, durante un viaggio a Frosinone. Lui all’epoca era studente di legge e dice di essersi innamorato della mamma al primo sguardo. Bè, la prima sera l’ha portata in una pizzeria, quando lei è rimasta incinta di me il mio papà ha deciso che mi avrebbe dato il nome della cosa che aveva mangiato la sera del loro primo appuntamento … ogni giorno del mio compleanno alzo gli occhi al cielo e ringrazio il Paradiso intero che, in quel tanto celebrato giorno, non abbia fatto ordinare a mio padre una sogliola o che so io … la polenta con la porchetta. Per tutta la vita mi sono portata dietro questo nome, che adesso mi piace, ma che da piccola mi ha dato non poco filo da torcere. Ho passato metà della mia infanzia in disparate città italiane e tutta la mia adolescenza e oltre in giro per l’Europa e per il mondo… mia madre era impiegata al Ministero e papà avvocato. Per il lavoro di mamma abbiamo passato un bel po’ di tempo a viaggiare: cinque anni a Roma, cinque a Londra, tre a Washington DC, tre a Bonn … ah, per la cronaca, io mi sono laureata in legge a Yale … ho seguito le orme di papino, ma non sono avvocato, tutt’altro. La mia vita ha avuto risvolti ben diversi … viaggia di qua e viaggia di là, con papà inglese e mamma “italiana-giramondo” ho imparato tre lingue come l’Ave Maria. E questo faccio … lavoro ormai da tre anni come interprete, segretaria, traduttrice, seconda moglie, cameriera, babysitter, sguattera, serva e schiava del mio capo … all’Ambasciata Australiana di Berlino in Wallstrasse 76-79. Ah, all’occorrenza sono anche guida turistica dell’Ambasciata stessa, se la situazione lo richiede. Ma vi stavo dicendo del mio nome…bè, voi sapete come sanno essere cattivi i bambini … e poco furbi certi genitori, che con tutta l’ingenuità di questo mondo vanno a raccontare a tutti come mai hanno dato un certo determinato nome alla loro figliola….da quell’infausto giorno battute del tipo “con o senza origano” o versioni più audaci del tipo “ti voglio con doppia mozzarella” si sono sprecate; ma crescendo impari a non farci caso e anzi, il tuo nome diventa motivo di orgoglio…e impari anche a ridere di te stessa, come quella volta in cui mi sono presentata ad un belloccio del mio corso di diritto penale dicendo “sono Margherita, come la pizza!” Si è innamorato di me al primo assaggio … volevo dire sguardo. Ad ogni modo eccomi qui, come dicevo, da tre anni al servizio, nel vero senso della parola, di un tale che mi tocca chiamare capo, di cui non faccio il nome per ragioni di ordinaria decenza e che un giorno è stato la vera e propria causa della famosa “goccia”, quella che fa traboccare il vaso, che fa straripare i fiumi, quella in grado di tirare fuori la bestia anche da una donna che fino a poco prima era pronta a definirsi posata ed equilibrata. Ma occorre andare con ordine perché già vi vedo belle che secche.

Il punto, il punto … ora ci arrivo…

 

Tutto è cominciato in quel freddo mese di Febbraio di un anno fa, sì, il mese del Berlinale, quello in cui la città è presa d’assalto da ogni sorta di animale da cinema pronto a farsi la maratona del festival cinematografico, o la posta davanti a tutti gli alberghi possibili e immaginabili in attesa della sua celebrità preferita. Lo so perché mi è capitato più volte di andare a fare da interprete a queste megagalattiche conferenze stampa piene di attoroni e attorone che non spiccicavano una sola parola di tedesco. E allora ecco che interviene Margherita, che vi salva la vita! Non male come esperienza, però, ne ho viste di celebrità, che almeno sono un po’ più guardabili del capo e che appunto per questo rendono più sopportabili i loro capricci. In realtà amo il mio lavoro, lo amo dal primo giorno in cui ho incominciato a farlo e come potrebbe essere diversamente? Viaggio un sacco, vedo gente sempre nuova e interessante, lo stress è ampiamente ripagato da tutte queste soddisfazioni … ho sempre creduto. Ma arrivano dei momenti in cui …. Sì, anche le pizze escono dal forno belle che bruciate.

