Lugdunum,
Gallia Lugdunense,
170 DC, autunno
Mario Sabino sorrise tra sé e sé e sollevò alle labbra il bicchiere,
celebrando silenziosamente un’altra serata di ottimi affari. La taverna
era piena di avventori, il vino scorreva a fiumi e tutte le sue ragazze
erano impegnate e prenotate per il resto della nottata. Intorno a lui,
uomini di ogni ceto erano intenti a bere, a giocare a dadi, o erano
intrattenuti dalle sue “lupae” nei cubicoli al piano superiore,
mentre altri aspettavano impazienti il loro turno.
Il padrone della bettola e del bordello si stava ancora congratulando
con se stesso per la sua buona fortuna, quando la porta della taverna si
aprì e una donna avvolta in una lunga cappa nera entrò dentro. Il
sorriso di Sabino divenne ancora più largo non appena la vide: la Signora
d’Oro era tornata e questo significava che, al termine della serata, la
sua borsa sarebbe stata ancora più pesante di quel che avesse immaginato.
Il grassone guardò la nuova arrivata attraversare la sala, passando
tra i tavoli con la regalità di una sovrana e la leggiadria di una
danzatrice egizia. La seguiva uno schiavo, pronto a prenderne in consegna
il mantello, allorché lei si fosse decisa a toglierselo per mostrare uno
dei corpi più belli che Sabino avesse mai visto. Quasi leggendogli il
pensiero, la donna si fermò vicino a un divano in un angolo del locale e
si liberò della cappa. Il sospiro collettivo di tutti gli uomini presenti
accompagnò le sue movenze, mentre sguardi affamati e lussuriosi si
soffermavano sulle splendide forme che lei aveva appena rivelato, a stento
coperte da drappi di seta e veli dorati che sembravano mescolarsi alla
lunga chioma biondo scuro; forme che riuscivano ad essere allettanti ed
intriganti, anche se gli abiti non lasciavano molto spazio all’immaginazione.
Ma la sua caratteristica più fascinosa era, come al solito, la maschera d’oro
puro che le copriva la parte superiore del viso, lasciando scoperti solo
la bocca e gli occhi castani, e conferendole un’aura di mistero
irresistibile per la maggioranza degli uomini.
Mentre la Signora d’Oro si adagiava sul divano, Sabino guardò i suoi
clienti, notando come parecchi tra loro tentassero di tornare alle loro
precedenti occupazioni mentre altri, più sfrontati del resto del gruppo,
si avvicinarono alla donna per offrirle da bere o avviare una
conversazione, nella speranza di riuscire ad entrare nelle sue grazie ed
essere scelti per dividere con lei il letto, quella notte. L’oste
osservò i candidati, sfidando se stesso a scommettere su quale sarebbe
riuscito nell’impresa, rimuginando nel frattempo su chi si celasse
dietro la maschera. Egli aveva formulato una teoria, come del resto tutti
coloro che avevano visto la donna, ma quelli non erano davvero affari
suoi: l’unica cosa importante era che quella signora lo pagava bene per
avere in uso una delle stanze al piano superiore e che la sua presenza
aveva per il suo locale un forte potere di attrazione. Per non menzionare
il fatto che il suo fascino era tale da funzionare meglio di un
afrodisiaco, tant’è vero che i clienti, piuttosto che andarsene a mani
vuote, alla fine erano disposti anche ad accontentarsi di una qualsiasi
delle ragazze di Sabino.
Con un largo sorriso dipinto sulla faccia, l’oste alzò il bicchiere
in un silenzioso brindisi alla Signora d’Oro e tornò alle sue
attività.
*
In un angolo della taverna un giovane tribuno, Massimo Decimo Meridio
guardava, perplesso il suo compagno, un brizzolato centurione di nome
Claudio, che se ne stava a bocca aperta in estatica contemplazione di
colei che era appena entrata.
“Chiudi quella bocca” gli disse, “è disdicevole per un
ufficiale.”
Claudio fece finta di non aver sentito e Massimo sospirò, tornando al
suo vino e domandandosi per la decima volta perché avesse permesso che il
suo compagno lo trascinasse in quel lupanare. Il giovane soldato detestava
quei posti, perché non gli piaceva il sesso a pagamento, sia che si
trattasse di prostitute, sia delle schiave a disposizione dei soldati. L’atto
sessuale gli arrecava un momentaneo sollievo, ma lo lasciava svuotato e
con il cuore stranamente pesante, come se mancasse qualcosa di davvero
importante. Aveva avuto un assaggio di quello che avrebbe potuto essere un
paio d’anni prima, ma la sua relazione con Lucilla, la figlia dell’imperatore
Marco Aurelio, non era progredita così tanto. Tuttavia non c’erano
molte scelte per un legionario scapolo ventitreenne e Massimo lo sapeva.
Sospirò ancora, scosse la testa, proprio mentre Claudio parve ritrovare
un atteggiamento dignitoso.
“E’ straordinaria,” commentò il centurione, guardando ancora la
donna, “Non ho mai visto una femmina più bella.”
“Ma per favore, se lo dici un giorno sì e un giorno no!” disse il
tribuno che si stava annoiando e avrebbe voluto tornare all’accampamento
per scrivere una lettera ai suoi genitori.
“Oh, ma lo sai che sei un gran rompi balle?”
“Ma è la verità!”
“Può darsi: ma lei è davvero la donna più bella che abbia mai
visto. Voltati e guarda tu stesso se non ho ragione.”
Massimo sospirò ancora e fece quel che il compagno gli aveva chiesto.
Ciò che vide gli mozzò il respiro: mai in vita sua aveva visto una
creatura più affascinante. I suoi occhi non si stancavano di divorare la
pelle abbronzata e le curve voluttuose, mentre la maschera esercitava su
di lui una strana, misteriosa malia.
“Chi è?” domandò con un bisbiglio e Claudio sorrise trionfante
udendo il suo tono concitato, felice dell’espressione di pura lussuria
che aveva visto dipingersi sul viso attraente del giovane tribuno.
“La chiamano Signora d’Oro.”
“Oh,” commentò Massimo, provando a scuotersi dal suo stato di
quasi stordimento, ma gli era pressoché impossibile smettere di guardare
la donna seduta dall’altro lato della stanza. Il centurione lo notò e
decise di spassarsela un pochino alle sue spalle: era così difficile
sorprendere il suo collega e superiore con la guardia abbassata, era
sempre così serio e controllato, e Claudio non aveva alcuna intenzione di
lasciarsi sfuggire un’occasione così ghiotta per prenderlo in giro.
“Li vedi tutti quegli uomini?” bisbigliò confidenzialmente nell’orecchio
dell’uomo più giovane.
“Sì…” annuì Massimo, attendendo che l’altro proseguisse.
“Beh, a tutti loro piacerebbe quel che piacerebbe a te, una bella
rotolata nel letto con lei, ma penso che la maggior parte di loro, se non
tutti, saranno rifiutati e dovranno infilarlo da qualche altra parte.”
“Perché?”
“Perché la signora è molto difficile ed esigente quando si tratta
di scegliere un uomo da portarsi a letto.”
“Oh…” Massimo era ben conscio che quella che stava sostenendo non
era certo una conversazione intelligente, ma era come se il corpo avesse
preso il sopravvento sul cervello, mentre continuava a divorare la donna
con gli occhi verde azzurro e le sue mani prudevano dalla voglia di
accarezzarle la pelle di seta dorata.
“Ehi, mi hai sentito?” esclamò Claudio assestandogli una gomitata
nelle costole. Massimo diventò rosso e scosse la testa.
“Dicevo che dovresti andare laggiù. Chissà, forse potresti essere
proprio tu il fortunato, questa sera.” E così dicendo, il centurione
saettò una lunga occhiata allusiva al suo amico.
Il tribuno si voltò verso Claudio, pronto a chiedergli “Lo credi
davvero possibile?” quando notò lo scintillio ironico negli occhi dell’amico
e capì che il centurione lo stava solo stuzzicando, convinto che il suo
serio superiore non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Gli occhi di
Massimo si strinsero ed egli decise di cancellare quella smorfia
compiaciuta dalla faccia dell’uomo più anziano. Si alzò, e
indirizzando un sorriso di vittoria all’amico disse, “Non aspettarmi
qui. Potrei fare tardi.”
E prima che Claudio potesse dire una sola parola, Massimo lasciò il
tavolo e si diresse verso il divano.
*
La Signora d’Oro rifiutò il vino offertale da un uomo di mezz’età
al suo fianco e perlustrò la stanza con gli acuti occhi scuri, una
smorfia annoiata ben dissimulata dalla maschera: possibile che quella
notte non ci fosse un solo uomo di suo gradimento? Il suo periodo di
libertà stava scadendo e lei non voleva sprecarlo. D’altro canto, non
era così disperata d’accontentarsi di qualcuno che non la eccitasse…Lo
stava giusto pensando, quando notò un uomo in uniforme dirigersi verso di
lei. Di solito i soldati non le piacevano troppo, ma qualcosa nel suo modo
di muoversi, con la forza di un toro e l’agilità di una tigre, catturò
la sua attenzione. Lo sguardo da intenditrice si soffermò sul bel viso
accigliato, dai tratti quasi delicati e dalla bocca sensuale, incorniciata
da una curata barba scura. Quindi abbassò lo sguardo al collo robusto,
alle ampie spalle ben evidenziate dalla corazza di cuoio e scese ancora
fino alla porzione di gambe nude e abbronzate che spuntavano tra l’orlo
della tunica corta color vinaccia e i calzari. Era uno splendido esemplare
umano, con un’aria carismatica e di comando drappeggiata attorno a lui
come un caldo mantello, e la Signora d’Oro sorrise, soddisfatta:
finalmente, aveva trovato il suo uomo per la notte. Con movenze sensuali,
distese le gambe e si alzò dal divano, piantando gli occhi nelle
meravigliose iridi verdazzurro del legionario. E ammiccò, in un
silenzioso cenno d’invito.
