MISSIONE
DI SOCCORSO
di Ilaria Dotti
176 DC.
Massimo Decimo Meridio entrò nel suo alloggio
richiudendosi la tenda alle spalle per tenere fuori il
freddo vento invernale. Il Generale era stanco morto ma
la vista della tinozza di legno già collocata vicino ai
bracieri lo rianimò un po'.
"Che gli dei ti benedicano, Cicero!" esclamò
al suo attendente "Che cosa farei se non ci fossi tu!"
Cicero gli si avvicinò sorridendo e lo aiutò a
liberarsi del mantello e della pesante armatura di cuoio.
Poi mentre Massimo finiva di spogliarsi andò a versargli
l'acqua calda per il bagno.
"Ah," sospirò il Generale immergendosi e
lasciando che l'acqua profumata di erbe lavasse via il
fango, il sudore e parte della stanchezza accumulata
negli ultimi giorni. Posò il capo sul bordo della
tinozza e chiuse gli occhi. Con un po' di concentrazione
poteva anche riuscire a dimenticare di trovarsi nel mezzo
di un paese inospitale e pensare di essere a casa sua,
sulle dolci e calde colline di Trujillo. Poteva anche
immaginare di essere nella stanza da bagno della sua
villa e di sentire su di se le mani delicate di sua
moglie intenta a strofinargli spalle...........Purtroppo
però il rumore di un drappello di soldati che marciava
fu più che sufficiente a riportarlo bruscamente alla
realtà.
Cicero gli si avvicinò silenzioso e gli porse una coppa
di vino caldo.
"Grazie, amico mio." mormorò Massimo
prendendola e portandosela alle labbra.
"Vuoi che ti versi ancora dell'altra acqua?"
chiese l'attendente.
"Sì, grazie: ho intenzione di restare a bagno
ancora per un po'. Accidenti, si vede che sto proprio
diventando vecchio, una volta non mi riducevo in questo
stato dopo una sola notte passata in bianco."
Cicero sorrise e replicò "Una sola? A me sembrano
almeno tre! E so che molti soldati più giovani di te
sono stati sorpresi a dormire già la prima notte dopo
che è scattato l'allarme. Quinto era furibondo, abbiamo
sentito le sue urla per tutto l'accampamento!"
Massimo fece una smorfia "Quinto è troppo nervoso
in questi giorni, ma del resto che di noi non lo è?
Questi barbari sono subdoli ma sono molto furbi. Ci
stanno logorando lentamente i nervi. Sanno che non
possono batterci in uno scontro diretto e allora hanno
deciso di tenerci sempre sul chi vive, nella speranza di
farci commettere qualche errore fatale. Invece di
affrontarci preferiscono attaccare i vari villaggi e
ritrarsi prima del nostro arrivo, mantenendoci in una
stato di continua tensione, a romperci la testa nel
tentativo di prevedere quale sarà il loro prossimo
obiettivo."
Il Generale sospirò e sorseggiò il vino.
"Non potremmo stanarli, Massimo?"
Massimo si lasciò scappare un breve risata "Stanarli,
amico mio? E come? Queste foreste sono un labirinto pieno
di nascondigli. L'unica possibilità sarebbe quella di
incendiare i boschi per costringere i barbari a riparare
in qualche radura dove sarebbero un facile bersaglio, ma
ora come ora, con questi forti venti che non smettono mai
di spirare, sarebbe un suicidio dare fuoco agli alberi
perché non saremmo in grado di controllare le fiamme e
rischieremmo di rimanere intrappolati."
In quel momento si udì del trambusto fuori dalla tenda e
la voce di Quinto gridò, "Massimo, posso entrare?
E' urgente!"
Massimo lasciò cadere la coppa ormai vuota ed afferrò
la coperta portagli dal fidato Cicero. Alzandosi in piedi
si avvolse in essa ed uscì dalla tinozza, mentre
l'attendente andava ad aprireil lembo della tenda.
Quinto, il suo secondo in comando, entrò di corsa e
disse "Massimo, siamo nei guai: i barbari hanno
catturato l'imperatore!"
II
"Cosa!?" esplose il Generale.
