Di Ilaria
(prima parte)
OGGI
Caprae, 181 AC, inizio dell’autunno
"Madre, guardami!"La voce eccitata di Lucio fece guardare
Annia Aurelia Galeria Lucilla verso la spiaggia, giusto in tempo per
vedere suo figlio saltare da uno scoglio e tuffarsi con grazia nell'acqua.
Pochi secondi dopo, la sua testa emerse sulla superficie del mare e lui
salutò la madre con la mano, un'espressione felice disegnata in viso. La
figlia di Marco Aurelio rispose al saluto, simulando con qualche sforzo un
sorriso. Avrebbe dovuto essere bello per la donna vedere il figlio
spensierato e contento, ma non riusciva a condividerne gioia, perché
sapeva che le loro vite correvano gravi pericoli, forse ancor di più di
quando suo fratello era vivo
Vivo… Erano passati solo due mesi da quando Commodo era stato ucciso
nel Colosseo, e il breve senso di pace, sollievo e tranquillità che
Lucilla aveva provato alla sua morte era sparito, portandosi via anche l’unica
cosa positiva venutale da quel giorno terribile… Il giorno in cui aveva
perduto Massimo. La morte di lui e quell'ultimo sguardo nei suoi occhi
prima che li chiudesse per sempre, avevano ossessionato i sogni della
donna, causandole di svegliarsi nel buio della propria stanza col volto
bagnato di lacrime e il cuore pieno di rimpianti e di rimorsi. Più di una
volta Lucilla aveva rivissuto quella notte a Roma, domandandosi se e come
avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi. Aveva ricordato la propria
visita al Ludus Magnus e la conversazione con Massimo. Aveva
ricordato quanto tenero era fosse stato lo sguardo di lui e quanto tempo
fosse passato dall'ultima volta che l'aveva guardata così. Svanito era il
risentimento. Svanita era l'amarezza. Svanito era l'odio che gli aveva
letto in viso durante il loro primo incontro nelle segrete del Colosseo.
Restavano solo tenerezza ed affetto. E, forse, un pizzico d'amore. O così
almeno così lei aveva scelto di credere.
Quindi c'era stato quel bacio, dolce e dolorosamente appassionato, un
bacio di perdono e di rassicurazione…E almeno per lei, un bacio d'amore.
Un bacio che le aveva fatto lasciare il Ludus Magnus con la
speranza che potesse esserci un futuro, per lei e per Massimo.
Ma i suoi sogni erano durati il tempo di tornare a palazzo, da Commodo,
e al suo tradimento.
Lucilla sospirò, tornando al presente. Guardò Lucio, seduto su uno
scoglio e con i piedi a mollo nell'acqua, mentre il sole ancora caldo di
settembre gli accarezzava la pelle e gli rafforzava le ossa. Sentì una
morsa di paura stringerle il cuore e si domandò cosa sarebbe loro
accaduto. Non è che le importasse più di tanto per se stessa, sarebbe
stata ben lieta di passare il resto dei propri giorni in esilio sull'isola
o in qualche altro luogo dimenticato, se questo avesse garantito la
sicurezza di Lucio. Ma sfortunatamente non era così: Lucio rappresentava
un ostacolo alle mire ambiziose
di coloro che, come cani inferociti, si contendevano il potere
imperiale. Era l'unico erede di Marco Aurelio, e il popolo di Roma non
aveva certo dimenticato il vecchio e saggio imperatore defunto. Nemmeno il
folle regno del terrore di Commodo era bastato a cancellare il ricordo
delle tante cose buone che suo padre aveva fatto. Lucilla, e con lei il
senatore Gracco, avevano sperato di poter usare quei ricordi positivi per
convincere il popolo e l'aristocrazia a riportare il governo di Roma da
Impero a Repubblica, ma non c'erano riusciti. I pretoriani avevano il
potere sotto controllo e avevano venduto la porpora imperiale al miglior
offerente, l'ex console Elvio Pertinace, la cui prima decisione era stata
quella di esiliare Lucilla e Lucio a Capri. Alla popolazione era stato
fatto credere che fossero partiti per una lunga vacanza, per riprendersi
dopo l'incredibile sequenza di disgrazie familiari che li avevano colpiti,
ma in realtà Lucilla sapeva che erano stati esiliati, allontanati dalla
vita pubblica, perché erano troppo pericolosi. Erano troppo popolari tra
la gente per essere eliminati ma, come lei stessa aveva detto a Commodo,
il popolo è volubile e di memoria corta. Un vecchio proverbio diceva
"lontano dagli occhi lontano dal cuore" e Lucilla temeva che
fosse proprio quello che Pertinace e i suoi pretoriani avevano in mente
per lei e per Lucio.
Quasi senza che se ne accorgesse, una lacrima le corse lungo la guancia
e lei si ritrasse subito dalla balaustra, temendo che Lucio potesse
vederla piangere. Si asciugò rabbiosamente gli occhi e tornò a guardare
il mare. Ma fu inutile. Il verdazzurro delle onde le riportò alla mente
gli occhi color acquamarina di Massimo e la dolcezza della sua voce quando
le aveva mormorato le sue ultime parole: "Lucio è salvo". La
salvezza di suo figlio era l'ultimo dono che Massimo le aveva fatto. Lui
era morto per darle libertà di poter piangere il proprio padre e di non
vivere in una prigione di paura. Ma che adesso lei era di nuovo preda del
terrore e Roma era nelle mani di uomini corrotti, il sacrificio di lui
sembrava inutile, lo spreco totale della vita di un uomo giusto. Lui
avrebbe meritato molto di più, e lei sperò che, dall'aldilà, non
vedesse quel che Roma era diventata e come Quinto Emilio Leto, il prefetto
del Pretorio, che era stato così sollecito con il suo ex-comandante quel
giorno nel Colosseo, lo avesse ora tradito un’altra volta.
“Mi dispiace, Massimo,” sussurrò Lucilla guardando il cielo, “Mi
dispiace, padre. Ho provato a mettere in atto le vostre volontà, ma non
ne sono stata capace. Non merito il vostro perdono, ma per favore,
intercedete presso gli dei affinché proteggano Lucio. Lui è innocente,
non merita di pagare per i miei errori…Vi prego…”
Un suono di passi che si avvicinavano riportò Lucilla alla realtà e,
svelta, si strofinò ancora gli occhi, non volendo e non potendo essere
vista mostrare in pubblico debolezza. Un pretoriano tutto nero si fermò
presso la terrazza nel consueto giro di ispezione e la guardò, abbassando
la testa al suo cospetto. Lucilla rispose al cenno di saluto, sentendo un
po’ di conforto. Quell’inchino rispettoso da parte della guardia era
segno che, qualunque cosa stesse succedendo nell’Urbe, lei era ancora
considerata degna del più grande rispetto; era il segno che non era
ancora diventata così poco importante da poter essere eliminata. Almeno
per il momento la sua vita e quella di Lucio erano salve.
Ma per quanto?
Caprae, inizio dell'inverno, 181
Il silenzio della stanza era rotto solo dal rumore del respiro dei suoi
occupanti. C'era tensione dell'aria, mentre gli spettatori della partita,
gli occhi fissi sulla scacchiera dei latruncoli, attendevano la
prossima mossa di uno dei contendenti. E quando questa giunse, fu accolta
da un fragoroso battimani.
"Hai vinto ancora, Augusta," esclamò l'uomo, inchinandosi
alla donna seduta dall'altra parte del tavolo."Sei la giocatrice più
dotata che abbia mai incontrato."
