Capitolo I
La magia di un piccolo impulso
elettrico, un circuito che si chiude, un’istruzione
tradotta… lo schermo si illumina. Appare l’immagine
dello sfondo, le icone sparpagliate su di esso. Il
computer. Che miracolo. Un piccolo marchingegno
diabolico al suo interno fa sì che premendo due volte
in rapida successione sul bottoncino di uno strumento ad
esso affiancato, tu riesca ad occupare la linea
telefonica per ore con sommo disappunto dei tuoi
familiari (all’arrivo della bolletta) e di coloro che
tentano invano di chiamarti. Ma quel semplice “doppio
click” apriva la mia finestra sul mondo tutte le sere,
ed in fondo il disappunto era soltanto mio, visto che
vivevo sola.
A dire il vero il famoso “mondo”
era leggermente ristretto. Già perché… la
solitudine, la libertà, il sogno, il desiderio… tutto
finiva per concludersi e concentrarsi su di un solo
obiettivo: Russell Crowe. Ma sì, l’australiano. Anzi,
no: l’Australiano, con la maiuscola. O il vaccaro, il
bovaro, il burino… oh in quanti modi avevo avuto modo
di sentirlo e vederlo chiamare… Notizie su di lui,
foto su di lui, pettegolezzi su di lui, film con lui.
Avevo battuto tutto l’universo conosciuto di internet
per raccogliere tutto il materiale che avevo sull’Australiano,
non senza dispendio di energie e danaro, non senza
sottoporre il mio povero pc ad una sovralimentazione di
byte e byte… pensavo potesse esplodere un giorno o l’altro.
La cosa simpatica era che la mia
finestra sul mondo dava anche su di un… cortile sul
retro. Infatti, questa malattia per l’Australiano mi
aveva portato a conoscere tante persone (per lo più
donne, l’avreste mai detto?!) simpatiche,
intelligenti, fresche e sincere con cui mantenevo
contatti abbastanza assidui. Le telefonate si
susseguivano, le incursioni in chat anche. Le distanze
erano ancora difficili da abbattere, ma qualche volta ci
si provava, così come si tentava di conciliare gli
impegni di quelle che, a differenza mia, avevano anche
una vita “vera” da vivere (un marito, dei figli). Ma
era bello ugualmente e a noi quel rapporto bislacco
piaceva così com’era.
Quella sera, accesi il computer poco
dopo l’ora di cena e come sempre cominciai a navigare
alla ricerca di notizie e curiosità sull’Australiano.
Fuori nevicava e l’atmosfera in casa mia era ancora
più ovattata e tranquilla del solito. Avevo acceso un
incenso, la solita sigaretta, la bottiglia del whisky
era sul tavolo di fianco al “topo” (era il mio modo
“originale” di appellare il mouse), musica di
sottofondo. Inizialmente avevo pensato ad una cosa
tranquilla, Enya ad esempio, oppure la colonna sonora di
“Twin Peaks”, o anche quei CD carinissimi di musica
dei pellirosse che avevo comprato durante il viaggio in
California di un annetto prima. Poi come al solito non
resistetti. “Ma sì… l’Australiano a 360°:
mettiamo i TOFOG…”. L’Australiano, infatti, oltre
a fare l’attore, si dilettava nel canto insieme ad un
gruppo di rockettari suoi paesani, oltre a suonare la
chitarra come un’asse da bucato. Ma il prodotto in
fondo non era disdicevole. Se piaceva il genere… Così
cominciò la mia serata: Crowe davanti, dietro e pure
intorno (metaforicamente, s’intende).
Girai parecchio, senza particolari
risultati, entrai un paio di volte nella messaggeria del
mio sito preferito (quello italiano dove avevo
conosciuto tutte le mie amiche), “postai” qualche
cazzata; andai anche in chat ma non c’era nessuno e
non avevo voglia di chiamare quella che quella banda di
spostate come me chiamava “Ciccio-adunata” o “Ciccio-party”
(non chiedetemi perché l’Australiano era
soprannominato Ciccio: il creatore del nomignolo cela
ancora il segreto e sono certa che se lo porterà nella
tomba… in ogni caso mi sono adeguata e l’Australiano
è chiamato Ciccio anche da me). Alessandra cercò di
trattenermi in messaggeria, anche l’altra Alessandra e
anche Elena. Ma io ero un po’ stanca e francamente
sfiduciata dal non aver scovato nulla di particolarmente
interessante. Finché la musica mi ricordò di fare un
ultimo giretto nel sito ufficiale del complesso dell’Australiano
per controllare che non mi fossi persa qualcosa di
importante, che so… l’uscita del nuovo album (!) o
cose del genere. La lentezza del mio pingue PC mi
esasperò come al solito, come al solito temetti il
peggio cioè che crashasse e mi piantasse lì come un
broccolo. Poi man mano che l’immagine veniva scaricata
dalla rete, capii il motivo di tanta difficoltà. La
home page era stata modificata, ed era stato affisso una
specie di avviso. Lessi. E man mano che le righe si
snocciolavano di fronte ai miei occhi e poi nel cervello
per un rapido lavoro di traduzione, venni colta da un’ansia
che si trasformò in sudori freddi, palpitazioni,
leggero senso di nausea. Presi la bottiglia dell’Oban
(il whisky) e ne trangugiai a canna una generosa
sorsata.
“The Contest”
“Oh porca mucca… come dice l’altra
Alessandra… cosa vuol dire ‘Contest’… cosa VUOL
DIRE?! Vuol dire concorso. Non contesto, vero Isa?
Concorso, vuol dire concorso” pensai nervosamente,
mentre ricominciavo a leggere l’annuncio per la terza
volta.
“TOFOG announce a competition…
organizzano un concorso a cui parteciperanno i gruppi
che suonano la loro musica. Il concorso si svolgerà a
Sydney sabato 19 luglio 2003 e la giuria sarà composta
dal gruppo TOFOG (al completo, ragazzi, al completo!). E’
gradita la sponsorizzazione di un sito internet per ogni
gruppo (che possiamo presumere si riferisca al nostro
cantante: ma la “musica” cambierà, ragazzi!); ogni
gruppo avrà diritto a cantare due canzoni e in caso di
risultato di parità potrà presentarne una terza per lo
spareggio. Il premio in palio è l’ufficializzazione
del sito e la partecipazione come gruppo di supporto
alla prima tournee che TOFOG effettueranno (non ancora
programmata). Le adesioni dovranno pervenire entro e non
oltre il 30 gennaio 2003”.
- Non è
possibile… - dissi a voce alta. - Devo aver letto
male. Adesso riprovo.
Deglutii rumorosamente, inghiottii un’altra
sorsata di whisky, poi con un’unica boccata aspirai
tutta la sigaretta, mentre rileggevo, strangolandomi, l’annuncio
che avevo sotto gli occhi. Ma non potevo più
raccontarmi balle, avevo tradotto bene. Il sito era
quello giusto (e qualche altro pazzo furioso avrebbe
avuto il cuore di chiamare una band “Thirty odd foot
of grunts”, per gli amici TOFOG?!), io nonostante l’Oban
ero abbastanza lucida, non doveva essere uno scherzo. C’era
come riferimento un indirizzo email, che sapevo essere
affidabile. C’era una sola cosa da fare. Chiamare la
webmistress del sito italiano in cui entravo tutte le
sere. Salvai la pagina non in linea, poi staccai la
linea telefonica e chiamai Gloria.
- Per
fortuna ci sei!!
- Ma chi
parla?
- Sono
Isabella.
- Ciao Ciccina! Tutto bene?
- Sì, sì…
senti ho una bomba che nemmeno te l’immagini!
- Ah sì?
Sentiamo…
- Ce la
faremo Gloria… CE LA FAREMO!
- A far
che?
- Ad
incontrarlo! Tutte! Tutte noi!!! Vedrai ne sono
sicura!
- Ma chi,
Ciccio?
- E di chi
altri vuoi che parli?!!?
- E come?
Le spiegai rapidamente. La reazione
che ebbe non fu esattamente quella che mi aspettavo.
- Ma sei
pazza? Se vuoi andare a cantare, vai, ma chi ci può
andare a Sydney? Io c’ho il marito, le figlie…
- Lo so
Gloria, ma è un’occasione da non perdere! Se
vinciamo, CI UFFICIALIZZA IL SITO!! Il TUO sito,
diamine!! Vorrebbe dire avere contatti quotidiani
col suo staff, notizie VERE, da fonti più che
attendibili, magari LUI stesso telefonerebbe di
tanto in tanto!!!! Dai, Gloria, non puoi lasciar
cadere un’occasione così!
- Tu sei
fuori come un citofono… Dai Isa, sveglia! Io non
posso, su. E poi… - fece una lunga pausa - Ci
vuole una band. Tu conosci una band?
- Che
domande del cavolo fai?!? Hai un sito internet e non
pensi che in mezzo a quelle spostate che lo
frequentano si riesca a tirar su una band?!
- Nessuno
canta le loro canzoni.
- Io sì.
Gloria si zittì. Un lungo
inquietante silenzio, che potei superare dando un’altra
manata al collo dell’Oban.
- Nella
doccia.
