LA POESIA
Aveva letto una poesia prima di
addormentarsi. Ma quella sera non riusciva a prender
sonno. Le ritornavano alla mente i versi di Leopardi …
"Dolce e chiara è la notte e
senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli
orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna".
Che pace in quelle parole! Lei però
non sentiva pace, ma lo strazio sottile dell'abbandono: "…non
sai né pensi/quanta piaga m'apristi in mezzo al
petto."
Così continuava il testo: un lui
dimenticato, forse nemmeno considerato dalla
"sua" donna, che non è la sua donna e che non
sa di avergli fatto tanto male.
"Quanta piaga m'apristi in mezzo
al petto". Ecco il dolore, acuto, penetrante,
eppure quasi dolce compagnia di quella sera troppo
chiara, troppo illuminata dalla luna, l'astro a cui si
rivolgono gli innamorati, lieti o tristi che siano.
Cristina non voleva rassegnarsi alla
tristezza; non le piaceva l'autocommiserazione e
detestava chi si compiaceva delle proprie difficoltà.
Voleva credere di essere forte, di non cedere, di non
darla vinta alle avversità che la vita inevitabilmente
riserva ad ognuno. Con questa educazione era stata
cresciuta e così aveva impostato il suo modo di essere.
Non che si credesse superiore alle sue amiche - che un
po' la prendevano in giro per la sua seriosità -, ma
non le piaceva mostrare troppo di sé e dei suoi
sentimenti.
Anche quando parlava del suo
fidanzato, raramente si lasciava andare ad esprimere la
gioia e la trepidazione che provava insieme a lui e per
lui. Credeva piuttosto che la riservatezza dei suoi più
intimi sentimenti sarebbe stata una garanzia, una dote
con cui far durare a lungo quell'amore così inaspettato
e coinvolgente.
Perché aveva letto proprio quella
poesia? Cosa la sconvolgeva a tal punto che nemmeno il
dolce pensiero di Fabio, il suo uomo, serviva a
calmarla? Lui era partito qualche giorno prima per
lavoro. Laureatosi da poco in ingegneria navale, era
stato contattato da un armatore arabo per un eventuale
incarico presso il governo dell'Arabia Saudita. Era
talmente contento ed euforico di tale opportunità che
non le aveva nemmeno chiesto se volesse accompagnarlo.
Ecco, si disse, forse è per questo
che si sentiva un po' agitata, magari offesa.
Ma si accorse che non era vero, che
anzi, in fondo, era felice per lui, addirittura
orgogliosa, perché non lo amava soltanto, lo ammirava,
lo stimava profondamente. Con lui si sentiva al sicuro,
protetta, appagata. Cosa che le sue amiche minimamente
sospettavano; mai avrebbe ammesso in loro presenza che
era così che amava sentirsi: coccolata e vezzeggiata
come una bambina dal suo uomo.
Cos'era allora quell'inquietudine
sottile e insistente che la pervadeva tutta? Perché
l'aveva colpita quel povero Leopardi che si lamentava di
"quanta piaga m'apristi in mezzo al petto"?
Un vento leggero scostava le tende
della finestra aperta, nella sua camera. Era la fine di
giugno, un mese che Cristina amava molto perché l'aria
era calda ma non soffocante, perché la pioggia di
giugno è sottile e silenziosa, quasi lieta.
Dalla finestra giungevano i rumori
della notte, i profumi del giardino e della campagna
circostante. Dal letto vedeva il chiarore lunare che
illuminava il mondo misterioso e temuto delle tenebre.
Ma quella sera non c'erano le tenebre. Quella era
proprio la notte descritta dal poeta.
Provò un impulso irrefrenabile,
balzò dal letto e si slanciò sul balcone, presa da un
inspiegabile desiderio di ammirare quel notturno che si
offriva come sollievo al suo turbamento. Voleva soltanto
stare in pace, sentire la sensazione tranquillizzante
che tutto andava bene, che fra una settimana avrebbe
rivisto Fabio e si sarebbe dimenticata questo stato
d'animo strano e nuovo. Fra le sue braccia sarebbe stata
protetta e al sicuro. "Oh Fabio, se tu fossi qui
ora! Vedi anche tu le stelle che sono qui? Mi stai
pensando?"
Come non le accadeva da tanto tempo -
da quando era morto suo padre, il suo adorato padre -,
Cristina si trovo' con le guance rigate di lacrime,
lacrime salate, copiose. Un pianto silenzioso che
accolse come una liberazione, anche se non sapeva da
cosa.
Il giorno seguente non fu facile per
lei. Pur amando molto il suo lavoro di interprete
parlamentare (per ottenere quel posto aveva faticato
assai), non riusciva a concentrarsi completamente, anche
se, per fortuna, nessuno sembrò accorgersi di niente.
Solo Alice, l'amica del cuore,
l'unica che la capisse davvero, che sapeva della sua
ritrosia e vedeva nel suo animo, comprese subito che
qualcosa doveva turbare Cristina, e cercò di saperne di
più quando si trovarono insieme durante una breve
pausa. Sedute al tavolino del bar una di fronte
all'altra, Cristina ora guardava l'amica ora sfuggiva al
suo sguardo, timorosa come una bambina che deve rivelare
un segreto, ma non osa farlo.
"Cristina, c'è qualcosa che non
va? Fabio non si è fatto vivo?"
"No, no, anzi. Ci siamo sentiti
proprio stamani. Mi ha raccontato che le trattative
vanno bene. Spera davvero di avere quell'incarico. In
quel caso probabilmente vorrebbe che lo seguissi anch'io…"
aggiunse con un filo di voce, come se non fosse
convinta. Alice fece finta di niente:
"Non ne saresti contenta? Certo,
probabilmente dovresti lasciare il tuo lavoro qui, ma
sei talmente brava che magari ti potresti presentare al
governo arabo e ottenere un nuovo impiego. In fondo, a
te piacciono le lingue orientali; dovresti solo
rispolverarle un po' ".
Le parole dell'amica, dette con
l'intenzione di aiutare Cristina a vedere il lato
positivo della situazione, furono invece per lei
devastanti. Fissò il suo sguardo allarmato negli occhi
di Alice, impallidì visibilmente, le labbra le
tremavano e infine scoppiò a piangere, a dirotto, senza
freni.
"Mio Dio, Cristina! Che ti
succede? Scusami se ho detto qualcosa di male, … non
credevo…non pensavo… Non ti ho mai visto in questo
stato, nemmeno quando è morto tuo padre! Cristina,
calmati, ti prego. Vieni, ti accompagno a casa."