Lucilla sorrise, gli occhi verdi scintillanti. "Grazie, Publio.
Comunque anche tu sei un abile giocatore."
Il tutore di Lucio,un uomo bruno e olivastro sulla quarantina, scosse
la testa."Sei molto gentile, Augusta, ma conosco la verità: non sono
in grado di competere con te."
"Publio ha ragione, madre, tu sei eccezionalmente brava, ma
perché non mi hai mai detto che sapevi giocare?" C'era un lieve tono
d’accusa nella voce di Lucio. Lucilla si voltò a guardarlo, provando un
certo senso di colpa. Suo figlio aveva ragione, non gli aveva mai detto
che lei giocava ai latruncoli, pur sapendo quanto lui amasse quel
gioco. Non glielo aveva mai rivelato perché a Roma lei non aveva mai
avuto il tempo per un gioco che poteva anche durare ore. Era sempre stata
molto occupata durante l'infanzia di Lucio: c'erano stati intrattenimenti
da organizzare, ricevimenti e spettacoli a cui partecipare e mille altre
funzioni a cui adempiere come figlia di un imperatore, moglie di un altro
e sorella di un terzo. Come suo padre prima di lei, aveva messo l’impero
al primo posto e Lucio ne aveva pagato le conseguenze, fino a che Comodo
non aveva commesso l’inimmaginabile, aveva ucciso loro padre, e quell’evento
le aveva aperto gli occhi, facendole comprendere ciò che era veramente
importante per lei.
Con l'ascesa al trono del fratello, il futuro dell'impero aveva perso
importanza agli occhi di Lucilla e il figlio era diventato quel che di
più caro avesse al mondo, mentre l’esperta politica che era in lei
lasciava spazio ad una madre preoccupata. Certo, aveva continuato ad
occuparsi dello Stato, ma con un differente spirito e differenti scopi:
per proteggere suo figlio aveva fatto qualsiasi cosa, dal tramare l’uccisione
del suo stesso fratello al tradire l'unico uomo che avesse mai amato.
E adesso che suo bambino era di nuovo in pericolo, Lucilla poteva solo
rimpiangere le opportunità perdute, rimproverandosi di non aver trascorso
abbastanza tempo con lui, e di non avergli dato tutto l’amore che
meritava quando aveva avuto occasione di farlo.
"Sembra la storia della mia vita," pensò amaramente,
"non avere amato abbastanza le persone che mi erano più care,
dandole per scontate, sempre convinta che ci sarebbe sempre stato tempo
per farlo, finché non è stato troppo tardi..”
“Mi hai sentito, madre? Madre? Va tutto bene?" La voce di Lucio
la riportò alla realtà. Lucilla sorrise, rassicurante.
“Sì, sto bene, sono solo un po'stanca. Che cosa volevi dirmi?"
Lucio annuì e rispose, "Publio e io ci stavamo chiedendo..."
"Sì?"disse lei, grata che Lucio avesse abbandonato il
discorso precedente.
"Chi ti ha insegnato a giocare ai latruncoli? So che il
nonno non lo sapeva fare e mio padre non molto bravo con essi e così…
chi è stato il tuo maestro?"
Lucilla sorrise tristemente,"Un soldato. Era solito dire che il
gioco era un buon esercizio per le sue doti di stratega ed era il miglior
giocatore che abbia mai conosciuto." Guardò ancora negli occhi suo
figlio e aggiunse,"E’ stato Massimo ad insegnarmi a giocare, tanti
anni fa, in Hispania.”
“Oh."Lucio era chiaramente sorpreso dalla rivelazione, ma prima
che potesse formulare un'altra delle molte domande che avrebbe voluto
fare, lei si alzò in piedi e disse, "Ne parleremo un'altra volta.
Adesso si é fatto tardi, dobbiamo andare a letto."
Publio e le ancelle di lei la imitarono e anche Lucio fece altrettanto.
Lucilla mise il braccio intorno alle spalle di suo figlio e gli mormorò,
"Vai a prepararti. Verrò dopo a darti la buonanotte.” Il bambino
sorrise e dopo aver baciato la madre sulla guancia se ne andò, seguito da
due serve. Lucilla indicò alle altre donne del suo seguito di ritirarsi
poiché voleva restare da sola e, quando la porta si chiuse dietro
l'ultima delle ancelle, si avvicinò alla finestra e guardò fuori nel
buio che circondava la villa, lasciando che la sua mente tornasse ad
un'estate di molti anni prima, quando ancora era una ragazzina senza
problemi, con il cuore pieno di sogni, provando così a dimenticare i
rimpianti, i rimorsi e i dispiaceri che le erano adesso inseparabili
compagni di vita….per tornare a sperare.
IERI
Emerita Augusta, 170 DC, all'inizio dell'estate
Lucilla si guardò intorno nel salone pieno di gente, cercando di
individuare suo padre; l’aveva lasciato per pochi minuti, per andare
nella propria stanza a prendere una palla più leggera dato che la
serata era torrida, e al suo ritorno lui era sparito. Avrebbe dovuto
essere facile rintracciarlo dato che, in quanto Cesare, era l'unico uomo
nella stanza che indossasse la toga color porpora. Ma con tutta quella
confusione, in una casa che lei non conosceva ancora bene, piena di ospiti
che chiacchieravano raggruppati assieme, di servi che si muovevano carichi
di cibo e di vino e di musici che suonavano in sottofondo, l'impresa
sembrava più complicata del previsto.
"Posso fare qualcosa per aiutarti, mia signora? Mi sembri un po’
sperduta." Le disse una profonda voce maschile, proveniente da dietro
le sue spalle. La diciassettenne principessa si girò di scatto, pronta a
replicare in maniera tagliente a colui che aveva osato supporre che lei si
trovasse in difficoltà, ma le parole le morirono in gola quando incontrò
i più begli occhi azzurri che avesse mai visto. Quegli occhi, che la
guardavano con il sincero desiderio di aiutarla e non recavano alcun segno
di ironia, appartenevano ad un tribuno laticlavio che si era prontamente
inchinato al suo cospetto."Mia signora..."
“Tribuno,” replicò lei, notando come lui la guardasse deciso, ma
senza quell’attitudine arrogante così comune nei giovani patrizi. Lui
se ne stava in fronte a lei senza pretese, senza cercare di impressionarla
con il suo bell’aspetto, anche se, in verità, Lucilla era molto
impressionata da quell’attraente sconosciuto. Ma chi era? Avendo
imparato fin da bambina a non mostrare mai le proprie debolezze, di
qualunque natura esse fossero, Lucilla non diede voce alla sua curiosità,
ma sorrise al soldato e disse, “Sto cercando mio padre, l’imperatore.
Potresti aiutarmi a trovarlo?”
"Mia signora, ho visto Cesare lasciare questa sala con il
governatore, diretto al tablinium di quest’ultimo. Posso
accompagnarti, se lo desideri." La voce del soldato era bassa e
profonda, morbida come seta, e Lucilla sentì un brivido correrle giù per
la schiena, mentre cercava di non fissarlo negli occhi. Perché le faceva
quell'effetto? Era avvezza ad incontrare giovani uomini a Roma, a parlare
con loro senza perdere il proprio atteggiamento compassato. Che cosa c’era
di diverso in lui da farle dimenticare quel che avrebbe voluto dire per
perdersi nell'azzurro profondo dei suoi occhi? Lucilla si riscosse
mentalmente e rispose, "Con molto piacere, tribuno."
