Le Fan Fiction di croweitalia

titolo: La Poesia
autrice: Cassandra
e-mail: zambon.luisa@virgilio.it
data di edizione: 31 gennaio 2003
argomento della storia: Russell Crowe, l'attore
riassunto breve: Ad una festa di beneficenza, Cristina incontra un attore famoso...
lettura vietata ai minori di anni: 
note: Ecco finalmente il mio "contributo" alle fans di Russell. E' la prima volta che scrivo un racconto e non so giudicare il risultato. Una cosa è certa: ci ho messo l'anima e il cuore, e non so se ho fatto bene... Consigli e suggerimenti sono graditi, casomai mi venisse in mente di riprovarci (Cassandra)

 

LA POESIA

 

 

Aveva letto una poesia prima di addormentarsi. Ma quella sera non riusciva a prender sonno. Le ritornavano alla mente i versi di Leopardi …

 

"Dolce e chiara è la notte e senza vento,

e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

posa la luna, e di lontan rivela

serena ogni montagna".

 

Che pace in quelle parole! Lei però non sentiva pace, ma lo strazio sottile dell'abbandono: "…non sai né pensi/quanta piaga m'apristi in mezzo al petto."

Così continuava il testo: un lui dimenticato, forse nemmeno considerato dalla "sua" donna, che non è la sua donna e che non sa di avergli fatto tanto male.

"Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto". Ecco il dolore, acuto, penetrante, eppure quasi dolce compagnia di quella sera troppo chiara, troppo illuminata dalla luna, l'astro a cui si rivolgono gli innamorati, lieti o tristi che siano.

 

Cristina non voleva rassegnarsi alla tristezza; non le piaceva l'autocommiserazione e detestava chi si compiaceva delle proprie difficoltà. Voleva credere di essere forte, di non cedere, di non darla vinta alle avversità che la vita inevitabilmente riserva ad ognuno. Con questa educazione era stata cresciuta e così aveva impostato il suo modo di essere. Non che si credesse superiore alle sue amiche - che un po' la prendevano in giro per la sua seriosità -, ma non le piaceva mostrare troppo di sé e dei suoi sentimenti.

Anche quando parlava del suo fidanzato, raramente si lasciava andare ad esprimere la gioia e la trepidazione che provava insieme a lui e per lui. Credeva piuttosto che la riservatezza dei suoi più intimi sentimenti sarebbe stata una garanzia, una dote con cui far durare a lungo quell'amore così inaspettato e coinvolgente.

 

Perché aveva letto proprio quella poesia? Cosa la sconvolgeva a tal punto che nemmeno il dolce pensiero di Fabio, il suo uomo, serviva a calmarla? Lui era partito qualche giorno prima per lavoro. Laureatosi da poco in ingegneria navale, era stato contattato da un armatore arabo per un eventuale incarico presso il governo dell'Arabia Saudita. Era talmente contento ed euforico di tale opportunità che non le aveva nemmeno chiesto se volesse accompagnarlo.

Ecco, si disse, forse è per questo che si sentiva un po' agitata, magari offesa.

Ma si accorse che non era vero, che anzi, in fondo, era felice per lui, addirittura orgogliosa, perché non lo amava soltanto, lo ammirava, lo stimava profondamente. Con lui si sentiva al sicuro, protetta, appagata. Cosa che le sue amiche minimamente sospettavano; mai avrebbe ammesso in loro presenza che era così che amava sentirsi: coccolata e vezzeggiata come una bambina dal suo uomo.

 

Cos'era allora quell'inquietudine sottile e insistente che la pervadeva tutta? Perché l'aveva colpita quel povero Leopardi che si lamentava di "quanta piaga m'apristi in mezzo al petto"?

Un vento leggero scostava le tende della finestra aperta, nella sua camera. Era la fine di giugno, un mese che Cristina amava molto perché l'aria era calda ma non soffocante, perché la pioggia di giugno è sottile e silenziosa, quasi lieta.

Dalla finestra giungevano i rumori della notte, i profumi del giardino e della campagna circostante. Dal letto vedeva il chiarore lunare che illuminava il mondo misterioso e temuto delle tenebre. Ma quella sera non c'erano le tenebre. Quella era proprio la notte descritta dal poeta.

Provò un impulso irrefrenabile, balzò dal letto e si slanciò sul balcone, presa da un inspiegabile desiderio di ammirare quel notturno che si offriva come sollievo al suo turbamento. Voleva soltanto stare in pace, sentire la sensazione tranquillizzante che tutto andava bene, che fra una settimana avrebbe rivisto Fabio e si sarebbe dimenticata questo stato d'animo strano e nuovo. Fra le sue braccia sarebbe stata protetta e al sicuro. "Oh Fabio, se tu fossi qui ora! Vedi anche tu le stelle che sono qui? Mi stai pensando?"

Come non le accadeva da tanto tempo - da quando era morto suo padre, il suo adorato padre -, Cristina si trovo' con le guance rigate di lacrime, lacrime salate, copiose. Un pianto silenzioso che accolse come una liberazione, anche se non sapeva da cosa.

 

Il giorno seguente non fu facile per lei. Pur amando molto il suo lavoro di interprete parlamentare (per ottenere quel posto aveva faticato assai), non riusciva a concentrarsi completamente, anche se, per fortuna, nessuno sembrò accorgersi di niente.

Solo Alice, l'amica del cuore, l'unica che la capisse davvero, che sapeva della sua ritrosia e vedeva nel suo animo, comprese subito che qualcosa doveva turbare Cristina, e cercò di saperne di più quando si trovarono insieme durante una breve pausa. Sedute al tavolino del bar una di fronte all'altra, Cristina ora guardava l'amica ora sfuggiva al suo sguardo, timorosa come una bambina che deve rivelare un segreto, ma non osa farlo.

"Cristina, c'è qualcosa che non va? Fabio non si è fatto vivo?"

"No, no, anzi. Ci siamo sentiti proprio stamani. Mi ha raccontato che le trattative vanno bene. Spera davvero di avere quell'incarico. In quel caso probabilmente vorrebbe che lo seguissi anch'io…" aggiunse con un filo di voce, come se non fosse convinta. Alice fece finta di niente:

"Non ne saresti contenta? Certo, probabilmente dovresti lasciare il tuo lavoro qui, ma sei talmente brava che magari ti potresti presentare al governo arabo e ottenere un nuovo impiego. In fondo, a te piacciono le lingue orientali; dovresti solo rispolverarle un po' ".