“Buona sera, mia signora.” disse l’uomo, quando le fermò
dinanzi, sorridendole con un misto di sfacciataggine e dolcezza che lei
trovò irresistibile, mentre la sua voce bassa e profonda le faceva
correre un brivido giù per la schiena.
“Buona sera a te, soldato”, replicò lei in tono molto sensuale,
“Vuoi del vino?”
Egli annuì e lei ordinò al suo schiavo di portare due coppe di
Falerno caldo. “Ecco”, disse, porgendone una al giovane soldato e
approfittandone per accarezzare con la punta delle dita il dorso della
mano di lui, mentre ritraeva lentamente il braccio. Percepì una violenta
emozione, che la scosse e vide l’uomo inghiottire a vuoto, mentre i suoi
occhi la guardavano con desiderio, segno sicuro che lui aveva provato la
stessa sensazione.
Le Signora d’Oro sorseggiò il vino, continuando a guardare
attentamente la sua scelta per quella notte al di sopra del bordo della
coppa, notando come lui facesse altrettanto, lo sguardo infuocato che
quasi le bruciava, con la sua intensità, la pelle a malapena coperta dei
seni. Lei decise di giocare allo stesso gioco e i suoi occhi roventi,
chiaramente visibili malgrado la maschera, cominciarono a sbirciarlo con
intento, in modo da attirarne l’attenzione, prima di andare a fermarsi
sul suo grembo. Sogghignò soddisfatta quando notò la sua reazione e,
tornando a guardarlo in faccia, si leccò le labbra voluttuosamente,
facendogli andare il vino di traverso. Erano così presi l’uno dall’altra
che nessuno dei due notò il mormorio di delusione degli altri uomini
intorno a loro, o gli sguardi invidiosi che essi lanciarono al soldato
mentre se ne tornavano, scornati, ai loro posti. Finalmente la donna
decise che era ora di finirla con i giochetti e, posando la coppa sul
tavolo, allungò la bella mano curata e mormorò, “Vieni con me,
soldato, è tempo che mi mostri quanto sei bravo con quella tua spada.”
*
Le pulsazioni di Massimo aumentarono di intensità al palese doppio
senso della donna e i muscoli del suo addome si contrassero al solo
pensiero che quella creatura stupenda avesse scelto proprio lui. Posò la
coppa sul tavolo e lasciò che lei gli prendesse la mano e lo guidasse su
per le scale, fino ad una stanzetta al primo piano, quasi senza notare
schiavo di lei che li seguiva. Una volta nella camera, la donna lasciò
andare la sua mano, chiuse la porta e si voltò verso di lui.
“Ci sono due regole da rispettare qua dentro, soldato,” disse, “Tu
non dovrai provare a togliermi la maschera e dovrai fare tutto ciò che ti
ordinerò. Accetti?”
Massimo annuì senza esitare: era talmente eccitato che avrebbe fatto
qualsiasi cosa pur di averla.
“Sì,” soggiunse con voce roca.
“Bene.” commentò lei con un sussurro. Quindi, con un sorriso
malizioso, cominciò a spogliarsi davanti a lui, senza fretta, un
indumento alla volta, movendo le anche in modo lento, ipnotico, languido,
come se stesse danzando al ritmo di una musica che solo lei poteva
sentire. O forse no, perché quasi inconsciamente, Massimo cominciò ad
imitarla, togliendosi la divisa con la stessa sensuale cadenza, finché
non furono entrambi nudi, l’uno di fronte all’altra, i corpi già
lucidi di sudore.
Il tribuno rimase qualche istante a osservare le splendide forme della
donna: era di statura media, snella ma non troppo magra, con deliziose
curve ai punti giusti. I suoi seni erano alti e sodi e lui allungò una
mano tremante per toccarli in una lenta carezza.
Lei sorrise e gli si avvicinò, lasciando che lui l’abbracciasse,
stringendo il proprio corpo contro il suo torso possente.
Massimo desiderava baciarle la bocca, ma fu immediatamente chiaro che
la maschera d’oro era un ostacolo insuperabile per le sue labbra,
impedendo loro di avvicinarsi abbastanza a quelle di lei. Così si
accontentò di baciarle il collo, le spalle e il seno. E mentre lo faceva,
lei non rimase certo ferma: le sue mani si mossero lente lungo la schiena,
i fianchi e l’addome di lui, fino a raggiungere la sua parte più intima
ed eccitata, carezzandolo e stringendolo e apprezzando completamente il
suo corpo magnifico. E quando la passione tra di loro raggiunse il livello
di guardia, gli disse in un sussurro che era allo stesso tempo un
suggerimento e un ordine, “Sdraiati sul letto, ho una sorpresa per te.”
Con la mente stordita, Massimo non perse tempo, indietreggiò verso l’angolo
senza staccare gli occhi da quelli di lei quasi insopportabilmente
eccitato dal modo lussurioso in cui lei lo guardava. La osservò con gli
occhi socchiusi avvicinarsi con grazia al letto, sedersi e quindi
carezzargli i fianchi e il basso ventre, provocandogli una violenta
reazione. Lei gli sorrise, quindi, prima che lui potesse rendersi conto di
ciò che stava accadendo, la Signora D’Oro chinò la testa fece qualcosa
che nessuno aveva mai fatto: lo prese in bocca, selvaggiamente,
riducendolo in breve a un mucchietto gemente e mugolante nel letto con
azioni tali da indurre alla follia. Le mani di Massimo afferrarono le
lenzuola, mentre lui scuoteva la testa, completamente preso dalle nuove
sensazioni che la donna gli stava facendo provare. Quando pensò di essere
sul punto di perdere il controllo, la bocca di lei lo abbandonò,
facendolo gemere di frustrazione.
“Per favore…” la supplicò, e si trattò di un'altra prima volta.
La Signora d’Oro sorrise e mormorò, “Sh…Stai calmo”. La donna
osservò come l’ampio petto di lui si sollevasse ansimando rapidamente,
affascinata dal gioco di ombre e luci che le fiamme della lanterna
disegnavano sulla sua pelle sudata. Infine sentì pietà per lui e,
montandogli a cavalcioni sui fianchi, gli si sedette sopra e lo guidò in
profondità dentro di sé.
Oh, dei! Pensò Massimo, sentendosi inghiottire dal suo corpo caldo
e bagnato. Gemette, quando la Signora cominciò a cavalcarlo, rapida e
forte, su e giù, movendosi in perfetta sintonia con le forti spinte dei
suoi fianchi, le mani posate sul suo petto, per trovare un migliore
equilibrio.
Mentre la loro passione aumentava e la loro pelle divenne madida di
sudore, la donna chiuse gli occhi, e gettò all’indietro la testa,
mandando i lunghi capelli a solleticargli le cosce. Massimo ruggì di
desiderio e, sollevandosi a sedere, l’abbracciò e rotolo sul letto,
invertendo le loro posizioni, senza mai fermare le proprie spinte. Lei
rispose ai suoi stimoli cingendogli la vita con le gambe ed incitandolo,
con le parole e con i movimenti, a darle ancora di più.
Massimo ubbidì volentieri, spingendo in lei con tutta la forza della
sua schiena, portando entrambi all’apice del piacere, finché, all’unisono,
esplosero entrambi in un grido.
Quando, parecchi minuti dopo, Massimo si riprese, alzò la testa dal
seno di lei e la guardò negli occhi. “Kyria,” le sussurrò in greco,
cercando le parole per dirle che mai in vita sua non aveva avuto un’esperienza
così piacevole, ma non riuscì a far di meglio che continuare a fissarla.
Tuttavia lei sembrò capire lo stesso, perché gli mormorò, “Lo so,
soldato, lo so.” Quindi si premette sul seno la nuca di lui e gli
carezzò i capelli, le spalle e il collo, finché il tribuno non si
addormentò profondamente. Allora, con delicatezza, si districò dal suo
abbraccio e si alzò, andandosene in giro per la stanza a recuperare i
propri abiti. Mentre si rivestiva, gli occhi della donna non lasciarono
mai soldato dormiente: era stato un amante altrettanto meraviglioso quanto
era bello il suo aspetto, e lei sentì il desiderio di accarezzarlo
ancora, per svegliarlo e unire il corpo di lui al suo un’altra volta. Ma
non poteva farlo: era mezzanotte passata e doveva rientrare a casa.
La Signora d’Oro sollevò la coperta che era piegata ai piedi del
letto, coprì il bellissimo giovane e poi, con un gesto impulsivo e
inaspettato, liberò il viso dalla maschera solo per un momento e si
chinò per posargli un tenero bacio sulle labbra. Quindi si rimise la
maschera dorata, si voltò e uscì dalla stanza senza un altro sguardo.
*****
Per l’ennesima volta quella notte, la testa di Massimo si voltò al
suono della porta della taverna che si apriva e si chiudeva ma, ancora una
volta, le sue speranze andarono deluse: era solo un altro cliente, non la
donna d’oro che da giorni ossessionava i suoi sogni. Il tribuno tornò a
esaminare la sua bevanda, perdendosi nella rossa profondità del vino,
lasciando che la sua mente vagasse e, inevitabilmente, ricordasse la prima
volta che era capitato in quella bettola. Il suo corpo reagì, mentre
riviveva il suo incontro con la donna mascherata e fu assalito da un
intenso desiderio. Mai in vita sua aveva avuto un’esperienza di così
vivo piacere e mai prima di allora una puttana era rimasta così a lungo
nei suoi pensieri. Ma era davvero una prostituta, quella? Massimo lo
dubitava. Quando, risvegliandosi dopo il loro incontro, si era ritrovato
tutto solo nella stanza, era stato pronto a versare al locandiere
qualsiasi cifra egli avesse potuto richiedere ma, con sua grande sorpresa,
era stato informato che non c’era niente da pagare. La Signora d’Oro
già aveva saldato il conto del vino e dell’uso della stanza. Massimo
era rimasto sorpreso a quella notizia, ma non aveva avuto tempo di
indagare in proposito perché Claudio, che lo aveva aspettato, gli aveva
battuto la mano sulla spalla per congratularsi e lo aveva tartassato di
domande.