Il giovane annuì chinando la testa, prima di indicarle un corridoio
che si apriva sulla parete alla loro destra. "Da questa parte,
prego."
Seguiti dalle ancelle della principessa, lasciarono il peristilio ed
entrarono negli appartamenti privati della residenza del governatore.
Procedevano affiancati, Lucilla e il soldato, ma a rispettabile distanza l’uno
dall’altra. Durante il tragitto, lei non si preoccupò di memorizzare
l'ubicazione delle stanze, ma osservò il profilo del giovane, ammirando
il naso dritto e la mascella forte e domandandosi se la sua barba ben
curata fosse morbida come sembrava. La voce del padre la riportò alla
realtà e Lucilla quasi arrossì appena si rese conto di come si stesse
comportando e sperò che il tribuno non si fosse accorto di come lei lo
avesse fissato. Riprendendo controllo di sé, Lucilla guardò dritto in
avanti, non accorgendosi così dello sguardo affascinato e pieno d’approvazione
che il suo compagno le elargì.
Svoltarono ad un ultimo angolo, e finirono in un'altra sala dove il
padre di Lucilla, il Cesare Marco Aurelio era impegnato a discutere con
due provinciali dell'ordine equestre. L’imperatore notò subito la
figlia. Gli occhi gli si illuminarono e la invitò ad avvicinarsi. Lucilla
aveva sempre saputo di essere la figlia prediletta del padre, e la gioia
manifesta che lui le aveva appena mostrato, la fecero sentire ancora più
felice di averlo seguito in quel viaggio di ispezione delle province
ispaniche, per fare le veci di sua madre, la quale, essendo di nuovo
incinta, non aveva potuto lasciare Roma per viaggiare al fianco del
marito. Tuttavia la ragazza rimase stupita quando lo stesso sguardo di
approvazione che le aveva dedicato venne diretto anche al suo
accompagnatore. Il gesto la sorprese parecchio ed aumentò la sua
curiosità. Chi era quel giovane tribuno?
In quel momento Cesare salutò i suoi interlocutori e si avvicinò alla
giovane coppia.
"Figlia mia, grazie di essermi venuta in aiuto!"cominciò,
tendendo le mani verso quelle della ragazza, "Quegli uomini mi
stavano parlando di tutti i problemi della provincia, come se avessero
solo oggi per poterlo fare, quando invece avranno ben due mesi per
protestare in tutta calma!” Gli occhi dell'imperatore esprimevano
frustrazione ma anche un certo divertimento.
Lucilla sorrise al padre. Sapeva che per lui niente era più importante
dell’impero e del benessere dei suoi sudditi, quindi quei due
politicanti dovevano essere davvero noiosi per suscitare una tale
reazione.
"Tranquillo, padre, capiranno presto che c'è tempo per ogni
cosa." replicò lei, citando una delle frasi preferite del genitore.
Marco Aurelio rispose ricambiando il sorriso e stringendole le mani in
gratitudine, prima di concentrarsi sul suo accompagnatore, il quale chinò
immediatamente la testa in segno di rispetto.
"Massimo, che piacere rivederti." disse l'uomo più anziano.
"Tu mi onori, Cesare, ricordandoti di me."
L'imperatore lo fece tacere con un gesto della mano e lo squadrò dalla
testa ai piedi. "Sono felice di vedere che la tua gamba è guarita.”
Subito gli occhi verdi di Lucilla si diressero verso le gambe del
soldato, notando infine una cicatrice che gli segnava il ginocchio
sinistro: essa scompariva sotto l’orlo della tunica color vinaccia e la
ragazza si domandò dove terminasse."Mi piacerebbe dargli un'occhiata
più da vicino." pensò prima di assumere un atteggiamento più
dignitoso e tornare a guardare in alto, appena in tempo per udire la
replica del tribuno, "Il chirurgo fatto un ottimo lavoro, Cesare, e
il clima mite dell'Hispania, molto diverso da quello umido della Germania,
ha fatto il resto."
"Sono lieto di sentirtelo dire. Sai che le tribù che vivono lungo
i confini si stanno ancora leccando le ferite dopo la sconfitta che tu gli
hai inflitto? Questa é la seconda estate in cui non hanno saccheggiato
qualche villaggio o attaccato un forte."
"E’ una buona notizia, ma dubito che se ne staranno buoni ancora
per molto. Li abbiamo fermati ma non sconfitti e presto o tardi
attaccheranno di nuovo." replicò il tribuno con calma.
"La penso esattamente allo stesso modo...E questa è una delle
ragioni per cui sono felice di vederti nuovamente in buona salute: c'è la
possibilità che tu debba terminare il tuo tribunato in Germania Superiore
perché il generale assegnato a quell’area potrebbe aver bisogno della
tua esperienza." Il tono di Marco Aurelio era quasi apologetico, come
se fosse dispiaciuto di dover rispedire il soldato al fronte, ma il
giovane si limitò ad annuire.
“Devi solo dare l’ordine, Cesare.” Commentò con serietà.
Lucilla seguì affascinata la conversazione. Era evidente come suo
padre conoscesse il tribuno Massimo (che nome bello e raro!) molto bene e
lo tenesse in grande considerazione. La sua voce era piena di ammirazione,
come raramente prima di allora la ragazza l'aveva sentita, e il suo
sguardo tradiva grande affetto...Lucilla si rese conto che mai suo padre
aveva mostrato un simile atteggiamento con suo fratello Commodo. Era anche
vero che il ragazzino di nove anni non aveva mai fornito al padre
l'occasione d'essere fiero di lui. La principessa stava per domandargli
d'essere formalmente presentata, quando un altro tribuno si fermò vicino
a loro e, dopo aver ottenuto il permesso da Cesare, si avvicinò al
collega e gli disse qualcosa all'orecchio. Lucilla vide il volto
abbronzato di Massimo impallidire, mentre la voce di Marco Aurelio
formulava la stessa domanda che lei avrebbe voluto fare,"Che cosa é
successo?"
"Sembra che alcuni ubriachi abbiano provocato una rissa in una
taverna e che il mio servitore Cicero sia stato coinvolto. Ha riportato
gravi ferite al volto e il chirurgo teme che possa non farcela." Gli
occhi del tribuno erano tristissimi, "Il ragazzo ha chiesto di me….
Cesare posso avere il permesso di recarmi da lui?"
"Di certo, figliolo! Non hai bisogno di chiedermelo!Vai da lui
subito!Io pregherò gli dei per la sua salvezza. Ricordo con quanta
devozione ti assisté quando fosti ferito...Sembrava più un amico che un
servitore."
"Certo che lo è. Uno dei miei amici più cari."Massimo si
sforzò di sorridere e salutare prima di correre via. Padre e figlia lo
guardarono allontanarsi, quindi lei chiese,"Come si chiama? Non
abbiamo avuto il tempo di presentarci."
"E' Massimo Decimo Meridio, figlio di Marco, ex governatore della
Lusitania," rispose Marco Aurelio.
"Credo di non aver mai sentito parlare di lui."
"Ciò non mi sorprende, figliola. Marco lasciò Roma quasi
venticinque anni fa e, per quanto ne so, suo figlio non vi ha mai messo
piede."
"Che cosa? Ma è un tribuno laticlavio, membro della classe
senatoriale, com'è possibile che non sia mai stato nella capitale?"
Lucilla era sconvolta, perché quel che le aveva detto suo padre aveva
dell’incredibile.
"E' la conseguenza di tutta una serie di sfortunate circostanze.