Febbraio dicevo … non era da molto che avevo finito di traslocare nella mia nuova casa, finalmente da sola e indipendente? Bè, considerando che la mia ex-casa era occupata dal mio ex-ragazzo probabilmente intento a condividere il nostro ex-letto con la mia ex-compagna di appartamento, non mi sembrava l’inizio di un periodo così edificante della mia vita…ma come si dice…chi ben comincia…e le mie intenzioni erano più che buone: mese nuovo, vita nuova! La mia casetta non era male, decisa a sponsorizzarmi fino all’ultimo centesimo da sola, non avevo scelto un appartamento di molte pretese. Preferivo qualcosa in centro piuttosto che una casa stracostosa alla periferia. E così ho fatto. Un bell’appartamentino vicino al Tiergarten, sì proprio lui …il famoso “Zoo di Berlino” dove i famosi “ragazzi” andavano a … bè, la storia è nota. Dunque, casa dolcissima, soprattutto dopo il mio tocco personale: le candele profumate alla vaniglia per il salotto e alla mela verde per il bagno, le foto delle mie amiche più care appese alla parete e i miei cd in bella vista sulla scrivania…un dettaglio che vivessi al quarto piano senz’ascensore … tutta salute per i glutei d’acciaio che mi sarei fatta. “Margherita dai glutei d’acciaio” … non male come idea, potrei pensarci per la prossima serie dei miei biglietti da visita. Tutto bene, dunque? Sì, fino a quella mattina…no a QUELLE mattine, a quella settimana, a quei maledetti sette giorni che mi hanno poi portato al famoso giorno dell’esplosione finale. Sapete come si dice, …lo diceva un tizio famoso, un tale Shakespeare (sì, sempre lui), “le disgrazie non vengono mai sole” e porco giuda se quell’uomo le sapeva tutte! Bè, stavo tornando a casa dopo una giornata ultra piena: il mio capo non mi aveva fatto uscire fino all’ultimo, così bravo ogni volta a trovare all’ultimo secondo, tutti gli impegni da organizzare in una volta sola e via a far riecheggiare il mio nome per i corridoi dell’Ambasciata emettendo lo stesso suono che esce dalla bocca di un maiale in fase di macellazione. Occhi al cielo, ma subito efficiente agli ordini, dottore. Ma in fondo non gli si poteva voler proprio male, dava la vita per il suo lavoro, d’accordo, ne succhiava anche un po’ della mia, ma non si poteva negare che provasse nei miei confronti grande stima. Non perdeva occasione di farmelo notare con sguardi molto compiaciuti … al di là di ogni tentazione per la sottoscritta… ma senza dubbio compiaciuti. Fatto è che, dopo un’altra giornata estenuante, tra telefonate, pacchi e pacchi di documenti da tradurre, corse a destra e a manca a soccorrere i poveri dipendenti che di tedesco ne masticavano poco, insomma, il delirio, torno a casa con un solo unico desiderio: guardarmi il mio programma preferito “la Tata”, la paladina di tutte le bambinaie. Mi stravacco sul letto (a due piazze belle comode tutte per me) e con il telecomando accendo il televisore lasciato in stand-by. Primo tentativo … nulla, secondo…niente. Guardo il telecomando come se all’improvviso dovesse parlarmi … non proferisce verbo. Santa polenta, penso, devono essersi scaricate le batterie. Sono le sette passate … ormai sti fancazzisti tedeschi hanno già chiuso da ore i negozi…farò a meno del telecomando e userò i tasti del televisore rinunciando alla comodità del lettone. Seduta per terra metto in moto la scatola a colori. Che bello, penso, proprio la puntata che non avevo visto; quella che ogni volta non riesco a vedere fino alla fine per qualche imprevisto, quella in cui forse Francesca riesce a baciarsi il Signor Sheffield. Sono anni che mi riguardo tutta la serie per arrivare a quella puntata … ecco, ecco il punto che aspettavo … ma no … ma NO!! Che cosa succede?!?! Sbraito da sola per la casa di fronte ad un televisore che d’improvviso si è spento da solo. Guardo se per caso la spina si è staccata, no è tutto a posto. Accendo e spengo la televisione più volte … cambio anche canale … nulla…è venuto a mancarmi proprio sul più bello. Avvilita ci rinuncio e rimango nel silenzio del mio salotto a chiedermi due cose: Margherita, perché hai fatto la taccagna e ti sei comprata un televisore di seconda mano? E poi … Ma Francesca l’avrà poi baciato il Signor Sheffield? Nessuna delle risposte date alle due domande mi avrebbe di certo aggiustato il televisore.