L’Ispanico sorrise. Il suo amico aveva provato per diversi giorni a
carpirgli informazioni, ma il tribuno aveva resistito poiché preferiva
tenere tutta per sé quell’esperienza unica. Tuttavia, con il
trascorrere del tempo, il suo desiderio di vedere ancora la donna
misteriosa era cresciuto al punto da diventare quasi un’ossessione. Di
giorno, egli adempiva con scrupolo ai suoi doveri di secondo in comando
del campo, ma di sera, adesso che l’inverno si avvicinava e molti dei
suoi amici erano in licenza, i suoi pensieri ritornavano sempre a quella
notte di folle passione. Massimo aveva provato a dimenticare, a mettere da
parte quei ricordi, ma dopo giorni di bruciante frustrazione sessuale, il
giovane aveva deciso infine di tornare alla taverna, sperando d’incontrare
la Signora d’Oro un’altra volta. Uno sghignazzante Claudio, al quale
non sembrava vero che il suo serio e posato superiore potesse essere così
preso, e forse era anche un po’ invidioso, era stato spietato con lui,
dicendogli che la signora non s’intratteneva mai due volte con lo stesso
uomo. Ma Massimo non lo aveva ascoltato, per ritrovarsi lì solo, seduto
con un bicchiere di vino appena assaggiato davanti e i nervi tesi come la
corda di un arco. Il tribuno sospirò e guardò fuori dalla finestra. La
luna era già alta nel cielo, e forse avrebbe fatto bene a rassegnarsi e a
tornare all’accampamento. Si alzò e s’incamminò verso il bancone per
restituire la coppa e pagare il conto, proprio mentre la porta si apriva.
Massimo si sforzò di non voltarsi, ma quando la conversazione all’interno
del locale si spense di colpo, egli ruotò su se stesso e il suo cuore
sembrò perdere un battito mentre posava gli occhi sulla figura della
signora mascherata.
*
La Signora d’Oro notò il soldato, il suo soldato, immediatamente. Se
ne stava vicino al bancone, solo una breve distanza li separava, e la
guardava con i suoi intensi occhi verde azzurri. La donna arrossì sotto
la maschera sentendo il suo sguardo ardente su di sé, e gli andò
incontro, ignorando tutti gli altri occupanti della stanza, come se una
forza irrefrenabile la spingesse verso di lui. Non le importava di
infrangere una delle sue stesse regole, quella di non intrattenersi mai
più di una volta con lo stesso uomo. La sola cosa che contava era il
desiderio che sentiva nei riguardi dello splendido giovane che le stava
davanti. Si fermò a pochi passi da lui e, senza proferire parola,
allungò la mano destra, che lui prese senza esitazione, seguendola felice
mentre lei lo guidava su per la scala.
*
Ancora una volta, Massimo non poté credere che quella donna fosse
in grado di dargli così tanto piacere. Egli aveva avuto paura di aver
idealizzato il loro primo incontro nella propria mente e che l’esperienza
reale non sarebbe stata all’altezza dei suoi ricordi, ma tutti i dubbi
erano stati fugati in un attimo, alla prima carezza delle labbra di lei
sul suo collo.
Come nel corso della loro prima notte, lei lo portò al totale
esaurimento delle forze, lasciandolo, fisicamente e psichicamente del
tutto prosciugato ma incredibilmente soddisfatto. E quella volta, quando
si riprese, non si ritrovò solo nella stanza. La Signora d’Oro, vestita
di tutto punto, se ne stava seduta vicino al letto, guardandolo con
affetto.
“Mia signora?” le domandò, sentendo che aveva da dirgli qualcosa.
“Quando sarai libero la prossima volta?”
A Massimo si fermò per un istante il cuore in petto, non appena
comprese ciò che lei stava davvero chiedendogli, “Sono libero ogni
notte; nell’accampamento non c’è niente da fare in questo periodo
dell’anno.”
“Bene.” Lei si alzò e aggiunse, “Ci vediamo tra due giorni,
soldato.”
Poi se ne andò, lasciando dietro di sé un estatico giovane che
sorrideva sdraiato sul letto.
*****
Quello fu l’inizio della loro ‘relazione’. Si incontravano nel
locale di Sabino ogni due o tre giorni, arrivando appena dopo il tramonto
ed andandosene intorno alla mezzanotte. Per Massimo, la vita cominciò ad
essere divisa in due parti: di giorno, era l’irreprensibile tribuno M.
Decimo Meridio, secondo in comando della Terza Legione Felix, l’ufficiale
che tutti all’accampamento avevano preso a modello e cercavano di
imitare. Ma durante le notti che passava in città, era solo un uomo
libero da ogni responsabilità, abbandonato ai desideri di un giovane
corpo e di uno spirito sensuale. A volte pensava che la Signora d’Oro
avesse gettato su di lui un incantesimo ma, nel suo intimo, sapeva che
ella aveva solo portato alla luce un lato della sua personalità che egli
aveva sempre posseduto ma che non era mai venuto a galla.
Egli era stupito dal modo in cui la signora mascherata usava il suo
splendido corpo per dargli sempre di più. Era così esperta, ma non alla
maniera volgare delle prostitute. Le sue movenze e i suoi gesti erano
raffinati ed eleganti, come se stesse praticando un’arte. Non si faceva
scrupolo a chiedergli quello che desiderava, senza timore, e aspettandosi
di essere ubbidita. Massimo amava questa sua dominanza perché sapeva che,
una volta soddisfatta, i ruoli si sarebbero invertiti e lei gli avrebbe
permesso di fare tutto ciò che voleva, lasciandolo sempre esausto e
contento.
Più il tempo passava, più Massimo si sentiva sempre più affascinato
dalla donna, dalla sua amante. Ella era ancora un mistero per lui, a parte
il suo corpo, non conosceva niente di lei e passava le serate in cui non
erano insieme a domandarsi chi si nascondesse dietro quella maschera. Era
giunto alla conclusione che doveva trattarsi di una ricca signora (la
maschera era d’oro puro, e poi pagava sempre per l’uso della camera),
forse sposata e sicuramente più grande di lui, poiché dubitava che una
sua coetanea potesse essere tanto spregiudicata e sicura del fatto suo.
Parlavano poco tra di loro e lei non conosceva neppure il suo nome,
perché gli aveva impedito di dirglielo posandogli un dito sulle labbra.
“Non voglio saperlo,” gli aveva detto con la sua voce bassa e
sensuale, “Non m’interessa conoscere chi sei fuori da queste mura. M’importa
solo quello che tu sei in questa stanza, il mio meraviglioso compagno di
gioco e passionale soldato.”
Massimo aveva compreso quello che lei aveva voluto dire, che non voleva
alcun legame tra loro, e ne aveva rispettato i desideri, tenendo a freno
la propria curiosità a riguardo e rinunciando a fare ciò che la sua
mentalità di soldato gli avrebbe imposto, seguirla cioè fino a casa per
scoprire la sua vera identità.
*****
“Massimo?” Chiamò l’uomo dai capelli d’argento, infilando la
testa nella stanza del tribuno.
“Sì, signore?” replicò l’ufficiale alzandosi subito dal
tavolino, “Cosa posso fare per te, Generale?”
“Calma, ragazzo, non sono qui per motivi di lavoro, ma solo per
chiederti se verresti con me a cena.
“Signore?”
Massimo inclinò il capo al non troppo entusiastico tono dell’interlocutore
e il generale si spiegò meglio, “Il Governatore dalle provincia è
rientrato ieri da un lungo viaggio. Si tratterrà qui un paio di giorni
prima di ripartire e oggi mi ha invitato a cena. Non ho potuto rifiutare,
ma quell’uomo è un tale insopportabile asino pomposo che non vorrei
ritrovarmi solo con lui, perché potrei tentare di strozzarlo ancor prima
che la cena sia terminata. Per questo vorrei portarti con me, almeno m’impedirai
di compiere l’irreparabile.”
L’uomo più anziano sorrise, imitato da Massimo. “Sarò onorato di
aiutarti in un così delicato frangente, signore.” disse scherzosamente
il tribuno ed entrambi gli uomini esplosero in una gagliarda risata prima
che Sergio riprendesse la sua compostezza e dicesse, “Grazie, Massimo.
Spero solo di non aver rovinato i tuoi progetti per la serata.”
“Non ho altri programmi se non quello di scrivere a casa.” Massimo
guardò in basso, verso il papiro steso sulla scrivania.
“Perfetto! Mi sarebbe dispiaciuto di portarti via alla tua signora!”
Il generale ammiccò e Massimo arrossì. Era di pubblico dominio nell’accampamento
come lui fosse diventato l’unico amante della Signora d’Oro e l’anziano
ufficiale non aveva resistito alla tentazione di tirargli una frecciatina.
Mollò quindi una pacca sulla spalla del giovane e gli disse, “Adesso ti
lascio alla tua lettera. Manderò il mio attendente a chiamarti quando
sarò il momento di andare.”
Massimo annuì, guardò il comandante che lasciava la sua tenda e si
rimise a scrivere.