Quinto annuì poi mise la testa fuori della tenda e gridò,
"Tu, vieni subito qui!" Pochi secondi dopo
spinse nella tenda un giovane soldato, vestito con una
armatura nera. Massimo riconobbe subito l'uniforme dei
pretoriani, la guardie del corpo dell' imperatore e della
sua famiglia. Il giovane era infreddolito, sporco di
fango e perdeva sangue da una ferita sulla fronte.
"Parla soldato!" gli ordinò secco Quinto.
Il pretoriano fece scorrere lo sguardo confuso tra Quinto
e Massimo e poi cominciò a parlare a scatti ed in
maniera appena comprensibile. "Generale...siamo
stati attaccati....erano dappertutto....il comandante ha
ordinato....sono tutti morti...e l'imperatore.." Il
ragazzo sembrava non essere in grado di dire una sola
frase coerente e per quantofosse impaziente, Massimo
decise di andarci piano.
"Cicero" ordinò "offrigli una coppa di
vino." Poi si avvicinò al pretoriano e gli disse,
"Dimmi ragazzo, quale è il tuo nome?"
"Antonio, signore."
"Bene, Antonio, ora ascoltami. Ho bisogno di sapere
che esattamente cosa è successo. Calmati un attimo, bevi
un po' di vino e poi raccontami tutto."
Antonio annuì e guardò ammirato Massimo, che non aveva
perso nulla della sua dignità e della sua statura di
Generale anche se indosso aveva solo una coperta di lana.
La sua forza e il suo carisma erano così palpabili che
il giovane pretoriano senti l'irresistibile impulso di
fare tutto ciò che fosse in suo potere per compiacerlo.
Bevve il vino e riacquistata la sua compostezza cominciò
a raccontare.
"Siamo partiti cinque giorni dall'accampamento base,
perché l'imperatore voleva trascorrere qualche giorno
con gli uomini della Legione Felix. Abbiamo viaggiato
leggeri, solo il carro imperiale e trentacinque uomini di
scorta. Tutto è andato bene finché stamattina presto
non siamo stati attaccati." Il pretoriano si
interruppe e Massimo lo esortò a continuare con uno
sguardo. "E' stato un massacro. Ci hanno preso alla
sprovvista e quasi tutti i miei compagni sono morti...."
"E l'imperatore?" domandò Quinto.
"L'imperatore è stato fatto prigioniero. Lo hanno
condotto nel loro accampamento perché vogliono chiedere
un riscatto."
"Come fai a saperlo?"
"Lo so perché li ho seguiti. Io sono rimasto ferito
quando il mio cavallo è stramazzato al suolo colpito da
una freccia, poco lontano dal resto del gruppo. Ad ogni
modo, quando ho visto che le cose si mettevano male, mi
sono nascosto pensando che avrei potuto essere più utile
all'imperatore da vivo che da morto. Così ho visto i
barbari prendere prigioniero Cesare e trascinarlo via.
Alcuni di loro parlano una specie di latino e li ho
sentiti ripetere più volte la parola "riscatto".
Dopo un po' di tempo si sono allontanati con l'imperatore
e si sono inoltrati nella foresta e io li ho seguiti fino
al loro accampamento.....Poi mi sono messo alla vostra
ricerca: sapevo che non eravate molto distanti e
ringraziando gli dei, sono riuscito a trovarvi."
Massimo annuì con aria grave e domandò ad Antonio
"Saresti in grado di ritrovare quell'accampamento?"
"Certo, signore."
"Anche al buio?"
"Sì, Generale, anche al buio."
Massimo annuì ancora poi si rivolse a Quinto "Raduna
la cavalleria e falla preparare: tra al massimo venti
minuti voglio mettermi in marcia."
Il suo secondo in comando assentì e poi uscì di corsa
dalla tenda. Massimo tornò a rivolgersi al giovane
pretoriano "Vai a farti medicare quella ferita e poi
vai nelle scuderie a farti dare un cavallo."
"Sì, signore." scattò Antonio e poi uscì a
sua volta.
Una volta soli, Massimo si voltò a guardare Cicero che
gli si era avvicinato con la sua uniforme e sospirò,
"A quanto pare non riuscirò a dormire neanche
stanotte."
Il suo attendente fece un sorriso grave e poi lo aiutò a
rivestirsi.
