Una come tante
Prima parte.
1 - Giugno 1996. Tanto va la gatta al lardo...
Il sole caldo batteva implacabile sulle facciate dei vecchi edifici affacciati su un'anonima strada alla periferia di Los Angeles, una strada come tante, con le vetrine dei negozi che davano sul marciapiede, le cartacce per terra, il traffico dell'ora di punta ed i passanti che circolavano con la solita indifferenza. Niente di strano, quindi, ma bastava svoltare l'angolo per notare qualcosa di insolito: la vasta area recintata sembrava un cantiere ma non si vedeva nessun edificio in costruzione, bensì una fila disordinata di camper e roulottes che circondavano un grande hangar.
Gente sudata, in abbigliamento estivo, entrava ed usciva dall'hangar con attrezzature di ogni tipo, macchine da presa e marchingegni vari il cui utilizzo sfuggiva alla mia comprensione.
L'ubicazione del set dava la possibilità di girare interni ed esterni senza spostare persone e cose. All'interno
dell'hangar, infatti, erano stati allestiti gli ambienti interni in cui si svolgeva la maggior parte delle riprese, mentre quelle in esterno venivano girate direttamente sulla strada. Non avevo idea di cosa ci fosse dentro l'hangar perché a nessuno, oltre alla troupe, era consentito superare la zona transennata. A giudicare dal set e dagli attori, che erano praticamente sconosciuti, doveva essere un film a basso costo.
Erano alcuni giorni che, dopo le lezioni del mattino e una corsa in auto, passeggiavo un po' annoiata tutt'intorno alla zona recintata sperando di avere l'occasione di incontrare il protagonista del film, ma le lunghe riprese in interno mi costringevano ad attese di ore prima di vederlo uscire
dall'hangar.
Impazzivo per Russell da quando, durante una vacanza in Australia qualche anno prima, ero entrata in un cinema di Sidney dove proiettavano Romper Stomper e ne ero uscita completamente soggiogata dall'intensità di
Hando, dalla sua sensualità e dal dolore celato dietro la violenza del suo sguardo. I giorni seguenti avevo cercato ogni tipo di informazione sull'attore e alla fine ero tornata a casa con le poche videocassette dei suoi vecchi film che ero riuscita a reperire.
Avevo seguito attentamente la sua carriera, collezionato le sue foto che trovavo sulle riviste, guardato e riguardato le videocassette fino a conoscere a memoria ogni frase, ogni sospiro, ogni espressione, ogni sfumatura della sua voce profonda e vibrante.
Soltanto questa grande passione mi faceva sopportare di starmene per ore al caldo, solo per vedere come il sole giocava con i capelli di
Russ, accendendoli di caldi riflessi dorati quando finalmente usciva dall'hangar dirigendosi verso i curiosi che lo aspettavano per qualche autografo. lo mi trovavo immancabilmente dalla parte sbagliata del set, così tornavo a casa frustrata e a mani vuote.
Poi, finalmente il colpo di fortuna!
Per tutto il pomeriggio avevo atteso appoggiata ad una delle transenne. Verso l'ora di cena, i tre pullman che quotidianamente trasportavano la troupe dall'hotel al set, si spostarono verso l'entrata dell'area e la gente si accalcò per entrare. Dalla mia posizione mi era impossibile distinguere chi stava salendo i gradini. Poco dopo i pullman partirono lasciandosi dietro una nuvola di polvere e un gran silenzio.
Fans e curiosi che avevano atteso con me tutto il pomeriggio si avviarono delusi verso le proprie auto; io, invece, rimasi.
Scavalcai le transenne e mi intrufolai nella zona proibita. Avevo intenzione di dare un'occhiata all'allestimento delle scenografie degli interni, poi magari sarei passata un attimo nel camper di Russell a caccia di qualche souvenir. Intendiamoci, sono una brava ragazza che normalmente non si sognerebbe mai di violare un proprietà privata, figuriamoci rubare qualcosa! Ma, si sa, la necessità stimola l'ingegno! In mancanza di un autografo avrei avuto comunque qualcosa di suo.