Che fare? Il tecnico lo si può chiamare solo tra due giorni visto che il Sabato e la Domenica non lavorano. Pazienteremo… stanca, me ne vado a letto.

 

Il buon giorno si vede dal mattino? Mai detto fu più profetico! Mi alzo ormai con l’orologio biologico fissato per le sei abbandonando ogni speranza di recuperare quelle due o tre ore di sonno perdute durante le ore di straordinario. Ciò che adoro più di ogni altra cosa appena alzata è bermi un bel bicchiere di succo d’arancia bello fresco. Con il sole che già dalle prime ore del mattino mi illumina a giorno la stanza, mi dirigo sorridente verso il frigo non senza prima aver lanciato uno sguardo di sfida al televisore che osa guardarmi spento e minaccioso. Dopo due sorsi di spremuta mi accorgo che non è affatto fredda … in effetti, nemmeno aprendo la porta del frigorifero ho notato la fuoriuscita di quella piacevole brezzolina tipica. Per pura curiosità, velata comunque da un certo sospetto, tocco il cartone del latte, la bottiglia dell’acqua e …tanto per farmi un altro po’ di male, apro il congelatore: una pozza d’acqua … oh santa … santissima polenta! Ma sono ancora ottimista, forse mi è partita la luce durante la notte … con gesto automatico allungo una mano verso l’interruttore senza staccare gli occhi dal frigorifero e accendo la luce. La luce si accende. Altra controprova … guardo la radiosveglia: se fosse partita la luce, la si vedrebbe lampeggiare, ma non lampeggia. Sospetto, tremendo sospetto…è partito anche il frigorifero. Mi siedo per terra: no, non può essere vero … e adesso che cavolo faccio? Ma niente panico. A tutto c’è rimedio. Sono solo due giorni. Devo solo aspettare Lunedì … l’inizio di una nuova settimana, quando il mio capo torna tutto bello pimpante e con la voce rischiarata pronto ad ululare come un eunuco del “teatro sotto la scala”, il mio nome, manco fosse un grido di guerra:

 

“Margheritaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!”

“Sì, mi dica, dottore.”

“Per favore, Margherita, sarebbe così gentile da controllarmi queste fatture, me le ha mandate l’avvocato di mia moglie, secondo me c’è qualcosa che non quadra, lei che se ne intende, le guardi un po’ …”

“Va bene.”

“E poi senta, Margherita, ci sono queste quattro dichiarazioni fatte dal rappresentante degli agricoltori tedesco che andrebbero tradotte, sono quasi urgenti …”

“Sì, dottore”

“… ah, se poi fosse così cortese da mandarmele per email così ne prendo visione …”

“Certamente.”

Faccio per dirigermi nel mio ufficio.

“Ah, Margheritaaa.”

Scherzavo.

“Mi dica, dottore”

“Quelle fatture … che le ho dato, se potessi contare sulla sua solita discrezione…”

“Senza dubbio.”

Sono quasi alla porta, ce la posso fare.

“Margheritaaa..”

Alzo gli occhi al cielo …

“No, mi sono dimenticato cosa volevo dirle.”

Andiamo bene …

Seduta nel mio ufficio tra le pratiche di divorzio del mio capo e il lavoro ufficiale datomi sempre da lui, i problemi del fine settimana devono per forza essere messi da parte. A meno che non crollino mentre sono assente, penso, le quattro mura e il tetto sulla testa per cui ho pagato, dovrebbero essere ancora garantiti.

Bussano alla porta.

“Hey, Margherita, mi han mandato sta roba dall’Ambasciata italiana, tu non è che ci capisci qualcosa?”

“Fammi un po’ vedere …” scruto … chiedo “perché l’han mandata a noi sta roba?”

“E che ne so, mi han detto di chiedere a te se avessi avuto problemi a capire di che si trattasse. Hai molto da fare?”

Lo guardo come se potessi fargli capire con un solo sguardo che ne ho fin sopra i capelli di roba da fare. Speranza vana, è un uomo, come potersi aspettare tanto? E poi, diciamocelo, io sono troppo buona e, lo confesso, tradurre dall’italiano mi piace da morire, quindi capitolo.

“Dai lasciamela qui che vedo che posso fare.”