Le parole dell'amica, dette con l'intenzione di aiutare Cristina a vedere il lato positivo della situazione, furono invece per lei devastanti. Fissò il suo sguardo allarmato negli occhi di Alice, impallidì visibilmente, le labbra le tremavano e infine scoppiò a piangere, a dirotto, senza freni.

"Mio Dio, Cristina! Che ti succede? Scusami se ho detto qualcosa di male, … non credevo…non pensavo… Non ti ho mai visto in questo stato, nemmeno quando è morto tuo padre! Cristina, calmati, ti prego. Vieni, ti accompagno a casa."

Cristina si lasciò portar via senza opporre resistenza. Aveva provato in verità a dire qualcosa del lavoro, ma l'amica non la stette a sentire e la condusse a casa con la propria auto. Durante il tragitto non parlarono e Cristina fu grata di quel silenzio rispettoso, per quanto preoccupato. Sentiva che Alice era angustiata dal suo comportamento insolito, quasi allarmata da quel pianto inspiegabile per una come lei, sempre presente a se stessa, attenta a non far trapelare più di tanto del suo intimo.

Giunte a casa, Cristina andò subito al bagno e si fermò a fissarsi nello specchio. Il trucco, per quanto leggero, se ne era andato e due rivoli neri di rimmel le macchiavano le guance, pallide e spente; gli occhi, di un bel taglio orientale, scuri e profondi, erano gonfi e rossi; le labbra, appena tinteggiate di rossetto, ancora tremanti. Il volto, solitamente sereno e luminoso pur nella severità dei lineamenti, appariva stanco, quasi duro e tetro. I capelli, lunghi e lisci, di un nero corvino, risaltavano ancor più nel pallore del viso, ed erano stranamente disordinati.

Si spaventò del suo aspetto, ma non lo dette a vedere ad Alice quando la raggiunse nel salotto. Sembrava aver riacquistato la padronanza di sempre, ma l'amica capì che un tormento sconosciuto, una inquietudine nuova si erano impadroniti del suo animo. Tuttavia, per il bene che le voleva, non fece domande, non indagò su quel malessere e Cristina ancora una volta gliene fu grata. Si abbracciarono come due sorelle che si ritrovano dopo tanto tempo; fu Cristina a gettarsi per prima nelle braccia dell'amica, a cercare conforto e affetto. Per un attimo le sembrò di sentire il calore di Fabio, il suo profumo, la sua fragranza di uomo, e sentì acuta e insopportabile la sua assenza. Ma fu un attimo. Tornò presente a se stessa e chiese all'amica di lasciarla sola.

Alice comprese che sarebbe stato inutile provare a chiedere spiegazioni in quel momento: "Va bene, me ne vado. Lo sai che quando vuoi, io ci sono". E tuttavia non era tranquilla: avrebbe voluto insistere, ma l'aspetto di Cristina le consigliò di lasciar perdere per il momento.

 

Il mattino dopo un sole raggiante inondava Roma e le sue piazze, le case e i monumenti, le strade e le fontane. L'aria era tiepida e leggera, la gente era in strada di buon ora, chi per lavoro chi per svago. La città si preparava ad un'altra giornata di folla variopinta e rumorosa.

Cristina aveva appuntamento alle otto e trenta al Quirinale, dove il Presidente Ciampi avrebbe incontrato il cancelliere Schroeder, in visita ufficiale in Italia dopo la sua fortunosa rielezione.

Si preparò con cura, scelse meticolosamente l'abito più adatto, né vistoso né troppo castigato. Alla fine, la sua immagine riflessa allo specchio la convinse abbastanza, anche se un attento osservatore avrebbe potuto notare nel suo sguardo un non so che di triste e di vago. Ma le persone che doveva incontrare la rassicuravano in tal senso: nessuno la conosceva così bene da notare in lei qualcosa di diverso.

Un clacson discreto ma deciso l'avvertì che l'auto blu mandata dal Palazzo era arrivata. In fretta uscì, salutò l'autista che le venne incontro con deferenza e salì su quell'auto importante che le dava sempre un po’ di soggezione. Una volta a bordo, le venne una strana fantasia: era una famosa diva di Hollywood in visita nella Città Eterna, tutto la stupiva e la incantava. Quei monumenti di cui aveva visto mille foto adesso erano lì, davanti a lei; anzi, lei ci stava proprio in mezzo… il Colosseo, i Fori imperiali, Piazza Venezia; e poi San Pietro, Piazza Navona, la fontana di Trevi…

L'auto si fermò nel piazzale interno del Quirinale e Cristina ebbe un sussulto: era arrivata. Scese con un lieve passo malfermo; doveva fare ancora qualche sforzo, ma quando le presentarono il Cancelliere tedesco, era tornata completamente in sé.

La giornata fu lunga e impegnativa, e tutto sommato molto piacevole e gratificante: le piaceva conoscere persone importanti, che la maggior parte dei comuni mortali vedeva in TV o ne leggeva sui giornali. Per questo si sentiva una privilegiata: il suo lavoro le dava la possibilità di stare a contatto con un mondo forse criticato e ambiguo come quello della politica; ma era un ambiente stimolante, si respiravano la mondanità e il peso delle responsabilità degli uomini e delle donne di governo, si potevano vedere da vicino i "potenti" della terra nei loro aspetti quotidiani e sconosciuti. Poteva curiosare su ciò che preferivano e ciò che era loro insopportabile; anche i "grandi" hanno le loro manie e le loro mediocrità, il che li rende meno distanti dalla gente comune di quanto sembrino o vogliano apparire.

 

Alle 23.00 circa fu riaccompagnata a casa. Decise di guardare un pò la TV prima di andare a letto. Il giornalista Vincenzo Mollica stava parlando di un film che sarebbe uscito tra poco nelle sale cinematografiche italiane, e ne parlava come di un film-evento, il ritorno ad un genere che sembrava scomparso, definitivamente tramontato, il genere storico, antica Roma e cose del genere. Un attore australiano semisconosciuto sembrava addirittura candidato all'Oscar, tanto convincente era la sua interpretazione del generale Maximus, odiato e inviso al perfido imperatore Commodo.

Ad un certo punto comparve sullo schermo il volto del protagonista, un primo piano bello e intenso di un giovane uomo dal volto espressivo, dolce e duro insieme, dallo sguardo penetrante eppure distante; sembrava quasi infastidito da tutto quel clamore. Non che lui stesse parlando, ma era quella l'immagine che si leggeva dal suo viso immobile.

Per Cristina fu un tuffo al cuore, un violento pulsare del sangue nelle vene, un capogiro che le fece tremare le ginocchia. Era proprio lui! Lei lo aveva già incontrato! Aveva sperimentato quegli occhi magnetici su di sé, aveva visto il suo viso illuminarsi all'improvviso del più bel sorriso che avesse mai sognato, aveva ammirato i suoi modi rudi e teneri a un tempo, si era beata della sua voce calda e profonda.