Come ho detto poco fa, Marco Decimo Meridio divenne governatore della
Lusitania più vent'anni fa e viaggiò da Roma portando con sé la giovane
moglie; Massimo nacque qui, proprio in questa casa, la residenza del
governatore. Un paio d'anni dopo, la moglie di Marco si ammalò
gravemente, restando paralizzata dalla vita in giù. I medici avvertirono
Marco che un viaggio a Roma avrebbe potuto ucciderla, così lui decise di
non rientrare nella capitale dopo il termine della sua magistratura, ma di
rimanere in Hispania da privato cittadino. Lui ed io ci eravamo conosciuti
a Roma, si può dire che fossimo amici, e la sua decisione non mi stupì,
considerando quanto amasse la moglie. Ad ogni modo, acquistò una vasta
tenuta in un villaggio vicino ad Emerita Augusta e vi si trasferì con la
famiglia, conducendo la vita del gentiluomo di campagna e del politicante
di provincia.
Lucilla annuì, "Lo vedo. Egli non è il primo ex governatore a
decidere di non rientrare nella Capitale, ma non capisco come mai non
abbia mandato suo figlio a completare gli studi a Roma. Chiunque altro lo
avrebbe fatto."
"Lo so, figliola, ed infatti Marco voleva mandare il figlio a
Roma; mi aveva anche chiesto di informarmi sulle migliori scuole.
Tuttavia, quando Massimo aveva appena compiuto i quattordici anni ed era
pronto a partire, Marco fu disarcionato da cavallo e rimase anch'egli
storpiato."
"Oh,dei!"
Marco Aurelio annuì lentamente all'esclamazione della figlia."Con
entrambi i genitori invalidi, Massimo fu costretto ad assumersi l'onere
del podere di famiglia in Hispania e decise di non lasciare più casa sua
ma di proseguire gli studi sotto la guida di precettori privati fatti
venire appositamente da Roma, i migliori che Marco avesse potuto trovare.
Essi hanno fatto un lavoro magnifico con il ragazzo, anche se ritengo che
il fatto di essersi dovuto occupare dei genitori e degli affari di
famiglia tanto precocemente, lo abbia formato più di tutte le lezioni dei
suoi maestri messe assieme."concluse l'imperatore, sorridendo come un
padre orgoglioso.
"Che storia interessante,"commentò Lucilla, non solo tanto
per dire qualcosa, ma perché era veramente affascinata dal giovane
soldato che il padre stimava tanto, "E in seguito hai incontrato
Massimo in Germania?"
"Sì, due anni fa. Negli ultimi tempi avevo perso i contatti con
Marco, quindi rimasi sorpreso nello scoprire che Massimo prestava servizio
come tribuno in Germania. In seguito lui mi disse di non essere stato
tanto felice di dover lasciare i genitori da soli, ma che il padre aveva
insistito che il servizio militare sarebbe stato indispensabile a
garantirgli una futura carriera politica e alla fine Massimo aveva
acconsentito a partire. E io sono felicissimo che lo abbia fatto perché
è uno dei migliori strateghi e dei capi più carismatici che abbia mai
incontrato. E' nato per essere generale e un giorno lo sarà. Lo sai che
ha prevenuto la perdita di due fortezze lungo il confine Renano- Danubiano
guidando e coordinando la loro difesa praticamente da solo?"
"Come?”
"Bene, eravamo all'indomani di una sanguinosa battaglia e le
legioni abbisognavano di rinforzi, ma l'inverno giunse prima del previsto
e ai primi di ottobre le strade erano già impraticabili. La legione di
Massimo, la Felix III, aveva subito terribili perdite in battaglia,
ritrovandosi priva del suo generale e tre tribuni laticlavi. Così
Massimo, appena ventunenne e al primo anno di servizio, si ritrovò a capo
di un esercito demoralizzato, privo degli uomini necessari a presidiare i
confini. Massimo divise in due gruppi i soldati rimasti e prese il
controllo delle fortezze. Egli passò tutto l'inverno andando da una parte
all'altra per tirare su il morale ai suoi uomini e tenere sotto controllo
la situazione. Inventò anche un codice di comunicazione basato su segnali
lanciati da frecce incendiarie, per poter essere informato della
situazione ovunque si trovasse, che risultò risolutivo quando i barbari,
notando la carenza di legionari di guardia in quel settore del confine,
attaccarono. Provarono a sfondare le linee difensive diverse volte durante
l'inverno, senza successo. Quindi, in primavera, tentarono un'altra volta,
con forze superiori. Quella volta riuscirono a rompere le linee difensive
nel forte in cui si trovava Massimo e lui venne malamente ferito a una
gamba. Tuttavia continuò a guidare e a comandare i suoi uomini,
incitandoli a resistere, finché io arrivai con i rinforzi e le
vettovaglie tanto attese."
Marco Aurelio guardò lontano, come se fosse tornato a quei tempi.
"Credo di non aver mai visto un gruppo di legionari ridotti peggio.
Affamati, sporchi, stanchi. Ma il loro morale era altissimo, grazie a
Massimo. Mi fu detto di come alcuni di loro avessero avuto la tentazione
di disertare quando la situazione si era fatta difficile e di come fossero
rimasti per non lasciare solo il loro comandante. Con il suo esempio e la
sua convinzione che Roma non li avrebbe lasciati a se stessi, lui aveva
infuso in quegli uomini la speranza, e perfino centurioni con di anni di
servizio sulle spalle mi confermarono che era tutto merito di Massimo, un
ragazzo ventunenne, se avevamo ancora i nostri forti. Al contrario Massimo
disse che era tutto merito dei suoi uomini.” Cesare sorrise, quindi
continuò, "La prima volta che Massimo venne a fare rapporto dopo la
battaglia, quasi mi crollò tra le braccia a causa della gamba ferita.
Rimase privo di conoscenza per tre giorni. I suoi uomini mi diedero tutte
le informazioni di cui avevo bisogno e più li sentivo parlare del loro
giovane comandante e più pregavo gli dei che lo salvassero, perché Roma
ha bisogno di uomini come lui. E loro esaudirono le mie preghiere."
"Anch'io sono felice che sia andata così," pensò Lucilla.
Quello che suo padre le aveva appena raccontato, le fece pensare che
Massimo fosse un uomo speciale, con una fortissima personalità, a cui si
aggiungeva un aspetto molto attraente ed ella si augurò di rivederlo
ancora. "Possibilmente presto,” aggiunse mentalmente, guardando
nella direzione in cui era sparito, mentre una delle sue mani
giocherellava con i sui capelli chiari.
*****
Dieci giorni dopo, Lucilla fu convocata nell'appartamento occupato dal
padre nella residenza del governatore. Esso aveva solo poche stanze,
niente a che vedere con l'enorme palazzo imperiale sul colle Palatino in
Roma, ma Cesare sembrava felice di quello spazio ridotto, commentando
spesso che esso gli causava meno distrazioni e più opportunità di
concentrarsi. In quanto a Lucilla, i suoi appartamenti le piacevano ma la
mancanza di vita mondana stava cominciando ad annoiarla, anche perché lei
e le sue ancelle avevano esaurito gli argomenti di conversazione.
"Mi hai chiamato,padre?" domandò la principessa entrando nel
tablinium.
Marco Aurelio sollevò lo sguardo dallo scrittoio e sorrise alla
figlia. "Sì, Lucilla, ho chiesto di te. Avrei un incarico da
affidarti."
Gli occhi della giovane brillarono per l'interesse, "Che genere di
incarico, padre?"