- Beh
certo. Ma io ho studiato canto, Gloria, ho fatto due
concerti. Certo, roba da poco. Ma sono brava, sai?
- Ah
davvero? E cosa cantavi?
- Jazz.
- Non mi
pare che Ciccio canti jazz.
- No, ma
secondo me dovrebbe… Insomma! Che c’entra?!
Gloria, ce la possiamo fare, lo so!!
- Vabbè ma…
se anche fosse… io che dovrei fare, secondo te?
- Tu raduna
la band. Io cerco la musica e poi tento di capire
quante persone ci vogliono per avere uno sconto
veramente forte per un gruppo che deve volare fino a
Sydney.
- Non
verranno, Isa… è troppo lontano, troppo caro… e
poi la gente ha impegni, famiglia, lavoro…
- Si
libereranno, Gloria, vedrai. Se gli garantisci che
incontreranno Crowe, si libereranno.
Gloria sbuffò.
- Vado ad
affiggere un post in messaggeria e un avviso in home
page…
- Brava!!
Non te ne pentirai, vedrai.
Chiusi la comunicazione e in men che
non si dica, chiamai Alessandra. Dapprima perse
conoscenza poi si riprese ed espresse tutte le sue
emozioni represse, in un'unica scarica ormonale. Quando
ebbe finito di ululare, le venne in mente che non aveva
tempo e soldi per un viaggio a Sydney.
- Non ti
preoccupare, non sarà tremendamente costoso. E non
puoi perderti un’occasione così. Scommetto che a
luglio non lavori sulla tesi.
- Ma non lo
so!! Sai il mio senso di colpa… e poi me l’hai
detto tu che non conviene fare un viaggio di 25 ore
per starci una settimana.
- Infatti
ci staremo tre giorni. Ma ci pensi a chi andrai a
conoscere?
- Certo che
lo so!!!! Ma Isa, è un casino…
- Almeno
mettici la buona volontà di provare a pensarci…
Dai, Ale, se non dovessi avere il tuo sostegno… mi
darebbe fastidio.
- Per cosa,
saltargli addosso?!
- Sai
perfettamente che quello so farlo benissimo da sola…
per cantare! Devi farmi il tifo, sennò so che non
ce la farò.
- Uffa….
comincia a pensare a tutto il resto. Io… ci provo,
ma non ci sperare troppo!
- Sei un
tesoro!!
Chiusi la comunicazione altrettanto
rapidamente che con Gloria.
Quella notte dormii malissimo. Mi
giravo e rigiravo nel letto come un galletto amburghese
cercando di scacciare i mille pensieri che quella
scoperta mi aveva creato, come organizzare, come
convincere le persone a venire, se sarei riuscita a
provare a sufficienza con la band prima di partire, come
sarebbe stato il viaggio, come sarebbe stato LUI.
Crollai verso le cinque del mattino e quando la sveglia
suonò un’ora e mezza dopo mi sentii morire.
Capitolo II
Se quel giorno, anziché andare in
ufficio, fossi andata al lago di Cei a passeggiare,
avrei sicuramente guadagnato i miei soldi più
onestamente. Le carte mi passavano davanti agli occhi
senza che le vedessi, le email venivano lette in
anteprima senza capire realmente cosa ci fosse scritto.
Cominciai dalla parte pratica, forse serviva a fugare i
primi dubbi. Se il viaggio fosse costato troppo, o sarei
dovuta riuscire a convincere soltanto le persone della
band oppure avrei dovuto rinunciare. Chiamai la mia
amica Stefania a Milano.
- Ciao Stefi, sono Isabella… che si dice nella Padania?
- Che vuoi
che si dica… si parte, si torna… tu lassù? Todo
bien?
- Non mi
lamento… Stefi ho bisogno di un favore.
- Dove
andiamo questa volta?
- A Sydney?
- L’Australia?!
Fantastico! E dimmi, com’è che la tua mamma ha
abbandonato l’idea degli States a cui mi sembrava
così attaccata?
- Non ci
vado con mia madre. E poi voglio andare soltanto a
Sydney e ho bisogno di uno sconto, Stefi, di uno
sconto sfacciato.
- Stai
scherzando!
- Se ti
mettessi in piedi un gruppo di una trentina di
persone, cosa mi diresti?
Il silenzio dall’altra parte del
cavo mi regalò una speranza piccola come un granello di
polvere.
- Beh…
trenta persone in una botta sola non sono poche. Che
pacchetto vorresti?
- Volo e
pernotto. Magari un pasto un po’ belloccio da
qualche parte. Non staremmo più di tre, quattro
giorni.
- Hai
pensato ad un tetto massimo di spesa?
- A dire il
vero no.
- Quattro
giorni?! Il volo dura 24 ore, sei sicura che ne
valga la pena?
- Più che
sicura, credimi. Non riesci a far rientrare tutto in
un paio di milioni al massimo?
- E’
durissima… posso provarci. Se foste di più
sarebbe meglio.
- Quante di
più? Quaranta? Cinquanta?
- Già
sulla quarantina la linea aerea potrebbe essere
interessata. Poi l’albergo si trova.
- Ok, cerco
di riunirne cinquanta poi ti richiamo. Posso
proporre un tetto massimo di due milioni e mezzo ai
partecipanti?
- Che non
lo prendano per buono. Però… prova.
- Il mio
indirizzo email ce l’hai. Ci sentiamo tra qualche
giorno.
Andai di volata a controllare la
messaggeria. Gloria aveva postato l’avviso e anche la
home page aveva cambiato leggermente faccia. L’avviso
del concorso campeggiava a tutta pagina con i suoi e i
miei riferimenti. In messaggeria, c’era stata la
solita sbruffona affluenza, non ci credevano quelle
pagane. D‘un tratto squillò il telefono.
- Sono
Gloria…
- Dimmi.
- Se
fossero tutte donne?
- Non mi
sarei aspettata altro…
- No, la
band intendo.
- Perché
no.
- Uhm. Ok.
Ti giro i messaggi che mi sono arrivati.
- Giusto,
io la mia posta personale manco l’ho guardata…
- Fallo. Ti
avviso: ci saranno anche i messaggi delle
detrattrici.
- Non ti
preoccupare, ho le spalle larghe.
- Bacio.
Lessi la posta. Leggermente
sconfortante, ma qualcosa si poteva fare. Una fanciulla,
Halle, scriveva da Reggio Emilia, suonava la chitarra.
Bene, le si potevano insegnare gli assolo. Max diceva
che la sua batteria era a nostra disposizione. Meno
male, almeno un uomo… non ce l’avrei vista una donna
alla batteria. Russell (quello finto, come diceva
Gloria) invece, pur essendo lontano, diceva che il suo
basso era tutto nostro. E meno male, l’altro uomo
della messaggeria. Veronica diceva che avrebbe persino
fatto lo spogliarello sul palco se questo fosse servito
a farle vedere Crowe da un po’ più vicino che al
cinema. Ok, le avrei fatto suonare la chitarra se era
almeno un po’ capace. La band era completa, adesso ci
voleva un posto per le prove.
Chiamai Halle che conoscevo meglio
degli altri.
- Come
Roma?!
- In fondo
è il posto più a mezza strada di tutti…
- Ma se non
c’è nessuno sotto Roma!
- Lo so,
Ale, ma almeno a Roma Max sa dove andare a suonare!
Se scegliamo un posto realmente a metà strada, tipo
Firenze, dove lo troviamo un posto per provare?
- Che balle…
- Dai, ti
passo a prendere in macchina…
- Mia madre
mi ucciderà…
- Ti
difenderò io. Dai preparati. La prima session è
tra quindici giorni.
- Cercherò
di preparla…
- Brava.
- Mia
madre, non la session…
Feci un sorriso mentre rimettevo la
cornetta al suo posto. Finalmente era arrivato il
momento di andarsene dall’ufficio, non riuscivo più a
stare in quel posto maledetto, era come se al posto
della sedia avessi una graticola. Passando davanti al
vetro, complice il corridoio scuro dall’altra parte,
vidi la mia immagine riflessa. “Oh cacchio… “
pensai “Me ne ero dimenticata. Dovrò curare… l’immagine
se devo salire sul palco di fronte a lui. E cantare “Hold
you”… Figurati, una roba erotica. O quasi. E io peso
600 chili e devo rifarmi la tinta. Beh a quella penserò
a suo tempo. Pensiamo al fisico, prima. E all’abbigliamento
e alla voce.” Infatti mi accesi una sigaretta mentre
attraverso il parcheggio, raggiungevo la mia auto.
Non ero molto d’accordo sulla
scelta del secondo brano. Mi era stato imposto quasi con
la forza “Sail those same oceans”. Sì, mi piaceva
ma avrei preferito qualcosa di maggior impatto. Così
avevo ipotecato la terza canzone, quella da performare
in caso di parità. “Somebody else’s princess”. Oh
cacchio! La tromba, mi mancava la tromba. “Beh,
troveremo qualcuno che suoni le tastiere, così
metteremo un suono ‘tromba’ e il gioco è fatto…”
Almeno così speravo… Mi preparai, già da quella
sera, il piano d’attacco per il corpo. Cucinai e
mangiai cose che avrebbero fatto vomitare una capra,
insalata scondita e un arancio. Guardai il calendario e
mi accorsi che era venerdì. Perfetto, alle otto c’era
la lezione di yoga, avrei ricominciato ad andarci. E poi
avrei dovuto fare qualcos’altro, delle flessioni o
degli addominali, cose così, per rimettermi in forma.