Lui, lui era "Il gladiatore" di Ridley Scott di cui stava parlando il giornalista!

Era scossa, profondamente e terribilmente scossa, respirava a fatica, non riusciva a staccare gli occhi dallo schermo e quando il servizio si concluse, rimase immobile e si sentì completamente sola, sola con se stessa, con i suoi turbamenti, con le sue ansie, con i suoi ricordi di due mesi prima…

 

Nei primi giorni di maggio Alice l'aveva cercata a proposito di una festa di beneficenza per l'UNICEF, durante la quale personalità del mondo dello spettacolo, della politica e della cultura avrebbero presentato un progetto di aiuto ai bambini del Terzo mondo. Data l'importanza della manifestazione, c'era bisogno di interpreti capaci e professionali, che avessero dimestichezza soprattutto con i politici. Per tale motivo Alice, una delle organizzatrici, aveva pensato a Cristina, che accettò volentieri, anche se in cuor suo pensava che sarebbe stata l'ennesima vetrina per vip più o meno famosi o in cerca di qualche articolo sui giornali giusti.

La serata fu inaspettatamente gradevole, molto più seria e operativa di quanto Cristina potesse credere. Certo, non mancavano sfoggi di eleganza e intenti di presenziare a tutti costi, specie da parte di molte signore della Roma-bene e di politici in cerca di consenso. Tuttavia, il motivo di fondo era davvero quello importante, si presero accordi e si stabilirono collaborazioni a livello governativo.

Cristina fece la sua figura e fu molto apprezzata per la sua competenza. Fu anche molto corteggiata. Pur non alta di statura (1,65 m circa), la sua figura era proporzionata e aggraziata; non magra né robusta, la si poteva definire piacevole nell'insieme, ma decisamente bella ed espressiva nel volto, grazie a due occhi neri a forma di mandorla, le sopracciglia nere e ben arcuate, il naso lungo e sottile, le labbra carnose che si aprivano su un sorriso composto ma aperto, dolce, gioioso nonostante la severità del viso. I capelli, di un nero corvino, lisci e lunghi, quella sera erano stretti in un elegante chignon che lasciavano scoperto il collo lungo ed elegante. Nel suo insieme Cristina era naturalmente elegante, ciò che la rendeva ancor più ricercata nel suo lavoro. Il suo aspetto sobrio e i modi misurati colpivano spesso i suoi interlocutori e non era facile, talvolta, respingere le avances; ma quello che la proteggeva era l'innato riserbo, non di rado scambiato per freddezza o addirittura superbia (soprattutto da parte delle donne).

 

La serata volgeva al termine e Cristina stava salutando l'ultima delegazione, quella australiana. Ad un certo punto, i suoi occhi furono irresistibilmente attratti da un uomo. Se ne stava in disparte, guardando senza convinzione un quadro, una mano in tasca, con l'altra teneva un bicchiere, forse di champagne. Pareva annoiato, camminava avanti e indietro davanti al quadro che ormai non guardava più; ogni tanto qualche signora lo avvicinava, ma sembrava fare di tutto per rendersi poco piacevole, così ora era solo. Forse aspettava un membro della delegazione, forse anche lui ne faceva parte. Ma non aveva l'aria di uno che frequentava normalmente quel tipo di ambiente. Era stranamente e semplicemente fuori posto. La ragazza ne era davvero incuriosita, quasi divertita. Quello sconosciuto, si accorse con una strana emozione, la attraeva, troppo. Solo guardarlo da lontano, quasi furtivamente, le faceva provare una certa inquietudine. "Chissà come sono belli i suoi occhi" - si scoprì a pensare all'improvviso. "Ma che sto dicendo!"

Combattuta fra il desiderio di continuare ad osservarlo senza essere vista e la voglia di andarsene data l'ora tarda (nel frattempo era riuscita con una certa difficoltà a liberarsi dai delegati dell'Australia), realizzò che lui non faceva parte di alcuna delegazione. La festa continuava, erano rimasti gli amanti delle ore piccole, quelli abituati a passare il tempo fra una festa e l'altra, con buona pace dei bambini affamati del Terzo mondo.

Non sapeva cosa fare: non voleva andarsene, non ora che lo aveva visto. Eppure DOVEVA andarsene, domani sarebbe stata un'altra giornata di lavoro. Fabio non c'era, si trovava fuori per lavoro. "Come sempre… o quasi". L'idea che Fabio non ci fosse la sollevava.

Si sentì subito in colpa e decise di dover subito troncare ogni pensiero inutile. Si avviò risoluta verso l'uscita, con passo svelto e inconsciamente timorosa di ripensarci. Eppure, mentre si allontanava, cominciava a provare una punta di delusione e si immaginò che qualcuno… LUI, la fermasse in tempo, con una scusa qualsiasi, qualsiasi cosa pur di stare ancora lì e guardarlo, avvicinarlo, vederlo in viso, perdersi in quegli occhi che si immaginava blu come l'oceano sconfinato. "Non è possibile, sei pazza! Cosa ti stai dicendo, Cristina!" - urlò quasi a se stessa mentre la porta d'uscita si faceva sempre più vicina, più vicina…

"Mi scusi, signorina…" . La voce la colpì all'orecchio come un tuono. Come una scena al rallentatore, si fermò, si vide voltarsi, lentissimamente le parve, incontrare due occhi, QUEGLI occhi, i SUOI occhi, l'oceano in tempesta, come in tempesta era il suo cuore, il suo intero essere. Era come se una parte di lei volesse assistere a quella scena per gustarla meglio.

Il sogno continuava. Ma non era un sogno, mio Dio! Era proprio lui, che la stava guardando fra il divertito e lo stupito, con un lieve sorriso che lei sentì su di sé come una carezza. Si sentì rispondere: "In che modo posso esserle utile?".

"Non credo ci sia bisogno di tanta formalità" - le rispose lo sconosciuto con tono vagamente canzonatorio. "Volevo semplicemente conoscerla, visto che adesso sembra libera dai suoi impegni".

"Libera dai miei impegni …..?"

"Lei non è interprete?"

"Sì, ma … lei come lo sa?" - che idiozie stava dicendo? Come si stava comportando?

Come si sentiva stupida! Aveva di fronte quel lui che l'aveva tanto colpita e ora la sua ritrosia, la sua arma di difesa, si inalberava proprio contro di lui.