Mi avviai verso l'hangar, ma appena superata la zona dov'erano parcheggiati campers e
roulottes, mi fermai di colpo nascondendomi. Non tutti se n'erano andati! Tre dei ragazzi del servizio d'ordine stavano giocando a carte su un tavolino da campeggio. Proprio in quel momento sentii il rumore di un'auto che si fermava poco distante e un addetto del catering comparve consegnando quattro cestini contenenti la cena. Quattro e non tre!!! Evidentemente c'era qualcun altro sul set.
Maledissi la sorte che anche quella volta mi si accaniva contro. Dovevo andarmene subito prima che qualcuno si accorgesse di me.
Camminando a ritroso con gli occhi fissi sul gruppo, improvvisamente andai a sbattere contro qualcosa di solido e morbido allo stesso tempo, mentre un lieve profumo mi giungeva alle narici. Sussultando mi voltai di scatto e rimasi senza fiato...
2 - L'incontro
Da dove era uscito? Come aveva fatto ad arrivare proprio dietro di me senza fare rumore? Lo guardai stupita pensando che fosse il frutto della mia fantasia, ma le allucinazioni non profumano e quella mano che stringeva il mio avambraccio per impedirmi di cadere era calda e reale.
Ero completamente senza fiato. Russell nel frattempo mi guardava con un sorriso divertito.
- Oh... scusa... io... io stavo solo.., non dovrei essere qui... adesso me ne vado... - balbettai mentre il
sangue mi imporporava orrendamente il viso.
- Mi spiace, non volevo spaventarti. Stai bene? -
- Credo... credo di sì. - mentii. Avevo la bocca completamente secca e il cuore mi batteva così forte da impedirmi di respirare. Pensai che sarei morta di lì a poco. - Ora vado via. Non volevo disturbarti.
- Ehi, calmati! Non c'è alcun problema, non mi hai disturbato. Avanti, respira...- mi disse guardandomi negli occhi con un'espressione tra il divertito e il preoccupato. lo avrei voluto sprofondare. Lo guardai per un istante rendendomi conto di non riuscire a sostenere lo sguardo di quegli occhi profondi, che alla luce dorata del tramonto avevano preso una intensa sfumatura verde.
- Respira, non ti voglio sulla coscienza! - Feci come mi diceva e lentamente, molto lentamente, ripresi un po' il dominio di me stessa.
- Non volevo fare niente di male, solo dare un'occhiata in giro... non ti ho sentito arrivare. -
Con un'espressione perplessa, lui guardò in basso, verso i suoi piedi infilati in un paio di scarpe da ginnastica. Io seguii il suo sguardo e tornai ad arrossire violentemente. Gli shorts da palestra grigi lasciavano scoperto un bel paio di gambe muscolose e leggermente abbronzate. Per il resto indossava una T-shirt bianca immacolata fuori dai calzoncini. I capelli umidi erano pettinati indietro. Nell'insieme aveva l'aspetto fresco, pulito e rilassato di chi è appena uscito da una doccia. Notai che aveva il viso un po' stanco, ma non c'era traccia di tensione né di ostilità nei miei confronti, e questo mi diede un po' di coraggio.
- Sono giorni che spero di avere un tuo autografo. - gli dissi.
- Ok. Dove vuoi che scriva? -
- Oh! - esclamai e tuffai una mano nello zaino per tirare fuori la videocassetta di Proof che da giorni mi portavo dietro.
- Come ti chiami? -
- Claire. -
Russ prese il pennarello che gli porgevo e mi fece cenno di seguirlo poco lontano. Ci sedemmo su una panchina. All'improvviso, senza alzare gli occhi da ciò che stava scrivendo, mi chiese:
- Sei una giornalista? - Lo guardai sorpresa.