Decisi che mi sarei sacrificata e che per un altro paio
di giorni la settimana sarei andata in piscina. Se
dovevo perdere doveva essere con onore. Mi sentii male
al pensiero di dover toccare l’acqua della piscina,
col freddo che faceva a Rovereto, ma fissai la mia mente
negli occhi dell’Australiano. Quindi preparai la borsa
con l’accappatoio, ciabatte e costume.
- Allora?
Quando provate? - Chiara era un po’ più “positiva”
delle altre.
- Dopodomani.
Partirò all’alba per passare da Alessandra a
Reggio.
- Wow. Se
non fosse gennaio giurerei che è un pesce.
- Non è
possibile, Kya, l’hanno pubblicato sul sito
ufficiale dei TOFOG.
- Ma l’ufficializzazione
di un sito di Ciccio… musica mischiata a cinema….
Ciccio non approverebbe.
- Forse si
sono stufati di vendere dischi in internet tramite
il passa parola.
- Se
doveste vincere… come farete ad andare in tournee
con loro?
- Non lo so
e non mi frega, Chiara… quello è un… “problema”
che affronterò quando si porrà..!
- C’hai
ragione anche tu… farete una prova generale?
- Penso di
sì. Chiameremo quelli che partiranno con noi.
- Per me
cinquanta non li fai nemmeno se preghi.
- Lo so, lo
penso anch’io. Ma non svegliarmi adesso… ti
prego.
- Buona
giornata!
Alessandra si lamentò di quanto
aveva dovuto litigare con sua madre praticamente per
tutto il viaggio. Invano cercai di sintonizzare la sua
attenzione sulla “buona causa” delle nostre azioni,
ci fu poco da fare. Così me la sorbii diligentemente,
cercando di consolarla come fanno tutte le brave sorelle
maggiori (quello avrei potuto essere per lei, se non
quasi sua madre, data la differenza di età). A Roma
ovviamente persi la strada, ma dopo un pazzesco
girovagare finalmente riuscii a trovare il luogo dell’appuntamento.
L’incontro fu storico! I ragazzi erano simpaticissimi,
ci si concesse una pizza e poi andammo di volata alla
sala prove. Cazzeggiammo un po’, io fumai come una
ciminiera, ma le ultime due o tre volte che provammo le
canzoni, già la cosa cominciava a prendere forma come
si doveva. Dopo sei ore uscimmo distrutti.
- Mi
stupisce che abbiate messo in piedi tutto questo
bailamme per l’ufficializzazione di un sito… se
ci fosse stata in palio una notte con Crowe me lo
sarei spiegato di più! - fece Max.
- Ciccio è
Ciccio, - replicò Veronica, - e un’occasione
così non si può perdere. Io appoggio la Isa.
- Per me
prendiamo la maglia nera… - disse Russell-finto.
- Non ci
sperare, andremo fino in fondo! - affermò convinta
Ale. Si era rincuorata, strano.
- E la Isa
ha una gran voce: non possiamo fallire! - esclamò
Elena.
- Spero
solo che non mi venga un attacco di afonia acuto
quando sarà il momento… - mormorai.
- La canti
troppo bene “Hold you”, e se sarai senza voce,
Ciccio crollerà ai tuoi piedi per il modo
convincente in cui la interpreti! - mi sostenne
Veronica.
- Grazie
del favore, cara, ne ho bisogno.
- Ok,
allora ci vediamo di nuovo qui tra tre settimane -
disse Max.
I giorni passavano, io perdevo peso
per la dieta e per la disperazione delle defezioni che
vedevo arrivare in posta elettronica. “Ci vorrebbe
qualcosa che le convincesse veramente a schiodarsi…”
pensai mentre ingurgitavo un minestrone che non aveva
nulla di umano. Chiamai Stefania per sentire dei prezzi
del viaggio.
- Pensavo
proprio a te… - mi disse con aria ironica.
- Hanno
sparato cifre da Rockfeller?
- Ti va
bene, stellina: voglio due milioni tondi se arrivi a
quaranta persone!
- Beh
niente male! Venderò anche la mia virtù per
raggiungere quel numero. Mi chiedo chi se la
prenderà però… siamo tutte donne….
- Ma mi
vuoi spiegare che state combinando?
Glielo dissi. Stefania rise così
forte che dovetti staccare la cornetta dall’orecchio.
- Parola
mia, di tutte le storie che ho sentito in vita mia
questa è la più ridicola!
- Divertiti,
sbruffona… quando ti porterò una sua foto con l’autografo
ti ricrederai!
- Trova
quelle persone. Quando hai i nominativi avvertimi:
prepariamo un voucher cumulativo.
- A
risentirci.
Capitolo III
Quella sera ero un po’ giù di
corda. La piscina mi aveva ammazzato e io cercavo di
tirarmi su con l’unico strappo che continuavo a
concedermi alla dieta: il mio whisky. Chiamai Alessandra
(quella di Pavia che chiamerò Nash per comodità e per
non confonderla con l’Alessandra che avrebbe suonato
con me a Sydney) per farmi consolare.
- Che
combini?
- Chatto un
po’ e tu?
- Guardo la
tv. Sono tornata dalla piscina e ho potuto mangiare
un hamburger di vitello e una mela. Mi viene da
piangere…
- Coraggio, Ciccina, sarai un figurino quando salirai sul palco!
- Se svengo
prima, no!
- Su… su!
Ci sarò io a consolarti…
Feci una pausa. Poi scattai.
- Cosa?!
Puoi venire?? Oh Ale, non sai cosa significhi per
me!!
- Se vinci,
mi farai toccare i suoi capelli, intesi?
- Se vinco,
ti ci faccio fare un posticcio coi suoi capelli! Io
poi, me lo tengo calvo e tutto intero però!!
- Quando
dovrò farti da interprete, non avrà occhi che per
me, Cicciuzzo caro!
- Il
linguaggio dell’amore è internazionale, stellina,
e le mie rughe vinceranno sulla tua verde età! Ora
vado, domani devo andare a Roma e devo alzarmi
presto.
- Buon
viaggio, Ciccina e mi raccomando: preparatevi per
bene!
Il giorno dopo, in macchina verso
Roma, parlai al telefono con Gloria.
- Come
procede? - s’informò lei.
- Abbastanza
bene, a parte che sono già a pezzi…
- Come mai?
- La dieta,
il lavoro, registrare i nomi delle persone che
dovrebbero partire con noi, questo avanti e indietro…
comincio a non poterne più.
- Ti sei
messa a dieta?!
- Per
forza! Ci vuole presenza scenica, Gloria, non si
può improvvisare una cosa così…
- Che
perfezionista.
- Vuoi o
non vuoi fare bella figura e “vincere” la tua
ufficialità?
- Mi
farebbe piacere, non lo nascondo.
- E allora
fidati. Due giorni alla settimana a yoga e due in
piscina varranno bene almeno qualche applauso da
parte sua!
- Gli altri
come stanno?
- Bene.
Sono tutti un po’ preoccupati, ma fondamentalmente
mi sembra di capire che non ci credono ancora del
tutto. E’ come se stessero lavorando in un sogno.
- Beh li
capisco! Sicuramente se non fosse stata organizzata
da un ciclone come te, questa cosa non avrebbe mai
potuto mettersi in piedi, di questo devo proprio
darti atto.
- Non è
che ci vieni a sentire?
- Ho le
bambine con la febbre…
- Tutte e
due?!
- Eh già…
- Mi
dispiace… a presto allora, spero di vederti almeno
alla prova generale, oltre che su quell’aereo.
- Buon
lavoro!
Il tempo scorreva implacabile come la
ruota di una macina e i nomi stentavano ad aumentare.
Gloria mi aveva girato l’email che l’amministratore
del sito le aveva inviato con i dati del posto dove si
sarebbe svolta la gara. Un bel teatro, apparentemente in
centro a Sydney. C’erano, in calce al messaggio, anche
le firme elettroniche dei componenti del complesso. Di
TUTTI i componenti. Rimasi a guardare quella traccia sul
mio schermo in stato catatonico, per una buona mezz’ora.
Poi mi somministrai dell’ossigeno, una Marlboro Light
e il solito Oban. Mancavano dieci persone. Non
sembravano molte, ma era metà giugno e il tempo ormai
scarseggiava in modo preoccupante. L’indomani avrei
rifatto il solito giro di telefonate per cercare di
convincerle, altrimenti avremmo dovuto rispondere all’amministratore
del sito dicendogli che non avremmo potuto partecipare.