Mentre Cristina si stava arrovellando in un turbine di pensieri, lui rimase ancora lì. La guardava con insistenza, sembrava intuisse il turbamento di lei. O era lei che lo desiderava? Non era lei che nutriva la fantasiosa speranza che lui la capisse senza parlare? E perché questo desiderio?

"Lo so perché mi sono informato" - le rispose finalmente lui.

Lo sguardo di lei domandava perché. "Perché in questo posto lei mi sembra come me, fuori luogo".

Cristina non sapeva cosa dire, le sue normali facoltà parevano non rispondere ai suoi comandi razionali. Si sentiva goffa e impacciata, si sarebbe messa a piangere per come si vedeva incapace di reagire, lei, la saggia e prudente Cristina, sempre padrona di sé, dotata di perfetto self control.

Lui la prese dolcemente sotto braccio e la condusse al banco bar. Lo lasciò fare, docile e calma all'apparenza.

"Posso sapere il suo nome, signorina?"

Lei, arresa, rispose con voce incerta: "Mi chiamo Cristina".

"Io mi chiamo Russell Crowe, sono un attore australiano, neozelandese per l'esattezza. Sono a Roma di nascosto" - le disse con aria complice.

Lei non capiva: "Di nascosto? Da cosa si nasconde?"

"Finalmente sono riuscito a suscitare il suo interesse!" - le sorrise mentre si portava il bicchiere di champagne alle labbra.

Cristina ricambiò il suo sguardo divertito e cercò di giustificarsi: "Mi scusi, sono molto stanca ed è molto tardi".

Ecco - pensò - un'altra gaffe, penserà che sono proprio scortese. Riprese: "Volevo dire che è stata una giornata pesante, stamani in Parlamento e stasera qui …. Io …"

"Non si deve scusare. Anzi, mi perdoni lei se la trattengo. Se vuole, possiamo salutarci" - aggiunse lui con una lieve titubanza.

Oh no, pensò lei, non voglio andare, non sai come sto bene adesso…

Si vergognò, ancora una volta si pentì dei suoi pensieri. Pensò a Fabio ed ebbe una fitta in fondo al cuore, … ma proprio in fondo…

Per il momento Cristina non rispose. Continuava a guardare Russell (com'è bello pronunciare il suo nome, si disse) mentre sorseggiava il suo champagne. Lui, di nuovo inspiegabilmente, sembrava intuire il rovello interiore della giovane che aveva di fronte, che vedeva per la prima volta e che gli era tanto piaciuta e non aveva smesso di osservare durante quella serata. Lo attraevano quei misteriosi occhi neri, il volto troppo serio, forzatamente serio. Chissà perché quella ragazza aveva tanto bisogno di controllarsi, come se si volesse difendere. Da che cosa ti difendi?, avrebbe voluto chiederle, ma la domanda gli sembrò subito inopportuna, invadente, e non voleva sciupare quell'incontro meditato per tutta la sera.

"Forse è giunto il momento di salutarci" - disse dopo un po’ l'uomo, rendendosi conto della difficoltà di lei. Queste parole furono per Cristina una tremenda delusione, suo malgrado; eppure furono dette con così tanta dolcezza (o era immaginazione?) che lo guardò con gratitudine e ansia insieme.

La accompagnò fino all'auto, la salutò con un delicato e sapiente baciamano, l'aiutò a salire e poi aggiunse avvicinandosi all'orecchio di lei : "Ci incontreremo di nuovo". Il tutto mentre Cristina si lasciava fare, incapace ancora una volta in quella strana sera, di affrontare la situazione con la consueta padronanza. Il sussurro di Russell le sembrò una brezza calda, un soffio di vita impetuosa che entrava dentro di lei.

 

In qualche modo riuscì a tornare a casa, ma in quanto a dormire e non pensare fu impossibile. Passò il giorno dopo, e il giorno dopo ancora. Non parlò ad alcuno di quella breve, troppo breve esperienza. A lei stessa sorgeva il dubbio di essersi sognata ogni cosa. Si dedicò ancor più intensamente al lavoro e a Fabio. Si convinse, volle convincersi che era stata una parentesi estemporanea, senza scopo, senza valore. La sua parte razionale prese il sopravvento e decise di mortificare quello slancio vitale che credeva di aver sentito quella sera, come una sorta di autocensura, che scatta inconsciamente quando non riusciamo ad affrontare una realtà che ci sembra troppo difficile da accettare o ammettere.

Il suo fidanzato e la sua amica del cuore non intuirono niente e lei si sentì ancor più nel giusto per aver elaborato quella convinzione.

Qualche volta, in verità, a Fabio sembrava di percepire un non so che di forzato in Cristina, soprattutto nell'intimità. Ma poi non ci pensava più, in fondo gli slanci amorosi della sua donna gli erano graditi e la preferiva così pronta e disponibile piuttosto che restia e timorosa.

 

Tutto stava andando per il meglio, dunque; niente turbava la tranquilla routine della sua vita. Che bisogno c'era di riprendere le letture dei suoi studi classici? Aveva un debole per Leopardi e la sua straordinaria poesia. Ricordava di essersi sciolta in lacrime durante la preparazione degli esami di maturità. Stava studiando con Anna e Lucia; quel pomeriggio era dedicato al ripasso della poetica leopardiana. A Cristina fu concesso di leggere il "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia". Centoquarantacinque versi di domande, sulla vita, sul senso e la necessità o meno del vivere e del morire. Domande su domande a cui il poeta non sapeva dare una risposta consolatrice. Alla fine della lettura il silenzio era totale: le tre amiche si guardarono negli occhi e li scoprirono pieni di lacrime. Commosse e imbarazzate, dettero poi in una fragorosa risata per stemperare l'emozione di cui ognuna si vergognava un po’.

La sera dell'inquietudine (così pensò di chiamarla) le pagine del libro dei Canti leopardiani si aprirono su "La sera del dì di festa" e si soffermò più del dovuto (solo dopo lo comprese) sulla "piaga in mezzo al petto".

 

Ora, a quasi due mesi di distanza dalla sera in cui conobbe "lui", capiva il suo tormento. Aveva tentato in tutti i modi, aveva costretto i suoi pensieri, aveva soffocato le sue emozioni, si era impedita di ricordare ogni attimo, ogni istante di quel fugace, bellissimo, agognato, sperato incontro con un lui misterioso e desiderato. E i versi di una poesia avevano reso inutile ogni sforzo. "Ci incontreremo di nuovo" le aveva sussurrato.

Quando, dove, perché. Dimmelo ancora, ti prego. Voglio crederci. Ma come sarà possibile? Tu sei un divo ormai. Quante donne, quante fans in tutto il mondo ti vogliono, ti cercano. Perché proprio io dovrei essere più fortunata?