Cristina si lasciò portar via senza
opporre resistenza. Aveva provato in verità a dire
qualcosa del lavoro, ma l'amica non la stette a sentire
e la condusse a casa con la propria auto. Durante il
tragitto non parlarono e Cristina fu grata di quel
silenzio rispettoso, per quanto preoccupato. Sentiva che
Alice era angustiata dal suo comportamento insolito,
quasi allarmata da quel pianto inspiegabile per una come
lei, sempre presente a se stessa, attenta a non far
trapelare più di tanto del suo intimo.
Giunte a casa, Cristina andò subito
al bagno e si fermò a fissarsi nello specchio. Il
trucco, per quanto leggero, se ne era andato e due
rivoli neri di rimmel le macchiavano le guance, pallide
e spente; gli occhi, di un bel taglio orientale, scuri e
profondi, erano gonfi e rossi; le labbra, appena
tinteggiate di rossetto, ancora tremanti. Il volto,
solitamente sereno e luminoso pur nella severità dei
lineamenti, appariva stanco, quasi duro e tetro. I
capelli, lunghi e lisci, di un nero corvino, risaltavano
ancor più nel pallore del viso, ed erano stranamente
disordinati.
Si spaventò del suo aspetto, ma non
lo dette a vedere ad Alice quando la raggiunse nel
salotto. Sembrava aver riacquistato la padronanza di
sempre, ma l'amica capì che un tormento sconosciuto,
una inquietudine nuova si erano impadroniti del suo
animo. Tuttavia, per il bene che le voleva, non fece
domande, non indagò su quel malessere e Cristina ancora
una volta gliene fu grata. Si abbracciarono come due
sorelle che si ritrovano dopo tanto tempo; fu Cristina a
gettarsi per prima nelle braccia dell'amica, a cercare
conforto e affetto. Per un attimo le sembrò di sentire
il calore di Fabio, il suo profumo, la sua fragranza di
uomo, e sentì acuta e insopportabile la sua assenza. Ma
fu un attimo. Tornò presente a se stessa e chiese
all'amica di lasciarla sola.
Alice comprese che sarebbe stato
inutile provare a chiedere spiegazioni in quel momento:
"Va bene, me ne vado. Lo sai che quando vuoi, io ci
sono". E tuttavia non era tranquilla: avrebbe
voluto insistere, ma l'aspetto di Cristina le consigliò
di lasciar perdere per il momento.
Il mattino dopo un sole raggiante
inondava Roma e le sue piazze, le case e i monumenti, le
strade e le fontane. L'aria era tiepida e leggera, la
gente era in strada di buon ora, chi per lavoro chi per
svago. La città si preparava ad un'altra giornata di
folla variopinta e rumorosa.
Cristina aveva appuntamento alle otto
e trenta al Quirinale, dove il Presidente Ciampi avrebbe
incontrato il cancelliere Schroeder, in visita ufficiale
in Italia dopo la sua fortunosa rielezione.
Si preparò con cura, scelse
meticolosamente l'abito più adatto, né vistoso né
troppo castigato. Alla fine, la sua immagine riflessa
allo specchio la convinse abbastanza, anche se un
attento osservatore avrebbe potuto notare nel suo
sguardo un non so che di triste e di vago. Ma le persone
che doveva incontrare la rassicuravano in tal senso:
nessuno la conosceva così bene da notare in lei
qualcosa di diverso.
Un clacson discreto ma deciso
l'avvertì che l'auto blu mandata dal Palazzo era
arrivata. In fretta uscì, salutò l'autista che le
venne incontro con deferenza e salì su quell'auto
importante che le dava sempre un po’ di soggezione.
Una volta a bordo, le venne una strana fantasia: era una
famosa diva di Hollywood in visita nella Città Eterna,
tutto la stupiva e la incantava. Quei monumenti di cui
aveva visto mille foto adesso erano lì, davanti a lei;
anzi, lei ci stava proprio in mezzo… il Colosseo, i
Fori imperiali, Piazza Venezia; e poi San Pietro, Piazza
Navona, la fontana di Trevi…
L'auto si fermò nel piazzale interno
del Quirinale e Cristina ebbe un sussulto: era arrivata.
Scese con un lieve passo malfermo; doveva fare ancora
qualche sforzo, ma quando le presentarono il Cancelliere
tedesco, era tornata completamente in sé.
La giornata fu lunga e impegnativa, e
tutto sommato molto piacevole e gratificante: le piaceva
conoscere persone importanti, che la maggior parte dei
comuni mortali vedeva in TV o ne leggeva sui giornali.
Per questo si sentiva una privilegiata: il suo lavoro le
dava la possibilità di stare a contatto con un mondo
forse criticato e ambiguo come quello della politica; ma
era un ambiente stimolante, si respiravano la mondanità
e il peso delle responsabilità degli uomini e delle
donne di governo, si potevano vedere da vicino i
"potenti" della terra nei loro aspetti
quotidiani e sconosciuti. Poteva curiosare su ciò che
preferivano e ciò che era loro insopportabile; anche i
"grandi" hanno le loro manie e le loro
mediocrità, il che li rende meno distanti dalla gente
comune di quanto sembrino o vogliano apparire.
Alle 23.00 circa fu riaccompagnata a
casa. Decise di guardare un pò la TV prima di andare a
letto. Il giornalista Vincenzo Mollica stava parlando di
un film che sarebbe uscito tra poco nelle sale
cinematografiche italiane, e ne parlava come di un
film-evento, il ritorno ad un genere che sembrava
scomparso, definitivamente tramontato, il genere
storico, antica Roma e cose del genere. Un attore
australiano semisconosciuto sembrava addirittura
candidato all'Oscar, tanto convincente era la sua
interpretazione del generale Maximus, odiato e inviso al
perfido imperatore Commodo.
Ad un certo punto comparve sullo
schermo il volto del protagonista, un primo piano bello
e intenso di un giovane uomo dal volto espressivo, dolce
e duro insieme, dallo sguardo penetrante eppure
distante; sembrava quasi infastidito da tutto quel
clamore. Non che lui stesse parlando, ma era quella
l'immagine che si leggeva dal suo viso immobile.
Per Cristina fu un tuffo al cuore, un
violento pulsare del sangue nelle vene, un capogiro che
le fece tremare le ginocchia. Era proprio lui! Lei lo
aveva già incontrato! Aveva sperimentato quegli occhi
magnetici su di sé, aveva visto il suo viso illuminarsi
all'improvviso del più bel sorriso che avesse mai
sognato, aveva ammirato i suoi modi rudi e teneri a un
tempo, si era beata della sua voce calda e profonda.
Lui, lui era "Il
gladiatore" di Ridley Scott di cui stava parlando
il giornalista!