Cesare si alzò dalla sedia e cominciò a passeggiare intorno allo
scrittoio per poi fermarsi vicino alla figlia."I duumviri
della città hanno organizzato una rappresentazione teatrale per oggi
pomeriggio, ma sfortunatamente non potrò essere presente perché ho
fissato un incontro con i giudici del tribunale imperiale per raccogliere
alcune petizioni. Così vorrei che tu andassi a teatro al mio posto, per
rappresentarmi."
Lucilla annuì con entusiasmo,"Andrò senz'altro, padre."
Cesare sorrise."Ero sicuro che l’avresti fatto, infatti ti ho
già procurato una scorta. Il tribuno Massimo verrà con te, come capo
delle tue guardie."
Il cuore della ragazza quasi le sobbalzò in petto all'udire la parole
del padre. Massimo sarebbe andato con lei! Che bella notizia! Negli ultimi
dieci giorni l'aveva visto solo di sfuggita camminare lungo i corridoi
della residenza del governatore o nel cortile interno, ed ogni volta
andava di fretta, come se fosse occupato in faccende molto serie. Lucilla
sapeva che il tribuno stava servendo come segretario del governatore, in
modo da impratichirsi nelle sue future funzioni di questore, edile,
pretore, tutti passi necessari del "cursus honorum" che
lo avrebbero portato al comando di una legione, incarico che era al tempo
stesso militare e politico. Lei non vedeva l'ora di incontrarlo ancora,
per potergli parlare e conoscerlo meglio. All’improvviso la noia che
aveva caratterizzato quegli ultimi giorni della sua permanenza si era
dissolta come neve al sole. Baciò il padre sulla guancia prima di
andarsene dalla stanza con passi leggeri, quasi danzasse.
*****
Lucilla si alzò in piedi ed applaudì quando gli attori uscirono in
scena e s'inchinarono di fronte al pubblico e vide Massimo fare
altrettanto al suo fianco. Il lavoro, una commedia di Plauto, era stato
molto divertente e ben interpretato ma la principessa si era concentrata
più sulla vicinanza del tribuno che sullo spettacolo. A Roma, uomini e
donne sedevano in settori separati del teatro quando assistevano a una
rappresentazione, ma quella volta era stata fatta un'eccezione per la
figlia di Cesare, e lei aveva passato due ore meravigliose con l’attraente
tribuno seduto al fianco, commentando trama e personaggi con lui, e
scoprendo che egli aveva un asciutto e pungente senso dell'umorismo.
Peccato che lo mostrasse così di rado.
"Sei pronta ad andartene, mia signora?" la voce di Massimo la
scosse dai suoi pensieri e lei annuì.
"Sì, sono pronta. Ma non voglio ancora tornare alla residenza del
governatore, é un pomeriggio cosi bello e mi piacerebbe visitare la
città."
"Non c'è problema, mia signora, sono a tua completa disposizione.
Faremo come tu desideri." Il tribuno sorrise e le offrì il gomito, a
cui lei si appoggiò timidamente, lasciandosi guidare fuori dal teatro.
*****
Passeggiarono a lungo per le strade della città, e Lucilla continuò a
tenere la mano appoggiata all'avambraccio del tribuno. Quel giorno, egli
non indossava l'uniforme ma una tunica bianca e la toga senatoriale con
gli orli color porpora e sembrava ancora più attraente che con il
pettorale di cuoio. La ragazza sentì una curiosa sensazione originarsi
dal punto dove la sua mano toccava la pelle di lui e il cuore cominciò a
batterle all'impazzata. Più di una volta aveva sentito le proprie ancelle
raccontare di essere innamorate di questo o quel servo o soldato, o lei
stessa aveva parlato di un bel giovane patrizio con le sue amiche, ma mai
prima di allora, nella sua esistenza protetta e controllata, un uomo le
aveva causato un simile turbamento. Era forse innamorata? Non ne era
sicura...e forse avrebbe fatto meglio a scacciare quel pensiero dalla
testa.
"Tutto bene, mia signora?" la preoccupazione nella voce di
Massimo le fece comprendere di essere rimasta troppo a lungo in silenzio
e, stringendogli il braccio, cercò di rassicurarlo.
"Sì, Massimo. Stavo solo pensando."
"Posso chiedere a che cosa, mia signora?" Si voltò e la
guardò con un luminoso sorriso sulle labbra.
"A come posso convincerti a non chiamarmi “mia signora”. Il
mio nome è Lucilla." mentì lei.
"Non mi pare il caso, mia signora. Tu sei la figlia di
Cesare."
"Bene, se il problema è questo, credo che potrei ordinarti di
chiamarmi con il mio nome. Che cosa ne pensi?" Si fermò, e lo fissò
negli occhi.
"Lo faresti?Mi daresti un simile ordine?" Massimo sostenne il
suo sguardo.
"No, non voglio darti ordini, ma mi piacerebbe che rispettassi la
mia richiesta. Per favore, chiamami Lucilla, almeno quando non siamo in
pubblico. Lo desidero tanto." Per lunghi istanti, il tribuno non
replicò, ma quando lo fece, il sorriso che gli era fiorito sulle labbra
raggiunse gli occhi prima ancora di rispondere.
"Come potrei non ubbidire alla tua graziosa richiesta,
Lucilla?"
Il suono con cui la voce di lui pronunciò il suo nome fu quasi troppo
per la ragazza, che sentì le ginocchia cedere e la testa girarle.
Tuttavia si ricompose subito e provò a distrarsi, scherzando."Lo
vedi? L'ho sempre detto che con le buone maniere si ottiene tutto."
Gli strinse il gomito e lui replicò con una sonora risata prima di
riprendere la passeggiata.
*****
Una mezz'ora più tardi, mentre al mercato stavano curiosando nella
bancarella di un venditore di vini e Massimo stava dicendo a Lucilla come
fosse in grado di individuare le aree di produzione dei vini chiusi nelle
anfore dai vari marchi impressi su queste, un centurione si avvicinò loro
agitando la mano e gridando,"Finalmente ti ho trovato, Meridio! Ho
qualcosa d'importante da discutere con te."
Il tribuno indicò il nuovo venuto e mormorò alla sua
accompagnatrice,"Non sapevo di esseri perso.”
Lucilla rise e l’altro uomo la fissò, non riuscendo a capire che
cosa ci fosse di tanto divertente.
"Che c'è?" Domandò a Massimo.
"Niente, era solamente uno scherzo. E così, Livio, che cosa
dovevi dirmi che è così importante da farti dimenticare la tua
educazione?"Massimo indicò Lucilla con un cenno della testa. Il
centurione osservò la giovane elegantemente vestita poi il gruppo di
pretoriani che le stavano vicino e ne trasse le debite
conclusioni."Oh, dei" esclamò inginocchiandosi, "Ti prego,
perdonami mia signora,sono mortificato."
Lucilla sorrise e disse, "Va tutto bene, Livio. E adesso alzati,
per favore."
Il soldato ubbidì e restò in silenzio di fronte alla principessa e al
suo accompagnatore, come se avesse dimenticato di saper parlare, finche
Massimo non lo sollecitò, "Beh? Che avevi di tanto urgente da
dirmi?"
Livio arrossì, gettò un'occhiata alla figlia di Cesare prima di
borbottare,"Non era poi così importante..."
"A me invece lo era sembrato," commentò Lucilla. “Per
favore parla, siamo curiosi."