“Grazie, sei gentilissima”

 

Nella mezz’ora successiva … l’inferno: quattordici telefonate una dopo l’altra smistate per errore dal centralino al mio telefono … con i relativi insulti delle persone che speravano di parlare con non so chi e si ritrovavano invece a parlare con Margherita Smithers. “Margherita chi?” … ‘quella che vi salva il deretano ogni volta che mandate un ministro che non capisce un’acca di tedesco’, avrei voluto dire a tutti questi faccioni … ma anni in Ambasciata ti insegnano le arti basilari della diplomazia, e poi io sono una signora…almeno credevo di esserlo…fino a quel giorno famoso. Le quattordici telefonate sono state intervallate da entrate e uscite di individui di varia natura con vari plichi da tradurre di altrettanta dubbia origine; non parliamo poi delle varie richieste extra: “Margherita, ti spiace dare un’occhiata a questo?” “Margherita, saresti così gentile da dare una letta a quello?” “Margherita, secondo te come si può mandare a quel paese un paese senza veramente dirglielo in modo esplicito?” “Margherita …” “Margherita”, e tra tutte, quella del mio uomo, “Margheriiiiiiiitaaaaaaaaaaaa”, il mio capo … la testa mi scoppia, ma scatto come una molla, mentre ancora mi preme sapere se Francesca si è baciata il signor Sheffield.

“Margherita, senta, sono pronti i documenti che le ho dato da tradurre ieri?”

“Ieri era Domenica, dottore”

“L’altro ieri, allora.”

“Era Sabato.”

“Ma, lei ce li ha pronti o no, Margherita?”

“Temo di non aver ricevuto i documenti di cui parla, dottore.”

“Giusto … giusto …adesso glieli do.”

‘e poi mi chiedo come mai la moglie l’abbia lasciato’

Faccio per tornarmene ai miei appartamenti. E sento un ribollio nel sangue.

Sento il mio capo al telefono che parla animosamente.

“Sì, … sì … ah, questo non l’avevamo previsto … ma sì certo, ho chi può fare al caso vostro.”

Chissà perché ho un atroce sospetto … sento nelle vene che tra poco sentirò pronunciare per l’ennesima volta:

“Margheriiiitaaa!!!”

‘NO, basta, non ne posso più!’

Mentre mi dirigo verso il mio ufficio con l’intenzione di chiudermici dentro e buttare via la chiave, vedo un altro dei miei numerosi colleghi pronto a venirmi incontro con un altro malloppone dei suoi, ma mi sa che farà una brutta fine. Lo guardo malissimo ed è come se la mia femminilità e soprattutto signorilità sia d’improvviso stata soppiantata da un’incredibile donna-Hulk: verde di rabbia e con la bile che esce da tutti i pori. C’è un solo posto dove non mi si può venire a bussare … il bagno delle signore.

Mi ci chiudo dentro sbattendo la porta. Mi appoggio al lavandino guardando verso il basso … ‘calma, devo stare calma o li ammazzo tutti’. Mi guardo allo specchio … per fortuna il trucco è ancora intatto, ma io sto per diventare matta se ancora sento deturpare il mio nome per loschi fini. NO, quel che è troppo è troppo, arrivano giorni in cui non è più il tuo buon senso a scegliere, ma qualche altra parte del tuo cervello. E qualche volta dare retta anche a quella vocina non fa poi così male. Ho bisogno di una pausa e un bel giretto per l’Ambasciata farà proprio alla bisogna. Di soppiatto esco dalla porta del bagno accertandomi che non ci sia nessuno nel corridoio. Apro la porta, scendo lo scalone che mi porta in un’altra ala del palazzo. Il fatto di essere stata usata spesso da guida per le scolaresche o le varie mogli dei ministri, mi ha permesso di imparare a conoscere quell’edificio come le mie tasche. Arrivo nell’atrio, ho un tale nervoso addosso che non riesco a calmarmi; l’atrio è così spazioso e luminoso, l’ideale per farsi passeggiate scarica-nervi. Ma non riesco nemmeno a camminare, combattuta tra il desiderio di ribellarmi e il senso di colpa per essermene andata lasciando il mio povero capo a cantare il mio nome senza risposta. C’è una piccola sala d’aspetto dietro ad una discreta porta nella parte sinistra dell’atrio, entro e appoggiandomi al termosifone mi escono i soliti famosi gargarismi.

“Fanculo … fanculo … fanculo!”

“Eh sì, sono d’accordo.”