Era scossa, profondamente e
terribilmente scossa, respirava a fatica, non riusciva a
staccare gli occhi dallo schermo e quando il servizio si
concluse, rimase immobile e si sentì completamente
sola, sola con se stessa, con i suoi turbamenti, con le
sue ansie, con i suoi ricordi di due mesi prima…
Nei primi giorni di maggio Alice
l'aveva cercata a proposito di una festa di beneficenza
per l'UNICEF, durante la quale personalità del mondo
dello spettacolo, della politica e della cultura
avrebbero presentato un progetto di aiuto ai bambini del
Terzo mondo. Data l'importanza della manifestazione,
c'era bisogno di interpreti capaci e professionali, che
avessero dimestichezza soprattutto con i politici. Per
tale motivo Alice, una delle organizzatrici, aveva
pensato a Cristina, che accettò volentieri, anche se in
cuor suo pensava che sarebbe stata l'ennesima vetrina
per vip più o meno famosi o in cerca di qualche
articolo sui giornali giusti.
La serata fu inaspettatamente
gradevole, molto più seria e operativa di quanto
Cristina potesse credere. Certo, non mancavano sfoggi di
eleganza e intenti di presenziare a tutti costi, specie
da parte di molte signore della Roma-bene e di politici
in cerca di consenso. Tuttavia, il motivo di fondo era
davvero quello importante, si presero accordi e si
stabilirono collaborazioni a livello governativo.
Cristina fece la sua figura e fu
molto apprezzata per la sua competenza. Fu anche molto
corteggiata. Pur non alta di statura (1,65 m circa), la
sua figura era proporzionata e aggraziata; non magra né
robusta, la si poteva definire piacevole nell'insieme,
ma decisamente bella ed espressiva nel volto, grazie a
due occhi neri a forma di mandorla, le sopracciglia nere
e ben arcuate, il naso lungo e sottile, le labbra
carnose che si aprivano su un sorriso composto ma
aperto, dolce, gioioso nonostante la severità del viso.
I capelli, di un nero corvino, lisci e lunghi, quella
sera erano stretti in un elegante chignon che lasciavano
scoperto il collo lungo ed elegante. Nel suo insieme
Cristina era naturalmente elegante, ciò che la rendeva
ancor più ricercata nel suo lavoro. Il suo aspetto
sobrio e i modi misurati colpivano spesso i suoi
interlocutori e non era facile, talvolta, respingere le
avances; ma quello che la proteggeva era l'innato
riserbo, non di rado scambiato per freddezza o
addirittura superbia (soprattutto da parte delle donne).
La serata volgeva al termine e
Cristina stava salutando l'ultima delegazione, quella
australiana. Ad un certo punto, i suoi occhi furono
irresistibilmente attratti da un uomo. Se ne stava in
disparte, guardando senza convinzione un quadro, una
mano in tasca, con l'altra teneva un bicchiere, forse di
champagne. Pareva annoiato, camminava avanti e indietro
davanti al quadro che ormai non guardava più; ogni
tanto qualche signora lo avvicinava, ma sembrava fare di
tutto per rendersi poco piacevole, così ora era solo.
Forse aspettava un membro della delegazione, forse anche
lui ne faceva parte. Ma non aveva l'aria di uno che
frequentava normalmente quel tipo di ambiente. Era
stranamente e semplicemente fuori posto. La ragazza ne
era davvero incuriosita, quasi divertita. Quello
sconosciuto, si accorse con una strana emozione, la
attraeva, troppo. Solo guardarlo da lontano, quasi
furtivamente, le faceva provare una certa inquietudine.
"Chissà come sono belli i suoi occhi" - si
scoprì a pensare all'improvviso. "Ma che sto
dicendo!"
Combattuta fra il desiderio di
continuare ad osservarlo senza essere vista e la voglia
di andarsene data l'ora tarda (nel frattempo era
riuscita con una certa difficoltà a liberarsi dai
delegati dell'Australia), realizzò che lui non faceva
parte di alcuna delegazione. La festa continuava, erano
rimasti gli amanti delle ore piccole, quelli abituati a
passare il tempo fra una festa e l'altra, con buona pace
dei bambini affamati del Terzo mondo.
Non sapeva cosa fare: non voleva
andarsene, non ora che lo aveva visto. Eppure DOVEVA
andarsene, domani sarebbe stata un'altra giornata di
lavoro. Fabio non c'era, si trovava fuori per lavoro.
"Come sempre… o quasi". L'idea che Fabio non
ci fosse la sollevava.
Si sentì subito in colpa e decise di
dover subito troncare ogni pensiero inutile. Si avviò
risoluta verso l'uscita, con passo svelto e
inconsciamente timorosa di ripensarci. Eppure, mentre si
allontanava, cominciava a provare una punta di delusione
e si immaginò che qualcuno… LUI, la fermasse in
tempo, con una scusa qualsiasi, qualsiasi cosa pur di
stare ancora lì e guardarlo, avvicinarlo, vederlo in
viso, perdersi in quegli occhi che si immaginava blu
come l'oceano sconfinato. "Non è possibile, sei
pazza! Cosa ti stai dicendo, Cristina!" - urlò
quasi a se stessa mentre la porta d'uscita si faceva
sempre più vicina, più vicina…
"Mi scusi, signorina…" .
La voce la colpì all'orecchio come un tuono. Come una
scena al rallentatore, si fermò, si vide voltarsi,
lentissimamente le parve, incontrare due occhi, QUEGLI
occhi, i SUOI occhi, l'oceano in tempesta, come in
tempesta era il suo cuore, il suo intero essere. Era
come se una parte di lei volesse assistere a quella
scena per gustarla meglio.
Il sogno continuava. Ma non era un
sogno, mio Dio! Era proprio lui, che la stava guardando
fra il divertito e lo stupito, con un lieve sorriso che
lei sentì su di sé come una carezza. Si sentì
rispondere: "In che modo posso esserle
utile?".
"Non credo ci sia bisogno di
tanta formalità" - le rispose lo sconosciuto con
tono vagamente canzonatorio. "Volevo semplicemente
conoscerla, visto che adesso sembra libera dai suoi
impegni".
"Libera dai miei impegni …..?"
"Lei non è interprete?"
"Sì, ma … lei come lo
sa?" - che idiozie stava dicendo? Come si stava
comportando?
Come si sentiva stupida! Aveva di
fronte quel lui che l'aveva tanto colpita e ora la sua
ritrosia, la sua arma di difesa, si inalberava proprio
contro di lui.
Mentre Cristina si stava arrovellando
in un turbine di pensieri, lui rimase ancora lì. La
guardava con insistenza, sembrava intuisse il turbamento
di lei. O era lei che lo desiderava? Non era lei che
nutriva la fantasiosa speranza che lui la capisse senza
parlare? E perché questo desiderio?
"Lo so perché mi sono
informato" - le rispose finalmente lui.
Lo sguardo di lei domandava perché.
"Perché in questo posto lei mi sembra come me,
fuori luogo".