Andai in bagno per lavarmi la faccia e prepararmi per
andare a dormire. Miseria, mi stava crescendo un brufolo
sul lato del naso. Speriamo che si asciughi presto…
altrimenti come faccio a concentrare tutta la mia carica
seduttiva sull’uomo più sexy del pianeta… avendo un
brufolo sul naso?! Anche se quello non era il miglior
momento per la giornata, salii sulla bilancia. La mia
bocca si allargò in un sorriso. “56… Bastardi
maledetti, ce l’ho fatta!”. Beh, la mia dieta
sembrava più quella di un guru indiano che quella di un
cristiano, avevo poco da stupirmi. Nonostante l’Oban!
Ero molto fiera di me, se non altro quella sfida aveva
dimostrato che se volevo qualcosa, stimolata nel modo
giusto, potevo ottenerla. Cercai di estendere questo
pensiero alle natiche del signor Crowe, e m’infilai
nel letto.
Quella sera faceva un caldo
terrificante. Sfidai zanzare e pappataci assortiti e
tenni la finestra spalancata nella speranza che un po’
d’aria fresca allietasse la mia seduta televisiva. Le
zanzare persero subito le speranze: c’era tanto di
quel Vape in quella casa che pareva di essere a Seveso…
Una cosa che questa benedetta gara mi aveva tolto era il
sonno. Dormivo malissimo la notte e per poche ore,
oltretutto mi scoprivo sempre più spesso a pensare
quanto fosse importante per me fare una buona
performance, indipendentemente dal risultato che poteva
portare. C’eravamo fatti un culo così, soprattutto IO
m’ero fatta un culo così, tra dieta, yoga, piscina,
telefonate, viaggi per le prove e quant’altro. Così,
quando mi appisolai sul divano con la bottiglia dell’Oban
vuota (naturalmente non era sempre la stessa… nell’arco
di sei mesi me ne dovevo essere fatte fuori almeno una
decina) tra il mio fianco e lo schienale, fu un vero
shock sentire il telefono.
- Pronto…
- farfugliai, impastata di sonno e whisky
- Ehm…
Isabella?
- ….
credo - ma volevo ucciderla questa tipa che mi
chiamava nel cuore della notte, vale a dire verso le
dieci.
- Ti
disturbo?
- Ma
figurati… - mentii.
- Sono
Lucy. Della messaggeria.
- Ah… -
cercai. Cercai nei meandri della memoria ma una Lucy
non mi veniva in mente, non c’era verso. “Da
domani smetto” mi mentii. D’un tratto una luce.
- Ah! Lucy!
Ma certo, LucyLucy… come butta?
- Bene…
senti io… ci ho tanto pensato e… ho creduto che
dirtelo al telefono ti facesse più piacere che
leggerlo in posta o in messaggeria. Io voglio
venire.
Rimasi interdetta per qualche
secondo. Quaranta. Eravamo arrivati a quaranta. I due
milioni, vale a dire 1033€ erano certi, ora si poteva
partire. Mi tirai su a sedere sul divano e iniziai a
balbettare.
- Lucy…
n-non sai c-che p-p-piacere mi fa-ai….
- Grazie!
- Ok. Ok,
ok, ok, ok…. domani scrivo a tutti, così saprete
della prova generale e come ci gestiremo per il
viaggio.
- Molto
bene, non vedo l’ora di leggerti!
- Eh, eh,
eh, eh… già.
- Isa?
- Dimmi...
- Ma potrò
vederlo?
- E’
probabile che riuscirai anche a toccarlo.
- Oddio….
Seguì un interminabile momento di
silenzio. Pensai che fosse andata a piastrella, invece
mi salutò.
- Sento che
morirò… beh, grazie di tutto. Sei stata grande.
Domani cercherò nella posta!
- Benone.
Un bacio.
Mi accesi una sigaretta e andai a
cercare la bottiglia nuova di Oban.
Per la prova generale a Roma, si
scelse una sala piuttosto grande, a Casalpalocco. Mi
ricordava la mia adolescenza, c’avevo passato tante
estati laggiù. Il programma era che l’indomani,
martedì 15 luglio, saremmo tutti partiti. Ero molto
nervosa, avevo caldo, fumavo come sei ciminiere e non
riuscivo a parlare scandendo bene le parole. Nash era
con me.
- Ciccina,
non puoi essere così nervosa ADESSO… Che farai
quando sarà il momento di salire sul palco davanti
a Ciccio?
- Non lo
so, Ale, ma in questo preciso momento vorrei essere
da tutt’altra parte!
- Sono
certa che andrai fortissimo! E poi, non puoi
perdere: devi darmi la possibilità di arrivare a
scompigliare i capelli di Ciccio!
- Spero di
non deluderti, Ale…
- Ci vai
così sul palco?
Avevo una mogliettina piuttosto
aderente e un paio di blue jeans scoloriti.
- A dire il
vero ho scelto un abbigliamento un po’ più…
audace.
- Davvero?!
Cos’hai scelto?
- E’…
una sorpresa. Ma la dieta e il movimento hanno dato
i suoi frutti: sto piuttosto bene con quella mises…
- Fantastico!
Ciccio cadrà ai tuoi piedi e io sarò lì pronta a
raccoglierlo!
- Fammi
indovinare… prendendolo per i capelli?!
Ci mettemmo a ridere come due
ragazzine, poi l’abbracciai.
- Fammi in
bocca al lupo.
- Vai alla
grande Isa!
La prova generale andò piuttosto
bene. La band girava che era una meraviglia, i pezzi
venivano da Dio e la claque era di prima qualità. Se
fosse andata male sarebbe stata soltanto colpa mia. Alla
fine della prova, ora di cena, ci concedemmo una piccola
follia: andammo dall’Amatriciano, uno dei ristoranti
frequentati da Crowe durante le sue trasferte romane.
Una foto autografata di lui col proprietario
occhieggiava proprio sopra al nostro tavolo. Ci
divertimmo, ridemmo come pazzi e facemmo numerosi
brindisi. Io mi sborniai leggermente, ma questo mi
servì a dormire almeno per la prima mezz’ora. Passai
il resto della notte in bianco.
Capitolo IV
Fiumicino sembrava il Centro
Commerciale Fiordaliso durante il periodo di natale. La
folla era pazzesca, io ero intontita dalla serata brava
e avevo la faccia come se ci fosse passato sopra un
pullman. Fare il check in di quaranta persone fu più
facile di quanto pensassi: il voucher cumulativo si
rivelò davvero una bellezza. Cercai comunque di far
sedere Nash vicino a me.
- Mio Dio,
Isa… non mi sembra vero…
- Credici,
- le risposi accennando ad un sorriso, - tra tre
giorni lo vedrai.
- E se
svengo? E se rimango lì come una papera a sbavargli
davanti?
- Ti
passerò una macchinetta per tagliargli i capelli…
Il viaggio fu interminabile. Eravamo
seduti tutti vicini, ogni tanto qualcuno delle file
davanti alla nostra accennava qualche battuta, si
rideva, si scherzava. Le hostess erano particolarmente
incuriosite da quella strana e numerosa combriccola.
Parlai con Nash per tutta la durata del viaggio fino a
Singapore, poi, dopo aver fatto scalo ed essere risaliti
sul volo che ci avrebbe portato a Sydney, mi chiusi in
un mutismo totale e mi dedicai al mio giornaletto,
imperdibile collezione di cruciverba senza schema, i
miei preferiti. La hostess venne a suggerirmi di dormire
ed io riuscii a chiudere gli occhi per una mezz’ora,
ma soltanto dopo essermi goduta, come tutto il resto
della comitiva, “Master and Commander” che
fortunatamente proiettavano su quella tratta e
soprattutto non prima di essermi fatta quattro bicchieri
di whisky. Giungemmo a Sydney la mattina presto. Il
ritiro bagagli parve un girone dantesco. Ma una volta
effettuato, uscimmo dall’aeroporto e l’aria fresca
del mite inverno del New South Wales ci scosse
svegliandoci un po’ tutti. Il pulmino che avevo fatto
prenotare a Stefania arrivò in perfetto orario. Fummo
portati nell’albergo prenotato e Gloria ed io andammo
al banco della reception per ritirare le chiavi delle
stanze. Nash, Alessandra, Gloria ed io eravamo nella
stessa stanza. In men che non si dica si creò in quella
un caos indescrivibile. La cosa più divertente era il
bagno, che sembrava la vendita promozionale di una
profumeria. Le ragazze sparavano cazzate a raffica,
mentre io non riuscivo a rilassarmi. Si stavano
preparando per una passeggiata e ovviamente mi
invitarono ad andare con loro. Cercai una felpa nella
valigia, poi passai davanti allo specchio. Ero come mi
ero sempre desiderata, bionda, magra e tonica. Cosa
potevo desiderare di più? Avevo delle occhiaie che
sembravano due Samsonite, ma mi ero portata una dose
faraonica di Melatonina e speravo che mescolata al fuso
orario, mi avrebbe aiutato a dormire. Le ragazze
cercarono di distrarmi invero con poco successo, nemmeno
il corale momento della cena servì a farmi dimenticare
in che razza di pasticcio mi ero cacciata. Alla fine del
pasto uscii dal ristorante a fumarmi una sigaretta. Max
mi raggiunse.
- E’
tutto ok? - chiese.
- No, per
niente.
- Che ti
succede?
- Ho paura.
- Non credo
tu ne abbia motivo. Canti benissimo. Interpreti
benissimo. Vedrai, sarà un successone.
