IL PRIMO INCONTRO
di Ilaria Dotti
CAPITOLO I
161 D.C.
Il convoglio procedeva lentamente lungo la strada
polverosa. All'interno del carro che avanzava tra continui scossoni
l'imperatore Marco Aurelio si accarezzava la folta barba sale e pepe,
perso chissà dove con la mente. Di fronte a lui sedeva sua figlia Lucilla
che guardava un po' annoiata il monotono paesaggio rurale che si estendeva
a perdita d'occhio tutt'intorno a loro.
Un sobbalzo più violento del solito riscosse
l'imperatore dai sui pensieri ed egli si lasciò scappare un'imprecazione.
Sua figlia sorrise, "Porta pazienza, padre, porta
pazienza."
Marco Aurelio ricambiò il sorriso, "Porterò
pazienza, figlia mia, ma temo che essa sparirà non appena avrò davanti
l'uomo che avrebbe dovuto occuparsi della manutenzione di questa
strada."
"Quanto ci vorrà ancora per arrivare
all'accampamento?" chiese la ragazza.
"Dovremmo arrivare entro stasera, strada
permettendo."
"Credi che il tuo arrivo creerà scompiglio?"
"Ne sono certo, ma voglio vedere di che tipo. Se il
campo è ben organizzato e le truppe disciplinate, l'arrivo in incognito
dell'imperatore per un'ispezione a sorpresa non dovrebbe causare troppi
problemi. Se invece ci sono delle mancanze nella gestione, esse
risulteranno tutte, senza possibilità di essere celate."
Il carro centrò l'ennesimo buco ma questa volta Marco
Aurelio si accorse che qualcosa non andava nell'assetto del mezzo.
L'imperatore si sporse dal finestrino proprio mentre il conducente
arrestava i cavalli e domandò,"Che succede?"
Una delle guardie pretoriane si avvicinò e disse
rispettosamente, "Cesare, una delle ruote è rimasta danneggiata.
Temo che non sarà in grado di reggere fino a destinazione."
L'imperatore riflettè un attimo sul da farsi e
scorgendo una casa poco lontana prese una decisione. Si voltò verso la
sua scorta e ordinò, "Uno di voi raggiunga l'accampamento e torni
indietro con un carpentiere. Noi invece proseguiremo fino a quella
fattoria e chiederemo ospitalità per la notte."
"Come desideri Cesare, "rispose il capo della
scorta, "Manderò subito due uomini ad annunciare il tuo arrivo e a
... "
"No, non farai nulla di tutto questo. Creeremo già
abbastanza problemi a quella gente con la nostra visita improvvisa, non
voglio che siano anche spaventati a morte dalla mia presenza. Abbiamo
viaggiato in incognito fino ad ora e continueremo a farlo. Io mi
presenterò come l'ediles Lucio Vicinio
in viaggio verso l'accampamento con sua figlia Lucilla.
E' chiaro?"
Tutti quanti, inclusa Lucilla, assentirono.
CAPITOLO II
Massimo Decimo Meridio aveva appena finito di
accatastare sul carro le anfore di vino e olio destinate al mercato
quando, passandosi un braccio sulla fronte per detergersi il sudore, vide
un carro ed alcuni uomini a cavallo imboccare lentamente il viale che
conduceva alla sua casa.
Il ragazzo aggrottò la fronte. Di chi poteva trattarsi?
Prudente per natura, andò a cercare il capo della servitù della
fattoria.
"Publio," gli disse non appena lo ebbe
trovato, "manda tutte le donne al riparo e fai rientrare gli uomini
dai campi. Sta arrivando della gente a cavallo e un carro e voglio essere
preparato nel caso ci sia qualcosa che non va: coi tempi che corrono non
si può mai sapere."
Publio, un omone grande e grosso dal viso cotto dal
sole, obbedì immediatamente, "Agli ordini domine."
Massimo tornò nel cortile, spostò il carro e si mise
in attesa degli inaspettati ospiti.
Dopo alcuni minuti il carro e i cinque cavalieri
raggiunsero l'aia davanti alla villa e si arrestarono.