Cristina non sapeva cosa dire, le sue
normali facoltà parevano non rispondere ai suoi comandi
razionali. Si sentiva goffa e impacciata, si sarebbe
messa a piangere per come si vedeva incapace di reagire,
lei, la saggia e prudente Cristina, sempre padrona di
sé, dotata di perfetto self control.
Lui la prese dolcemente sotto braccio
e la condusse al banco bar. Lo lasciò fare, docile e
calma all'apparenza.
"Posso sapere il suo nome,
signorina?"
Lei, arresa, rispose con voce
incerta: "Mi chiamo Cristina".
"Io mi chiamo Russell Crowe,
sono un attore australiano, neozelandese per
l'esattezza. Sono a Roma di nascosto" - le disse
con aria complice.
Lei non capiva: "Di nascosto? Da
cosa si nasconde?"
"Finalmente sono riuscito a
suscitare il suo interesse!" - le sorrise mentre si
portava il bicchiere di champagne alle labbra.
Cristina ricambiò il suo sguardo
divertito e cercò di giustificarsi: "Mi scusi,
sono molto stanca ed è molto tardi".
Ecco - pensò - un'altra gaffe,
penserà che sono proprio scortese. Riprese:
"Volevo dire che è stata una giornata pesante,
stamani in Parlamento e stasera qui …. Io …"
"Non si deve scusare. Anzi, mi
perdoni lei se la trattengo. Se vuole, possiamo
salutarci" - aggiunse lui con una lieve titubanza.
Oh no, pensò lei, non voglio andare,
non sai come sto bene adesso…
Si vergognò, ancora una volta si
pentì dei suoi pensieri. Pensò a Fabio ed ebbe una
fitta in fondo al cuore, … ma proprio in fondo…
Per il momento Cristina non rispose.
Continuava a guardare Russell (com'è bello pronunciare
il suo nome, si disse) mentre sorseggiava il suo
champagne. Lui, di nuovo inspiegabilmente, sembrava
intuire il rovello interiore della giovane che aveva di
fronte, che vedeva per la prima volta e che gli era
tanto piaciuta e non aveva smesso di osservare durante
quella serata. Lo attraevano quei misteriosi occhi neri,
il volto troppo serio, forzatamente serio. Chissà
perché quella ragazza aveva tanto bisogno di
controllarsi, come se si volesse difendere. Da che cosa
ti difendi?, avrebbe voluto chiederle, ma la domanda gli
sembrò subito inopportuna, invadente, e non voleva
sciupare quell'incontro meditato per tutta la sera.
"Forse è giunto il momento di
salutarci" - disse dopo un po’ l'uomo, rendendosi
conto della difficoltà di lei. Queste parole furono per
Cristina una tremenda delusione, suo malgrado; eppure
furono dette con così tanta dolcezza (o era
immaginazione?) che lo guardò con gratitudine e ansia
insieme.
La accompagnò fino all'auto, la
salutò con un delicato e sapiente baciamano, l'aiutò a
salire e poi aggiunse avvicinandosi all'orecchio di lei
: "Ci incontreremo di nuovo". Il tutto mentre
Cristina si lasciava fare, incapace ancora una volta in
quella strana sera, di affrontare la situazione con la
consueta padronanza. Il sussurro di Russell le sembrò
una brezza calda, un soffio di vita impetuosa che
entrava dentro di lei.
In qualche modo riuscì a tornare a
casa, ma in quanto a dormire e non pensare fu
impossibile. Passò il giorno dopo, e il giorno dopo
ancora. Non parlò ad alcuno di quella breve, troppo
breve esperienza. A lei stessa sorgeva il dubbio di
essersi sognata ogni cosa. Si dedicò ancor più
intensamente al lavoro e a Fabio. Si convinse, volle
convincersi che era stata una parentesi estemporanea,
senza scopo, senza valore. La sua parte razionale prese
il sopravvento e decise di mortificare quello slancio
vitale che credeva di aver sentito quella sera, come una
sorta di autocensura, che scatta inconsciamente quando
non riusciamo ad affrontare una realtà che ci sembra
troppo difficile da accettare o ammettere.
Il suo fidanzato e la sua amica del
cuore non intuirono niente e lei si sentì ancor più
nel giusto per aver elaborato quella convinzione.
Qualche volta, in verità, a Fabio
sembrava di percepire un non so che di forzato in
Cristina, soprattutto nell'intimità. Ma poi non ci
pensava più, in fondo gli slanci amorosi della sua
donna gli erano graditi e la preferiva così pronta e
disponibile piuttosto che restia e timorosa.
Tutto stava andando per il meglio,
dunque; niente turbava la tranquilla routine della sua
vita. Che bisogno c'era di riprendere le letture dei
suoi studi classici? Aveva un debole per Leopardi e la
sua straordinaria poesia. Ricordava di essersi sciolta
in lacrime durante la preparazione degli esami di
maturità. Stava studiando con Anna e Lucia; quel
pomeriggio era dedicato al ripasso della poetica
leopardiana. A Cristina fu concesso di leggere il
"Canto notturno di un pastore errante
dell'Asia". Centoquarantacinque versi di domande,
sulla vita, sul senso e la necessità o meno del vivere
e del morire. Domande su domande a cui il poeta non
sapeva dare una risposta consolatrice. Alla fine della
lettura il silenzio era totale: le tre amiche si
guardarono negli occhi e li scoprirono pieni di lacrime.
Commosse e imbarazzate, dettero poi in una fragorosa
risata per stemperare l'emozione di cui ognuna si
vergognava un po’.
La sera dell'inquietudine (così
pensò di chiamarla) le pagine del libro dei Canti
leopardiani si aprirono su "La sera del dì di
festa" e si soffermò più del dovuto (solo dopo lo
comprese) sulla "piaga in mezzo al petto".
Ora, a quasi due mesi di distanza
dalla sera in cui conobbe "lui", capiva il suo
tormento. Aveva tentato in tutti i modi, aveva costretto
i suoi pensieri, aveva soffocato le sue emozioni, si era
impedita di ricordare ogni attimo, ogni istante di quel
fugace, bellissimo, agognato, sperato incontro con un
lui misterioso e desiderato. E i versi di una poesia
avevano reso inutile ogni sforzo. "Ci incontreremo
di nuovo" le aveva sussurrato.
Quando, dove, perché. Dimmelo
ancora, ti prego. Voglio crederci. Ma come sarà
possibile? Tu sei un divo ormai. Quante donne, quante
fans in tutto il mondo ti vogliono, ti cercano. Perché
proprio io dovrei essere più fortunata?
Spenta la TV, si sorprese a parlare
come se Russell Crowe potesse sentirla.