Il centurione sapeva di non poter ignorare la sua richiesta e così
disse,"Mi domandavo se si potrebbe organizzare un' altra
partita..."
Massimo ridacchiò e commentò,"Ah, è la rivincita che
vuoi..."
"Mi spetta di diritto! Rivoglio indietro il vino che ho
scommesso!"
"Certamente, ti darò un'altra possibilità ma poi non metterti a
piangere se perdi di nuovo!"
"Tribuno!" Il centurione si eresse in tutta la sua altezza,
imbarazzato dal commento del suo superiore di fronte alla figlia di
Cesare, ma cercò di non perdere il controllo, non volendo fare un’altra
figuraccia. “Quando possiamo organizzare un altro incontro?”
"Che ne dici di domani sera va bene? Io sarò libero."
"Anch'io."
"Allora siamo d’accordo; ci vedremo nella biblioteca del palazzo
del governatore, come al solito."
"Va bene."Livio annuì, quindi fece un profondo inchino a
Lucilla, salutò seccamente Massimo e se ne andò.
Mentre guardavano il centurione scomparire tra la folla che
congestionava l'area del mercato, la principessa si voltò verso il
tribuno con un'espressione confusa in viso."Di che si tratta? Di
quale gioco stavate parlando?"
Massimo la guardò e, mentre i due riprendevano a camminare, le
spiegò, "Parlavamo dei latrunculi.Conosci questo gioco?"
"Ne ho sentito parlare ma non ho mai assistito a una gara."
"E' un gioco di strategia che si disputa con pedine e scacchiera.
Se ti fa piacere, domani potrai assistere alla partita. Sarà una
rivincita: Livio ed io abbiamo giocato la scorsa settimana. Lui si
considera il miglior giocatore della legione, ed in effetti è un abile
giocatore, ma l'ultima volta le ha buscate malamente, perdendo le due
anfore di Falerno che aveva scommesso...e adesso le rivuole
indietro."Massimo ammiccò rivolgendosi a lei e Lucilla rise,
deliziata.
"Allora sarò certamente presente alla sfida! Non me la perderò
per nessuna ragione al mondo."
"Perfetto. Sono sicuro che troverai la cosa interessante. Il
centurione Livio è un giocatore abile e un personaggio decisamente buffo,
come hai potuto constatare."
Lucilla annuì distratta, sapendo bene che, la sera seguente, la sua
attenzione non sarebbe stata concentrata su Livio o sul gioco, ma su
Massimo soltanto.
*****
Le previsioni di Lucilla si rivelarono esatte, almeno in parte. In
effetti, se fu vero che buona parte della sua attenzione fu concentrata su
Massimo, fu altrettanto vero che ella anche rimase affascinata dal gioco
tanto da desiderare di impararlo. Espresse il suo desiderio a voce alta,
subito dopo che Massimo aveva battuto Livio per la seconda volta e il
centurione se n'era andato scornato.
"Penso che questa sia una buona idea, Lucilla, " commentò
Marco Aurelio, che aveva assistito all'ultima parte della gara,
"Anch'io avrei voluto imparare, ma quando ero giovane non conoscevo
nessuno in grado di insegnarmi e quando trovai un maestro, non ebbi più
tempo per dedicarmi ad essi. Ma tu sei fortunata, figliola, perché hai il
tempo per imparare e sono sicuro che Massimo sarà felice di insegnarti a
giocare."
"Sicuro,Cesare. Sarà per me un piacere." Replicò il tribuno
e Lucilla sentì un brivido correrle lungo la schiena, poiché le sue
orecchie attente avevano percepito l'entusiasmo nella voce di Massimo.
Egli era davvero felice di passare del tempo con lei. Non lo faceva per un
mero senso del dovere e questa considerazione la fece saltare dalla gioia.
In cuor suo, la ragazza sentiva che qualcosa di speciale stava accadendo
tra lei e Massimo. Stava crescendo piano e lei non sapeva in che direzione
si sarebbe sviluppato, sapeva solo che non voleva che si interrompesse,
né ora, né mai.
*****
Il giorno seguente, dopo che il tribuno ebbe portato a termine il
proprio dovere, Lucilla e Massimo si incontrarono di nuovo nella
biblioteca, seduti a un tavolino, uno di fronte all'altra con una
scacchiera di legno tra di loro. Si scambiarono un sorriso prima che
Massimo cominciasse la sua lezione, con una digressione storica sulle
origini del gioco dei latrunculi, che derivava da quello greco
chiamato “petteia” , conosciuto fin dai tempi della guerra di Troia.
Quindi cominciò a spiegarle le regole del gioco. "Queste sono le
pedine," disse indicando l'insieme dei pezzi sulla scacchiera.
"Come puoi vedere, ci sono due tipi di pedine: le mandrae,
quelle più modeste, e i bellatores, chiamati anche milites,
molto più importanti. Entrambi si muovono sulla scacchiera in linee
rette, ma ricoprono ruoli diversi...Mi ascolti, Lucilla?
"Sì, certo, ti sto ascoltando. Stavo solo cercando di immaginare
le mosse che mi hai descritto." Rispose velocemente la principessa,
cercando di non far capire che stava sognando a occhi aperti, cullata
dalla voce calda di Massimo e affascinata dalla visione delle sue grandi
mani forti che si muovevano con eleganza sulla scacchiera, quasi
carezzando le piccole pedine di legno, inducendola chiedersi come sarebbe
stato sentirle sulla propria pelle. Questo pensiero la fece arrossire e
cercò risolutamente di scacciarlo, tornando a concentrarsi sui latrunculi.
Una leggera risatina alle sue spalle informò Lucilla, che le sue
ancelle, presenti nella stanza per ragioni di decenza, non erano state
ingannate dalle sue parole. Fortunatamente Massimo sembrò crederle
poiché, dopo un'occhiata perplessa alle ancelle, riprese la spiegazione.
Questa volta Lucilla cercò di concentrarsi sul gioco, ma non fu facile,
non lo fu proprio per niente.
*****
Le lezioni continuarono nei giorni seguenti e, sotto la guida di
Massimo, l'abilità di Lucilla nel gioco dei latrunculi aumentò
rapidamente. Lei amava quel gioco perché, al contrario dei dadi, non era
basato solo sulla fortuna ma richiedeva l'uso dell'intelligenza per
elaborare un piano d'azione che permettesse di prevedere le mosse
dell'avversario. Alla giovane piaceva mettersi alla prova in quel modo,
anche se buona parte della sua gioia derivava dal fatto di trascorrere del
tempo con Massimo. Di solito, ai latrunculi si giocava in assoluto
silenzio, per favorire la concentrazione, ma il tribuno e la principessa
spesso parlavano durante il gioco, per insegnarle ad elaborare mosse anche
in caso vi fossero delle distrazioni, e quelle conversazioni erano i
momenti che più preferiva.
Parlavano di tante cose. Dalla loro infanzia ai loro libri preferiti,
dai loro insegnanti ai loro animali da compagnia. Lucilla era affascinata
dal sincero amore che Massimo provava per la sua tenuta di Tergillium,
amore che traspariva dalle vivide descrizioni di dolci, rotondeggianti
colline, di campi di grano mossi dal vento, di una villa in pietra rosa
circondata da cipressi, rendendo la ragazza desiderosa di visitare quei
posti. D'altra parte, lui era catturato dai racconti su Roma, e dalle
descrizioni dei numerosi templi, delle vaste piazze, delle basiliche e del
grandioso Colosseo, anche se lui era urtato dall'idea dei giochi
gladiatorii. Lucilla la pensava allo stesso modo, preferendo le corse di
cavalli del Circo Massimo, e si ripromise di accompagnarci Massimo, quando
sarebbe andato a Roma per iniziare la sua carriera politica; era certa che
anche lui avrebbe apprezzato le corse.