- Sono
stanca di sentirmelo ripetere. Se andasse male non
lo sopporterei.
- Allora
pensa che sarai venuta qui a farti un bel… weekend
e a vedere Crowe.
- Non
riesco a non pensare all’eventualità di fare una
figura di cacca.
- Non ti
dico più niente. Cerca solo di star su.
Le prove dei due giorni dopo andarono
bene, io ero soddisfatta ma sempre preoccupata. Venerdì
sera, prima di rientrare in albergo mi comprai una
bottiglia di whisky. Quando misi piede in camera, Nash
se ne accorse subito.
- Isa! Che
combini con quella?
- Ho
intenzione di scolarmela tutta prima di salire sul
palco… non voglio ricordare un solo momento di
tutto questo.
Gloria mi guardò atterrita.
- Non
starai parlando sul serio! - fece.
- Devi
essere sobria, - soggiunse Alessandra - altrimenti
rovinerai tutto!
- Già ti
sei presa la stecca di sigarette sull’aereo, alla
quale io ero totalmente contraria! - strillò Nash.
- Hai
ragione, Ale! In questi ultimi mesi ha fumato il
doppio di prima… - fece Alessandra.
Le zittii tutte quante.
- Ho
comprato la corda, ragazze. Anche se mi avete
aiutato a costruire il patibolo, mi ci impiccherò
da sola.
Quella notte, verso le quattro, scesi
al bar, bevvi qualcosa sola, con il barman che mi
guardava sorpreso e divertito allo stesso tempo e fumai
mezzo pacchetto di sigarette. Mi tirai su dal letto il
mattino dopo con solamente un’ora e mezza di sonno
sulla schiena.
Ci trovammo davanti al teatro alle
dieci. Era enorme, molto più di quanto mi sarei
aspettata. E quando entrammo in platea per vedere che
posti erano stati assegnati al nostro gruppo, fu facile
capire perché. Erano giunti davvero da tutto il mondo.
C’era persino un gruppo sponsorizzato da un sito
islandese. Stati Uniti (avevano almeno quindici gruppi),
Gran Bretagna, Germania (un numero spropositato di band
rispetto ad una nazione così… piccola: ben quattro),
Francia, Spagna, Giappone, Brasile, Canada e
naturalmente Nuova Zelanda e Australia. Ecco. Il panico
scese su di me come se mi avessero versato addosso un
secchio di melassa. Ai gruppi che concorrevano “in
casa” non avevo pensato. Avrebbero sicuramente vinto
loro, Crowe non avrebbe mai permesso che i siti locali
non diventassero ufficiali. Ma il “bando” parlava
chiaro: uno e un sito soltanto sarebbe stato
ufficializzato. La borsa con dentro vestiti e trucco
cominciò a pesarmi come un macigno. Strascinai i piedi
pesanti, insieme ai membri della mia band e a Gloria, la
webmistress, verso il banchetto della registrazione
finale. Cominciavamo bene. Cochram ci salutò con un
sorriso.
- Ehilà!
Tutto bene ragazzi?
Ci guardammo come se ci fossimo
trovati davanti un alieno. Cercai di parlare in un
inglese il più comprensibile possibile.
- Ancora
incasinati dal fuso.
- Da dove
venite?
- Dall’Italia.
- Caspita!
Proprio non pensavamo che sareste venuti da così
tanti paesi. Poi però l’agente e l’amministratore
del sito ci hanno fatto vedere le iscrizioni… è
stata una bella soddisfazione già così. Chi è il
webmaster?
Gloria si fece avanti. Non avevamo un
nome, ci eravamo formati troppo di volata, come tanti
dei gruppi presenti quel giorno. Quindi ci venne
assegnato il nome del sito, Croweitalia. Cochram chiese
poi chi fosse il cantante del gruppo. Mi sentii una
cacca secca e con un filo di voce gli risposi.
- Sono io.
- Oh! Un’altra
donna!
- Sono
tutte donne, eh? - chiesi per farmi un altro po’
di male.
- Tranne
gli americani che hanno una preponderanza maschile,
sì, siete in molte a cantare.
- Oh beh…
- feci in una trance sbruffona, - questo darà più
gusto alla sfida.
- Il vostro
camerino è il 23, mi dispiace, siete tanti e quindi
ne avrete uno per gruppo. Dovrete scaldarvi e
vestirvi a turno.
- Non sarà
un problema - fece Max.
Ci voltammo per salire sul palco da
cui si sarebbe potuto accedere ai camerini. In coda al
gruppo mi voltai, per salutare Gloria che se ne stava
tornando al suo posto e per cercare Nash, a cui avrei
chiesto di venire con me in camerino per picchiarmi per
aver messo in piedi quel casino, e lo vidi. Eccolo lì,
attorniato da un gruppo di non so cosa, se gente dello
staff, fans, familiari. Aveva i capelli un po’ lunghi
sul collo, come al solito, una camicia azzurra, come al
solito e un paio di pantaloni fetenti. Come al solito.
Feci in tempo a vedere che si toglieva un paio di
occhiali da sole orrendi, come al solito. Era lontano,
confuso in mezzo ad altre persone, ma che fosse
sensualissimo lo vedevo già da lì. Mi sentii morire.
Oltretutto, prima di cambiarmi, avevo da fare coi
ragazzi quella sceneggiata del sound check, quindi sarei
dovuta uscire di nuovo e a quel punto me lo sarei già
sorbito in prima fila. Signore, perché non apri le
cateratte del cielo e non mi incenerisci con un fulmine?
Dal brusio peraltro piuttosto elevato di volume si alzò
qualche gridolino più forte e stridulo e lui si
allargò ed illuminò in un sorriso. Non potendo più
sopportare di guardarlo, mi infilai nel corridoio che
portava al camerino a testa bassa.
Capitolo V
Dopo il sound check, scesi dal palco
e andai a recuperare Nash. Non stava più nella pelle,
era talmente emozionata che era letteralmente
trasfigurata.
- Hai visto
che figo? Hai visto che figo?!?!? Mamma, Isa! Come
mi sento tu non puoi saperlo!!
- Vieni con
me in camerino?
- No, me lo
fai perdere!!
- Ti prego,
Ale, mi sento uno straccio.
- Oh già…
certo vengo, vengo.
Nash era un fiume di parole mentre mi
cambiavo e trangugiavo whisky a canna. Dopo essermi
vestita, chiusi i miei capelli in una crocchia fermata
da un mollettone, mi misi una fascia e cominciai a
truccarmi. Nash mi guardò.
- Isa, non
bere… Dai!! Devi essere sobria.
- Io sono
sobria. Ho soltanto una paura vacca.
- E quello
te lo fa passare?
- Hai
ragione, non basta. Passami le sigarette che sono
nella tasca del borsone.
- Viziosa!
Faresti di tutto per somigliare a Ciccio!
- Veramente
sono due giorni che non mangio, e anche se mi sembra
piuttosto in forma, Ciccio non ha l’aria di uno
che faccia il digiuno eucaristico…
- Due
giorni che non mangi?
- Tranne la
prima sera… e ho mangiato pure poco.
- Come fai
a stare in piedi??
- Adrenalina,
Ale… ho un tasso adrenalinico che sarà 400 volte
quello normale da quattro mesi a questa parte…
- Sta’
attenta a bere e fumare a digiuno, allora….
Mi tolsi la fascia e il mollettone e
mi spazzolai i capelli. Nash mi guardò. Indossavo un
paio di pantaloni di pelle nera, piuttosto attillati,
una maglietta con lo scollo a disco a mezze maniche,
sempre nera e un giubbottino di pelle leggerissima.
Naturalmente nero. Avevo un paio di stivali con un tacco
imponente, un trucco calcato e molto bello e la tinta
che la mia amica Laura mi aveva fatto con mille
attenzioni mi addolciva il viso incorniciato dai capelli
lunghi sulle spalle e lisci. Ero belloccia, l’impatto
scenico ci poteva essere.
- Isa…
- Come sto?
- chiesi, non senza timore.
- Vinceremo
noi!!
- Sicura?
- Magari il
trucco… è molto calcato.
- Dal fondo
del teatro non si vede. Deve essere calcato, fidati.
- Ok, l’esperta
sei tu.
- Ora ti
prego, lasciami. Ho bisogno di stare un po’ da
sola.
Nash mi abbracciò forte.
- Grazie.
Per aver organizzato tutto questo.
- Non è
soltanto merito mio….
- E di chi
altri?
- Dei TOFOG!
- Ti vedo
dalla platea! Ciao!
E scomparve in una nuvoletta di
polvere. Chiusi la porta lentamente, e respirai a fondo.
Bevvi un'altra sorsata di whisky, poi cercai di mettermi
nella posizione del loto e di respirare in modo più
profondo e regolare. Fortuna che i pantaloni erano
elasticizzati… Servì a poco. Mi alzai nervosamente da
terra, e finii di fronte allo specchio. Una minuscola
ragnatela di rughe leggere circondava gli occhi, le
occhiaie fortunatamente erano state ben celate sotto il
cerone. Beh, sì… effettivamente potevo andare. E poi,
come si soleva dire, ormai ero in ballo: dovevo ballare.