E Fabio? Il pensiero di lui la
infastidiva, la irritava quasi. Eppure si sentiva in
colpa come se l'avesse tradito. Ignaro delle fantasie
della sua donna, lui stava beato in Arabia Saudita a
costruirsi il futuro, certo pensando anche a lei. Ma
lei, ora, voleva un futuro con lui? Questa era la
domanda che non aveva avuto il coraggio di porsi, e
quando Alice le aveva parlato di un eventuale
trasferimento in quel paese, ecco la sua reazione
incontrollata.
In pochi attimi, dopo il servizio
alla TV, Cristina aveva psicanalizzato se stessa con
fredda lucidità, mentre il cuore in tumulto sembrava
sollevato e finalmente libero di battere per un sogno.
I sogni sono pericolosi, rischiano di
farmi perdere il senso della realtà, ed io non voglio
illudermi inutilmente.
Con tale affermazione troncava le
chiacchiere delle amiche quando favoleggiavano su come e
chi e con chi avrebbero voluto essere: "Ah, la
saggia Cristina!" A volte si sentiva offesa, altre
volte preferiva ignorarle.
Se sapessero adesso che anche la
fredda Cristina si perde nei sogni…
Forse potrei raccontare tutto ad
Alice, l'unica in grado di capirmi senza giudicare…
Con tale risoluzione finalmente si
addormentò. I sogni la visitarono per tutta la notte,
ma il mattino seguente sembrava non ricordarli. Si alzò
di buon ora e si rammentò che quel giorno era libera.
Fabio sarebbe rientrato tra pochi giorni, aveva ancora
del tempo da dedicare solo a se stessa. Una passeggiata
per Roma era quello che ci voleva. Si vestì in modo
informale, una volta tanto non costretta con tacchi a
spillo e tailleur. Vagò per le strade più note della
città come una turista, si fermò ai monumenti di rito
con il naso all'insù come vedesse Roma per la prima
volta, finalmente fuori dai palazzi seriosi della
politica, dalle sale austere dei busti degli uomini
illustri. Gettò perfino le monetine nella fontana di
Trevi. Leggera e serena come da tanto tempo non si
sentiva più, gustava la giornata senza imbrigliarla in
programmi da seguire e tempi da rispettare. In vacanza,
era una ragazza qualunque in vacanza, anche da se
stessa. Solo allora si accorse di aver dimenticato il
cellulare. Pazienza!, si sorprese a pensare.
Erano le prime ore del pomeriggio e
decise di avviarsi con calma verso casa. L'auto era
piuttosto lontana da dove si trovava, ma fu contenta di
camminare ancora un po’ tra la gente. Qualcosa di
inatteso colpì la sua attenzione; la calma serena che
l'aveva accompagnata fino ad allora svanì
all'improvviso e il suo cuore si sciolse di fronte alla
locandina di un film.
LUI era lì, con la spada in mano, il
volto teso in una espressione seria e addolorata,
determinato e vendicativo. Senza sapere come ci fosse
arrivata si trovò di fronte alla biglietteria. Fu nella
sala, seduta chissà dove.
Vide il film per due volte di
seguito, ammirata, estasiata, incapace di muoversi se
non per seguire avidamente l'intreccio della storia.
Uscì alla fine, esausta come se
avesse corso per ore, inseguita dai suoi sogni più
impossibili e più desiderati. Tanto più desiderati
proprio perché impossibili.
Innamorata! Mi sono innamorata….di
chi? Di Russell? Di Massimo?
Disperata, si sentiva perdutamente
innamorata di lui, perché lui esisteva davvero, l'aveva
visto, lui le aveva parlato, le aveva promesso "Ci
rivedremo ancora".
Ma come crederci ancora? Cosa la
teneva legata a quella assurda promessa? Ma era una
promessa o anche quelle parole erano state il frutto dei
suoi desideri?
Infine tornò a casa. Volle rimanere
sola, non cercò nessuno, non rispose alle telefonate,
non ascoltò la segreteria telefonica. Si sedette sul
balcone della sua camera e passò ore ed ore a guardare
senza vedere, a fissare con lo sguardo un punto lontano
all'orizzonte.
Il giorno dopo si dette malata.
Sentiva di non farcela. Quel lavoro che era il suo
rifugio le parve improvvisamente inutile. Nemmeno il
pensiero di Fabio voleva nella sua mente. Vivere di
sogni, lasciarsi andare alle fantasie più nascoste e
inconfessabili; solo questo voleva, o forse no, ma era
questo che sentiva dentro.
Qualche mese era passato, Fabio era
ritornato e Cristina non era più la stessa, o almeno
quella che lui credeva di conoscere. Ne fu deluso,
addolorato, si sentì perso perché non riusciva a
capire e la ragazza non riusciva a spiegarsi. In realtà
non VOLEVA spiegare ciò che a lei stessa risultava
incomprensibile, fuori logica, totalmente irrazionale.
E se l'amore, quello vero, fosse
proprio irrazionale? Se quello che fa battere il cuore,
che fa struggere, che fa sentire vivi fosse davvero un
sentimento totale, assoluto, che non ha bisogno di
quotidianità, di continue rassicurazioni?
Non osava confidare queste
"follie" a Fabio, visto che non c'era riuscita
nemmeno con Alice. L'amica però non cercò mai di
forzare confidenze che, lo capiva, Cristina non si
sentiva di fare.
Il lavoro andava avanti, almeno
qualcosa di normale era rimasto nella sua vita. Anzi, fu
la sua ancora di salvezza in un momento così
sconcertante.
E il bell'attore? Era sempre nei suoi
pensieri, un pensiero fisso, costante, dolce e doloroso,
bello e amaro. Si era informata su di lui, ora sapeva
tutto della sua carriera, dei suoi premi, delle sue
risse,…delle sue donne. Ne era gelosa, ma lo
perdonava. Bastava guardarlo, ammirarlo nei suoi film
(li sapeva quasi a memoria…), per sentirsi in qualche
modo realizzata: in fondo, era sufficiente immedesimarsi
nella protagonista femminile.…….. ed era con lui.
Ma quanto le sarebbe bastata
veramente la finzione? Ogni tanto si poneva la domanda,
ma poi la dimenticava perché sapeva bene che non c'era
risposta.
Fabio nel frattempo partì di nuovo
per l'Arabia Saudita e lei non lo accompagnò.
E accadde l'incredibile. Russell era
a Roma per promuovere "A beautiful mind" .
E va bene! Devo sapere se questi mesi
sono stati inutili e stupidi sogni. Troverò il modo di
incontrarlo.
Con una intraprendenza di cui mai si
era creduta capace, riuscì a sapere con discrezione
dove lui alloggiava e a quali serate era stato invitato
come ospite d'onore.
La sua professione le fu alquanto
utile e giunse la sera in cui, dopo tanti mesi di
struggimento, lo avrebbe finalmente incontrato di nuovo.
E se invece non fosse un caso? Se
fosse lui che sta realizzando la sua promessa?