*
Più tardi quella sera, Massimo e il suo generale si recarono alla casa
del Pro-Pretore, nel centro della città. Era una grande costruzione,
progettata per impressionare gli ospiti con il suo fasto, ma non sortì
questo effetto nei due soldati, che notarono solo un enorme casa colorata
priva di qualunque contenuto, proprio allo stesso modo in cui il padrone
sembrava essere. Livinio Prisco li salutò e fin dalle sue prime parole,
Massimo comprese perché Sergio avesse preteso la sua compagnia. Il
politicante era un prepotente e borioso villano che considerava la Gallia
un paese altrettanto barbaro della Germania, malgrado fosse una delle
province più romanizzate dell’impero, e riteneva di essere stato un
grande soldato, nonostante avesse servito nell’esercito per soli quattro
anni, il minimo indispensabile a garantirgli l’accesso alla carriera
politica. Era stato di stanza in Hispania, la zona più tranquilla dell’Impero
dopo l’Italia, un posto dove l’unico rischio che potesse correre un
legionario era quello di morire dalla noia.
Livinio non parlava, declamava con un tono tronfio che Massimo trovò
insopportabile. Era appena arrivato, e già non vedeva l’ora di
andarsene. Lo stato d’animo del generale Sergio non era molto diverso
ma, fortunatamente il suono di una campanella annunciò che la cena era
pronta.
“Seguitemi,” disse il Pro-Pretore guidandoli verso il triclinio
dove era in attesa una donna dai capelli biondi raccolti in una complicata
acconciatura ed elegantemente vestita di rosso, con il viso e lo sguardo
rivolti con modestia al pavimento. Livinio sembrò ignorarla e si
accomodò a capo tavola, reclinandosi sul divano ed indicando agli ospiti
di fare altrettanto. Massimo e Sergio si scambiarono un’occhiata, quindi
guardarono la donna, non sapendo come comportarsi nei suoi riguardi. Il
politicante se ne accorse e, indicandola con un gesto della mano, disse,
“Questa è mia moglie, Giuliana Ceionia Prisca.”
L’indignazione di Massimo per come quell’uomo trattava sua moglie
in presenza di estranei si trasformò in puro e semplice sconvolgimento
quando la matrona alzò la testa e i loro sguardi si incrociarono. Non era
possibile non riconoscere quegli occhi scuri, li aveva fissati troppe
volte mentre faceva l’amore con la Signora d’Oro. Il suo sguardo
tradì tutta la sua sorpresa, ma si ricompose subito non appena comprese
in quale delicata situazione fosse venuto a trovarsi. Schiarendosi la voce
e notando che Livinio era completamente assorbito dal cibo, disse, “Prisca,
mia signora, lascia che ti presenti il generale Sergio Servilio.” Li
guardò scambiarsi un saluto, quindi aggiunse, “Io sono il tribuno
Massimo Decimo Meridio.”
“Onorata di conoscerti.” replicò lei porgendo la mano e non
tradendo affatto il tumulto che le si agitava dentro.
Completate le presentazioni, si accomodarono e cominciarono a mangiare.
*
Quella cena fu una delle più grandi prove che la pazienza di Massimo
avesse mai dovuto sopportare: non solo si dovette sorbire il continuo
blaterare e auto-incensarsi di Livinio ma, assai più disgustoso, fu il
silenzioso testimone del modo orribile in cui quell’uomo trattava sua
moglie, mostrando nei riguardi di lei lo stesso rispetto che avrebbe avuto
per una schiava.
“Peggio,” si disse il tribuno, pensando a come lui stesso trattava
Cicero, il suo servitore.
Massimo ribolliva di rabbia, ma non c’era alcuna possibilità per un
uomo nella sua posizione di sollevare obiezioni sul comportamento di
Livinio.
Così pensò solo a mangiare, cercando inutilmente di non guardare il
volto bello ma triste di Giuliana. I suoi lineamenti erano perfettamente
degni del corpo: il naso era fine e ben modellato, gli zigomi delicati, ma
gli occhi e la bocca erano segnati, non dall’età, malgrado fosse più
anziana di Massimo, bensì dai dispiaceri e dalle offese che era obbligata
a subire in silenzio.
*
Il pasto fu difficoltoso anche per Giuliana. Non aveva mai immaginato
che uno dei due alti ufficiali che il marito aveva invitato a cena potesse
essere il “suo” soldato. Era rimasta stupita vedendolo e sconvolta
quando aveva capito che lui l’aveva riconosciuta.
Per tutta la durata della cena sentì Massimo fissarla. Quando i loro
occhi si incontrarono, lei scoprì che le iridi verdazzurro di lui erano
piene di curiosità ma esprimevano anche sostegno morale. In svariate
occasioni, quegli occhi brillanti ed intelligenti avevano scintillato
rabbiosi in direzione di suo marito e lei aveva trovato piacevole
accorgersi di quanto fosse protettivo il suo giovane soldato. Era bello,
per lei, scoprire d’essere per lui qualcosa di più che un semplice
corpo caldo…E in realtà non era così sorprendente: quante volte lui
aveva cercato di iniziare una conversazione e lei lo aveva bloccato, non
volendo dividere un’eccessiva intimità per paura di affezionarsi troppo
a lui? Ma adesso era tardi, pensò. Era sempre stato troppo tardi, fin dal
primo momento in cui i loro occhi si erano incrociati e lui aveva iniziato
a parlarle con la sua lenta voce calda…
“E’ tempo per te di lasciarci soli,” la voce di Livinio si
intromise nei suoi pensieri, riportando bruscamente Giuliana alla realtà.
“Come comandi, domine,” rispose lei, modulando con
attenzione il tono in modo da non lasciar trasparire le proprie emozioni.
Si alzò e sia il generale, sia il suo soldato fecero altrettanto, mentre
suo marito restava seduto. Giuliana scambiò un breve saluto con l’uomo
più anziano, quindi si voltò verso il tribuno.
“E’ stato un piacere conoscerti, Prisca, mia signora,” disse lui,
“Spero di rivederti in futuro.” Era una normale forma di saluto, ma
lei sapeva che non erano solo vuote parole: lui voleva rivederla ancora, e
presto.
Lei annuì e replicò, “Lo spero anch’io, Tribuno, anche per me è
stato un piacere averti incontrato.” Ancora una volta, una semplice
frase di circostanza che nascondeva un più profondo significato, che lei
sottolineò con un cenno del capo e uno sguardo d’intesa. Massimo annuì
a sua volta e, con un ultimo saluto cortese, Giuliana lasciò la stanza.
*****
La volta successiva in cui la Signora d’Oro incontrò il suo soldato,
fu tutto come al solito di fronte a Mario Sabino e agli avventori della
locanda: gli amanti si salutarono, la signora tese la mano e insieme
attraversarono il locale e salirono la scala. Tuttavia, una volta in
camera, le cose cambiarono: non ci fu il solito sensuale liberarsi degli
indumenti e frenetico desiderio, ma entrambi si diressero verso una sedia
e un divano, vi si accomodarono, e Giuliana si liberò della maschera.
Restarono uno di fronte all’altra per lungo tempo, quindi lei disse, “Credo
di doverti una spiegazione.”
“No, ” Massimo scosse la testa, “Tu non mi devi alcunché, ma
ascolterò volentieri se avrai voglia di parlare.”
Il suo sguardo era franco ma non accusatorio e Giuliana capì che era
sicuro dirgli i propri segreti.
Annuì e disse, “Voglio raccontarti tutto.” Corrugò la fronte,
come a raccogliere i suoi pensieri e cominciò, “E’ difficile dire
come sia cominciata questa storia, ma forse potrei iniziare dal mio
matrimonio con Livinio. La nostra unione era stata decisa dai nostri
genitori quando ero ancora una ragazzina per cementare un’alleanza
politica ed economica, come nella maggior parte dei matrimoni che si
celebrano a Roma. A quel tempo avevo sedici anni e Livinio mi piaceva, era
un giovane gradevole e attraente ed ero felice di sposarlo. Credo anche
che fossi innamorata di lui, quando lo sposai dopo due anni di
fidanzamento.” Giuliana si interruppe, respirò profondamente, lanciò a
Massimo una breve occhiata per studiare la sua reazione, e continuò, “Tuttavia,
non appena cominciammo a vivere insieme, mi disse chiaramente che non
aveva alcun interesse per me, se non come fattrice per i suoi figli. Era
innamorato di una giovane plebea che non aveva potuto sposare e non aveva
nessuna intenzione di troncare quel rapporto. Fui devastata da queste
rivelazioni, i miei sogni d’amore distrutti la notte stesa del mio
matrimonio.” Emise un altro breve sospiro, e proseguì. “Io sono stata
educata a dare onore alla mia famiglia, dando figli a mio marito e nipoti
a mio padre, quindi feci buon viso a cattiva sorte. I primi anni non andò
così male. Livinio mi rispettava e teneva la sua amante in un’altra
casa, lontano da me. Ma più il tempo passava e io rimanevo senza figli,
più la sua considerazione per me diminuiva, finché non scomparve del
tutto. Mi considera inutile perché non sono riuscita a dargli l’unica
cosa che vuole da me: degli eredi.”
“Ma io sono sicuro che tu hai molte altre qualità degne di grande
lode!” Esclamò Massimo, incapace di sopportare il viso desolato di lei.
Giuliana sorrise amaramente, “Lo penso anch’io, Massimo. Ho
ricevuto un’ottima educazione, parlo quattro lingue, potrei dirigere una
compagnia di navigazione tutta da sola e, se fosse permesso, potrei
perfino governare la provincia.. Ma a Livinio tutte queste mie qualità
non interessano, anzi le ritorce contro di me, quando mi rinfaccia che ho
qualità da uomo ma sono un fallimento come donna. E mi umilia, allevando
sotto il mio naso i figli che ha avuto dalla sua amante.” La donna
tacque, abbassando la testa verso il pavimento.
“Perdonami,” Massimo ruppe il silenzio che seguì, “Ma perché
non chiede il divorzio?”
Giuliana alzò gli occhi, sorrise. “Non vieni da Roma, vero?”
“Non ci sono mai stato. Sono un Ispanico.”