Trasalgo … non sono sola. Mi giro di scatto…osservo … ma chi è sto buzzurro che si presenta in Ambasciata in jeans, scarponcini neri di pelle, e una t-shirt sotto… ok, la giacca se l’è messa. …? Osservo meglio, anche se da seduto ha la posa di un vitello al pascolo, con le gambe divaricate e le dita incrociate su quello che a occhio e croce sembra un addominale scolpito da mani d’oro, tutto sommato si può anche continuare ad osservare. Barbetta fresca di taglio, si vede che è uno che se la cura; occhio azzurro chiaro striato di verde, si vede che è uno a cui Madre Natura ha voluto bene; capelli… bè, mai visti dei riflessi così meravigliosamente dorati su dei boccoli che dire sangue-facenti è dire nulla. Sento che l’ormone si sta risvegliando … ‘eh, si vede, cara la mia Margherita, che è da un po’ che sei stata piantata.’. Mi guarda massaggiandosi la barba, dopo un po’ si alza in piedi e viene verso di me, io non sono molto alta … nemmeno lui lo è … ma vogliamo fare le difficili di fronte a questo sensuale insieme di perfette imperfezioni? Ma cerchiamo di mantenerci sul professionale.

Santa polenta! Ma possibile che davanti a me ci sia…?

“Mi scusi se sono diretto, ma a chi stava parlando?”

“Quando?”

“Prima.”

“Prima quando?”

Cerca di rinfrescarmi la memoria e citandomi dice:

“Fanculo.” Mi sorride … e non vi dico in che modo altrimenti vi perdo un’altra volta.

“Ah … oh, …non ce l’avevo con lei, se è questo che crede.” Per fortuna la mia arte diplomatica non mi aveva ancora abbandonato del tutto.

“Questo lo so, ma con chi ce l’aveva, se non sono indiscreto?”

“Bè … se lo vuole sapere con tutti quelli del piano di sopra! Sono stufa e arcistufa, sembra che io qua debba risolvere i problemi di tutti, non ne posso più.! Proprio più.” Poi il tono della mia voce si calma, abbasso lo sguardo come quando ero piccola e chiedevo scusa a mamma e papà per una marachella delle mie. Chissà perché di fronte a quest’uomo mi sento messa parimenti in soggezione. “…e così ho deciso di prendermi una pausa e farmi un giro per l’edificio … scusi se sono indiscreta …” lo osservo bene e la mia curiosità è fuori misura.

“Mi dica.”

“Ma lei…”

In quel mentre sento risuonare come una sirena dall’allarme, il mio nome da una porta aperta al piano di sopra.

Guardo quella visione celestiale di uomo che ho davanti agli occhi e sussulto:

“Oddio, è lui.”

“Chi?”

“Il mio capo.”

“E’ arrabbiato?”

“No, è un rompicoglioni.”

Si mette a ridere come un ragazzino.

“Che vogliamo fare?”

Mi guardo attorno rapidamente, non c’è uscita che io non conosca, né porta che non sappia dove conduca. Lo afferro per un braccio e lo trascino via.

“Mi segua.”

Non oppone resistenza. Infilatici in un corridoio lungo una cinquantina di metri lo percorriamo tutto mentre noto come, nonostante il passo di entrambi sia spedito, il mio bel sequestrato osservi interessato i vari quadri appesi alle pareti. Non avessi solo voglia di fuggire dalle grinfie del mio capo, starei anche a spiegargli la rava e la fava di chi li ha dipinti, quando come e perché, ma non c’è tempo e arrivati all’ultima porta a destra del corridoio me lo trascino dietro come un pacco postale. Chiusa la porta alle mie spalle mi sento già meglio, qui nessuno ci darà fastidio, penso. Ci ritroviamo, soli io e lui, nell’atrio buio di una parte dell’ambasciata per lui anonima. Si guarda attorno incuriosito: è tutto abbastanza buio e la pietra fredda rende l’ambiente ancora più elettrizzante. Quante volte l’ho visto allestito per le cerimonie ufficiali … con quell’aspetto, silenzioso ma austero, misterioso ed elegante, sembra però quasi parlare da solo dei mille volti visti e dei pezzi di storia che gli sono passati davanti. E tutto sembra ancora più speciale.

“Qui dove siamo?”

“Questo è l’ingresso ufficiale, aperto solo nelle occasioni particolari; per quelle scale a destra, si sale verso la parte in cui risiede l’ambasciatore.”