Era troppo bello per essere vero,
eppure si cullò in quell'idea. Del resto, di lì a poco
l'avrebbe verificata.
Ci mise molto a prepararsi. Curò non
solo l'aspetto esteriore, cercò piuttosto di essere
pronta "spiritualmente". Certo, le gambe le
tremavano quando uscì, l'ansia le logorava lo stomaco,
la testa le sembrava frastornata come dopo uno champagne
di troppo, ma il suo autocontrollo innato le venne in
aiuto.
E lo vide. Quanto tempo, quanti
sospiri, quante lacrime! E se fosse stato tutto vano?
Allontanò quel terribile sospetto e
gli andò incontro. Come le era accaduto un secolo fa,
le sembrò di muoversi al rallentatore, solo i battiti
del cuore erano furiosi.
Ancora pochi passi e si sarebbe
trovata di fronte a lui.
La vide. I loro occhi si
incontrarono, si persero nello sguardo l'uno dell'altra.
Come in una fiaba, ciò che era loro intorno sparì. Lui
le circondò la vita con una stretta dolce e decisa e
ballarono un valzer d'altri tempi.
Poi si allontanarono e furono in
giardino. C'era la luna piena, la notte chiara e senza
vento, e " tu non sai né pensi quanta piaga
m'apristi in mezzo al petto", gli disse Cristina
con un'audacia che la sorprese.
Russell la guardò stupito e
ammirato: "Come sei cambiata, Cristina!"
"Sei tu il responsabile",
rispose con voce serena. Era ancora profondamente
emozionata, ma si sentiva sicura di sé e finalmente si
lasciava andare alle sue sensazioni. Non aveva più
voglia né bisogno di soffocare con la mente ciò che il
cuore reclamava di "sentire", libero da
impacci e assurde inibizioni.
"Non hai più bisogno di
difenderti?", le chiese con dolcezza.
"Non più ormai, anche se……..".
"Anche se …… ?"
"Anche se non so bene se mi
trovo qui per te o per me, o…. per noi…".
Intenerito e lusingato da tanta
garbata sincerità, la strinse a sé, la guardò a lungo
negli occhi e si chinò a baciarla con tenerezza,
sfiorandole le labbra che sentiva tremanti e incerte.
Quel bacio fu per Cristina come un premio insperato dopo
una lunga attesa. Capiva di avere sempre avuto desiderio
di un bacio così: le venivano in mente gli aggettivi
più abusati, ma Dio sa quanto erano veri! Dolce, tenero
e appassionato. Una sensazione di benessere assoluto,
un'esperienza quasi spirituale, la magia di due corpi
che si incontrano, si riconoscono e sanno di
appartenersi per sempre, anche quando non saranno
insieme.
Rispose a quel bacio con tutto
l'ardore di cui si sentiva capace, si aggrappò al corpo
di lui con tenacia, con forza. Si stringeva al suo
petto, si rifugiava nelle sue braccia come se avesse
paura di perdersi. E voleva perdersi, annullarsi in lui
e con lui.
Quando si staccarono, continuavano a
guardarsi: lui si accorse che lei gli aveva dato molto
più di un bacio, gli aveva già dato tutta se stessa,
anima e corpo.
In silenzio si presero per mano e
passeggiarono nel giardino.
"Cosa volevi dire prima?
Sembravano i versi di una poesia", finalmente lui
ruppe il silenzio.
"E' vero, sono alcuni versi di
una poesia che tu mi hai fatto scoprire di amare
molto", rispose placida Cristina.
"Chi è il poeta?"
"Giacomo Leopardi, un poeta dei
primi dell'800, il mio preferito. E da quando ti conosco……..
mi piace ancora di più…".
Lui sorrise compiaciuto: "Cosa
significano? Che vuol dire piaga?"
"Ferita profonda, bruciante, che
squarcia il suo povero cuore innamorato di una donna che
non sa nemmeno che lui esiste", rispose lei con un
velo di tristezza.
Russell intuì il suo timore :
"Ma io so che tu esisti. Ti avevo detto che ci
saremmo incontrati di nuovo. Eccomi qui", disse
aprendo le braccia invitandola a stringersi di nuovo a
lui.
Cristina non si mosse, lo guardò a
lungo, in silenzio, improvvisamente impaurita che quello
fosse solo un sogno crudele e bellissimo.
Non farti gioco di me, ti prego, non
farmi soffrire più, così imploravano i suoi occhi,
umidi di lacrime e di incertezza.
"Non ora, che ho capito quanto
inutile sia lottare con i sentimenti e le emozioni. Non
ora, che tu, proprio tu, un attore, un divo, mi hai
fatto sentire l'importanza dei sogni, anche se
irrealizzabili. Non ora, che ho bisogno di credere non
solo a quello che ragiono, ma anche a ciò che mi si
agita dentro contro la mia volontà".
Queste parole le uscirono di getto,
sorpresa lei stessa di pronunciarle, e proprio davanti a
LUI, senza remore, senza ritegno.
"Io non ti chiedo niente -
aggiunse Cristina ormai arresa ad esprimere tutto ciò
che si era tenuto nascosto per mesi -, niente che
significhi amore eterno o un impegno costante con me. So
i limiti del nostro incontro e non mi faccio illusioni.
Ma dimmi almeno che sai comprendere lo scompiglio che
hai portato nella mia vita. TU mi hai cambiata e non so
se ne sono contenta. Ma mi sento viva, grazie a te. Io
non ti chiedo niente, ma lasciami credere che tu …provi
qualcosa per me - finì tutto d'un fiato.
Lui l'ascoltava e la guardava
intensamente, sorpreso e affascinato, attento ai
mutamenti del volto di lei, incantato più dalla
passione con cui gli rivelava il suo cuore che dalla sua
bellezza, in quel momento vibrante e luminosa.
"Io ti ho capita, Cristina. Non
so spiegarmi come e perché, ma quando ti guardavo,
quella sera di tanti mesi fa, avevo visto dentro di te.
Era come se ti avessi riconosciuta, anche se non ti
avevo mai vista prima. Nella tua riservatezza, intuivo
che c'era posto per me, ma tu non volevi ammetterlo e ti
difendevi, da te più che da me".
Non è vero, sto sognando, mi sto
immaginando tutto.
Eppure davanti a lei c'era l'uomo dei
suoi sogni più segreti, "bello e impossibile"
come recitava una canzone, e sensibile, comprensivo; che
sapeva leggerle dentro, che non aveva bisogno di parole
per capire il suo cuore, che le dava quella meravigliosa
sensazione di libertà e di protezione, di leggerezza e
di possesso.
Lo desiderò a tal punto da svenire
per l'emozione: lui era la passione, bruciante, violenta
e dolcissima. Lui era l'amore assoluto che ogni donna
vorrebbe, e si sentì immensamente fortunata: aveva
vissuto in attesa di questo, ora lo sapeva.