Spenta la TV, si sorprese a parlare come se Russell Crowe potesse sentirla.

E Fabio? Il pensiero di lui la infastidiva, la irritava quasi. Eppure si sentiva in colpa come se l'avesse tradito. Ignaro delle fantasie della sua donna, lui stava beato in Arabia Saudita a costruirsi il futuro, certo pensando anche a lei. Ma lei, ora, voleva un futuro con lui? Questa era la domanda che non aveva avuto il coraggio di porsi, e quando Alice le aveva parlato di un eventuale trasferimento in quel paese, ecco la sua reazione incontrollata.

 

In pochi attimi, dopo il servizio alla TV, Cristina aveva psicanalizzato se stessa con fredda lucidità, mentre il cuore in tumulto sembrava sollevato e finalmente libero di battere per un sogno.

I sogni sono pericolosi, rischiano di farmi perdere il senso della realtà, ed io non voglio illudermi inutilmente.

Con tale affermazione troncava le chiacchiere delle amiche quando favoleggiavano su come e chi e con chi avrebbero voluto essere: "Ah, la saggia Cristina!" A volte si sentiva offesa, altre volte preferiva ignorarle.

Se sapessero adesso che anche la fredda Cristina si perde nei sogni…

Forse potrei raccontare tutto ad Alice, l'unica in grado di capirmi senza giudicare…

 

Con tale risoluzione finalmente si addormentò. I sogni la visitarono per tutta la notte, ma il mattino seguente sembrava non ricordarli. Si alzò di buon ora e si rammentò che quel giorno era libera. Fabio sarebbe rientrato tra pochi giorni, aveva ancora del tempo da dedicare solo a se stessa. Una passeggiata per Roma era quello che ci voleva. Si vestì in modo informale, una volta tanto non costretta con tacchi a spillo e tailleur. Vagò per le strade più note della città come una turista, si fermò ai monumenti di rito con il naso all'insù come vedesse Roma per la prima volta, finalmente fuori dai palazzi seriosi della politica, dalle sale austere dei busti degli uomini illustri. Gettò perfino le monetine nella fontana di Trevi. Leggera e serena come da tanto tempo non si sentiva più, gustava la giornata senza imbrigliarla in programmi da seguire e tempi da rispettare. In vacanza, era una ragazza qualunque in vacanza, anche da se stessa. Solo allora si accorse di aver dimenticato il cellulare. Pazienza!, si sorprese a pensare.

Erano le prime ore del pomeriggio e decise di avviarsi con calma verso casa. L'auto era piuttosto lontana da dove si trovava, ma fu contenta di camminare ancora un po’ tra la gente. Qualcosa di inatteso colpì la sua attenzione; la calma serena che l'aveva accompagnata fino ad allora svanì all'improvviso e il suo cuore si sciolse di fronte alla locandina di un film.

LUI era lì, con la spada in mano, il volto teso in una espressione seria e addolorata, determinato e vendicativo. Senza sapere come ci fosse arrivata si trovò di fronte alla biglietteria. Fu nella sala, seduta chissà dove.

Vide il film per due volte di seguito, ammirata, estasiata, incapace di muoversi se non per seguire avidamente l'intreccio della storia.

Uscì alla fine, esausta come se avesse corso per ore, inseguita dai suoi sogni più impossibili e più desiderati. Tanto più desiderati proprio perché impossibili.

Innamorata! Mi sono innamorata….di chi? Di Russell? Di Massimo?

Disperata, si sentiva perdutamente innamorata di lui, perché lui esisteva davvero, l'aveva visto, lui le aveva parlato, le aveva promesso "Ci rivedremo ancora".

Ma come crederci ancora? Cosa la teneva legata a quella assurda promessa? Ma era una promessa o anche quelle parole erano state il frutto dei suoi desideri?

 

Infine tornò a casa. Volle rimanere sola, non cercò nessuno, non rispose alle telefonate, non ascoltò la segreteria telefonica. Si sedette sul balcone della sua camera e passò ore ed ore a guardare senza vedere, a fissare con lo sguardo un punto lontano all'orizzonte.

Il giorno dopo si dette malata. Sentiva di non farcela. Quel lavoro che era il suo rifugio le parve improvvisamente inutile. Nemmeno il pensiero di Fabio voleva nella sua mente. Vivere di sogni, lasciarsi andare alle fantasie più nascoste e inconfessabili; solo questo voleva, o forse no, ma era questo che sentiva dentro.

 

Qualche mese era passato, Fabio era ritornato e Cristina non era più la stessa, o almeno quella che lui credeva di conoscere. Ne fu deluso, addolorato, si sentì perso perché non riusciva a capire e la ragazza non riusciva a spiegarsi. In realtà non VOLEVA spiegare ciò che a lei stessa risultava incomprensibile, fuori logica, totalmente irrazionale.

E se l'amore, quello vero, fosse proprio irrazionale? Se quello che fa battere il cuore, che fa struggere, che fa sentire vivi fosse davvero un sentimento totale, assoluto, che non ha bisogno di quotidianità, di continue rassicurazioni?

Non osava confidare queste "follie" a Fabio, visto che non c'era riuscita nemmeno con Alice. L'amica però non cercò mai di forzare confidenze che, lo capiva, Cristina non si sentiva di fare.

 

Il lavoro andava avanti, almeno qualcosa di normale era rimasto nella sua vita. Anzi, fu la sua ancora di salvezza in un momento così sconcertante.

E il bell'attore? Era sempre nei suoi pensieri, un pensiero fisso, costante, dolce e doloroso, bello e amaro. Si era informata su di lui, ora sapeva tutto della sua carriera, dei suoi premi, delle sue risse,…delle sue donne. Ne era gelosa, ma lo perdonava. Bastava guardarlo, ammirarlo nei suoi film (li sapeva quasi a memoria…), per sentirsi in qualche modo realizzata: in fondo, era sufficiente immedesimarsi nella protagonista femminile.…….. ed era con lui.

Ma quanto le sarebbe bastata veramente la finzione? Ogni tanto si poneva la domanda, ma poi la dimenticava perché sapeva bene che non c'era risposta.

Fabio nel frattempo partì di nuovo per l'Arabia Saudita e lei non lo accompagnò.

 

E accadde l'incredibile. Russell era a Roma per promuovere "A beautiful mind" .

E va bene! Devo sapere se questi mesi sono stati inutili e stupidi sogni. Troverò il modo di incontrarlo.

Con una intraprendenza di cui mai si era creduta capace, riuscì a sapere con discrezione dove lui alloggiava e a quali serate era stato invitato come ospite d'onore.