III
La marcia nella buia foresta parve interminabile, ma alla
fine Massimo e i suoi uomini giunsero in prossimità
dell'accampamento nemico, che si trovava in una piccola
radura. Grazie all'ottimo senso dell'orientamento di
Antonio, fu possibile per Massimo lasciare la maggior
parte degli uomini e i tutti i cavalli a distanza di
sicurezza ed avvicinarsi all'accampamento a piedi, in
maniera da poterne studiare la struttura. Prima di
sferrare l'attacco era infatti fondamentale scoprire dove
fosse tenuto l'imperatore.
Massimo e Quinto si accucciarono dietro a dei cespugli e
studiarono i loro nemici.
C'era aria di festa nell'accampamento, come se i germani
stessero celebrando la cattura del loro importante
prigioniero. Tuttavia, quello che più colpì Massimo fu
la maniera ordinata in cui erano disposte le tende, così
inusuale per un accampamento barbaro. Mentre rifletteva
su quella stranezza gli tornarono in mente alcune parole
pronunciate da Antonio e tutto gli fu improvvisamente
chiaro.
"Quinto, dobbiamo stare attenti. Credo che il capo
di questa gente sia un disertore delle truppe ausiliarie."
"Come fai a dirlo?"
"Guarda come è strutturato l'accampamento: sembra
il nostro, solo che è in scala ridotta. E poi ricordati
che il pretoriano ha detto che alcuni barbari parlavano
un po' di latino....Dove avrebbero potuto impararlo se
non nell'esercito?"
Quinto assentì, "Hai ragione. Io ho sempre pensato
che non ci si dovesse fidare di questa gente e farne
degli ausiliari. Questi barbari non capiscono che la
forza e gli atti di clemenza dell'imperatore sono
interpretati come debolezze. Dovremmo sterminarli tutti e
farla finita una volta per tutte."
Massimo annuì distrattamente e poi indicò qualcosa con
la mano "Forse so dove potrebbe essere l'imperatore."
Quinto strizzò gli occhi e guardò nella direzione
indicata "Dove?"
"Vedi quelle due tende al centro dell'accampamento?
Sono le uniche con degli uomini di guardia. Credo che in
una di esse ci sia l'imperatore e nell'altra,
probabilmente, il capo tribù."
I due rimasero in osservazione per qualche minuto ancora
e poi tornarono indietro dal resto degli uomini.
Una volta ricongiuntosi con il resto dei suoi soldati
Massimo spiegò la situazione e poi illustrò il suo
piano di battaglia.
"Li attaccheremo non appena inizierà ad albeggiare,
colpendoli contemporaneamente su due lati. Io attaccherò
frontalmente mentre Quinto li prenderà alle spalle.
L'imperatore dovrebbe trovarsi in una delle due tende
centrali: dobbiamo riuscire a raggiungerlo, a liberarlo e
a portarlo via il più in fretta possibile. E' tutto
chiaro?"
"Sì, Massimo!" dissero all'unisono i cavalieri
e il Generale sorrise.
"Ora riposatevi un po', se ce la fate. L'alba
arriverà fin troppo presto."
Massimo si allontanò da loro e andò a sedersi sotto un
albero. Prima di ogni battaglia sentiva il bisogno di
starsene da solo a riflettere e a concentrarsi. Chiuse
gli occhi e appoggiò la testa contro il tronco,
respirando a pieni polmoni l'aria profumata di pino.
Dietro le sue palpebre chiuse cominciarono a danzare
immagini di Marco Aurelio. Massimo amava l'imperatore
come un padre ma a volte trovava alcune sue abitudini,
come quella di fare visite a sorpresa, molto frustranti.
Le improvvisate potevano andare bene in zone già sotto
il completo controllo romano, ma non vicino alla
frontiera renana - danubiana. E poi i Pretoriani, la
guardia speciale dell'imperatore, erano soldati che
raramente avevano partecipato a qualche battaglia e non
possedevano l'esperienza sul campo dei Legionari.
Massimo riaprì gli occhi dopo quelli che gli parvero
solo pochi minuti ma quando alzò gli occhi verso la luna
si accorse che la sua posizione era mutata. Per quanto
aveva dormito? si domandò distrattamente. Non aveva
importanza, ora era il momento di agire. Si alzò in
piedi e tornò verso i suoi uomini.
Non appena i soldati lo videro, scattarono in piedi e uno
di loro gli si avvicinò con il suo cavallo, il fido
Argento, nato lo stesso giorno in cui Massimo aveva
conosciuto Marco Aurelio.