“Capisco.”

Lo osservo meglio. La luce che filtra dai pochi pertugi di finestre poste molto in alto, gli accarezzano i capelli e tratti del viso. E’ proprio un bel ragazzo … uno di quelli che se mi aspettasse a casa dopo il lavoro mi farebbe dimenticare persino di accendere la tv per guardare “La Tata”. Sorrido, e lui ricambia con il viso che gli si illumina tutto. Mi sento quasi più rilassata, nonostante il mio comportamento sia assolutamente fuori luogo e passibile di sospensione.

“Santa polenta, se non fosse che non è possibile, direi che lei è la copia sputata di Russell Crowe.”

Sorride inclinando la testa da un lato in un modo così inconfondibile che ha dell’inquietante. Tira fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e se ne accende una. Sto per venire a mancare. Mi sorride di nuovo, lo possino…

“Io sono Russell Crowe.”

‘Margherita sei una cretina … è Febbraio … il Berlinale, hai pure dovuto tradurre tutto il programma per l’istituto australiano di cultura…sapevi che doveva arrivare anche lui, come hai fatto a dimenticartene?!?!’ Mentre ricordo a me stessa di comprarmi un ricostituente, ma di quelli buoni, Sua testosteronicità mi rivolge una domanda.

“E lei, come si chiama?”

“Margherita Smithers, interprete dell’ambasciata … e molte altre cose all’occorrenza.”

“ ‘Margherita’ … italiano?”

“Sì.” E già penso che se comincia e farmi battute sul mio nome potrei scaraventarlo con un bel cinque stampato sulla faccia, non sono proprio in vena.

“Sono stato in Italia un po’ di volte…” …eccolo lì, che si avvia sulla strada del ceffone…ma forse mi sbaglio…

“…Margherita è il nome di un fiore … vero? Un fiore molto delicato, cresce nei prati selvatico, ma non deve essere maltrattato altrimenti si sciupa e perde tutto il suo candore.” …

Rimango imbambolata per almeno dieci secondi, con la bocca aperta e gli occhi spalancati in estasi all’udir quelle parole. Il fatto che tutti i fiori siano delicati non mi interessa in questo momento … nessuno avrebbe potuto trovare parole più gentili per descrivere il mio stato d’animo riuscendo a farmi sentire meglio. Era proprio così, mi sentivo come se mi fossero state strappate le radici e pretendessero che ancora fossi efficiente. Proprio così mi sentivo. E in più il mio frigo era rotto e non sapevo se Francesca avesse slinguazzato con il signor Sheffield … avevo tutti i diritti di sentirmi uno strofinaccio.

Presa da immensa simpatia per Mr. Crowe decido di proseguire il tour che di solito era riservato solo a ospiti un po’ particolari, ma ogni tanto era anche bello non dover badare a troppe formalità e decisamente l’ospite in questione non ci badava proprio, a parte la cortesia di darmi della Miss ogni volta. Dopo poco decidemmo di passare al tu. Non mi andava di sentirmi come se stessi lavorando. Volevo godermi la mia “pausa” e poi Russell era decisamente un piacere da portare in giro, se solo avessi potuto farlo sapere alle mie amiche in quel momento…

Gli mostrai ogni anfratto dell’edificio: la sala conferenze, gli scantinati con ancora diversi dipinti da sistemare alle pareti, salimmo e scendemmo diverse scale, sembrava un labirinto, almeno per lui, io mi divertivo da matti, ma anche lui apprezzava i miei raccontini e mi faceva un sacco di domande, così orgoglioso della sua ambasciata. Era passata una buona mezz’ora. Era davvero giunto il momento di tornare quella che ero, trovare una qualche scusa per il mio povero capo e rimettermi al lavoro, nella speranza di avere una seconda occasione di perdermi in quegli occhi verde azzurri che quando mi guardavano sembrava che volessero mettere a nudo l’ anima … e non solo quella.

Ripercorrendo tutta la strada in senso inverso giungemmo alla porta di quel famoso corridoio. Feci per aprirla, ‘che sciocca’, pensai, ci vuole il badge; mi frugo nelle tasche pronta a tirarlo fuori … devo averlo messo in quella interna della giacca, non c’è … riguardiamo nelle prime …niente. Atroce sospetto … ho una visione di me che lascio il badge sulla scrivania del mio ufficio prima di accorrere all’ululato del mio capo.