Si abbandonò nelle braccia di
Russell, con uno slancio liberatorio. Sentiva il profumo
di uomo, di maschio che emanava dal suo corpo, saldo,
forte, possente. Le braccia di lui erano una morsa che
la serrava, quasi le faceva mancare il respiro; si
sentiva desiderata, amata, voluta fino allo spasimo. Si
fermarono un istante, entrambi stupiti dall'ardore che
sentivano l'uno per l'altra, cercarono un luogo nascosto
e si amarono sotto lo sguardo benevolo e complice della
luna, l'astro degli innamorati.
Si amarono più volte, con foga e con
passione, con tenerezza e lentamente. Ammirarono i loro
corpi quasi diafani al chiarore lunare, si
accarezzavano, si cercavano dappertutto, ed ogni volta
il piacere era sublime, era magia, era stupore di
sensazioni profonde e sconosciute.
Dopo un tempo incalcolabile, stremati
e soddisfatti, rimasero abbracciati e silenziosi,
Cristina con la testa posata sull'ampio petto di lui,
con una mano lo accarezzava piano, felice e placata,
ancora un po’ incredula. Si alzò poggiandosi su un
gomito e si mise a guardarlo. Gli occhi chiusi, il volto
sereno increspato da un leggero sorriso, la barba appena
accennata, i capelli mossi sparpagliati sull'erba, le
sembrò un dio, una divinità dell'antica Grecia come si
ricordava raffigurata nel libro dei miti. Il corpo nudo
era quello di una statua, ma era caldo e vero, reale, ed
era stato suo. E lei gli si era donata con tutta la sua
femminile seduzione, lasciva e spudorata come non
pensava di poter essere. Le vennero in mente i versi di
Saffo: "Egli mi sembra uguale agli dei quando lo
vedo… Il corpo trema, la gola si secca, negli orecchi
sento un rombo come di vento che scuote le querce…".
Forse non erano precise, ma quelle parole sembravano
scritte per lei.
Lui aprì gli occhi sentendola
mormorare. Quegli occhi color dell'oceano, che la
guardavano come a penetrarla, le parvero (anche qui un
poeta le venne in soccorso per meglio descrivere ciò
che sentiva) "un riso dell'universo". Gli
sorrise, grata della felicità che le scoppiava nel
cuore e si sentì perdere nuovamente dentro di lui.
Ecco, adesso potrei anche morire.
L'amore e la morte come esperienze estreme…
"Cosa pensi?", le chiese
dolcemente, sentendola improvvisamente lontana.
Cristina non sapeva se rispondergli o
meno. Non voleva parlare, come se temesse di spezzare un
incantesimo. Era così bello e diverso guardarsi senza
parole, lasciando che fossero i gesti, gli sguardi e i
sorrisi a comunicare le loro sensazioni.
Non rispose e posò di nuovo la testa
sul petto di lui, mentre con il braccio gli si strinse
forte, per non farlo andar via, per prolungare il più
possibile quel momento, per trattenerlo, imprimerlo
nella memoria della mente e del corpo, in modo che anche
lontano nel tempo e nello spazio si sarebbe ricordata di
lui e lui di lei.
Avvertiva in fondo al cuore il gelo
del distacco, la morsa dell'addio, il gemito della
lontananza.
"Russell, Russell, Russell Crowe…….",
ripeteva Cristina mormorando, "come mi piace
pronunciare il tuo nome…"
"Anche a me piace sentirti
parlare", disse quasi rispondendole, con una voce
così calda e profonda che la fece fremere.
"Davvero? Perché?"
"Quando parli, cerchi di essere
misurata, equilibrata, padrona di te stessa. Ma quello
che dici e il modo in cui lo dici ti svelano".
"E cosa svelerei?"
Si sollevò su un lato costringendola
con la testa sull'erba, il volto di lui la sovrastava.
"Vedi, Cristina, non posso
negare di aver conosciuto e conoscere molte donne, tutte
più o meno dell'ambiente dello spettacolo, qualcuna
sincera, molte solo opportuniste.
Tu sei vera, non artefatta, sincera e
limpida nonostante la corazza che credi di indossare per
difenderti dal mondo. Fai bene a stare in guardia. Ma tu
vuoi sentirti viva, lo dicono i tuoi occhi neri, lo dice
il tuo viso severo ma dolce, per chi sa guardarti bene e
non si ferma a ciò che tu ti costringi ad essere o
sembrare.
Credi di dominare le cose con la
razionalità, ma poi hai bisogno di cullarti con le
poesie. E' per questo che sei trasparente, almeno per
me".
Lei lo ascoltava bevendo ogni sillaba
che usciva dalla sua bocca, ogni pausa, ogni respiro.
Scrutava quegli occhi che sapevano di infinito e suo
malgrado a fil di voce si sentì sussurrare "… e
il naufragar m'è dolce in questo mare".
Sono io che naufrago e poi rimarrò
sola, sola col pensiero di te, sola con il ricordo di
questi momenti, che mi sembreranno così lontani da
temere che non siano mai esistiti; sola con me stessa,
con quella Cristina che sarà più vulnerabile di prima
perché ha ceduto a un sogno, a una follia e non sa
quando e se ti vedrà di nuovo. E invecchierò, fuori e
dentro, e forse ti maledirò e rimpiangerò di non
essere stata forte per respingerti. Sono io che naufrago
e ti seguirò come una mendicante, a implorare dalle tue
foto sui giornali un fugace ricordo di me.
Quasi si pentì per aver avuto quei
pensieri e li scacciò via per non sciupare la magia che
stava vivendo con il "suo" uomo.
"Suo"; non aveva il diritto di dirlo
"suo", ma lei ora si sentiva appartenere a lui
e tanto le bastava.
Se tu non mi ami come ti amo io, non
importa. Il mio amore è grande abbastanza per entrambi,
io ti amo anche per te e non fa niente se ti rivedrò
solo nei film o nelle riviste. Io so che tu ci sei stato
anche per me ed io ci sono stata anche per te. Mi farò
bastare questi momenti, li custodirò come i miei
gioielli più preziosi, nessuno li conoscerà mai, ma io
sola saprò che "noi siamo stati", qui, ora e
per sempre.
Le contraddizioni dell'amore. Un
tempo non le avrebbe né concepite né capite, e ora le
bruciavano sulla pelle e nel cuore, ora le straziavano
l'anima e la inebriavano, ora le invocava perché
durassero ancora, ancora un po'.
Come accontentarsi ora che aveva
provato l'assoluto, la pienezza, la forza potente
dell'Amore?
Russell la strappo' ai suoi pensieri
con una carezza e un sorriso. Lei lo ricambiò e in
silenzio si alzarono, si vestirono e si incamminarono.