Marco Aurelio scese dal carro e si guardò attorno. Il
suo occhio da soldato notò immediatamente i venti contadini con in mano
falci e forconi, atteggiati in una posa di tutto riposo che l'imperatore
non dubitò sarebbe scomparsa se lui o i suoi uomini avessero compiuto
gesti ostili. Al centro del gruppo, davanti alla porta di casa, c'era un
ragazzo sui quattordici anni che Marco Aurelio comprese essere il padrone
di casa. Gli si avvicinò e lo studiò interessato, percependo la forte e
quieta energia che egli emanava. Alto, robusto, coi capelli neri e un
mento volitivo, aveva il suo tratto più distintivo negli occhi azzurro -
verdi, dotati di un'intensità non comune. Guardandoli l'imperatore si
ritrovò a pensare al detto che affermava che gli occhi erano lo specchio
dell'anima, e nel caso di quel ragazzo, era certamente vero.
Massimo scrutò l'uomo che gli si stava avvicinando e
provò subito un'istintiva simpatia ed un profondo senso di rispetto. Alto
e fiero, sicuramente nobile, emanava un'aurea di pacata autorità. Il
ragazzo ne fu subito affascinato.
"Ave," esordì l'uomo, "Sono
l'edile Lucio Vinicio, in viaggio verso gli accampamenti delle legioni
iberiche. Una ruota del mio carro è rimasta danneggiata da un fosso e se
non vi creiamo troppo disturbo, vorrei chiedervi ospitalità per la notte.
Naturalmente sarete ricompensati adeguatamente."
Massimo annuì e si presentò a sua volta, "Ave,
nobile edile, io sono Massimo Decimo Meridio.
Sei il benvenuto nella mia casa. Se vuoi seguirmi ti
mostrerò dove potrai alloggiare." Poi si rivolse ai suoi contadini,
facendo loro un cenno d'intesa con la testa. "Publio, occupati dei
cavalli."
In quel mentre la porta del carro si aprì e Lucilla
scese da esso, guardandosi attorno.
Massimo sgranò gli occhi: era senza dubbio la più
bella ragazza che avesse mai visto, con i suoi lunghi capelli
biondo-castano chiaro e i suoi lineamenti aristocratici.
Marco Aurelio tese la mano a sua figlia e poi la
presentò al loro ospite. I due ragazzi si fissarono negli occhi e fu
subito chiaro che l'attrazione era reciproca. L'imperatore li guardò
benevolo finché Massimo non si riscosse imbarazzato e fece loro strada in
casa.
CAPITOLO III
Marco Aurelio era alla finestra della sala da pranzo e
guardava fuori nel cortile dove il suo giovane ospite, sdraiato per terra,
stava riparando la ruota del suo carro, chiaccherando nel frattempo
animatamente con il Pretoriano che lo stava aiutando, un omone taciturno
che di solito si limitava a rispondere a monosillabi.
"Non c'è che dire," pensò
l'imperatore sorridendo "il ragazzo ha davvero un gran carisma."
Un rumore soffocato alle sue spalle lo fece voltare,
giusto in tempo per vedere la padrona di casa, la madre di Massimo, che si
chinava a raccogliere ansiosa un cucchiaio di legno cadutole per terra
mentre apparecchiava tavola.
Marco Aurelio le si rivolse gentilmente, "Domina
Flavia, non è necessario che tu ti aggiri di soppiatto per casa tua
timorosa di disturbarci. Ti stiamo già creando abbastanza grattacapi con
la nostra presenza, perchè tu debba preoccuparti di queste piccolezze.
Svolgi tranquillamente i tuoi compiti come sei abituata, e fai pure tutto
il rumore che desideri!"
La donna, una signora dai capelli neri appena striati di
grigio, annuì grata e poi, affascinata come suo figlio da quell'uomo
nobile e allo stesso tempo semplice, gli si avvicinò e guardò con lui
fuori dalla finestra. Vedendo Massimo al lavoro un sorriso compiaciuto le
si dipinse sul volto.
L'imperatore lo notò e disse, "Devi essere
orgogliosa del tuo ragazzo."
"Lo sono." rispose la donna.
"Ho l'impressione che sia un gran lavoratore."
"Lo è, anche troppo." commentò Flavia con un
sospiro.