- You’re
mine, Mr. Crowe… you’re mine!* - mi dissi a
voce alta.
E uscii dalla porta del camerino
come un ciclone.
Quando entrai in platea (dove
comunque i gruppi dovevano aspettare che finisse di
esibirsi la band di turno) c’era ancora una
confusione da mercato del pesce. Il mio gruppo di
persone era in fondo, verso il corridoio centrale.
Scesi dal palco, con in mano la bottiglia del whisky e
le sigarette e giunta davanti ad esso mi accinsi a
percorrere il corridoio. Mi voltai verso sinistra e
notai che lui era già seduto nella prima fila, anche
lui vicino al corridoio. Fu come se cominciassi a
muovermi al rallentatore. Gli piantai gli occhi in
viso, torvi e nervosi e lui alzò distrattamente lo
sguardo e mi vide. Rimase calamitato dai miei occhi, e
il suo viso si voltò piano mentre mi seguiva lungo il
corridoio. In quel momento, mi sentii completamente
tranquilla, come se il mio spirito fluttuasse fuori
dal mio corpo a dieci metri sopra la mia testa.
Continuai a fissarlo e quando gli passai vicino, mi
chinai appena verso di lui e mormorai: “You’re
mine, Mr. Crowe…”. I suoi occhi si dilatarono. Mi
girai nuovamente verso il fondo del teatro verso cui
mi stavo dirigendo e se avessi avuto gli occhi dietro
la testa non avrei potuto “veder” meglio il suo
sguardo che continuava a starmi attaccato alla
schiena, mentre mi allontanavo. Inutile dire che la
scenetta fu vista dalla mia claque che mi fece un
rapidissimo terzo grado modello Cile.
- Ehi!
Ehi!! Cosa gli hai detto?? Cosa gli hai detto?!?!
- Niente,
niente… l’ho soltanto salutato.
La bagarre andò avanti per un
altro po’ tra battute di spirito più o meno grevi e
le mie sorsate di whisky. Inutile dire che l’organizzazione
aveva permesso di fumare nel teatro, contravvenendo
alle leggi governative ma concedendo al signor Crowe
di non soffrire più di tanto. Appestai diligentemente
tutta la mia fila, poi Cochram annunciò l’inizio
della gara. Capimmo soltanto che eravamo il numero 23,
come il camerino. Max si avvicinò col suo capo al mio
e mi chiese:
- Come ti
senti?
- Paralizzata
dalla paura.
- Ok, è
perfetto. Hai preso anche qualche pasticca?
- No! Sei
pazzo?
- Beh,
perché sai… whisky e sigarette, saranno poi
tanto meglio…
- Max,
lasciami in pace.
- Stai
tranquilla, non ti tormento più.
E fu così. La gara si svolse senza
intoppi, i gruppi più preparati erano una band
americana di Detroit, i tedeschi di Berlino e
naturalmente una delle band di Sydney. Poi venne il
nostro turno. Cochram ci annunciò. Max, Russell-finto,
Alessandra, Veronica e Elena (le tastiere per fare la
tromba…) percorsero il corridoio con un timido
sorriso, seguiti dalla nostra rumorosissima claque.
Soltanto dopo qualche minuto io mi alzai, mi ficcai le
sigarette in tasca e, devo ammettere, in un moto di
gelosia del tutto involontario, mi portai dietro anche
la bottiglia. Percorsi il corridoio centrale come un
ariete, con la testa leggermente bassa e lo sguardo
truce posato sul palco. Riuscii però ad intravedere
Crowe che, dopo aver notato la bottiglia nelle mie
mani, si allargava in un sorriso e si abbandonava ad
un gesto divenuto così rituale da sembrare un tic
nervoso: cominciò a massaggiarsi la barba. Salendo
sul palco sentii il cuore che, come se fosse diventato
grosso come quello di un bue, mi batteva in mezzo al
petto, pesante, accelerato. Feci un cenno ai ragazzi
di avvicinarsi e rapidamente dissi loro:
- Cambio
di programma. Facciamo prima “Sail those same
oceans”.
Max strillò qualcosa agli altri,
poi si mise dietro la batteria. Diede l’un, due,
tre, quattro battendo le bacchette una contro l’altra
e cominciò repentinamente, non lasciandomi il tempo
di pensare. Forse fu meglio così. Riuscii a malapena
ad appoggiare la bottiglia sul bordo della tastiera e
cominciai a cantare, invero restando un po’
inchiodata di fronte all’asta del microfono.
Guardavo lontano, verso il mio gruppo, che riuscivo a
vedere rapito dalla nostra performance, i volti
illuminati dal riverbero dei riflettori del palco e
dalla gioia di essere lì in quel momento. Non ebbi la
forza di abbassare lo sguardo nella prima fila, dove
“sentivo” che sarebbero volati commenti e
battutine. Mi sentivo bene, abbastanza carica, il
whisky aveva fatto effetto, la voce era più che
buona, il suono ottimamente livellato, i ragazzi
stavano suonando da Dio. La canzone finì in un batter
d’occhio e la platea, trascinata dalla nostra
claque, mostrò di gradire tributandoci un bell’applauso.
Anche il signor Crowe applaudiva. Quando lo scroscio
si fu esaurito, presi le sigarette dalla tasca
posteriore dei pantaloni e me ne accesi una. Andai
verso la tastiera, dove stava ancora la mia bottiglia
di whisky, volsi le spalle al pubblico, ne bevvi una
sorsata generosa e la posai vicino alla tastiera. Nel
silenzio della sala, sbuffando una nuvola di fumo
azzurrino verso l’occhio di bue, mi avvicinai all’asta
del microfono e con la voce provata dalle ore di sonno
perse e dalle sigarette fumate, mi rivolsi al ben poco
oscuro oggetto del desiderio seduto in prima fila.
- This is
for you and you only, Mr. Crowe*.
Max si buttò deciso sull’attacco
secco di “Hold you”. Entrò Elena alla tastiera,
mentre io mi toglievo il giubbotto. Mi avvicinai e
cantai la prima strofa, come se avessi davanti le
labbra di un uomo da baciare. Le parole scorrevano
profonde e leggermente opache, sensuali, i miei occhi
prima vagarono per il teatro per poi piantarsi in
quelli di lui che sembrava, in verità, un po’
sorpreso. Quando al link “If you knew what I was
thinkin’…”** la chitarra elettrica esplose, la
mia voce grattava come sulla carta vetrata e lui
cambiò posizione, come se all’improvviso la sedia
gli scottasse sotto il sedere. Gli piaceva. Oh porca
vacca, gli stava piacendo! Al ritornello “Hold you”
che veniva cantato soltanto con la sincope della
batteria, feci quello che avevo sognato per una vita
intera (e peraltro anche in quelle precedenti): mi
misi a guardarlo con sguardo decisamente lascivo,
sospirando più che cantare le parole e movendo le
anche come per simulare un atto sessuale. Prima di
passare alla seconda strofa, la claque si fece
incalzante e schiamazzò un po’ per smettere poi
quasi subito. Sul link al secondo ritornello feci un
altro scherzetto che volevo tanto godermi: cambiai le
parole. Volsi tutta la canzone al maschile, proprio
come se fosse stata scritta per lui: “I have dreamt
that it came true, that you left her and you want me…
Which mode are you in? Is this the poor little boy? My
prince or my king?”***. Lui sorrise, massaggiandosi
la barba sempre più freneticamente. Mi voltai
rapidissimamente a guardare Max e a tirare alla
sigaretta. Max era impassibile, speravo soltanto che
non mi odiasse. Ma le cose andavano alla grande, non c’era
ragione di preoccuparsi. Altro scoppio di chitarra,
altra carta vetrata, altra ancheggiata che non
lasciava nulla all’immaginazione. Ad lib. Ecco, era
finita. Quando lo scroscio dell’applauso ci salutò
al termine del pezzo, mi accorsi che ero madida di
sudore. Ero ancora concentrata sul brano ed impiegai
qualche secondo a inchinarmi per ringraziare e
scendere dal palco. Improvvisamente euforica,
abbandonai lo sguardo torvo da cacciatrice di canguri
(!) e mi distesi in un sorriso. Lui mi guardò e mi
sorrise, seguendo il mio percorso lungo il corridoio
per tornare al mio posto, con il suo composto
battimani, almeno per i primi metri. Sprofondai nella
poltrona dove, a parte dare un’altra strizzata al
collo dell’Oban mi feci fuori quasi due litri d’acqua.
Capitolo V
La gara continuò fino all’esaurimento
di tutte le band. Al termine seguì un momento
generale di euforia, in cui i cantanti e i musicisti
si scambiavano pacche sulle spalle e asciugamani già
fradici per detergersi il sudore. La selezione da
parte della giuria richiese un’oretta buona durante
la quale i componenti della band, Nash, Gloria ed io
ci assentammo per rifocillarci con un panino ed una
birretta.
- Sei
stata fantastica, Isa! - fece Gloria entusiasta
- Davvero
uno sballo, Ciccina! Se non è rimasto colpito da
te, non so proprio chi altri potrebbe averlo
sconvolto! - incalzò Nash - Le altre cantanti
erano davvero scadenti!