La sua professione le fu alquanto utile e giunse la sera in cui, dopo tanti mesi di struggimento, lo avrebbe finalmente incontrato di nuovo.

E se invece non fosse un caso? Se fosse lui che sta realizzando la sua promessa?

Era troppo bello per essere vero, eppure si cullò in quell'idea. Del resto, di lì a poco l'avrebbe verificata.

Ci mise molto a prepararsi. Curò non solo l'aspetto esteriore, cercò piuttosto di essere pronta "spiritualmente". Certo, le gambe le tremavano quando uscì, l'ansia le logorava lo stomaco, la testa le sembrava frastornata come dopo uno champagne di troppo, ma il suo autocontrollo innato le venne in aiuto.

 

E lo vide. Quanto tempo, quanti sospiri, quante lacrime! E se fosse stato tutto vano?

Allontanò quel terribile sospetto e gli andò incontro. Come le era accaduto un secolo fa, le sembrò di muoversi al rallentatore, solo i battiti del cuore erano furiosi.

Ancora pochi passi e si sarebbe trovata di fronte a lui.

La vide. I loro occhi si incontrarono, si persero nello sguardo l'uno dell'altra. Come in una fiaba, ciò che era loro intorno sparì. Lui le circondò la vita con una stretta dolce e decisa e ballarono un valzer d'altri tempi.

Poi si allontanarono e furono in giardino. C'era la luna piena, la notte chiara e senza vento, e " tu non sai né pensi quanta piaga m'apristi in mezzo al petto", gli disse Cristina con un'audacia che la sorprese.

Russell la guardò stupito e ammirato: "Come sei cambiata, Cristina!"

"Sei tu il responsabile", rispose con voce serena. Era ancora profondamente emozionata, ma si sentiva sicura di sé e finalmente si lasciava andare alle sue sensazioni. Non aveva più voglia né bisogno di soffocare con la mente ciò che il cuore reclamava di "sentire", libero da impacci e assurde inibizioni.

"Non hai più bisogno di difenderti?", le chiese con dolcezza.

"Non più ormai, anche se……..".

"Anche se …… ?"

"Anche se non so bene se mi trovo qui per te o per me, o…. per noi…".

Intenerito e lusingato da tanta garbata sincerità, la strinse a sé, la guardò a lungo negli occhi e si chinò a baciarla con tenerezza, sfiorandole le labbra che sentiva tremanti e incerte. Quel bacio fu per Cristina come un premio insperato dopo una lunga attesa. Capiva di avere sempre avuto desiderio di un bacio così: le venivano in mente gli aggettivi più abusati, ma Dio sa quanto erano veri! Dolce, tenero e appassionato. Una sensazione di benessere assoluto, un'esperienza quasi spirituale, la magia di due corpi che si incontrano, si riconoscono e sanno di appartenersi per sempre, anche quando non saranno insieme.

Rispose a quel bacio con tutto l'ardore di cui si sentiva capace, si aggrappò al corpo di lui con tenacia, con forza. Si stringeva al suo petto, si rifugiava nelle sue braccia come se avesse paura di perdersi. E voleva perdersi, annullarsi in lui e con lui.

Quando si staccarono, continuavano a guardarsi: lui si accorse che lei gli aveva dato molto più di un bacio, gli aveva già dato tutta se stessa, anima e corpo.

In silenzio si presero per mano e passeggiarono nel giardino.

"Cosa volevi dire prima? Sembravano i versi di una poesia", finalmente lui ruppe il silenzio.

"E' vero, sono alcuni versi di una poesia che tu mi hai fatto scoprire di amare molto", rispose placida Cristina.

"Chi è il poeta?"

"Giacomo Leopardi, un poeta dei primi dell'800, il mio preferito. E da quando ti conosco…….. mi piace ancora di più…".

Lui sorrise compiaciuto: "Cosa significano? Che vuol dire piaga?"

"Ferita profonda, bruciante, che squarcia il suo povero cuore innamorato di una donna che non sa nemmeno che lui esiste", rispose lei con un velo di tristezza.

Russell intuì il suo timore : "Ma io so che tu esisti. Ti avevo detto che ci saremmo incontrati di nuovo. Eccomi qui", disse aprendo le braccia invitandola a stringersi di nuovo a lui.

Cristina non si mosse, lo guardò a lungo, in silenzio, improvvisamente impaurita che quello fosse solo un sogno crudele e bellissimo.

Non farti gioco di me, ti prego, non farmi soffrire più, così imploravano i suoi occhi, umidi di lacrime e di incertezza.

"Non ora, che ho capito quanto inutile sia lottare con i sentimenti e le emozioni. Non ora, che tu, proprio tu, un attore, un divo, mi hai fatto sentire l'importanza dei sogni, anche se irrealizzabili. Non ora, che ho bisogno di credere non solo a quello che ragiono, ma anche a ciò che mi si agita dentro contro la mia volontà".

Queste parole le uscirono di getto, sorpresa lei stessa di pronunciarle, e proprio davanti a LUI, senza remore, senza ritegno.

"Io non ti chiedo niente - aggiunse Cristina ormai arresa ad esprimere tutto ciò che si era tenuto nascosto per mesi -, niente che significhi amore eterno o un impegno costante con me. So i limiti del nostro incontro e non mi faccio illusioni. Ma dimmi almeno che sai comprendere lo scompiglio che hai portato nella mia vita. TU mi hai cambiata e non so se ne sono contenta. Ma mi sento viva, grazie a te. Io non ti chiedo niente, ma lasciami credere che tu …provi qualcosa per me - finì tutto d'un fiato.

Lui l'ascoltava e la guardava intensamente, sorpreso e affascinato, attento ai mutamenti del volto di lei, incantato più dalla passione con cui gli rivelava il suo cuore che dalla sua bellezza, in quel momento vibrante e luminosa.

"Io ti ho capita, Cristina. Non so spiegarmi come e perché, ma quando ti guardavo, quella sera di tanti mesi fa, avevo visto dentro di te. Era come se ti avessi riconosciuta, anche se non ti avevo mai vista prima. Nella tua riservatezza, intuivo che c'era posto per me, ma tu non volevi ammetterlo e ti difendevi, da te più che da me".

Non è vero, sto sognando, mi sto immaginando tutto.

Eppure davanti a lei c'era l'uomo dei suoi sogni più segreti, "bello e impossibile" come recitava una canzone, e sensibile, comprensivo; che sapeva leggerle dentro, che non aveva bisogno di parole per capire il suo cuore, che le dava quella meravigliosa sensazione di libertà e di protezione, di leggerezza e di possesso.