Il Generale si avvicinò a Quinto e disse "E' ora.
Andate a prendere posizione. Attaccheremo non appena il
sole sorgerà."
Quinto annuì e Massimo sollevò la sua spada e disse
"Forza e onore!"
"Forza e onore!" gli risposero in coro i
soldati, che da tempo avevano adottato come proprio il
motto del loro Generale.
Massimo guardò Quinto allontanarsi con parte della
cavalleria ed inoltrarsi nel folto della foresta, per
poter aggirare da un distanza sicura l'accampamento
nemico e portarsi alle sue spalle senza far scattare
l'allarme.
Quando furono scomparsi, il Generale si chinò e raccolse
una manciata di terriccio, fregandosela lentamente tra le
mani. Era un gesto che ripeteva prima di ogni battaglia,
e che i suoi uomini conoscevano bene, ma se qualcuno gli
ne avesse chiesto il significato, lui non sarebbe stato
in grado di dirglielo. Non sapeva nemmeno lui perché lo
facesse. Forse era per avere una migliore presa sull'elsa
della spada o forse perché il toccare la terra lo faceva
sentire più vicino alla sua eredità contadina, a quella
che lui considerava la sua vera vita. O forse perché,
morbosamente, pensava alla possibilità di morire e
quella manciata di terra simboleggiava il terriccio che
un giorno avrebbe ricoperto il suo corpo. Probabilmente,
pensava Massimo, si trattava di un misto di tutte e tre
queste ragioni.
Ad ogni modo, compiuto il rituale, Massimo si infilò
l'elmo e montò in sella, preparandosi all'attesa.
Il tempo passò con lentezza esasperante ma piano il buio
della notte lasciò posto alla prima luce dell'alba.
Massimo scrutò in lontananza, nel punto dove avrebbero
dovuto trovarsi Quinto e i suoi uomini e annuì con
approvazione scorgendo il rosso pennacchio che ornava
l'elmo del suo secondo in comando.
Voltò il cavallo verso la strada e sollevata la spada
ordinò, "Seguitemi."
I cavalleggeri sguainarono le loro armi e in formazione
compatta seguirono il loro Generale.
IV
L'accampamento barbaro si stava appena risvegliando dopo
una notte di bagordi quando i suoi occupanti sentirono la
terra tremare. Non fecero nemmeno in tempo a chiedersi
che cosa stesse succedendo che i soldati romani gli
furono addosso, lanciando alte grida di guerra.
I germani afferrarono le loro armi e cercarono di
resistere ma non poterono nulla contro gli uomini della
Legione Felix che consideravano la cattura del loro
imperatore come un' onta che andava lavata solo con un
massacro.
Le due ali della cavalleria piombarono sul villaggio
quasi in contemporanea e cominciarono a falciare i
barbari senza alcuna pietà.
Massimo si fece largo tra i nemici come una falce tra il
grano, combattendo come una furia, guidato più
dall'istinto che dalla ragione, il gladio la naturale
estensione del suo braccio. Davanti a lui si stagliava il
suo obiettivo, le due tende centrali che doveva
raggiungere prima che qualche barbaro decidesse per
vendetta di uccidere l'imperatore.
Scese di sella e si fece largo a colpi di spada,
uccidendo chiunque gli si parasse davanti. Alla fine
raggiunse le tende e guardò dentro di esse. La prima era
vuota, ma nell'altra, ringraziando gli dei, vide la
sagoma del suo imperatore, nobile e fiero anche se era
legato e imbavagliato.
Marco Aurelio guardò il suo Generale e sollevò i polsi
in maniera che Massimo potesse recidere la corda che li
serrava con un rapido colpo di spada. L'imperatore si alzò
in piedi, togliendosi il bavaglio e poi si rivolse al suo
salvatore. "Sapevo che saresti arrivato Massimo, ne
ero certo."
Massimo annuì con la testa e poi disse "Cesare, ti
devo portare fuori di qui. Stammi il più vicino
possibile."
Marco Aurelio annuì, prendendo ordini da l'unico uomo al
mondo da cui li avrebbe accettati, e seguì Massimo fuori
dalla tenda.
All'esterno la battaglia era quasi finita e il terreno
era ormai ricoperto di sangue, di morti e di feriti. I
soldati della Legione Felix si aggiravano qua e là
distribuendo colpi di grazia e radunando i barbari che si
erano arresi.