- Aspettiamo
a cantar vittoria, ragazze - replicai io - non
abbiamo ancora la vittoria in tasca.
- Beh, io
dico solo una cosa… - disse Max lasciandoci in
sospeso - … se non sceglie te, è un maledetto
finocchio! Brava Isa, outstanding performance*!!
Mi allungò una pacca sulla schiena
che mi fece rintronare tutta. Tornammo dentro il
teatro che, per contrasto con il “foyer” era
caldissimo, umido e fumoso. Mi riattaccai alla
bottiglia del whisky sperando di affogare quella paura
ansiosa che mi stava nuovamente attanagliando le
budella. Temevo la sconfitta. Anche se la serata era
stata entusiasmante, anche se il viaggio era stato
bellissimo, anche se l’esperienza sarebbe stata
ricordata per tutta la vita, era come se essere lì,
nello stesso teatro con l’Australiano fosse già
diventata una cosa di tutti i giorni. Quindi ci voleva
qualcosa per cui fosse valsa la pena di sorbirsi tutta
quella scarrozzata, ci voleva una vittoria. Trascorse
più di un’ora prima che la “giuria” elaborasse
la sua scelta. Ad un tratto il brusio si placò e
Crowe, salito sul palco, si piazzò di fronte al
microfono con un foglietto in mano.
- Ehi,
come va ragazzi?
La sua solita frasetta di saluto
fece letteralmente esplodere un boato nel teatro. Lui
si illuminò di un sorriso, spaccone come suo solito,
e cercò di quietare i bollori della sala.
- Calmatevi
ora! Bene… bene. Non vi nascondo che la scelta
è stata molto, molto difficile. Non vi nascondo
che ci avete messi tutti in crisi e che se fosse
stato per noi, vi avremmo premiati tutti. Ma
sfortunatamente non è così che funziona, e
abbiamo dovuto privilegiare alcuni gruppi rispetto
ad altri secondo certi canoni che avevamo
precedentemente stabilito. Vogliamo ringraziare
sin d’ora tutti voi che avete partecipato,
affrontando viaggi anche lunghissimi, facendo di
questa gara un’avventura bellissima. Spero che
resti nei vostri ricordi come resterà nei miei e
in quelli della mia band.
Fece una piccola pausa a cui seguì
un lungo applauso. Poi riprese.
- Nonostante
questi canoni, non abbiamo saputo affinare
sufficientemente la nostra scelta, quindi ci sarà
uno spareggio.
Cominciai a sudare freddo. In sala
la tensione salì alle stelle fino a diventare
palpabile. Cominciai inavvertitamente a tremare, la
mia mano sinistra corse lungo il braccio destro e
scivolò al polso, cercando di tenerlo fermo. Bevvi un
altro sorso di whisky.
- Lo
spareggio avverrà tra… i Gladiatori di Sydney….
Il gruppo tutto maschile si
abbandonò ad un eccesso di entusiasmo, urlando tutta
la sua tensione, poi si calmò dietro invito del
Ciccio Nostro.
- … e…
Croweitalia!
Mi sembrò per un nanosecondo di
essere la vincitrice di Miss Italia. Tutta la
compagnia mi si riversò addosso, strillando frasi di
incitamento e scotendomi e scompigliandomi i capelli.
La foga delle mie compagne e dei miei due musicisti mi
strappò un sorriso nervoso. Cominciai a strofinarmi
le mani, stringendole così forte da farmi sbiancare
le nocche.
- Forza
Gladiatori! L’arena è tutta vostra!
I musicisti salirono sul palco.
Sorridenti, sicuri, si accordarono tra loro,
parlottarono un poco, si scambiarono occhiate e pacche
di conforto. Mi aspettavo qualcosa di travolgente. Una
specie di stomp da bis. Invece il giro iniziale di
chitarra mi fece venire il latte alle ginocchia.
Stavano attaccando “Danielle”. Melensa, scontata,
noiosa. Speravano di prenderlo dal lato “sentimentale”…
D’un tratto qualcosa dentro di me crebbe sottile ma
caldo e insinuante, una strana sensazione salì dallo
stomaco attraverso il petto fino alla testa, qualcosa
di potente che mi scosse in un unico potente brivido.
Il nostro bis era meglio. Rockeggiante, trascinante,
travolgente. Potevo farcela, potevamo vincere. E mi
avrebbe visto arrivare, l’Australiano, mi avrebbe
sentito non con le orecchie ma con il corpo, giù fino
alle sue viscere indegne e l’avrei rivoltato come un
pedalino per poi lasciarlo esausto e soddisfatto come
dopo un amplesso proibito. Avrei avuto il mio
riscatto, gli australiani se ne sarebbero tornati a
casa scornati, Gloria avrebbe visto il suo sito
ufficializzato e… l’avrei costretto a farsi
strapazzare i capelli da Nash per almeno due ore!
Dovevo vincere.
Appena i Gladiatori terminarono la
loro performance, ringraziarono il pubblico, che
naturalmente era tutto con loro, soprattutto gli
europei. Percepivo però la simpatia degli americani
per noi, che sebbene fossero stati come al solito
sbruffoni, di malavoglia avrebbero fatto il tifo per
degli ex galeotti… Sempre così, tra due mali scegli
il minore… anch’io agli ultimi mondiali di calcio
alla finale Brasile-Germania avevo tifato ovviamente
per il Brasile. I musicisti scesero dal palcoscenico e
i miei compagni ed io ci avviammo lungo il corridoio
centrale della platea verso di esso. Crowe si era
ammosciato. Fantastico, proprio quello che speravo.
Non si era lusingato, lui era lì per divertirsi e per
fare casino con la sua band e tutti quei ragazzi del
mondo che apprezzavano la musica sua e dei suoi TOFOG.
Salimmo sul palco, Max prese posto dietro la batteria,
ma prima che fossero tutti sparpagliati ai loro posti
battei due volte le mani per richiamare la loro
attenzione.
- Forza
ragazzi, mettiamocela tutta! Max! Cattivo! Ale!
Fai urlare quella chitarra, come fosse l’ultima
volta che lo fai!! Coraggio!!
Poi mi rivolsi verso Crowe, la voce
col registro abbassato dalle tante prove, dalla
performance di quella sera e soprattutto dalle
sigarette e dalle notti quasi in bianco. Lo guardai
dritto negli occhi.
- This,
too, is for ya, Crowe. ‘Cuz you belong to
someone else…*
L’attacco fu forte. Cominciai a
richiamare l’attenzione correndo da una parte all’altra
del palco, poi cominciai a cantare. Aggredii il brano
con la furia di un tifone, con la cattiveria di chi si
gioca tutto per vincere. Fu possibile rendere
aggressivamente sensuale anche quello, mentre la band
stava suonando a meraviglia. Dopo la prima strofa e il
primo ritornello successe l’impossibile. Crowe, come
se avesse avuto una molla sotto la poltrona, saltò
dal suo posto, si arrampicò sul palco e prese un’asta
con un microfono di fianco alle quinte. Magicamente
cominciò a cantare la seconda strofa, con una potenza
sanguigna che mi diede una carica ancora più energica
di quanto non avessi già. Gli feci il controcanto,
cantammo insieme, ammiccammo, ci muovemmo intorno ai
microfoni, sul palco e vicini, soltanto i nostri
bacini uno contro l’altro, diedi a Max il tempo con
immaginari colpi violenti inferti all’aria, l’aria
cattiva, furiosa di chi dedica la sua prosa ad una
persona che appartiene già a qualcun altro. “Somebody
else’s princess” fu uno stomp lungo, violento ed
esaltante, Crowe era trascinato come non l’avevo mai
visto e si era fatto influenzare dall’entusiasmo
così tanto da salire a cantare con noi sul palco. L’ultima
strofa la cantammo vicini, il suo braccio intorno alla
mia vita, una scossa adrenalinica che mi arrivò
dritta al cervello, e il mio braccio intorno alla sua
spalla, che sentivo forte e larga. Cantammo in un solo
microfono, così vicini che riuscivo a sfiorare la sua
barba e sentivo il suo buon profumo, misto a quello
delle sigarette. La trascinammo un po’ per le
lunghe, come due animali che prolungano la danza prima
dell’accoppiamento. Quando finimmo, ci piazzai un
salto come Eddie Van Halen, sicuramente più per
sfogare la tensione che non per ragioni coreografiche.
Lui affondò un pugno nell’aria, l’aria grintosa
di chi ha vinto qualcosa, il ghigno nervoso di chi ha
appena esaurito una carica elettrica incontenibile. Il
teatro venne giù, in un misto di applausi, grida e
fischi. Lui prima mi strinse la mano, poi mi trascinò
vicino, mi abbracciò e mi stampò due baci sulle
guance. Mi sentii salire su una nuvola, gli sorrisi ma
sicura di me, restituendogli una stretta di mano quasi
mascolina. Si avvicinò al microfono e parlò.
- Credo
che… per i miei amici e me non ci siano più
dubbi!
Si volse verso di me e la band.
- Croweitalia:
siete i vincitori!
Il nostro gruppo urlando si alzò
dai suoi posti e si riversò verso il palcoscenico.