“Lo sospettavo. Se provenissi dalla capitale, conosceresti mio padre
Lucio Ceionio e sapresti che è il fratello minore di Lucio Vero, il
co-imperatore. Il suo appoggio era ed è essenziale per la carriera
politica di Livinio, che è molto ambizioso. Non può divorziare, e così
non perde occasione di farmi pagare il fatto di essergli necessaria, come
hai potuto vedere.”
“E perché non ne parli a tuo padre? Il modo in cui Livinio ti tratta
davanti agli estranei è abominevole, sono sicuro che i tuoi familiari non
tollererebbero queste cose, perché sono un’offesa non solo a te ma a
tutti loro.” Gli occhi del giovane mandavano fiamme, ma Giuliana scosse
gentilmente la testa.
“Non ho mai detto niente perché sono orgogliosa, forse troppo per la
mio bene. Da piccola sono stata educata a non lamentarmi mai e l’ho
appresa bene, quella lezione, Massimo. Mio padre sarebbe sconvolto se
conoscesse la situazione e io non voglio umiliarlo con il fatto che non
riesco a diventare madre. Per il momento non sa chi sia il responsabile
della situazione e io non voglio che ne venga a conoscenza. Non posso
rischiare di perdere la sua stima, così stringo i denti e tiro avanti
meglio che posso.”
Massimo annuì lentamente, comprendendo le sue ragioni e chiedendosi
per la prima volta quanto dovesse essere difficile la vita delle donne,
non avendo esse gli stesi diritti degli uomini, “Sei una grande donna,”
le disse con ammirazione.
“Allora non sei scandalizzato dal mio comportamento avventato?”
“No, o almeno non del tutto: Livinio non merita il dono della tua
fedeltà. Tuttavia sarei curioso di sapere com’è cominciata…” Si
sorrisero l’un l’altro e Giuliana si rilassò ancora di più quando
comprese che lui non la giudicava una puttana, ma stava dalla sua parte.
Era una piacevole sensazione scoprire che non si era sbagliata a proposito
dell’animo buono del suo soldato.
“C’è tutta una serie di ragioni.” iniziò la donna, “Tempo fa
lessi dell’abitudine dell’imperatrice Messalina di frequentare,
mascherata, i bordelli e, prima di mettere via quel libro e di
dimenticarlo, mi domandai perché lo avesse fatto, che cosa potesse averla
spinta a comportarsi in quel modo. Poi una sera, mesi dopo, Livinio mi
trattò peggio del solito, urlando delle cose tanto orribili che dovetti
chiudermi nella mia stanza per evitare di crollare di fronte a lui. Ero
prossima a scoppiare a piangere e la mia ancella, Sibilla, cercò di
consolarmi, dicendo che mio marito era uno stupido somaro a preferirmi una
plebea ignorante.”
“Aveva ragione!” esclamò Massimo e lei gli sorrise, prima di
proseguire, “Sibilla mi disse che ero bellissima e che qualsiasi uomo
sano di mente avrebbe desiderato passare del tempo con me. Io volevo
crederle, ma quando passi dieci anni affianco a qualcuno che ti dice che
non vali niente, finisci col credere che sia davvero così. Temevo che l’ancella
mi mentisse perché mi era amica. Così decisi di vedere se era proprio
così. Mi ricordai del libro su Messalina, mandai Sibilla da un
gioielliere perché mi procurasse una maschera d’oro come quella dell’imperatrice,
e poi, una sera, mentre Livinio lui era lontano per uno dei suoi soliti
viaggi, andai al lupanare di Sabino per vedere che cosa sarebbe successo.
Pensai che sarebbe accaduto solo una volta, ma non ero preparata all’effetto
che ebbi sugli uomini, o alla mia reazione al loro evidente..desiderio.
Per la prima volta dopo più dieci anni, mi fecero sentire di nuovo una
donna, trattandomi con rispetto e gentilezza…” Respirò profondamente,
prima di concludere il suo racconto. “Tornai a casa decisa a dimenticare
tutto, ma non fu possibile e la volta successiva che Livinio mi
maltrattò, tornai da Sabino…E il resto è storia. Così è nata la
Signora d’Oro.”
Massimo annuì, senza toglierle gli occhi di dosso. Quel che lei gli
aveva detto avrebbe dovuto scandalizzarlo, ma avendo assistito a come
Livinio la trattava, si rese conto che così non era. Infatti i suoi
pensieri si concentrarono su qualcosa di totalmente diverso. Mentre
guardava la bella donna seduta davanti a lui, si chiese chi fosse la vera
Giuliana: la donna triste e modesta che aveva conosciuto alla cena, o l’ipnotica
creatura nota come Signora d’Oro?
Giuliana sembrò leggergli quella domanda in fondo agli occhi e disse,
“Penso di essere un miscuglio di entrambe. Questa, ” e sfiorò la
maschera che teneva in grembo, “serve solo a nascondere la moglie triste
di Livinio, non a connotare la Signora d’Oro.”
Il silenzio cadde nella stanza, mentre si fissavano e comunicavano
senza parole.
“Mi vuoi ancora?” sembrò chiedergli Giuliana, con lo sguardo
che non mascherava la tensione e il nervosismo.
“Adesso più che mai,” replicò lui e i suoi occhi s’incupirono
per l’incipiente desiderio.
Si alzarono nello stesso momento ma Giuliana non iniziò a spogliarsi
come faceva di solito; rimase invece a guardarlo finché Massimo non le
tese entrambe le mani e lei le prese, lasciando che lui l’attirasse
contro il suo petto. Rimasero faccia a faccia per diversi secondi, quindi
lui chinò la testa e, per la prima volta, la baciò.
Il tribuno rimase meravigliato da quanto inesperta lei sembrasse
essere, e tremò quando comprese che per lei quel bacio era qualcosa di
molto più intimo di tutto il sesso che avevano condiviso in precedenza.
Nessuno dei suoi precedenti amanti l’aveva mai baciata a causa della
maschera e, considerato il modo in cui la trattava, Massimo dubitava che
Livinio l’avesse mai baciata quando reclamava i suoi diritti coniugali.
E così egli usò tutta la sua esperienza per far sì che a Giuliana quell’atto
piacesse, alternando baci dolci e giocosi con altri più profondi e
appassionati, finché lei non gli afferrò la testa e cominciò a
rispondergli, corrispondendo il suo ardore. Quasi senza interrompere il
contatto, si spogliarono reciprocamente, crollarono nel letto e, premendo
i loro corpi l’uno all’altro, come se non riuscissero ad essere
abbastanza vicini, iniziarono quindi a fare l’amore, toccandosi e
baciandosi come più piaceva ad entrambi. Ma sebbene i loro fossero gesti
consueti, il loro significato era diverso….perché quella notte,
movendosi nel letto con l’affiatamento di due danzatori esperti, non c’erano
più la Signora d’Oro e il suo soldato, semplicemente Giuliana e
Massimo, senza più barriere o inganni a separarli.
*****
Durante il resto dell’inverno, la relazione tra Massimo e Giuliana
continuò e si intensificò. I loro incontri non erano più solo un
semplice congiungimento di corpi, ma l’autentica fusione di due anime e
Massimo si sentiva felice come non era mai stato prima, avendo imparato la
differenza tra sesso e amore tra le braccia di Giuliana.
Passavano tanto tempo chiacchierando quanto ne trascorrevano a letto ed
entrambe le attività davano loro grande gioia. Persino a Massimo, che era
sempre stato un uomo di poche parole, piaceva farlo, avendo trovato in
Giuliana un’interlocutrice perfetta, con la quale poteva essere serio o
scherzoso, certo che lei lo avrebbe assecondato. Amavano confrontare i
loro punti di vista su diversi argomenti, e parlavano di tutto, dai
pettegolezzi alla filosofia, dagli aneddoti sulla loro infanzia ai
progetti e ai sogni per il futuro.
Sogni e progetti: questo era il grande dono che Massimo aveva fatto a
Giuliana. Prima di incontrarlo, la donna si era convinta che il futuro non
avesse niente da offrirle, che la sua esistenza fosse destinata a restare
per sempre quella di subire in silenzio le offese di Livinio, senza
nessuna speranza di un cambiamento per il meglio. Ora non lo credeva più:
Massimo le aveva trasmesso la propria volontà di lottare e lei aveva
deciso d’inghiottire l’orgoglio e di scrivere al padre per
raccontargli quale inferno fosse diventata la sua esistenza. Non sapeva
cosa ne avrebbe ricavato, ma era determinata a smetterla di soffrire in
silenzio.
Di certo sapeva che i suoi giorni come Signora d’Oro sarebbero finiti
per sempre. Non aveva alcuna intenzione di continuare la sua doppia vita a
Roma, e non certo per paura di essere scoperta, bensì perché non aveva
più bisogno di sentirsi dire da uomini senza nome che era attraente:
Massimo glielo aveva detto e dimostrato moltissime volte ed era l’unica
cosa che importava. Tra le sue forti braccia lei aveva dimenticato la
sensazione di aver sprecato gli anni migliori della propria vita con un
uomo che non l’apprezzava. Erano molto felici insieme, ma entrambi
sapevano che la loro era una storia senza futuro, solo una breve parentesi
rubata al destino. Presto il mandato di Livinio in Gallia sarebbe scaduto
e lui e Giuliana sarebbero rientrati a Roma, mentre Massimo, in primavera,
avrebbe marciato verso la Germania con la sua legione. Entrambi cercavano
di non pensarci per non rovinare quei momenti, ma era più facile a dirsi
che a farsi e quando il triste momento dell’addio arrivò, in una
piovosa mattinata di marzo, li trovò entrambi totalmente impreparati.
*
Massimo accompagnò Giuliana a casa, cercando di tenere sotto controllo
il dolore che lo attanagliava, facendolo camminare con le gambe rigide e
stringendogli la gola fino a farlo respirare a fatica. Quando giunsero
alla villa, si fermarono di fronte alla porta e stettero immobili senza
sapere cosa dire.