Lo desiderò a tal punto da svenire per l'emozione: lui era la passione, bruciante, violenta e dolcissima. Lui era l'amore assoluto che ogni donna vorrebbe, e si sentì immensamente fortunata: aveva vissuto in attesa di questo, ora lo sapeva.

Si abbandonò nelle braccia di Russell, con uno slancio liberatorio. Sentiva il profumo di uomo, di maschio che emanava dal suo corpo, saldo, forte, possente. Le braccia di lui erano una morsa che la serrava, quasi le faceva mancare il respiro; si sentiva desiderata, amata, voluta fino allo spasimo. Si fermarono un istante, entrambi stupiti dall'ardore che sentivano l'uno per l'altra, cercarono un luogo nascosto e si amarono sotto lo sguardo benevolo e complice della luna, l'astro degli innamorati.

Si amarono più volte, con foga e con passione, con tenerezza e lentamente. Ammirarono i loro corpi quasi diafani al chiarore lunare, si accarezzavano, si cercavano dappertutto, ed ogni volta il piacere era sublime, era magia, era stupore di sensazioni profonde e sconosciute.

 

Dopo un tempo incalcolabile, stremati e soddisfatti, rimasero abbracciati e silenziosi, Cristina con la testa posata sull'ampio petto di lui, con una mano lo accarezzava piano, felice e placata, ancora un po’ incredula. Si alzò poggiandosi su un gomito e si mise a guardarlo. Gli occhi chiusi, il volto sereno increspato da un leggero sorriso, la barba appena accennata, i capelli mossi sparpagliati sull'erba, le sembrò un dio, una divinità dell'antica Grecia come si ricordava raffigurata nel libro dei miti. Il corpo nudo era quello di una statua, ma era caldo e vero, reale, ed era stato suo. E lei gli si era donata con tutta la sua femminile seduzione, lasciva e spudorata come non pensava di poter essere. Le vennero in mente i versi di Saffo: "Egli mi sembra uguale agli dei quando lo vedo… Il corpo trema, la gola si secca, negli orecchi sento un rombo come di vento che scuote le querce…". Forse non erano precise, ma quelle parole sembravano scritte per lei.

Lui aprì gli occhi sentendola mormorare. Quegli occhi color dell'oceano, che la guardavano come a penetrarla, le parvero (anche qui un poeta le venne in soccorso per meglio descrivere ciò che sentiva) "un riso dell'universo". Gli sorrise, grata della felicità che le scoppiava nel cuore e si sentì perdere nuovamente dentro di lui.

Ecco, adesso potrei anche morire. L'amore e la morte come esperienze estreme…

"Cosa pensi?", le chiese dolcemente, sentendola improvvisamente lontana.

Cristina non sapeva se rispondergli o meno. Non voleva parlare, come se temesse di spezzare un incantesimo. Era così bello e diverso guardarsi senza parole, lasciando che fossero i gesti, gli sguardi e i sorrisi a comunicare le loro sensazioni.

Non rispose e posò di nuovo la testa sul petto di lui, mentre con il braccio gli si strinse forte, per non farlo andar via, per prolungare il più possibile quel momento, per trattenerlo, imprimerlo nella memoria della mente e del corpo, in modo che anche lontano nel tempo e nello spazio si sarebbe ricordata di lui e lui di lei.

Avvertiva in fondo al cuore il gelo del distacco, la morsa dell'addio, il gemito della lontananza.

"Russell, Russell, Russell Crowe…….", ripeteva Cristina mormorando, "come mi piace pronunciare il tuo nome…"

"Anche a me piace sentirti parlare", disse quasi rispondendole, con una voce così calda e profonda che la fece fremere.

"Davvero? Perché?"

"Quando parli, cerchi di essere misurata, equilibrata, padrona di te stessa. Ma quello che dici e il modo in cui lo dici ti svelano".

"E cosa svelerei?"

Si sollevò su un lato costringendola con la testa sull'erba, il volto di lui la sovrastava.

"Vedi, Cristina, non posso negare di aver conosciuto e conoscere molte donne, tutte più o meno dell'ambiente dello spettacolo, qualcuna sincera, molte solo opportuniste.

Tu sei vera, non artefatta, sincera e limpida nonostante la corazza che credi di indossare per difenderti dal mondo. Fai bene a stare in guardia. Ma tu vuoi sentirti viva, lo dicono i tuoi occhi neri, lo dice il tuo viso severo ma dolce, per chi sa guardarti bene e non si ferma a ciò che tu ti costringi ad essere o sembrare.

Credi di dominare le cose con la razionalità, ma poi hai bisogno di cullarti con le poesie. E' per questo che sei trasparente, almeno per me".

Lei lo ascoltava bevendo ogni sillaba che usciva dalla sua bocca, ogni pausa, ogni respiro. Scrutava quegli occhi che sapevano di infinito e suo malgrado a fil di voce si sentì sussurrare "… e il naufragar m'è dolce in questo mare".

 

Sono io che naufrago e poi rimarrò sola, sola col pensiero di te, sola con il ricordo di questi momenti, che mi sembreranno così lontani da temere che non siano mai esistiti; sola con me stessa, con quella Cristina che sarà più vulnerabile di prima perché ha ceduto a un sogno, a una follia e non sa quando e se ti vedrà di nuovo. E invecchierò, fuori e dentro, e forse ti maledirò e rimpiangerò di non essere stata forte per respingerti. Sono io che naufrago e ti seguirò come una mendicante, a implorare dalle tue foto sui giornali un fugace ricordo di me.

 

Quasi si pentì per aver avuto quei pensieri e li scacciò via per non sciupare la magia che stava vivendo con il "suo" uomo. "Suo"; non aveva il diritto di dirlo "suo", ma lei ora si sentiva appartenere a lui e tanto le bastava.

 

Se tu non mi ami come ti amo io, non importa. Il mio amore è grande abbastanza per entrambi, io ti amo anche per te e non fa niente se ti rivedrò solo nei film o nelle riviste. Io so che tu ci sei stato anche per me ed io ci sono stata anche per te. Mi farò bastare questi momenti, li custodirò come i miei gioielli più preziosi, nessuno li conoscerà mai, ma io sola saprò che "noi siamo stati", qui, ora e per sempre.

 

Le contraddizioni dell'amore. Un tempo non le avrebbe né concepite né capite, e ora le bruciavano sulla pelle e nel cuore, ora le straziavano l'anima e la inebriavano, ora le invocava perché durassero ancora, ancora un po'.

Come accontentarsi ora che aveva provato l'assoluto, la pienezza, la forza potente dell'Amore?