- Perché? -
- Ti ho vista spesso scrivere su quel notes. - rispose accennando al blocco di fogli da disegno che tenevo sottobraccio.
Ti ho vista spesso... Quindi lui mi aveva vista... mi aveva notata...
- Oh, questo? - risposi cercando di dissimulare la mia emozione. Sorridendo gli mostrai i disegni. Erano schizzi di quel po' che si vedeva quando le porte dell'hangar venivano aperte.
- Sto frequentando un corso di scenografia all'università, qui a Los Angeles. - spiegai - Questi sono i miei appunti. Speravo mi fosse utile venire qui ma da fuori non si vede granché. -
- Dovresti tornare alla mattina, quando c'è Sam, il nostro scenografo. Magari posso chiedergli se ti fa fare un giro all'interno. - Lo guardai con gli occhi sgranati.
- Credi che sia possibile che io...? -
- Non lo so, dipende da Sam. -
- lo... io non so come ringraziarti! - ero fuori di me dalla gioia e dall'emozione.
Nel frattempo uno dei ragazzi della sicurezza si avvicinò porgendo a Russell il cestino con la cena. Lui guardò dentro e mi chiese se avevo fame.
- Oh, no... no, grazie. - risposi imbarazzata, ma il mio stomaco, sentendo l'odore di hamburger che veniva dal sacchetto, cominciò a protestare rumorosamente, oltretutto erano le nove di sera e a pranzo avevo mangiato solo un'insalata.
Russ mi lanciò uno sguardo di rimprovero e mi tese uno dei suoi panini e una bottiglia di birra.
- Qui ci sono tre hamburger. Tre, capisci? E' vero che normalmente mangio per due, ma a tre non ci arrivo. Avanti, mangia. Te l'ho detto, non ti voglio sulla coscienza. In questo modo, se ti vedrò svenire sarò certo che la colpa è solo del mio fascino! - disse con un sorriso malizioso. Conosceva bene l'effetto che i suoi sguardi e i suoi sorrisi avevano sulle donne. Doveva essere molto divertente per lui prendermi in giro e vedere quanto il mio imbarazzo mi rendeva buffa.
Addentai il panino e, per non deludere Russell, con riluttanza mandai giù un sorso di birra facendo di tutto per non dare a vedere che non mi piaceva affatto. Sapevo bene di non reggere l'alcol e ad ogni sorso pregavo che gli effetti non mi rendessero troppo ridicola o, ancora peggio, troppo intraprendente...!
Dopo mangiato lui prese a sfogliare l'album dei disegni. Io ringraziai l'oscurità che stava scendendo perché nascondeva il rossore delle mie guance. M'imbarazzava moltissimo mostrargli i miei lavori perché rivelavano la passione che avevo per lui, infatti oltre agli appunti sulla scenografia c'erano molti disegni che lo ritraevano sul set in parecchi momenti della lavorazione del film.
Fin da bambina mi piaceva disegnare. I miei parenti dicevano che ero nata con la matita in mano. Dopo la scuola d'arte e una laurea in architettura ero talmente abituata a disegnare dal vivo che mi bastavano pochi tratti per catturare l'emozione di un momento. Disegnavo e dipingevo per me stessa, non mi interessava vendere le mie opere, anche se molti mi avevano spinto a farlo. C'era qualcosa di troppo intimo nei miei gesti: fin da piccola avevo la sensazione che avrei potuto possedere ciò che desideravo se l'avessi messo sulla carta.
C'erano momenti in cui il desiderio era così forte da non lasciare spazio a nient'altro, allora mi buttavo sui miei fogli bianchi con la stessa disperazione e la stessa foga con cui chi sta morendo di fame si avventa su un pezzo di pane.