Massimo non avrebbe mai immaginato che dirle addio sarebbe stato tanto
difficile. Razionalmente sapeva loro non avrebbero mai potuto continuare a
stare insieme, ma il suo cuore rifiutava di dar retta alla mente. Giuliana
gli aveva dato l’appagamento emotivo che aveva sempre desiderato non
voleva rinunciare a lei. Era sicuro d’essersi innamorato e la sola idea
di lasciarla partire con il marito era quasi insopportabile. Tuttavia non
aveva altra scelta ed odiava il sentirsi così impotente di fronte all’incalzare
degli eventi. E promise a se stesso che, la prossima volta che si fosse
innamorato, non importa quando sarebbe accaduto, sarebbe stato di qualcuna
adatta a lui, perché non avrebbe sopportato di spezzarsi il cuore una
seconda volta.
Anche Giuliana sentì il cuore spezzarsi nel proprio petto: era
innamorata del suo soldato e lo sarebbe stata per il resto della sua vita.
Avrebbe pagato molto a lungo per quell’inverno d’amore, ma sapeva che
ci sarebbe stato anche qualcosa di positivo, e che sarebbe durato per il
resto della vita: ne aveva le prove nel cuore e nel corpo, ed era
addolorata dal fatto di non poterglielo dire.
Rimasero a lungo uno di fronte all’altra, dicendosi con gli occhi
quel che con la voce non si poteva esprimere e le lacrime si mischiarono,
sulle loro guance, alle gocce di pioggia. Quindi, movendosi all’unisono,
si gettarono l’uno tra le braccia dell’altra, stringendosi con tutte
le loro forze. Infine Massimo indietreggiò, drizzandosi sull’attenti e,
facendo appello al suo senso della disciplina, sussurrò, “Addio, mia
signora Giuliana, possano gli dei sorriderti sempre.”
“Addio Massimo,” lei si morse il labbro inferiore per fermarne il
tremito, “Non ti dimenticherò mai.”
“Neppure io.”
Nessuno dei due si mosse, mentre la pioggia battente inzuppava i loro
abiti, e alla fine Massimo capì di dover essere il più forte tra di
loro. “Vai dentro, Giuliana,” le ordinò dolcemente, “Ti prenderai
un malanno.”
“Sì, entrerò…Ma anche tu devi andartene.”
“Lo farò quando tu sarai dentro, al sicuro. Adesso vai.”
“Massimo…” cominciò lei, senza sapere in realtà che cosa dire,
ma non volendo essere la prima ad andarsene.
“Vai…per favore,” mormorò lui e la sua voce era esitante, come
se fosse sul punto di crollare di fronte a lei.
Giuliana lo fissò negli occhi tristi, sapendo che quella sarebbe stata
con tutta probabilità l’ultima volta in cui avrebbe potuto perdersi
nella loro dolcezza. Con una mossa improvvisa gli si avvicinò , gli prese
la testa tra le mani e gli diede un ultimo bacio disperato mormorandogli,
“Ti amo” all’orecchio; quindi si voltò ed oltrepassò i cancelli
della casa così velocemente da lasciare Massimo paralizzato per lo
stupore.
All’Ispanico occorse un po’ di tempo per riprendersi ma, non appena
lo fece, sussurrò semplicemente, “Anch’io ti amo, Giuliana,” prima
di voltare con risolutezza le spalle al portone di legno ed incamminarsi
verso l’accampamento.
Roma,
182 DC, tarda estate
Il generale Massimo Decimo Meridio, il Protettore di Roma, stava
passeggiando negli estesi giardini del Palazzo Imperiale, sul Colle
Palatino, accarezzando con la mano le cime dei cespugli ben curati che
bordavano i sentieri coperti di ghiaia in mezzo alle aiuole fiorite. Gli
piaceva trascorrere il suo tempo all’aperto, quando non era impegnato
nelle riunioni del Senato. L’atmosfera pena di pace dei giardini gli
calmava i nervi, spesso tesi. Aveva sempre amato la natura, ma adesso più
che mai voleva circondarsi di cose vive, rigogliose, che lo aiutassero a
dimenticare il mondo desolato che aveva lasciato in Hispania. Era stato
informato dal suo amministratore che la villa di pietra rosa era stata
ricostruita e i campi nuovamente coltivati, ma egli non aveva ancora
visitato il posto e non solo perché i suoi doveri di Protettore gli
impedivano di allontanarsi per molto tempo. La villa era stata costruita
per alloggiare una famiglia, ma Massimo non ne aveva più una ed era
determinato a far sì che la sua condizione rimanesse tale: affezionarsi,
provare dei sentimenti nei riguardi di qualcuno significava provare anche
tanto dolore, per cui aveva deciso di non trovarsi mai più in una
situazione del genere. Aveva il suo lavoro, i suoi animali, i suoi
giardini, e questo gli bastava…almeno, era ciò che andava ripetendosi
ogni giorno.
Un sibilo repentino accanto al suo orecchio fece gli fece spostare di
scatto la testa per evitare un oggetto volante, ma non si trattava di una
freccia, come ai tempi in cui era sotto le armi, bensì di una palla di
tela marrone imbottita di paglia che, dopo essere caduta a terra, gli era
rotolata sui piedi. Il generale chinò, facendo una smorfia quando i
muscoli lesi dalla pugnalata di Commodo protestarono, raccolse la palla e
si raddrizzò in attesa che il proprietario arrivasse a reclamarla.
Massimo non aveva dubbi su chi potesse trattarsi ed infatti, come
previsto, presto sentì un rumore corsa, seguito dall’apparizione di due
ragazzini che, vedendolo, frenarono e si ricomposero immediatamente.
Massimo sorrise alla faccia rossa di Lucio e, mostrando la palla,
disse, “Sei venuto per questa?”
“Sì, signore. Mi dispiace di averti disturbato.” rispose il figlio
di Lucilla, riprendendo il suo giocattolo.
“Fa niente, Lucio e per favore, non chiamarmi signore. Quando non
siamo in pubblico, io sono Massimo.” Il generale si trattenne dall’arruffare
i capelli al ragazzino.
Lucio sorrise, deliziato, “Sì sign…Massimo,” Quindi,
ricordandosi all’improvviso del compagno che stava in silenzio accanto a
lui, aggiunse ammiccando, “Massimo, lascia che ti presenti …Massimo. E’
mio cugino.”
Gli occhi del generale si mossero ad osservare l’altro ragazzino, che
era più grande e più alto del figlio di Lucilla, quasi un adolescente,
con scintillanti occhi azzurri, capelli castano scuri e la fossetta sul
mento. Il ragazzo se ne stava immobile accanto a lui ad occhi spalancati,
mentre il cugino gli raccontava tutte le imprese del generale, orgoglioso
del fatto che un così grande personaggio, la guida dell’impero, gli
avesse concesso di chiamarlo per nome, come si usa solo tra vecchi amici.
Massimo guardò il suo omonimo con un sorriso, quindi disse, “Non
lasciarti impressionare da quello che dice, mi metto ancora i calzari uno
alla volta!” Quindi strizzò loro l’occhio e li salutò con un cenno
della mano, dopodiché tornò alla sua passeggiata e i ragazzi ai loro
giochi.
*
Terminata la passeggiata, Massimo tornò ai propri appartamenti per
sbrigare un po’ di lavoro prima di cena ma fu interrotto da un lieve
bussare alla porta.
“Spero di non disturbarti,” disse Lucilla, sua amica e fidata
consigliera.
“No, affatto. Stavo solo leggendo un’altra volta le proposte di
legge del senatore Gracco, ma possono aspettare. Desideri qualcosa?” La
voce di Massimo era educata e gentile.
“Mio cognato è da poco rientrato da un lungo soggiorno in Siria ed
è ospite qui a palazzo in attesa che la sua casa sia pronta. Vorrei
sapere se ti farebbe piacere se lui cenasse con noi, insieme alla figlia e
al nipote.”
“Nipote? Ti riferisci al giovane Massimo?”
“Si…Ma come fai a sapere di lui?” La figlia di Marco Aurelio era
sorpresa.
“Oh, ci ha presentati Lucio. Li ho incontrati mentre passeggiavo nei
giardini e loro hanno attentato alla mia vita con una pallonata.”
Gli occhi del generale scintillarono divertiti e Lucilla sorrise di
rimando, felice della sua reazione. Nell’anno che era seguito al suo
duello con Commodo, Massimo era stato indifferente a tutto ciò che non
fosse Roma, l’Impero e il governo. Era come se l’uomo dentro il suo
corpo fosse morto e solo il soldato e il legislatore sopravvivessero.
Passava tutto il suo tempo lavorando, concedendosi solo brevi pause per
una passeggiata nei giardini e se ne stava sempre da solo, a leggere e a
scrivere, partecipando alla vita di società il minimo indispensabile
richiesto dal suo ruolo di Protettore. Per il resto del tempo, Massimo
viveva come un eremita, tenendo lontana l’altra gente, sempre gentile ed
educato ma distante, come se temesse che se avesse abbassato la guarda,
avrebbe potuto affezionarsi a qualcuno.
Lucilla aveva visto l’Ispanico rinchiudersi dentro la sua conchiglia
e innalzare barriere che nemmeno lei era più in grado di abbattere e il
suo cuore aveva pianto per lui, quando aveva capito il motivo dietro quel
comportamento. Aveva provato di tutto per smuoverlo dal suo isolamento
emotivo, ma aveva fallito. La rattristava vederlo sempre così solo
perfino quando si trovava in una stanza piena di gente e pregava ogni
giorno affinché accadesse qualcosa che lo inducesse a comprendere che
provare affetto per qualcuno porta anche gioia, e non solo dolore.