Marco Aurelio la fissò interrogativamente e lei
continuò, "Da quando mio marito è morto, sei mesi fa, Massimo ha
preso le redini della fattoria, dimostrandosi un ottimo amministratore. Il
problema è che ora non ha più tempo per i suoi amici e per i
divertimenti tipici della sua età. Lavora tutti i giorni e quando non
lavora, trascorre il suo tempo sui libri, a studiare. E presto dovrà
partire per il servizio militare." La donna si lasciò sfuggire un
altro sospiro, lanciò un'occhiata carica d'affetto a suo figlio e tornò
alle sue incombenze. L'imperatore rimase al suo posto, a riflettere e a
domandarsi se suo figlio Commodo avrebbe mai dimostrato un briciolo della
buona volontà e del senso del dovere che caratterizzavano Massimo.
CAPITOLO IV
Era tarda sera e la grande casa era avvolta nel
silenzio.
Massimo sedeva alla scrivania in camera sua con davanti
un papiro con gli scritti di Senofonte che stava cercando di tradurre dal
greco. Quella sera però non riusciva a concentrarsi: i suoi occhi, invece
dei caratteri dell'alfabeto greco, continuavano a vedere il viso di
Lucilla.
A cena avevano seduto l'uno di fronte all'altra e lui
era rimasto completamente affascinato da lei. Lucilla era diversa dalle
ragazze di campagna a cui era abituato: era spavalda, provocante, allegra
e molto intelligente. Avevano chiaccherato a lungo e avevano scoperto di
avere alcune cose in comune, per quanto fosse possibile tra due persone
che vivevano in ambienti così diversi: lei nella grande Roma, fulcro
dell'impero e crogiolo di popoli e culture e lui nella piccola Trujillo,
dove al massimo si poteva incontrare qualche mercante nord africano.
Un leggero colpo sulla porta richiamò la sua attenzione
e il ragazzo si voltò giusto in tempo per vedere Publio sporgersi dallo
stipite, "Domine, mi avevi detto di avvertirti. Ci siamo
quasi, Luna è prossima al parto."
Massimo si alzò di scatto e disse, "Grazie. Ora
vai pure a dormire, Publio, me ne occuperò io." Prese una lucerna e
uscì di casa dirigendosi verso la scuderia, senza sapere di essere
osservato.
Lucilla era appoggiata alla finestra della sua stanza
guardava fuori e contemplava il paesaggio rurale. C'era luna piena quella
notte e i suoi raggi argentei illuminavano campi, alberi ed edifici.
La casa era silenziosa ma la ragazza non riusciva a
prendere sonno: i suoi pensieri insistevano a ritornare sul giovane
padrone di casa. Continuava a rivedere i suoi bellissimi occhi chiari e il
suo sorriso gentile e a ripensare alla loro conversazione durante la cena.
Avevano discusso di storia, filosofia e letteratura e lei era rimasta
affascinata dal suo modo di esprimersi, con poche ma precise parole. Era
anche rimasta sorpresa di trovare tanto interesse per simili argomenti da
parte di un ragazzo di campagna.
Il rumore di una porta che si apriva e si richiudeva
attrasse la sua attenzione e Lucilla vide Massimo dirigersi a passo svelto
verso quelle che lei sapeva essere le scuderie. Incuriosita e desiderosa
di passare ancora un po' di tempo con lui, la ragazza si rivestì
velocemente e lo seguì.
CAPITOLO V
Lucilla spinse lentamente la porta ed entrò nella
scuderia. Tutto intorno a lei era buio ma la ragazza scorse un debole
bagliore proveniente da una stalla localizzata dall'altra estremità
dell'edificio e vi si diresse.
Quando fu abbastanza vicina cominciò a sentire una voce
che parlava molto piano, in tono suadente. Sporse la testa e vide Massimo
seduto sulla paglia al fianco di una cavalla in preda alle doglie. Il
ragazzo si era sfilato la tunica, rimanendo con indosso solo la fascia
inguinale, e Lucilla rimase a fissare la sua schiena abbronzata.
Massimo stava sussurrando frasi d'incoraggiamento a
Luna, accarezzandole il fianco sudato, quando fu colto dalla netta
sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Si voltò di scattò e vide
che si trattava di Lucilla.
La ragazza sobbalzò al suo rapido movimento ma si
riprese subito. "Ciao." disse cercando di intavolare una
conversazione.
"Ciao a te. Che cosa ci fai qui?"
"Ti ho visto uscire e visto che non riesco a
dormire ho deciso di seguirti."