Negli ultimi giorni era stato così ed ero stata esaudita: in quel momento l'oggetto del mio desiderio si era materializzato accanto a me vivo e reale, non era solo un tratto di grafite su un pezzo di carta! Sfogliava i miei disegni senza dire nulla, soffermandosi su ciascuno di essi come se Io stesse studiando. Studiava i miei disegni e io studiavo lui, imprimendomi nella mente ogni minimo dettaglio del suo viso. Dovevo impararlo a memoria per poterlo disegnare negli anni a venire, per poterlo ricordare e sognare. Ad un certo punto mi resi conto che guardarlo soltanto non mi bastava più: avrei voluto stendere una mano a sfiorargli i capelli che erano lucidi come seta color miele e posare le labbra sul suo collo perfetto per sentirne il sapore. Chissà cosa sarebbe successo se l'avessi fatto veramente. Maledetta timidezza...
Non so quanto tempo passò prima che Russ si voltasse a guardarmi. Il sorriso sfrontato era sparito dal suo viso lasciando il posto ad un espressione indefinibile che non gli avevo mai visto in nessun film. Avrei dato chissà cosa per capire il significato di quell'espressione e sapere cosa pensava di me.
L'oscurità lentamente calò su di noi, rischiarata soltanto da una luce proveniente da un lampione lontano.
- Posso averne una copia? - mi chiese. La sua voce sembrava ancora più calda e profonda se ascoltata al buio.
- Certo. - risposi e afferrai il bordo di un foglio per staccarlo dall'album.
- No! - esclamò trattenendomi la mano. La sua stretta era decisa ma gentile. - Sono tuoi. A me ne basta una copia. Sarai qui i prossimi giorni? -
- Sì, certo. -
- Bene, allora ti aspetto con i disegni. -
Non riuscivo proprio a crederci. Stavo parlando con il ragazzo che avevo sempre sognato di conoscere, e lui voleva rivedermi. La cosa strana era che cominciavo a sentirmi a mio agio con lui. La sua semplicità mi spiazzava: non avrei mai pensato che si sarebbe fermato a chiacchierare con una ragazza qualunque, una come tante. Ero così poca cosa rispetto alle sue colleghe, bellissime e sicure di sé!
- Come mai sei qui da solo? - gli chiesi.
- Gli altri sono andati a festeggiare il compleanno della segretaria di produzione. Io avevo bisogno di
rilassarmi un attimo prima delle riprese di questa sera. -
- E ti sei trovato tra i piedi una seccatrice. -
- Non è una gran seccatura. -
Per un attimo un imbarazzante silenzio scese tra di noi. Per anni avevo pensato a tutte le cose che avrei voluto dirgli e alle domande che avrei voluto fargli, eppure in quel momento la mia mente si rifiutava di collaborare. Fu lui a rompere il silenzio.
- Abiti a Los Angeles o sei qui solo per studio? -
- Vivo in Francia. Sono qui da quasi sei mesi. Appena finito il corso tornerò a casa. -
- Dove? -
- A Fréhel, nella Bretagna del nord, vicino a Saint Malo. -
- Il posto com'è? -
- Be', la cittadina non è niente di speciale, però c'è una scogliera alta 60 metri, a picco sul mare. Mi piace andarci nei giorni di burrasca, quando tira un forte vento e le onde si infrangono con violenza sugli scogli. E poi ci sono delle belle spiagge e il mare è di un colore... - è del colore dei tuoi occhi, avrei voluto dirgli. - Mi piacciono i grandi spazi, mi danno un senso di libertà. Mi fermo sul ciglio del burrone, guardo verso l'orizzonte e penso che, se ci provassi, potrei volare. -
Mi morsi la lingua. Ciò che avevo appena detto mi sembrava di una tale stupidità! Ventotto anni sono troppi per lasciarsi andare a simili fantasie da ragazzina, soprattutto davanti ad un uomo esperto e navigato come
Russell. Sicuramente erano gli effetti della birra a rendermi loquace e languida.