*****
Quando Massimo giunse nel grande triclinio Lucio e il cugino erano già
lì e lui li guardò senza farsi notare mentre i ragazzini, probabilmente
affamati dopo il pomeriggio trascorso a giocare all’aperto, sollevavano
i coperchi dai vassoi per vedere che cibo nascondessero. Quando l’ultima
copertura fu rimessa al suo posto, il generale si schiarì la voce
annunciando la sua presenza. I due monelli arrossirono, scattando sull’attenti
come veterani delle legioni.
“Non preoccupatevi, so mantenere i segreti,” E strizzò loro l’occhio,
sorpreso dalla propria voglia di scherzare.
I ragazzi sorrisero e gli si avvicinarono, sedotti dalla gentilezza di
quell’uomo tanto potente. Il giovane Massimo fu attratto dalle
decorazioni dorate sul pettorale del generale, e Massimo cominciò a
spiegargli il significato di ciascun simbolo, indicandoglieli uno per uno.
Quando Lucilla e i suoi parenti entrarono nella sala, i ragazzi e l’uomo
erano ancora impegnati nella loro conversazione, che ora verteva sulla
vita militare, e la figlia di Marco Aurelio non poté fare a meno di
sorridere, sentendo il tono di voce usato da Massimo. Quanto tempo era
passato dall’ultima volta che l’aveva udito parlare con tanto
entusiasmo!
“Madre! Nonno!” Esclamò il più grande dei ragazzi, vedendoli per
primo, “Il generale ci stava spiegando la tecnica della testuggine!”
Si avvicinò ai nuovi arrivati e aggiunse, “Sapete che il generale si
chiama Massimo, come me? E mi avevate detto che è un nome poco comune!”
“Lo è,” disse Lucilla, “Tu e il generale siete gli unici che
conosco a portarlo.”
“Grande!”
Massimo sorrise udendo il tono del ragazzino e, avendo terminato di
parlare con Lucio, si voltò, pronto ad accogliere gli ospiti di Lucilla.
Ma il sorriso di benvenuto gli si congelò sulla labbra, non appena
riconobbe la donna che stava tra l’ex imperatrice e un uomo di una certa
età. Era alta, con occhi castani, lineamenti finemente cesellati e una
chioma bionda pettinata con eleganza. Gli occhi gli si spalancarono e il
cuore cominciò a battere all’impazzata. “Giuliana…” Sussurrò,
come se non credesse a ciò che vedeva.
“Massimo…” replicò la donna, altrettanto sconvolta, quindi gli
occhi di lei lo lasciarono per posarsi sul ragazzo fermo accanto a suo
padre. L’azione fu breve, pochi secondi appena, ma Massimo la notò e i
suoi occhi fecero lo stesso percorso, andandosi a posare sulla faccia del
giovinetto…su il figlio di lei.
Il figlio di Giuliana.
L’Ispanico osservò con maggiore attenzione quel giovane viso e il
mondo cominciò a girare intorno a lui, mentre lo studiava: i capelli
castano scuro, gli occhi verdazzurro, la fossetta sul mento…Quasi
inconsciamente sollevò la mano a toccare il suo stesso mento e la
fossetta nascosta appena dalla barba. “Dei…”disse con voce
strozzata. Quindi si voltò a guardare Giuliana, con una muta domanda
nello sguardo.
“Sì”, rispose lei, con un sussurro udibile a malapena, “si
chiama come suo padre.”
La bocca di Massimo si aprì e si chiuse diverse volte, ma nessuna
parola ne uscì, solo affrettati respiri.
“Massimo? ”Domandò Lucilla, preoccupata.
“Generale?” La voce del giovane Massimo era piena di apprensione.
L’Ispanico guardò lui, quindi Giuliana. “Devo andare…Ho bisogno
d’aria…ho bisogno…” E senza aggiungere altro lasciò rapido la
sala, con il mantello color vinaccia che gli sventolava dietro.
*
Lucilla osservò Massimo scappare via dal triclinio e si voltò a
guardare la sua parente. Osservare il generale e il ragazzo fianco a
fianco le aveva aperto gli occhi come una sorta di divina illuminazione e,
anche se sembrava incredibile, sapeva che Massimo era il padre del
ragazzino di Giuliana: la loro somiglianza era troppo accentuata per
essere un fatto casuale. Anche il padre di Giuliana era giunto alla stessa
conclusione e osservava la figlia con curiosità ma senza riprovazione.
Lucilla cercò gli occhi di Giuliana, volendole domandare migliaia di
cose, ma sapeva che non era il momento.
Un pesante silenzio cadde nella sala, interrotto soltanto dalla domanda
di Lucio, “Che cosa è successo al generale? Perché è scappato via di
corsa?” Entrambi i ragazzi avevano percepito la tensione nell’aria, ma
non riuscivano a darle una spiegazione.
“Lui…Non si sente bene…” spiegò Giuliana.
“Oh,” commento il ragazzo, “speriamo che non sia niente di serio.”
“Ne sono certa,” gli rispose Lucilla, cercando di essere
convincente, “Adesso sediamoci, è quasi ora di mangiare.”
Il giovane Massimo e Lucio sorrisero, pensando alle succulente pietanze
nascoste dai coperchi d’argento, ed ubbidirono subito, gareggiando tra
loro a chi sarebbe arrivato per primo a tavola.
Lucilla li osservò con indulgenza, quindi guardò l’altra donna e le
sorrise, pronta a commentare la “gara”, ma le parole le morirono sulle
labbra quando vide il modo in cui Giuliana stava fissando il corridoio dal
quale Massimo era scomparso. Era uno sguardo così carico di ansia,
dolore, amore e speranza che Lucilla si sentì stringere il cuore. Non
sapeva che cosa fosse accaduto tra il generale e sua cugina, né dove e
quando si fossero incontrati, ma era chiaro che adesso avevano bisogno di
parlarsi. Lucilla aveva spesso pregato affinché qualcosa scuotesse
Massimo dalla sua prigione emotiva e gli dei sembravano aver esaudito la
sua richiesta.
“Và da lui,” sussurrò a Giuliana, “Penserò io ai ragazzi.”
“Sì, figliola, vai da lui. Penso che voi due abbiate molte cose da
dirvi.” aggiunse suo padre.
“Grazie,” mormorò Giuliana, grata della loro comprensione e, senza
perdere tempo, lasciò la sala e scomparve lungo il corridoio.
E Giuliana ne era la madre. La sua mente provò a razionalizzare il
fatto, ma era troppo sconvolto. I muri che aveva eretto tra se stesso e
qualsiasi coinvolgimento emotivo nell’ultimo anno erano crollati in un
attimo e non sapeva cosa fare. C’era troppo tumulto dentro la sua testa
per essere in grado di pensare bene. Massimo si avvicinò alla sedia e ci
crollò sopra come se fosse stato prosciugato di tutta la sua forza, solo
per rialzarsi poco dopo perché non riusciva a stare seduto.
Alcuni minuti dopo, un leggero bussare alla porta lo fece quasi
sussultare.
“Chi è?” domandò, anche se in cuor suo sapeva benissimo di chi si
trattasse.
“Sono io, Giuliana. Posso entrare?” la voce era bassa, esitante…ma
speranzosa.
Massimo andò alla porta e l’aprì piano, lasciandola entrare.
Rimasero a lungo uno di fronte all’altra, incapaci di parlare, finché
Massimo ritrovò il suo spirito e le indicò di accomodarsi su un divano
accanto al suo scrittoio, mentre lui si sistemava su di una sedia.
“Posso offrirti qualcosa da bere?” le domandò, bisognoso di dire
qualcosa.
“No, grazie.”
Restarono ancora in silenzio, senza sapere cosa dirsi, finché Massimo
fece la prima mossa, “Come è successo? Credevo non potessi avere figli…”
“Non ero io quella sterile, bensì Livinio.”
“Oh.”
“E’ venuto fuori che i tre bambini che mi sbatteva sotto il naso
come prova della mia incapacità, non erano figli suoi. La sua amante me l’
ha confessato quando mi ha chiesto di poter comprare uno dei miei schiavi,
il vero padre dei suoi figli.”
“Vedo,” Massimo sentì un breve sussulto di maliziosa soddisfazione
al pensiero che quell’individuo borioso avesse avuto infine ciò che si
era meritato. “Che ne è stato di Livinio?” domandò quindi.
“Si ammalò di febbre durante il viaggio verso Roma e morì nel giro
di pochi giorni. Non ha mai saputo che fossi incinta.”
Massimo annuì, poi disse piano, “Perché non hai cercato di
contattarmi?”
“Volevo farlo!” esclamò Giuliana, “Interrogai persino mio padre
sulla possibilità di risposarmi…” E la sua voce si spense.
“E?”
“Lui disse di essere d’accordo, ma che, considerato il nostro
legame con la famiglia imperiale, avrei dovuto trovarmi un candidato
adatto, ossia un nobile patrizio o un ricco e influente membro dell’ordine
equestre.”
“Cosa che io non ero.”
“Esatto,” e la voce di Giuliana espresse dolore, ricordando quei
momenti, “Avrei voluto tanto scriverti, dirti del bambino, ma ero a
conoscenza di quanto grande fosse il tuo desiderio di farti una famiglia e
ho pensato che avresti sofferto, sapendo di avere un figlio che non potevi
riconoscere come tuo…Fu una scelta difficile, ma l’unica possibile.
Non mi odiare, l’ ho fatto per il tuo bene.” E abbassò gli occhi.
“Non ti odio, Giuliana, come potrei? Tu mi hai donato un tesoro…Non
sai quanto sia importante per me scoprire che sono ancora padre…” Gli
occhi Massimo erano pieni di lacrime.