Russell la strappo' ai suoi pensieri con una carezza e un sorriso. Lei lo ricambiò e in silenzio si alzarono, si vestirono e si incamminarono.

"Dove andiamo?" chiese Cristina.

"Non lo so e non mi importa saperlo. Passeggiamo, da soli, finché ne abbiamo voglia, per le strade di Roma, del mondo, di noi stessi…"

Stranamente e con lieta sorpresa sembrava che lui le avesse letto nel pensiero e volesse gustare con lei il tempo che rimaneva, senza domandarsi quanto ne rimaneva.

Camminarono tutta la notte, parlarono e si raccontarono fin nel profondo l'un l'altro, come se ognuno sapesse che poi sarebbe stato ben difficile incontrarsi un'altra volta con questa spontaneità, con il desiderio di raccontarsi senza reticenze, con lo stupore di trovare nell'altro la comprensione e la complicità da sempre volute e cercate inutilmente.

 

Perché non può essere per sempre? Perché proprio con te, con te che mai più avrò per il resto dei miei giorni? La perfezione esiste, ma dura poco perché l'invidia del destino la distrugge.

 

Perché ora ho incontrato una donna come te? Come te che non avrò mai più nei giorni della mia vita? E se fosse vero che ti incontrerò di nuovo nell'altra vita?

 

"Come hai detto che si chiama il tuo poeta preferito?"

"Giacomo Leopardi. Perché?"

"Mi chiedevo se conoscevi una sua poesia che potesse esprimere pienamente quello che provo per te…", rispose Russell fermando i suoi passi e guardandola serio e triste.

Cristina sentì il gelo nel cuore, ma i suoi occhi lo contemplavano sereni e felici, e dopo un momento di silenzio rispose: "Sì, forse ce n'è una adatta a noi…"

"Se la ricordi, vorrei ascoltare qualche verso…".

Con un filo di voce e come rapita in estasi cominciò a recitare: "Dolcissimo possente, /dominator di mia profonda mente,/…. conforto a' lugubri miei giorni,/ pensier che innanzi a me sì spesso torni…".

"Parla dell'amore, vero?"

"Sì, dell'Amore sovrano assoluto e prepotente della sua vita, che lo tormenta, non lo lascia stare, ma lo fa vivere, lo fa SENTIRE vivo…"

"E perché sentire l'Amore fa male?"

"Non lo so", rispose Cristina quasi con fare materno, "ma so che anche per me è così, ora che ti ho conosciuto e non ti resisto più".

Non parlarono per molto tempo, continuarono la loro passeggiata tenendosi per mano, noncuranti dell'alba incipiente, del domani che stava arrivando e li avrebbe di nuovo separati.

"Quando partirai?"

"Non ci pensiamo , per ora. Ho ancora alcuni giorni tutti per noi e li voglio vivere come… come nel film Vacanze romane. Ti ricordi?"

"Sì, ma c'è una differenza. TU sei il principe…", concluse Cristina appoggiandosi a lui, mentre pensava il principe che se ne andrà…

"Dove siamo?", chiese Russell guardandosi intorno e si resero conto entrambi di essersi completamente persi nella grande città eterna senza sapere dove andavano.

"Tutto sommato - disse Cristina- abbiamo fatto il classico percorso dei turisti, ma… non abbiamo visto niente!", finì sorridendo.

"Possiamo rimediare subito". Fece una breve telefonata dal suo cellulare e, dopo essersi fatto spiegare da Cristina dove si trovavano, diede alcune indicazioni al suo interlocutore.

"Ma chi hai chiamato?", fece la ragazza incuriosita.

"Aspetta e vedrai, è una sorpresa", sussurrò misterioso all'orecchio di lei.

Dopo una ventina di minuti una grossa Mercedes stile "Corpo Diplomatico" si affiancò a loro due, ne scese un distinto e compunto autista, aprì con svelta eleganza lo sportello dalla parte di Cristina; vi salì seguita da Russell, spinta con amorevole sollecitudine. L'auto ripartì silenziosa ed efficiente come era arrivata.

Le strade di Roma all'alba sono quasi deserte e Russell ne approfittava per vagare nelle vie della città senza il rumore e la fretta della folla, del traffico, del cicaleccio dei turisti.

Per Cristina sembrava una sequenza già vissuta e si ricordò di quando, accompagnata sull'auto blu del Presidente, (mesi o secoli fa?), finse di essere una star in visita a Roma.

Guardava fuori, appiccicata al finestrino come se davvero fosse la prima volta che vedeva il Colosseo, Piazza Venezia, il Foro, insomma tutto ciò che doveva esserle ben familiare. Si sentiva come una bambina entusiasta di quella scoperta.

In una pausa della sua euforia, contagiosa anche per Russell che non finiva mai di domandare e chiedere e voleva sapere, Cristina si rivolse a quell'uomo che stava sconvolgendo tutto il suo mondo: "Grazie. Vedo la bellezza della mia città per la prima volta. Tu, un australiano, del nuovo mondo, agli antipodi della terra, proprio tu mi fai scoprire con occhi nuovi e diversi una bellezza incantata, come se finora avessi avuto un velo davanti."

Aveva parlato con gratitudine e con trasporto, con la voce dell'anima. Lui anche gli fu grato e la baciò dolcemente e a lungo.

"Non è merito mio, è l'Amore, dolcissimo e possente, che ci fa vivere più intensamente", aggiunse poi, e pareva che parlasse più a se stesso che a lei.

Rimasero entrambi pensierosi, meditando su quelle parole, intense e toccanti.

 

"Siamo insieme da poche ore, eppure mi sembra di conoscerti da sempre, Cristina", pronunciò il nome di lei con una lunga scansione, come a imprimerselo nella memoria più profonda.

Lei capì e: "Anche per me è la stessa cosa".

Lui riprese: "Ecco, questo ci basterà per il domani, anche quando non ci vedremo…". Cristina comprese la vicinanza dell'addio, ma si sentiva preparata in fondo. Per la prima volta accettava un avvenire senza certezze assolute. Eppure una sola ne aveva e quella sarebbe stata abbastanza da farle sopportare la lontananza: Russell non era mai stato un sogno, era una bellissima realtà che viveva con lei, in qualunque parte del mondo si fosse trovato e, ora lo sapeva, anche per lui era così.

 

Con questa consapevolezza, non c'era più bisogno di parlare per spiegarsi e quando si salutarono, tre giorni dopo, tre giorni pieni solo di loro stessi, l'inevitabile tristezza del distacco fu temperata e addolcita dalla certezza di aver vissuto attimo per attimo un incontro che aveva cambiato la loro vita, per sempre.

 

FINE

 

 

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