Il mio sconcerto si legge stampato in fronte. Russell accenna un sorriso non di quelli più convinti, mi sa che ha avuto la stessa visione.

“Cosa…”

Non osa proseguire … e io non oso rivelare.

“Ho lasciato il badge sulla mia scrivania … le porte di quest’ala si aprono solo dall’esterno …”

“Significa…”

“ … che per uscire o hai il badge … o non esci.”

“Oh cazzo.”

“Mi hai tolto le parole di bocca.” Lo guardo con sguardo che più mortificato non si può e la sigaretta che gli pende all’angolo della bocca lo fa sembrare più tonto di me.

Ma nel reagire lui è decisamente più pronto.

“Sì, ma ci deve essere un modo per uscire da qui, proviamole tutte.”

Conosco benissimo tutte le sante porte di quell’area e so che non possono aprirsi, ma fare la disfattista così tutto d’un botto mi pare brutto e lo assecondo. Magari una delle tante porte l’ho chiusa male … macché, tutte e nove le porte di quella maledetta area ufficiale sono sbarrate. Esasperata picchio coi pugni sull’ultima che mi capita a tiro. Russell ha un’illuminazione.

“Proviamo con questo!”

Dalla tasca della giacca tira fuori il suo cellulare e mi guarda con sguardo sexy e trionfante.

Ma purtroppo devo deluderlo.

“In questa zona non c’è campo.”

Con aria sconsolata e incredula guarda il suo telefonino … odio avere sempre ragione.

“Cazzo … hai ragione.”

Scuoto la testa rassegnata.

“Sì, ma che si fa, cazzo? Ci deve essere un modo per uscire, cazzo.”

Dopo aver nominato più volte il secondo migliore amico dell’uomo, dopo il cane, si accende un’altra sigaretta, lo guardo, alzo le spalle, gliela sfilo di bocca e me la infilo nella mia, tiro due boccate e quasi ci rimetto i polmoni. Tossisco come una tisica, lui mi riprende la sigaretta e con l’altra mano si preoccupa che non sputi tutte le viscere. Mi accarezza la schiena, se la ride un po’ e mi guarda con tenerezza.

“Stai bene?” vedo che un po’ continua a ridersela sotto i baffi.

“Sto bene”, tossicchio un altro po’.

“L’avevi mai fatto in vita tua?”

“Mai fumata una … ma caspita come fai, tu? E’ quasi un’ora che fumi, non ti da fastidio?”

“E’ per scaricare la tensione.”

“E non conosci altri modi che possano tornare utili?”

“Sì, di solito o fumo o …”

Guardo altrove un po’ distratta in attesa di una risposta che non arriva, guardo verso di lui e allargo le braccia.

“Allora?”

Lui mi guarda, inclina lievemente la testa da un lato, fa un sorrisino sexy e si guarda intorno; il suo sguardo malizioso non lascia spazio a fraintendimenti.

Mi sento una cretina.

“Oh … continua pure a fumare.”

 

 

Passano almeno altre due ore durante le quali la calma ritrovata grazie alla gradevole presenza del mio ospite, incomincia di nuovo a scomparire. Lui nota la mia inquietudine e cerca di sdrammatizzare, ma io sto dando fuori di matto.

“Ma ti rendi conto di quanto sono stata cretina? Io nemmeno potrei venirci qua senza una ragione assegnata, ho praticamente abusato delle mie possibilità, ho mandato a quel paese il mio capo, me la sono svignata, ho fatto l’isterica, sai che significa? Lo sai? Rischio il licenziamento per questa cazzata, una lavata di capo che nemmeno ti sogni … e non posso permettermi di perdere il lavoro, per non parlare poi del fatto che ho frigo e tele da fare aggiustare … altre spese…” per tutto il tempo Russell non fa che ripetermi una cosa.