Massimo fece un cenno a uno dei suoi uomini di portare un
cavallo all'imperatore e il soldato obbedì prontamente.
Il Generale aiutò l'anziano Cesare a salire in sella e
quando i legionari lo videro proruppero in esclamazioni
di gioia. Marco Aurelio alzò la mano per zittirli ed aprì
la bocca per dire qualcosa quando un urlo bestiale lacerò
l'aria e un gigante barbaro, coperto di pelli si fece
avanti brandendo una spada. L'uomo abbatté come fuscelli
i soldati che gli si pararono davanti e si avventò
sull'imperatore. Massimo lo vide arrivare e reagì
immediatamente, colpendo il cavallo dell'imperatore di
piatto con la spada e facendolo allontanare. Il barbaro
emise un altro urlo terrificante e gli si lanciò contro.
Massimo riuscì a frenare l'assalto a mala pena ma una
volta recuperato l'equilibrio prese a rispondere ai colpi
dell'avversario come un tutta la sua forza. Tutto attorno
a loro i legionari cercavano di colpire il gigante ma i
due duellanti erano troppo vicini per poter arrischiare
un colpo. Il barbaro combatteva bene e il Generale,
riconoscendo la tecnica romana si rese conto di avere
davanti l'ausiliario traditore.
All'improvviso Massimo scivolò sul terreno reso viscido
dal sangue e cadde a terra. Il capo tribù gli fu subito
addosso e cercò di infilzarlo con la spada. Massimo
riuscì a rotolare via ma non abbastanza velocemente per
evitare del tutto il colpo. Il metallo gli morse la carne
di una coscia, e il Generale strinse i denti per
soffocare un gemito. Il dolore però parve dargli nuovi
stimoli e rialzatosi in piedi, seppure zoppicante, si
lanciò nuovamente sul suo nemico. Sapeva che non poteva
abbatterlo usando la forza bruta e allora usò l'astuzia:
finse di scivolare di nuovo ma questa volta quando il
gigante sollevò la spada per colpirlo lui era pronto. Si
rialzò di scatto e gli piantò il suo gladio nel petto
con tanto impeto che la lama passò da parte a parte. Il
gigante barcollò, lasciando cadere la spada e fu subito
fatto a pezzi dai soldati romani.
Grida di vittoria si alzarono giubilanti ma si
interruppero bruscamente quando Massimo, mossi pochi
passi verso l'imperatore, stramazzò al suolo, faccia in
giù nel fango.
Quinto si precipitò su di lui e lo voltò con
delicatezza. Il respiro del Generale era debole e
affrettato e il suo viso era coperto di sudore. Le mani
di Quinto corsero alla coscia ferita e strapparono il
tessuto intriso di sangue, mettendo a nudo lo squarcio.
Il soldato si lasciò scappare un'imprecazione e poi,
toltosi la cintura, la strinse attorno alla coscia del
suo comandante, a monte della ferita per frenare
l'emorragia. Poi si tolse anche il mantello e lo usò
come bendaggio provvisorio. Quando sollevò la testa si
accorse che tutti i soldati si erano raccolti attorno a
lui e a Massimo ed attendevano con un'ansia le sue parole.
Quinto si rialzò e si rivolse all'imperatore, che si era
fatto largo e che lo stava fissando con aria
interrogativa. "E' vivo, Cesare, ma dobbiamo
portarlo all'accampamento il più velocemente possibile.
Se la ferita non verrà cauterizzata al più presto,
morirà dissanguato."
Marco Aurelio annuì e disse "Fate tutto quello che
è necessario per sarvargli la vita e non badate troppo a
me."
"Sì, Cesare." rispose Quinto e cominciò a
dare ordini per il trasporto di Massimo.
V
Nell'accampamento romano regnava un'atmosfera di calma
irreale:gli uomini attendevano ai loro doveri senza fare
rumore o cercando di farne il meno possibile e alla
distribuzione del rancio o nelle tende dormitorio non si
sentivano né storielle spinte né risate. Persino gli
animali sembravano più tranquilli del solito.
Davanti alla tenda di Massimo era radunato un piccolo
gruppo di soldati. Gli uomini andavano avanti ed
indietro, scambiandosi poche parole, in attesa di avere
notizie del loro amato Generale.