"Uhm, uhm," annuì Massimo e tornò ad
occuparsi della cavalla.
"Posso aiutarti in qualche modo?" domandò
Lucilla.
"Hai mai fatto nascere un puledro?" chiese lui
sorridendo.
"No, ma c'è sempre una prima volta," e così
dicendo sollevò l'orlo della sua tunica con le mani ed entrò nella
stalla, andandosi a sedere vicino a Massimo.
Le acque di Luna si erano già rotte e gli zoccoli
anteriori del puledro stavano già cominciando a spuntare. Nel vederli
Massimo emise un sospiro di sollievo. Lucilla lo guardò
interrogativamente e lui spiegò "Vuol dire che il puledro è messo
nella posizione giusta per uscire. A volte capita che sia girato al
contrario e allora le probabilità di perdere sia il figlio che la madre
sono molto alte."
Lucilla annuì e poi tornò a guardare l'affascinante
spettacolo della vita che nasceva, mentre Massimo incoraggiava la fattrice
a compiere gli ultimi sforzi. Dopo un po' il viso del ragazzo si oscurò e
lui si chinò per ispezionare meglio la cavalla.
"C'è qualcosa che non va?"
Massimo strinse le labbra "Il puledro è molto
grosso e dato che è il suo primo figlio lei è ancora molto stretta. Devo
aiutarla a far scivolare le spalle del puledro, dopo se la caverà da
sola."
"Posso darti una mano?" offrì sincera Lucilla
"Te la senti davvero? Ti sporcherai l'abito."
"I vestiti si lavano e io voglio davvero aiutarti.
Dimmi solo cosa devo fare." e così dicendo si rimboccò le maniche e
si avvicinò di più alla cavalla.
Massimo si chinò al suo fianco e le fece vedere dove
doveva mettere le mani, "Al mio segnale tira verso di te le gambe del
puledro, non troppo violentemente ma costantemente. Io mi occuperò delle
spalle. E'chiaro?"
Lucilla annuì e si mise in posizione. Massimo fece
altrettanto e dopo averle lanciato un'occhiata d'intesa disse "Ora,
comincia a tirare."
Agirono in perfetta coodirnazione e pochi minuti dopo
uno splendido puledro maschio venne alla luce. Commossa Lucilla osservò
Massimo recidere il cordone umbelicale e poi spostare il neonato
all'altezza del muso di sua madre, la quale iniziò subito a leccarlo, per
ripulirlo e per marcarlo con il suo odore, per poterlo così riconoscere
anche in mezzo ad altri puledri.
Massimo si allontanò e tornò poco dopo con un secchio
di acqua pulita. I due ragazzi si ripulirono alla meglio dal sangue e
dalla paglia e Massimo rindossò la sua tunica. Poi tornarono a guardare
la neo mamma e suo figlio.
"Hai già deciso come lo chiamerai?"
"No,"rispose lui e poi si voltò verso di lei
e sorrise "Perché non lo scegli tu il nome?"
"Io?"
"Certo."
Lucilla ci pensò un attimo e poi disse decisa
"Argento."
"Argento?"
"Sì. Sua madre si chiama Luna e questa notte è
una notte di luna piena, illuminata dai suoi raggi argentei.
Massimo sorrise "E sia. Benvenuto al mondo
Argento."
Poco dopo i due ragazzi lasciarono la scuderia e
rientrarono in casa. Massimo scortò Lucilla fino alla sua stanza, la
salutò e fece per allontanarsi.
"Aspetta!" esclamò Lucilla con il cuore che
all'improvviso prese a batterle all'impazzata. Uno dei suoi poeti
preferiti, Orazio, esortava a cogliere l'attimo, l'occasione e lei decise
di farlo. "Carpe diem" sussurrò a se stessa e poi a voce
alta, "Non mi dai il bacio della buonanotte?"
Massimo la guardò serio e scosse la testa, mentre anche
il suo cuore cominciava a correre "Non sarebbe appropriato."
sussurrò
"Lo so, ma voglio che tu lo faccia lo stesso."
rispose lei, resa altezzosa dal nervosismo.
Massimo le si avvicinò, il viso improvvisamente duro.
"Ottieni sempre quello che vuoi?"
"Quasi sempre," rispose Lucilla poi abbassò
lo sguardo e quando lo rialzò i suoi occhi erano supplichevoli "Ti
prego."