"Dove andiamo?" chiese
Cristina.
"Non lo so e non mi importa
saperlo. Passeggiamo, da soli, finché ne abbiamo
voglia, per le strade di Roma, del mondo, di noi stessi…"
Stranamente e con lieta sorpresa
sembrava che lui le avesse letto nel pensiero e volesse
gustare con lei il tempo che rimaneva, senza domandarsi
quanto ne rimaneva.
Camminarono tutta la notte, parlarono
e si raccontarono fin nel profondo l'un l'altro, come se
ognuno sapesse che poi sarebbe stato ben difficile
incontrarsi un'altra volta con questa spontaneità, con
il desiderio di raccontarsi senza reticenze, con lo
stupore di trovare nell'altro la comprensione e la
complicità da sempre volute e cercate inutilmente.
Perché non può essere per sempre?
Perché proprio con te, con te che mai più avrò per il
resto dei miei giorni? La perfezione esiste, ma dura
poco perché l'invidia del destino la distrugge.
Perché ora ho incontrato una donna
come te? Come te che non avrò mai più nei giorni della
mia vita? E se fosse vero che ti incontrerò di nuovo
nell'altra vita?
"Come hai detto che si chiama il
tuo poeta preferito?"
"Giacomo Leopardi.
Perché?"
"Mi chiedevo se conoscevi una
sua poesia che potesse esprimere pienamente quello che
provo per te…", rispose Russell fermando i suoi
passi e guardandola serio e triste.
Cristina sentì il gelo nel cuore, ma
i suoi occhi lo contemplavano sereni e felici, e dopo un
momento di silenzio rispose: "Sì, forse ce n'è
una adatta a noi…"
"Se la ricordi, vorrei ascoltare
qualche verso…".
Con un filo di voce e come rapita in
estasi cominciò a recitare: "Dolcissimo
possente, /dominator di mia profonda mente,/….
conforto a' lugubri miei giorni,/ pensier che innanzi a
me sì spesso torni…".
"Parla dell'amore, vero?"
"Sì, dell'Amore sovrano
assoluto e prepotente della sua vita, che lo tormenta,
non lo lascia stare, ma lo fa vivere, lo fa SENTIRE vivo…"
"E perché sentire l'Amore fa
male?"
"Non lo so", rispose
Cristina quasi con fare materno, "ma so che anche
per me è così, ora che ti ho conosciuto e non ti
resisto più".
Non parlarono per molto tempo,
continuarono la loro passeggiata tenendosi per mano,
noncuranti dell'alba incipiente, del domani che stava
arrivando e li avrebbe di nuovo separati.
"Quando partirai?"
"Non ci pensiamo , per ora. Ho
ancora alcuni giorni tutti per noi e li voglio vivere
come… come nel film Vacanze romane. Ti
ricordi?"
"Sì, ma c'è una differenza. TU
sei il principe…", concluse Cristina
appoggiandosi a lui, mentre pensava il principe che
se ne andrà…
"Dove siamo?", chiese
Russell guardandosi intorno e si resero conto entrambi
di essersi completamente persi nella grande città
eterna senza sapere dove andavano.
"Tutto sommato - disse Cristina-
abbiamo fatto il classico percorso dei turisti, ma…
non abbiamo visto niente!", finì sorridendo.
"Possiamo rimediare
subito". Fece una breve telefonata dal suo
cellulare e, dopo essersi fatto spiegare da Cristina
dove si trovavano, diede alcune indicazioni al suo
interlocutore.
"Ma chi hai chiamato?",
fece la ragazza incuriosita.
"Aspetta e vedrai, è una
sorpresa", sussurrò misterioso all'orecchio di
lei.
Dopo una ventina di minuti una grossa
Mercedes stile "Corpo Diplomatico" si
affiancò a loro due, ne scese un distinto e compunto
autista, aprì con svelta eleganza lo sportello dalla
parte di Cristina; vi salì seguita da Russell, spinta
con amorevole sollecitudine. L'auto ripartì silenziosa
ed efficiente come era arrivata.
Le strade di Roma all'alba sono quasi
deserte e Russell ne approfittava per vagare nelle vie
della città senza il rumore e la fretta della folla,
del traffico, del cicaleccio dei turisti.
Per Cristina sembrava una sequenza
già vissuta e si ricordò di quando, accompagnata
sull'auto blu del Presidente, (mesi o secoli fa?),
finse di essere una star in visita a Roma.
Guardava fuori, appiccicata al
finestrino come se davvero fosse la prima volta che
vedeva il Colosseo, Piazza Venezia, il Foro, insomma
tutto ciò che doveva esserle ben familiare. Si sentiva
come una bambina entusiasta di quella scoperta.
In una pausa della sua euforia,
contagiosa anche per Russell che non finiva mai di
domandare e chiedere e voleva sapere, Cristina si
rivolse a quell'uomo che stava sconvolgendo tutto il suo
mondo: "Grazie. Vedo la bellezza della mia città
per la prima volta. Tu, un australiano, del nuovo mondo,
agli antipodi della terra, proprio tu mi fai scoprire
con occhi nuovi e diversi una bellezza incantata, come
se finora avessi avuto un velo davanti."
Aveva parlato con gratitudine e con
trasporto, con la voce dell'anima. Lui anche gli fu
grato e la baciò dolcemente e a lungo.
"Non è merito mio, è l'Amore, dolcissimo
e possente, che ci fa vivere più
intensamente", aggiunse poi, e pareva che parlasse
più a se stesso che a lei.
Rimasero entrambi pensierosi,
meditando su quelle parole, intense e toccanti.
"Siamo insieme da poche ore,
eppure mi sembra di conoscerti da sempre,
Cristina", pronunciò il nome di lei con una lunga
scansione, come a imprimerselo nella memoria più
profonda.
Lei capì e: "Anche per me è la
stessa cosa".
Lui riprese: "Ecco, questo ci
basterà per il domani, anche quando non ci vedremo…".
Cristina comprese la vicinanza dell'addio, ma si sentiva
preparata in fondo. Per la prima volta accettava un
avvenire senza certezze assolute. Eppure una sola ne
aveva e quella sarebbe stata abbastanza da farle
sopportare la lontananza: Russell non era mai stato un
sogno, era una bellissima realtà che viveva con lei, in
qualunque parte del mondo si fosse trovato e, ora lo
sapeva, anche per lui era così.
Con questa consapevolezza, non c'era
più bisogno di parlare per spiegarsi e quando si
salutarono, tre giorni dopo, tre giorni pieni solo di
loro stessi, l'inevitabile tristezza del distacco fu
temperata e addolcita dalla certezza di aver vissuto
attimo per attimo un incontro che aveva cambiato la loro
vita, per sempre.
FINE
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