Era troppo buio per portelo vedere, ma sapevo che mi stava guardando, sentivo il suo sguardo fisso su di me e la sua presenza era un dolce tormento che accendeva i miei sensi come niente e nessuno aveva mai fatto prima.
Voilà, sono sbronza! pensai. Dovevo andarmene prima di fare qualcosa di cui mi sarei pentita. Mentre la mia mente meditava una via di fuga, il resto di me si godeva la presenza di Russell e non ne voleva sapere di muoversi.
- Ti capisco. - rispose - lo ho comprato un ranch sulle colline fuori Coffs
Harbour. Le città mi stanno strette, preferisco la campagna. -
In quel momento i fari dei pullman di ritorno sul set squarciarono il buio in fondo alla strada.
- E adesso torniamo al lavoro. - sospirò Russ rassegnato.
- Lo dici come se ti dispiacesse. Non sai quanti vorrebbero essere al tuo posto, io per prima! -
- Perché, che lavoro fai? -
- Sono architetto. -
- Wow! E ti lamenti? -
- Ti assicuro che non è il massimo. Dove vivo io non ci sono molte possibilità. Quando mi sono laureata mi aspettavo qualcosa di meglio. Sai, i soliti sogni di ragazzina... -
- Io volevo fare la rockstar! -
Scoppiai a ridere. A quell'epoca non si sapeva molto su di lui, credevo si trattasse dei soliti sogni di gloria che hanno tutti gli adolescenti. Certo che con quella voce poteva permettersi qualsiasi cosa!
Rimasi sbigottita nel vedere il suo viso incupirsi improvvisamente e sentire la sua voce, secca e tagliente, esclamare:
- Che cazzo c'è da ridere? Ti sembra una stronzata, eh? Invece questa è una cosa molto importante per me! -
Un brivido mi attraversò la schiena e subito abbassai gli occhi mortificata.
- Scusa, non volevo offenderti. Io... non potevo saperlo! - L'ultima cosa che volevo era contrariarlo.
Lui si placò all'istante e la sua espressione tornò ad essere amichevole come un attimo prima. Ma chi era quest'uomo, il dottor
Jeckyll?
- Canto in un gruppo e compongo i testi. Facciamo qualche serata, ma siamo ancora sconosciuti. -
- Beh, ora che stai diventando famoso come attore sarà una buona pubblicità per il gruppo. -
- Preferirei che avessimo successo perché alla gente piace la nostra musica. -
- Succederà. -
- Grazie per il sostegno morale. - rispose ironicamente.
La troupe era scesa dai pullman e il set si stava rianimando. Per un attimo io e Russ rimanemmo abbagliati dalle luci di scena che di colpo erano state accese. Lui si alzò e io lo imitai.
- Mi dispiace, devo andare. Grazie per avermi fatto compagnia, Claire. -
- Il piacere è stato mio. Desideravo tanto conoscerti! -
- Ci vediamo, Ok? - mi disse con il suo solito sorriso simpatico.
- Ok. - Ci stringemmo la mano poi Russ si allontanò. Lo vidi entrare nell'hangar per andare a raggiungere il resto della troupe che si preparava a girare.
lo rimasi lì da sola, trasognata e incapace di muovermi. Alla fine riuscii a convincere le mie gambe riluttanti a trascinarmi verso la mia auto. Tra gli effetti della birra e lo stupore per quello che mi era accaduto, guidai come in trance svegliandomi solo quando l'auto si fermò al solito posto davanti al marciapiede di casa. Mi sentivo così spossata che appena entrata planai sul letto e mi addormentai all'istante. Mi svegliai il mattino dopo completamente vestita, con un feroce mal di testa e lo stomaco in disordine. Avevo dei ricordi confusi della sera precedente, tanto che per un po' pensai di aver sognato tutto, poi tra il contenuto del mio zaino sparso sul pavimento trovai la videocassetta di
Proof. Sopra c'era scritto:
"To Claire. Love, Russell "
Era tutto vero, quindi.
(segue)
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