*****
Presto, le "lezioni" con Massimo divennero il fulcro
dell'esistenza di Lucilla. Sapeva di essersi innamorata del bel soldato:
contava il tempo che mancava ai loro incontri e passava ore sul terrazzo
dei propri appartamenti, sognando ad occhi aperti o parlando di lui con le
ancelle; specialmente con una di esse, una brunetta proveniente dall'Illiria
che era la sua più cara amica. Delia, questo era il nome dell'ancella,
era un po' più grande di Lucilla ma molto più esperta di lei riguardo
alle faccende tra uomini e donne. La principessa era sempre stata curiosa
sull'argomento, com'era normale per una ragazza della sua età, ma adesso
il livello d'interesse si era fatto più intenso e le sue domande più
precise. Il giorno in cui chiese a Delia se esistessero sistemi efficaci
per evitare le gravidanze, l’ancella comprese che qualcosa
potenzialmente pericoloso stava bollendo in pentola e che l'innocente
interesse della padrona per il fascinoso tribuno che le stava insegnando
il gioco dei latrunculi era diventato qualcosa di molto più serio.
Questo la sconvolse e provò a indurre Lucilla a ragionare e a scacciare
certi pensieri.
"Mia signora, "le disse con la voce che tradiva la sua
inquietudine, "Perché me lo domandi? Non penserai davvero di
concederti a quel soldato."
"E perché no?" replicò Lucilla, fingendo più sicurezza di
quanta ne provasse, "Lo amo e vorrei che fosse il mio primo uomo, se
sarà possibile."
"Io non lo prometterò! Non posso!" Delia quasi piangeva, ma
la padrona le si avvicinò e prendendole le mani tra le sue, disse,
"Ma tu lascerai che così sia perché tu sai che questa, per me,
potrebbe essere l'unica occasione di conoscere il vero amore. Tu sai che
è molto improbabile che lo possa trovare nel letto di Lucio Vero, un uomo
vecchio abbastanza da essermi padre e a cui interesso solo come futura
madre dei suoi figli."
"Lo so, Lucilla, lo so." La serva strinse le mani della
ragazza, "E hai ragione, questo non lo nego. Ma tu devi promettermi
che sarai molto attenta a non correre rischi..."Delia fissò
orgogliosamente negli occhi l'altra fanciulla, dimenticando per un attimo
le invalicabili barriere sociali che le dividevano, per sentirsi solo una
donna preoccupata della felicità della propria amica.
"Starò attenta, non preoccuparti." Commentò Lucilla in tono
rassicurante mentre il suo viso s'immalinconiva e diceva con espressione
carica di speranza,"Dopotutto, questo potrebbe restare solo un sogno,
se Massimo...egli non ha mai dimostrato apertamente interesse per me...oh,
io non dubito che mi consideri un'amica e che gli faccia piacere giocare
con me ai latrunculi, ma per il resto..." la sua voce si
spense e abbassò gli occhi per nascondere il proprio dolore. Le dita di
Delia le sollevarono il mento e quando i loro sguardi s'incrociarono
nuovamente, la brunetta mormorò convinta,"Lui ti ama, Lucilla. Ne
sono sicura. Riesce a tenere sotto controllo i suoi sentimenti, ma gli
occhi lo tradiscono ogni volta che ti osserva quando pensa che tu non lo
stia guardando. Credimi, è solo questione di tempo, e questo rende ancora
più urgente che io ti dica certe cose che devi assolutamente sapere.
Adesso aspetta, ho qualcosa da mostrarti nella mia stanza."
Lucilla guardò Delia uscire dalla camera col cuore in tumulto per le
parole dell'amica, pregando nel frattempo gli dei affinché Massimo le
mostrasse qualche segnale d’interesse.
E gli dei esaudirono le sue preghiere.
*****
Accadde due giorni dopo, durante la loro quotidiana lezione. Massimo
aveva appena finito di spiegare a Lucilla una particolare mossa da lui
stesso inventata e, per essere sicuro che lei avesse capito quel che
doveva fare, la invitò a riprovarci. Lucilla osservò la posizione delle
sue pedine sulla scacchiera, quindi allungò il braccio pronta a muovere
uno dei bellatores. Tuttavia un dubbio momentaneo la indusse a
fermarsi con la mano a mezz'aria, mentre riconsiderava la situazione. Ella
non seppe quanto tempo rimase in quella posizione ma quando finalmente
fece la sua mossa, accadde nello stesso momento in cui Massimo decise di
andarle in aiuto mostrandole quale fosse il pezzo che era più opportuno
muovere. Il risultato fu che lui posò la mano su quella della ragazza
allorché entrambi toccarono il medesimo bellator. Nel momento
preciso in cui le calde dita callose di lui si posarono su quelle di lei,
Lucilla sentì una sferzata di energia scuoterla da capo a piedi, potente
come una folgore, ed originata dal punto in cui le loro pelli si
toccavano. Sconvolta, alzò la testa per guardare Massimo, per vedere se
anche lui provava le stesse sensazioni e quasi sobbalzò non appena
incontrò il suo sguardo. La fissava come non aveva mai fatto, con
un'intensità che metteva quasi paura, facendo sentire Lucilla come se
fosse nuda di fronte a lui, il corpo tremante d'ansia e di desiderio. Le
sue pupille erano dilatate e il respiro pesante e affannoso, mentre
sembrava divorarle il viso, il collo e i seni con lo sguardo. La tensione
tra di loro era quasi palpabile e Lucilla attese ammaliata la prossima
mossa di lui, con il cuore che le martellava in petto, come se di il tempo
si fosse fermato e gli altri occupanti della stanza spariti. Massimo
continuò a marchiarle la pelle, finché non si riscosse scuotendo la
testa, come al risveglio da un incantesimo. Smise di guardarla e ciò
interruppe la magia, mentre entrambi abbassarono la teste a fissare le
loro mani ancora unite, prima di ritrarle di scatto.
Dopo una lunga pausa, Massimo si schiarì la gola e chiese, "Vuoi
giocare ancora, Lucilla?" La sua voce non era ferma come al solito e
Lucilla notò come le mani di lui stessero tremando, proprio come le sue.
"No," rispose lei piano, sapendo bene come le sarebbe stato
impossibile concentrarsi sui latrunculi dopo quel che era appena
accaduto."Basta così per oggi.”
"Come desideri. Ed ora scusami, ma avrei da fare..." E prima
che la giovane potesse dire una sola parola, Massimo se alzò e quasi
scappò via dalla stanza, lasciandola sola, eccitata e confusa.
*****
Più tardi quella notte, sdraiata nel letto, Lucilla chiuse gli occhi
per quella che le sembrò la centesima volta, ma, non appena lo fece, l’immagine
dello sguardo bruciante di Massimo tornò ad infiammarla di nuovo,
facendole sentire la pelle che scottava e provocandole una strana,
formicolante sensazione ai seni e alle parti intime. Sentì l'impellente
bisogno di toccarsi, immaginando che non fossero le sue dita, bensì
quelle di Massimo a farlo, ma ritrovò il controllo e, spalancati i
battenti della porta-finestra, andò a passeggiare sul terrazzo sperando
che l'aria fresca la aiutasse a calmare i nervi.