Ancora una volta vidi visi trasfiguranti, vene
guizzanti nei colli, stille di sudore colare dalle
tempie, mani tese verso Crowe. Il resto dei TOFOG
salì sul palco e si congratulò con tutti noi. Crowe
si riavvicinò al microfono.
- Scusate
ma… vorrei proprio congratularmi con questi
ragazzi che ho trovato trascinanti e bravissimi,
con una… menzione particolare per la loro
cantante. Ti dispiace?
Si rivolse a me poi si avvicinò.
Feci giusto in tempo a rendermi conto che due braccia
forti come tenaglie mi avevano agganciato, il mondo
finì quasi a testa in giù e come in un tango
figurato mi tenne inclinata verso il palco buttandomi
la lingua in gola. Santodio. Volevo morire in quel
momento preciso, perché il resto della mia vita non
avrebbe più avuto senso dopo di quello. Però… fui
abbastanza lucida e pronta da agganciarmi alla sua
nuca e a restargli attaccata come una mignatta dopo
che lui mi ebbe tirata su. I suoi compagni ridevano e
lo incitavano, le mie invece mi stavano minacciando…
lo sentivo chiaramente. Quando si staccò da me
restammo per un secondo interminabile con gli occhi
negli occhi, poi si avvicinò nuovamente al microfono
e chiamò Gloria, per complimentarsi anche con lei e
confermarle l’ufficializzazione del sito. A quel
punto decisi che il momento era buono… avevo da fare
una richiestina e potevo farla ora che lui era ancora
così vicino. Gli posai una mano sulla spalla e
avvicinai le labbra al suo orecchio.
- Devo
chiederti un favore.
Si voltò, piantando quegli occhi
incredibili ancora nei miei.
- Tutto
quello che vuoi, bellezza.
- C’è…
lo so, è un po’ ridicolo ma… ci sarebbe una
mia amica…. sì, insomma, in quel casotto sotto
al proscenio c’è una ragazza che è un’amica
più delle altre e… beh, lei vorrebbe tanto
toccare i tuoi capelli.
Mi guardò. Cominciò a
ridacchiare, poi le sue labbra si allargarono
schiudendosi sui suoi denti.
- Dov’è
questa feticista, come si chiama?
- Si
chiama Alessandra. Ma… chiamala Nash. E’ il
suo nickname nella nostra chatline.
- Sarà
fatto! Nash! Ehi Nash!!
“Ehi Nash!” mi sfondò l’orecchio.
Nonostante la confusione, quando alzava la voce questa
diveniva addirittura stentorea come quella di Giove
tonante. Alessandra non tardò a presentarsi all’appello.
Lui mi guardò.
- E’
lei?
Io sorrisi.
- Sì, è
lei!
- Ciao
Nash, io sono Russell, Russell Crowe. Puoi fare
dei miei capelli quello che vuoi!
Alessandra divenne paonazza. Ma
allargandosi in un sorriso gli si avvicinò e gli
passò le mani tra i capelli chiudendo gli occhi, come
se stesse gustando un soufflé di cioccolato amaro. Le
dita scivolavano lentamente tra le ciocche e lei
riaprì gli occhi, non confidando molto nel fatto che
tutto quello fosse vero. Lui non tardò a metterci il
carico.
- Fantastico
eh…? - ironizzava - Ti va di renderlo migliore?
Senza attendere una risposta, le
prese il viso tra le mani e premette la bocca contro
la sua. Alessandra gli allacciò le braccia intorno al
collo, poi dopo un minuto o due, lui si staccò e l’abbracciò
forte. La vedevo l’Ale… stava toccando il cielo
con un dito. Ad un tratto, dopo settimane, dopo mesi,
la tensione si allentò ed io sentii, prepotente, la
stanchezza che mi aggrediva. Avevo voglia di bere, di
fumare, di starmene seduta un momento, era quasi come
se avessi le gambe molli. Mi intromisi nell’abbraccio
della mia amica e del suo beniamino, ma soltanto di
striscio (chi l’avrebbe sentita Alessandra
altrimenti?!) per parlare con lei. E pure con lui.
- Ragazzi,
io me ne vado in camerino. Ci si vede tra un po’
magari…
Mi allontanai seguita da
complimenti e pacche sulle spalle, non senza il dubbio
di non arrivare al camerino. Entrai e mi sedetti al
buio, lasciando la porta socchiusa. Il camerino era
freschissimo, quasi freddo. Cercai una bottiglia di
whisky nuova nel borsone, mi buttai sulla poltrona, mi
accesi una sigaretta dalla quale aspirai profondamente
e chiusi gli occhi. Mio Dio, ce l’avevamo fatta. Ce
l’avevo fatta. Avevo cantato come mai in vita mia,
avevo cavalcato il palcoscenico come un partner
assatanato, ero persino riuscita a limonare con l’Australiano.
E chi mi ammazzava a me adesso?! Non potei non
allargarmi in un sorriso mentre sbuffavo il fumo verso
il soffitto camerino. La tensione usciva da me sempre
più velocemente, ci sarebbe voluto un paranco per
tirarmi su da quella poltrona. O forse era solo
stanchezza. Qualunque cosa fosse, stavo bene, non
avrei voluto essere in nessun altro posto in quel
momento. Un battere di nocche sulla porta e una voce
profonda mi riportarono nel mondo dei vivi.
- Isa?
Posso entrare?
Era lui. Accese la luce che mi
esplose nella testa come l’atomica, così gli
parlai.
- No,
spegni, per favore.
- Stai
bene? - chiese l’Australiano
- Sì…
sono solo…. esausta. Ma molto, molto contenta.
Si accovacciò vicino alla
poltrona, mettendo le mani sulle mie ginocchia. Seguii
il suo sguardo che si posò sulla mia sigaretta prima
e sul whisky poi.
- Hai da
fumare e bere anche per un amico?
Lo guardai, complice la poca luce
che penetrava dal corridoio attraverso la porta
lasciata mezza aperta. Era ancora così vicino e mi
stava toccando. Ma ci avrebbero creduto quando l’avessi
raccontato? Secondo me no.
- No. -
risposi secca. - Ho da fumare e da bere per
Russell Crowe.
Gli sorrisi. Poi mi avvicinai e gli
baciai le labbra. Eh no, proprio non potevo resistere.
Mi presi una confidenza da convivente e l’Australiano,
sposato o meno che fosse, non si mostrò
particolarmente ritroso. Fece scivolare una mano
dietro la mia nuca e continuò a baciarmi e a farsi
baciare, mentre io cercavo con la destra le sigarette
che avevo appoggiato di fianco alla poltrona. Ci
staccammo un momento e gli porsi pacchetto e
bottiglia.
- Problemi
a bere dalla bottiglia? Non ho bicchieri qui,
nemmeno di plastica.
- Nessun
problema.
Mammasantissima. Era sexy anche
quando beveva. L’accensione della sigaretta nonché
la prima boccata furono poi più erotiche di qualsiasi
spogliarello. Mi guardò da sotto in su, corrugando la
fronte, in quel modo che mi faceva sbroccare. Con
quella voce che richiedeva il porto di voce per
averla, mi disse:
- Andiamo
a discutere del vostro premio?
- Volentieri.
Dove?
- Mark e
io abbiamo prenotato un posto, ci stanno
aspettando. Dovranno soltanto aggiungere qualche
coperto.
- A cena?
- Non hai
fame? - chiese lui un po’ perplesso.
- Non mi
sono accorta di averla fino ad oggi… Sai, sono
stati mesi duri, preparare questa trasferta non è
stata uno scherzo.
- Senti…
dopo cena ti andrebbe se ci defilassimo per
qualche ora?
Rimasi in silenzio, contenta di
essere avvolta dalla penombra. Chissà che faccia
stavo facendo. Non ero sicura di aver bene capito
quello che mi aveva chiesto. Gli accarezzai i capelli
e sorrisi, quei capelli… che facevano tanto
impazzire Alessandra. Chissà se si era ripresa dallo
shock. La mia mano scese lungo il suo collo e sulla
spalla robusta. Poi la portai verso il suo viso,
accarezzandogli la barba che trovai piuttosto morbida.
Dovevo vivere quel sogno fino in fondo, fino all’ultima
goccia berne l’essenza fino a che non mi fossi
ubriacata, uno stordimento che mi sarebbe durato per
tutta la vita.
- Molto
volentieri - gli risposi piano.
Lui bevve un’altra sorsata dalla
bottiglia poi si alzò in piedi.
- Raggiungiamo
gli altri?
Mi alzai lentamente, spensi la
sigaretta in un portacenere poi, in uno slancio di
vezzo accesi la luce dello specchio. afferrai la
spazzola e me la passai tra i capelli. Lui si
avvicinò alle mie spalle e guardò con me la mia
immagine riflessa nello specchio.
- Ti
trovo molto attraente. - Mi accarezzò i capelli
sulle spalle.
- Grazie
- mormorai.
Mi voltai, lo presi per mano ed
insieme percorremmo il corridoio che ci riportava
verso il palcoscenico e che avrebbe condotto me verso
una grande avventura a fianco dell’Australiano, l’uomo
più sexy del pianeta. |