Massimo chinò la testa e i due si scambiarono un bacio
dolcissimo. Poi lui fece un passo indietro, i suoi occhi pieni di
tenerezza, e le sfiorò la guancia con le dita callose.
"Sogni d'oro." le sussurrò prima di
allontanarsi.
Lucilla si portò la mano alla guancia, dove lui l'aveva
accarezzata e pensò, "Lo saranno di sicuro se tu sarai in
essi."
EPILOGO
La mattina seguente, la ruota ormai riparata, Marco
Aurelio e il suo seguito erano pronti alla partenza. Lucilla era già a
bordo del carro in attesa di suo padre e tentava invano di sconfiggere la
tristezza che l'aveva assalita da quando lei e Massimo si erano salutati.
Sapeva che ben difficilmente si sarebbero rivisti anche se suo padre
sembrava aver preso il ragazzo in simpatia e forse, chissà in futuro....A
quel pensiero l'umore di Lucilla si risollevò un po'.
Anche Massimo era triste mentre riceveva dall'edile i
ringraziamenti per la gentile ospitalità.
Marco Aurelio gli mise un braccio sulle spalle e disse
"Vieni, facciamo due passi."
Il ragazzo inarcò un soppracciglio stupito ma lo seguì
poco lontano dai soldati e dalla servitù riunita sul piazzale.
L'imperatore lo fissò un attimo in silenzio e poi
disse, "Tua madre mi ha detto che presto partirai per il servizio
militare."
Massimo annuì perplesso.
Marco Aurelio tirò fuori dalla tunica una lettera
sigillata e gliela mise in mano, "Quando sarà il momento, mostra
questa lettera al tuo ufficiale comandante. "
Il viso del ragazzo si indurì, "Ti ringrazio,
domine, ma non ho bisogno di raccomandazioni." disse deciso.
L'imperatore sorrise, approvando il moto d'orgoglio del
ragazzo. "Non si tratta di una raccomandazione, almeno non nel senso
che intendi tu. C'è solo scritto che ti ritengo un uomo adatto al comando
e molto intelligente e quindi desidero che tu venga inserito nel corso per
ufficiali, anche se non sei nobile."
Massimo lo fissò sorpreso, "Come puoi dire questo,
signore? Mi conosci da meno di un giorno!"
"E' più che sufficiente per me. Ho imparato a
giudicare subito le persone, è grazie a questa dote se sono arrivato dove
sono."
Massimo era ancora scettico e pensò tra se e se che la
posizione di edile non era poi questa gran cosa.
Marco Aurelio lesse nei suoi occhi e disse ridendo
"Devi imparare a nascondere le tue emozioni, ragazzo mio, sei
trasparente come le acque di un lago di montagna." Poi tornò serio
"Guarda il sigillo, Massimo."
Massimo obbedì, lesse l'inscrizione ed impallidì.
"Cesare," mormorò cadendo in ginocchio.
"Su, su ragazzo," lo esortò l'imperatore,
sollevandolo "Non è necessario."
Massimo si rialzò in piedi e guardò Marco Aurelio
negli occhi. Tra loro due scorse una forte corrente d'intesa: una grande
amicizia era nata.
"Mi prometti di usare questa lettera quando verrà
il momento?" chiese l'imperatore.
"Certo, Cesare." rispose pronto il ragazzo.
"Bene, Massimo. Mi aspetto grandi cose da te e sono
sicuro che non mi deluderai."
Massimo abbassò la testa imbarazzato. "Farò del
mio meglio per essere degno della tua fiducia, Cesare."
"Ne sono sicuro, ne sono sicuro." Detto questo
Marco Aurelio gli battè una mano sulla spalla, lo salutò e si diresse
verso il suo carro.
Massimo rimase al suo posto, immobile, stringendosi al
petto la lettera, promettendo a se stesso e agli dei che Marco Aurelio non
avrebbe mai avuto suddito più fedele di lui e che la sua lealtà non
avrebbe mai avuto confini.
Massimo Decimo Meridio non poteva sapere quanto quel
giuramento, pronunciato in una calda mattinata nella campagna spagnola,
gli sarebbe costato diciannove anni dopo, in una fredda notte tra le
foreste della Germania.
(segue) |