All'improvviso un uomo alto e distinto fece la sua
comparsa e i legionari si fecero da parte, chinando la
testa e mormorando "Cesare."
Marco Aurelio entrò nella tenda e si diresse verso la
parte più privata dell'alloggio. Massimo era a letto,
sepolto sotto una pila di pellicce, la gamba sinistra
avvolta dalle bende. Al suo fianco, seduto su uno
sgabello, c'era Cicero. L'attendente si preparò ad
alzarsi non appena scorse l'imperatore ma Marco Aurelio
lo fermò con un gesto della mano. "Stai comodo,
figliolo." disse a voce bassa. Poi si avvicinò al
letto e chiese "Nessun segno di risveglio?"
Cicero scosse la testa tristemente e sospirò.
L'imperatore guardò meglio il giovane attendente, il cui
viso era pallido e tirato e domandò "Da quanto
tempo non dormi e non mangi?"
Cicero scrollò le spalle e rispose "Non lo so,
signore: ho perso la nozione del tempo."
Marco Aurelio sorrise debolmente e disse, "Ho visto
che la cucina ha appena sfornato dello stufato: va a
prendertene una ciotola. Penserò io a stare di guardia."
Cicero nascose il suo stupore e con un inchino
rispettoso, lasciò il suo sgabello all'imperatore e si
allontanò.
Marco Aurelio si sistemò al fianco del letto e si chinò
su Massimo, contemplando quei lineamenti forti e allo
stesso tempo gentili che aveva imparato ad amare come e
più di quelli di un figlio. Il Generale aveva gli occhi
chiusi e sembrava semplicemente addormentato, ma il
medico che aveva cauterizzato la ferita aveva detto che
c'era la possibilità che non si risvegliasse mai più.
L'imperatore rimase alcuni minuti con lo sguardo perso
nel vuoto a pensare. Doveva esserci un modo per
richiamare Massimo alla vita, non poteva lasciarlo
scivolare nei Campi Elisi senza nemmeno lottare.
Lottare.....ecco quella era la chiave. Marco Aurelio si
chinò e scostò le stuoie che ricoprivano il terreno,
mettendolo a nudo. Poi raccolse una manciata di terriccio
e, prese le mani di Massimo, le strofinò tra le sue,
imitando il gesto che gli aveva visto compiere
innumerevoli volte prima di una battaglia. Dopodiché,
tenendo le mani del ferito tra le sue gli disse con voce
decisa "Generale, ora sei pronto per combattere e io
ti ordino di farlo! Non puoi lasciarti andare senza
lottare, la tua vita è troppo preziosa. Cerca dentro di
te, sicuramente c'è qualcosa per cui vale la pena
combattere."
Massimo rimase immobile ma l'imperatore fu quasi certo di
avere avvertito un movimento tra le mani.
"Forza Massimo," lo incoraggiò ancora "svegliati
e ti prometto che ti concederò tutto quello che vorrai."
La mano del ferito si mosse di nuovo poi le sue palpebre
tremolarono e alla fine si aprirono. Marco Aurelio lasciò
che un ampio sorriso gli si dipingesse sul volto e disse
"Ben tornato tra noi, Massimo."
Il Generale sbatté le palpebre alcune volte e poi fissò
i suoi occhi azzurro- verdi in quelli dell'imperatore.
"Casa..." sussurrò con voce debole.
"Che cosa?" domandò Marco Aurelio.
"Voglio andare a casa." ripeté Massimo con
voce leggermente più forte.
"Oh" commentò l'imperatore sorridendo "ti
stai riferendo alla ricompensa che ti ho promesso per
vincere questa battaglia?"
Massimo annuì e Marco Aurelio gli sorrise di nuovo
"Allora rimettiti in fretta, amico mio, perché non
appena sarai in grado di cavalcare ti attenderà un lungo
viaggio. Credo che l'Hispania sia splendida in questo
periodo dell'anno e sicuramente un gran miglioramento
rispetto a questo posto da lupi."
Massimo sorrise e sussurrò "Grazie Cesare"
prima di chiedere gli occhi e ripiombare nel sonno.
"Grazie a te Massimo" mormorò l'imperatore,
prima di alzarsi per andare a dare la buona notizia al
resto dell'accampamento. (segue)
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