“Calmati, vedrai che si aggiusta tutto”,

ma io non lo sento neppure fino a quando anche lui perde la pazienza, mi afferra sullo stile di “Baciami, Rossella” e … mi bacia…

e mentre io penso che quello non sia né il luogo né il momento, sento all’improvviso dentro di me la mia vera natura rinascere. E le mie membra sciogliersi come la mozzarella sulla pizza sotto la virilità di quel bacio che non mi ricordo di averne mai ricevuto uno uguale. E all’improvviso scompare il mio capo, scompaiono televisione frigo e stress. Non c’è nulla se non io e questa meravigliosa creatura divina che mi sta ricordando, distesa su un pavimento che è stato precedentemente calpestato da illustri testoni, che sono una donna… e che donna. Una super donna, sotto ad un superuomo che, a confronto, quello di Nietzsche sembra baby-puffo. Altro che le sigarette, questi sono metodi efficaci per scaricare la tensione e di certo non fanno male alla salute. Mi rivolta manco fosse un pizzaiolo che ha tra le mani la pasta pronta da infornare. Ma che faccia di me ciò che vuole, non ho più nessun ritegno. Con tanta mozzarella, con doppio pomodoro, chissenefrega, basta che alla fine sia sazia anch’io. Non ne potevo più di uomini non in grado di badare a loro stessi. Almeno questo qua dava l’idea di avere un certo spirito di iniziativa, un ottimo senso del “problem solving” … fossero stati tutti così gli uomini di quell’ambasciata … invece lì sembrava che tutti sapessero fare solo una cosa bene. Invocare il mio nome in segno di aiuto. Anche nel sotterraneo dell’ambasciata australiana sentivo invocare il mio nome, ma era per tutt’altra ragione. Come poter sottrarsi all’immenso piacere che provavo nel sentirlo dentro di me. Impossibile. E quel nome, il mio, risuonava sempre più forte, sempre più chiaro … oddio, ma …

“Margheriiiiitaaaaaaa”

No, il mio capo.

Come un flash riapro gli occhi e mi ritrovo a specchiarmi dentro lo specchio del bagno del mio piano. Sbatto le ciglia e mi guardo riflessa. Sono forse svenuta? Non ho botte in testa…e quella che sento … non è un sogno. E’ la voce del mio capo. Non ho fatto nessuna figuraccia, sono andata semplicemente in bagno, non rischio nessun licenziamento. Sento un sorriso riaprirsi nel mio cuore. Dio, però, lo stress, se li fa brutti gli scherzi. Poco fa stavo sc…., ma è meglio andare dal mio capo.

Dopo essermi ricomposta mi presento da lui, che non ci crederete, ma un po’ mi è mancato, fresca come una Rosellina … o forse dovrei dire una Margheritina…

Mi guarda con sguardo paterno, però … anche lui ogni tanto ha un cuore.

“Margherita, la vedo provata, si sente bene?”

Bè, come avreste fatto voi a dire in termini diplomatici che stavate bene perché avevate appena finito di immaginare di essere materassate da Russell Crowe sul tappeto rosso dell’Ambasciata? Certe cose vanno semplicemente taciute.

“Sto bene, dottore, scusi se l’ho fatta aspettare.” In realtà ero rimasta chiusa in bagno per quaranta normalissimi secondi, ma questo lo ignoravo.

“Senta Margherita, mi hanno appena chiamato dall’istituto di cultura. Ci sarebbe un ospite, inaspettato, in quanto non era prevista una sua visita in Ambasciata, che desidererebbe visitare l’edificio. Lei è la più esperta dei dipendenti e senz’altro la sua presenza sarà più gradita di quella di qualche suo collega maschio.”

Mi sorride con affetto. Non posso che ricambiare.

“Sarò lieta di poter essere utile.”

“L’accompagno, ci aspetta nella sala d’aspetto.”

Arrivati nel luogo in questione … quasi vengo a mancare.

“Signor Crowe, benvenuto in Ambasciata, le presento Miss Margherita Smithers che le farà da guida in questa visita dell’edificio. Le auguro un piacevole soggiorno qui a Berlino. La signorina Smithers saprà rispondere a tutte le sue domande.”

Il ‘signor Crowe’ mi porge la mano e sembra che sia la prima volta che vedo una celebrità in vita mia.

Sorrido tra me e me mentre ci dirigiamo verso il famoso corridoio che però ho il tempo di mostrare con molta più tranquillità al nostro ospite, che, come in un film già visto, mi segue e osserva tutto con sguardo molto interessato.

“E’ permesso fumare qui?”

Sorrido

“E’ teso signor Crowe?”

“No, e lei?”

“Nemmeno.”

“Mi fa piacere.”

“Se mi vuol seguire da questa parte si va nella zona dei ricevimenti ufficiali.” Apro la porta e lascio che si richiuda alle mie spalle.

Oh cacchio …oh no … il badge …l’ho lasciato sulla scrivania!!!

 

 

Fine

AleNash

(settembre ’03)

 

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