Giuliana riuscì solo ad annuire, poiché la gola chiusa le impediva di
parlare. Quel pomeriggio, Lucilla le aveva detto tutto del Protettore di
Roma, raccontandole come la sua famiglia fosse stata fatta sterminare da
Commodo. Lucilla ne aveva parlato come del Generale Massimo ma Giuliana,
avendo trascorso nove anni in Siria, non aveva fatto connessioni: dopo
tutto, Massimo era un nome poco comune, ma non certo unico.
Ancora una volta stettero a lungo in silenzio, quindi Massimo disse,
“Sono…Sono felice di rivederti, Iuliana. Sei splendida.”
“Lo pensi davvero?” A quarantatre anni, era ancora snella e non
aveva un capello bianco ed era piacevole sentirselo dire dall’unico uomo
che avesse mai amato.
“Davvero, sei tale e quale come ti ricordavo. “Era vero: Massimo
non l’aveva dimenticata. Aveva adorato sua moglie, era vissuto per lei e
per il loro figlio, ma in anche tutta quella felicità non aveva
dimenticato Giuliana, pensando spesso a lei e pregando gli dei affinché
le dessero una vita migliore di quella con Livinio.. Essi sembravano
avergli dato ascolto e adesso lei era lì, la bionda chioma lucente al
lume delle lanterne, la pelle abbronzata. Sembrava così morbida che cha
mano di Massimo prudette dal desiderio di accarezzarla, com’era accaduto
dodici anni prima in quel bordello in Gallia.
Il generale si morse il labbro inferiore per reprimere il brivido di
desiderio che gli aveva percorso la schiena. Era come se il suo corpo, che
era stato addormentato dal momento in cui aveva trovato il corpo straziato
di sua moglie, si fosse tutto ad un tratto risvegliato e stesse reagendo
alla sua bellezza con la stessa intensità della prima volta in cui si
erano incontrati. “Che cosa credi di fare?” Pensò Massimo, irritato.
E che cosa direbbe lei se avesse idea dei pensieri che gli turbinavano
nella mente? L’aveva appena rincontrata, dopo oltre dieci anni, lei gli
aveva detto d’essere madre di un figlio suo e l’unica cosa che
desiderava era saltarle addosso! Era così intento a rimproverarsi da solo
che non notò lo sguardo affamato con cui Giuliana lo fissava, l’espressione
di quel viso era l’immagine speculare della sua. Ma l’autocontrollo
della donna non era altrettanto forte, aveva sognato tante volte d’incontrarlo
ancora e adesso che le stava davvero di fronte decise che era tempo di
mettere di nuovo in pratica il suo motto: carpe diem, cogli l’attimo.
Giuliana si alzò e quando Massimo sollevò la testa per guardarla, lei
gli tese una mano e sussurrò, “Vuoi danzare, soldato?” Per alcuni,
interminabili istanti temette che lui stesse per rifiutarla, ma, dopo che
l’ebbe guardata in profondità dentro negli occhi, egli annuì e prese
la sua mano, alzandosi e restando di fronte a lei. Si guardarono l’un l’altro
per lunghi momenti, quindi si abbracciarono, assaporando la loro
vicinanza. Poco dopo, Giuliana si liberò dalla sua stretta e,
sorridendogli, cominciò a spogliarsi, movendosi lentamente, dapprima un
po’ impacciata, quindi con sempre maggiore sicurezza, mentre il corpo
ricordava il vecchio ritmo.
Massimo guardò con bramosia gli indumenti cadere a terra uno per uno
quindi la imitò, strappandosi di dosso la tunica, la cintura i calzari e
la fascia inguinale, finché fu nudo e fiero di fronte a lei. Gli occhi di
Giuliana si inumidirono, notando le cicatrici sul petto e le braccia,
cicatrici che in passato non c’erano, e cominciò a baciare quei segni
uno alla volta, come se il tocco delle sue labbra potesse farli
scomparire, cancellando il dolore che doveva aver provato quando gli erano
state inferte le ferite che li avevano causati. Quando terminò,
indirizzò le sue attenzioni ai capezzoli, che baciò e leccò. Massimo
gemette e affondò le mani nella capigliatura di lei, liberandola dai
pettini, le narici frementi, schiacciando la bocca della donna contro il
proprio petto. Giuliana sorrise e tracciò un umido sentiero sulla sua
pelle, stuzzicandogli le spalle, il collo e le mascelle con piccoli morsi
prima di trovare la sua bocca e reclamare un lungo bacio appassionato.
Quando terminò, fu il turno di Massimo di prendere l’iniziativa e le
sue morbide labbra le sfiorarono l’orecchio, la gola, scesero ai seni e
cominciarono a succhiare con forza i capezzoli, finché lei gemette e le
ginocchia le si piegarono. Con un rapido movimento si piegò e,
dimenticando per una volta il dolore alla schiena, la prese tra le
braccia, andò verso il letto e la depositò nel bel mezzo. Per alcuni
istanti rimase immobile ad ammirare con occhi innamorati e vogliosi il suo
corpo, finché Giuliana si sollevò puntellandosi sui gomiti e lo invitò
a sdraiarsi accanto a lei. Si accarezzarono e si toccarono nei punti dove
provavano più piacere, essendo i loro ricordi ritornati insieme alla
passione, e Giuliana premette i fianchi contro l’erezione di Massimo,
mentre le mani gli accarezzavano la schiena senza sosta.
“Giuliana…” gemette lui, impazzito per la pressione che lei stava
esercitando nel punto in cui sentiva maggiormente il desiderio. “Per
favore…è passato così tanto tempo..…Ti desidero da morire…”
“Allora che cosa aspetti? Sono pronta amore, vieni da me.” Giuliana
allargò le gambe e Massimo non perse altro tempo a scivolarle dentro,
facendola gemere di piacere e un poco anche di dolore, perché era passato
tanto tempo dall’ultima volta che aveva fatto l’amore. Massimo
percepì il suo disagio e mordendosi il labbro inferiore, si sforzò di
restare fermo, finché sentì i muscoli di lei rilassarsi e la donna gli
allacciò le gambe intorno ai fianchi. Egli cominciò allora a muoversi,
prima lentamente, poi con maggiore velocità e forza, spingendo dentro di
lei con completo abbandono, mentre Giuliana dondolava la testa da un lato
all’altro, e gemeva aggrappandosi a lui. Nel loro stato di estrema
eccitazione non potevano restare a lungo e così fu. E Giuliana e Massimo
raggiunsero allo stesso tempo il culmine del loro piacere, gridando
assieme la loro gioia.
Quando l’Ispanico si riprese, sollevò la testa dal seno di Giuliana
e la guardò: stava sorridendo, la gioia le illuminava lo sguardo e, nella
sua posizione, lui poteva sentire come il cuore della donna stesse
galoppando dalla felicità. “Ti amo,” sussurrò lui, mentre il vecchio
sentimento, seppellito ma mai dimenticato, tornava prepotentemente alla
luce.
“Anch’io ti amo, ” gli fece eco lei, “Ti ho sempre amato.”
Lui le cinse le spalle con le braccia e si preparò ad invertire la
loro posizione, quando un improvviso dolore alla parte bassa della schiena
lo fece sussultare.
“Accidenti,” disse, incapace di controllarsi.
“Che succede?”domandò Giuliana, preoccupata.
“Niente di preoccupante, un dolorino ai reni. E’ quasi passato.”
Massimo provò a sminuire la portata del problema, ma l’espressione sul
viso di lei dimostrava che non era stato convincente. La mano di Giuliana
gli percorse la schiena, fino a trovare il segno della pugnalata di
Commodo.
“E questo cos’è?”
Massimo sospirò, “Ti dirò tutto, ma non adesso: è una storia lunga
e sarà il caso di tornare nella sala da pranzo. Sono sicuro che ci stanno
aspettando.
Giuliana annuì, “Hai ragione, sarà meglio andare. Così si
alzarono, iniziarono a cercare i loro indumenti e a raccoglierli. “Pensi
che tuo padre approverebbe le nostre nozze?” Chiese Massimo.
Il cuore di Giuliana riprese a correre, quindi mosse la testa in un
cenno di assenso, “E me lo domandi? Ne sarà entusiasta! Tu sei il
miglior partito di tutto l’Impero!” Lei sorrise ed aggiunse, “Io
credo che abbia già capito che sei il padre di mio figlio: ha sempre
saputo che Livinio non ha generato Massimo e in più di un’occasione ha
commentato quanto fosse strano che il ragazzino abbia gli occhi azzurri
mentre i miei sono castani, come del resto quelli del mio defunto marito.”
“Vedo.” L’Ispanico chiuse le fibbie della sua armatura di cuoio,
“E Massimo? Come la prenderà?”
“Ne sarà felice: lui… lui sa che il suo vero padre non è l’uomo
che fu mio marito ma qualcuno che ho amato e non che ho potuto sposare.
Vedi, nostro figlio è un ragazzo molto sentimentale e gli piace l’idea
di due amanti infelici…” Commentò Giuliana incamminandosi verso lo
specchio e tentando di acconciarsi i capelli alla maniera di prima.
Massimo la seguì, cercando di aiutarla con le forcine, e commentò, “Davvero?”
“Davvero. Farà i salti dalla gioia, quando saprà che tu sei quell’uomo.
Prima, nel triclinio, ho visto come ti guardava e come pendeva dalle tue
labbra: tu per lui, sei il prototipo dell’eroe.”
“Non voglio che Massimo mi veda come un eroe, ma se questo gli
renderà più facile accettarmi, che sia, non me ne dispiacerò.” Il
generale sorrise all’immagine della donna riflessa nello specchio, che
sorrise di rimando.
Infine Giuliana diede un ultimo ritocco ai suoi capelli e disse, “Sono
pronta. Andiamo.”
“Sì, andiamo.” Massimo le offrì il braccio, lei vi appoggiò la
mano ed insieme uscirono dalla stanza, andando felici incontro al loro
futuro.
FINE