Si era appena abituata alla debole luce lunare, quando scorse un rapido
movimento sotto il portico della villa, di fronte a lei. Il cuore quasi le
balzò via dal petto quando vide la sagoma massiccia e il volto barbuto di
Massimo. Se ne stava appoggiato a una colonna guardando il cielo, e il
chiaro di luna faceva scintillare i suoi occhi azzurri talmente tanto che
Lucilla li notò malgrado fosse piuttosto lontano da lui.
"Che fa lì?" si domandò, "Anche lui non riesce a
dormire, come me? Anche lui sta pensando a quel che è successo questo
pomeriggio?” C'era un solo modo per appurarlo, chiederglielo
direttamente. Senza far rumore, Lucilla lasciò la terrazza, si infilò le
pantofole e usci dalla stanza, scendendo veloce le scale, temendo che
Massimo potesse andarsene. Ma lui c'era ancora lì quando lei raggiunse il
portico, e la ragazza rallentò il passo, desiderando dargli il tempo di
notarla.
La scorse subito e i suoi occhi assunsero un'espressione incredula
quando vide come era vestita.
"Lucilla,che ci fai qui?" esclamò, mentre con lo sguardo la
percorreva per avere la certezza che lei fosse lì, di fronte a
lui,vestita solo di una veste da notte bianca, quasi trasparente.
"Ti ho visto dal mio terrazzo e volevo chiederti se va tutto
bene," disse la giovane, rendendosi conto che anche Massimo si era
vestito di fretta, perché l'unico indumento che aveva addosso era una
tunica di lino bianco senza sandali e cintura.
"Grazie dell'interesse. Sto bene, semplicemente non riuscivo a
dormire. Niente di preoccupante." Massimo si sforzò di sorridere,
"E adesso sarebbe meglio che te ne tornassi in camera tua."
"Non riesci a dormire per quel che è capitato questo
pomeriggio?"domandò Lucilla senza mezze misure e malgrado la poca
luce vide che Massimo impallidire ed irrigidirsi.
"No,”r eplicò lui con voce strozzata.
"Tu menti," disse lei sicura e con una nota di trionfo, prima
di avvicinarsi ancora. Massimo provò a ritrarsi, ma la colonna lo
bloccò. “Di che cosa hai paura?" mormorò lei allungando la mano
tremante per accarezzargli la guancia.
"Fermati,Lucilla.” Ordinò Massimo nel suo miglior tono di
comando, ma questo non sortì alcun effetto sulla ragazza e lei continuo a
sfiorargli il viso, carezzandogli le labbra con le dita.
"Fermati," ripeté lui, e questa volta la sua voce risuonò meno
decisa, mentre lei si accorse che stava tremando e che aveva i pugni
serrati.
"Tu non vuoi che io mi fermi," replicò lei con voce tanto
bassa da sentirsi essa stessa a malapena. Mai si era sentita così
sfacciata e sicura come in quei momenti, come se un'altra persona si fosse
impadronita del suo corpo. "Tu vuoi che io continui...Tu mi vuoi. Non
cercare di negarlo."
"Ti voglio," capitolò Massimo alla fine, alzando la mano per
bloccare quella della ragazza e portarsela alle labbra, baciandola con
ardore, prima di respingerla risolutamente. "Ma quello che voglio non
è cosa per me, perché non posso averla."
"Ma io ti voglio!"
"Lucilla..."
"Io ti amo, Massimo, ti amo da tanto tempo e voglio fare l'amore
con te." Lucilla guardava fissa nelle profondità dei suoi occhi.
Massimo le sorrise tristemente, allungando la mano per carezzarle la
guancia con l'indice. "Anch'io ti amo, Lucilla, dal primo momento in
cui ti ho vista, ma questo non basta. Quello che mi chiedi solo tuo marito
può dartelo e io non voglio disonorarti, anche se brucio per te."
A Lucilla pianse il cuore di fronte all'amore puro e alla sincerità
espressi dal suo sguardo e, con la forza della disperazione, fece l'ultima
mossa."E chi dice che non potresti essere tu mio marito?"
"Che cosa?!" esclamò lui esterrefatto.
"Tu sei figlio di un senatore, provieni da un'ottima famiglia e
mio padre è amico del tuo, per non parlare del fatto che ti considera un
eroe e uno dei suoi migliori comandanti militari. Sei agli inizi di una
brillante carriera politica...hai certamente tutti i requisiti
desiderabili per essere un buon marito per me."Lucilla sapeva bene di
mentire e che Massimo non aveva alcuna possibilità di sposarla, essendo
lei già promessa a un altro, ma era talmente desiderosa di averlo, da
sperimentare cosa significasse diventare una donna con lui, che era come
se tutta la sua vita dipendesse da questo. "Non dubito che mio padre
approverebbe la nostra unione."
Lucilla osservò come le risolutezza di lui cominciasse a vacillare,
mentre le chiedeva serio, "Ne sei sicura?" La guardò, cercando
di leggere i suoi pensieri, ma lei fu abile a nascondergli la verità.
"Sì, amore mio, conosco bene mio padre. Lui approverà,
fidati."
"Mi fido di te..."con un rantolo di desiderio, Massimo si
lasciò dietro tutte le sue remore e la prese tra le braccia,
stringendosela al petto, premendo i fianchi di lei contro la sua carne
eccitata e catturandole le labbra in un bacio appassionato.
Lucilla quasi soffocò quando lui le fece aprire le labbra insinuandole
la lingua in bocca e si irrigidì tra le sue braccia, cercando di
sottrarsi alla sua stretta.
"C'è qualcosa che non va?"domandò lui, senza capire finché
non guardò negli occhi allarmati di lei e comprese che l'atteggiamento
spavaldo di poco prima era soltanto una facciata. Ogni cosa era una
novità per Lucilla e lui si era avventato su di lei con lo stesso impeto
con cui le onde del mare in tempesta si infrangono sul bagnasciuga.
"Oh,dei,"sussurrò, "Perdonami, amore, non volevo
spaventarti." Prese un paio di lunghi respiri profondi per calmarsi
quindi, sorridendo, allungò le mani e prese quelle di lei. "Vieni
qui, mia Lucilla. Andrò più piano…te lo prometto."
Lucilla annuì fidandosi delle sue parole e, restituendogli il sorriso,
lo guidò dentro casa, quindi di sopra in camera propria.
*****
Una volta entrati in camera da letto e con le porta chiusa alle spalle,
i due giovani si guardarono l'un l'altra nervosamente, finché Lucilla
chiese con un sorriso,"E adesso?"
La sua domanda innocente ruppe la tensione ed Massimo le andò più
vicino, accogliendola in un dolce abbraccio."Cominceremo dalle
nozioni fondamentali," le mormorò all’orecchio prima di baciarla
sul collo, sulle guance, sulle palpebre e finalmente sulla bocca. Con
grande tenerezza, le aprì le labbra affinché accogliessero la sua
lingua, invitandola a imitare i suoi gesti.
Lucilla imparò in fretta e, perduta nel piacere, gli afferrò la testa
per approfondire il contatto e i loro baci divennero selvaggiamente
appassionati. Quindi,con un rapido movimento che le mozzò il respiro,
Massimo si chinò e la sollevò tra le braccia, portandola fino al letto e
depositandola nel bel mezzo."Così staremo più comodi."
Lucilla annuì e si inginocchiò sul materasso liberandosi delle
pantofole mentre Massimo le si sedette di fronte. Lentamente,
languidamente, le sue mani cominciarono a carezzarla attraverso la stoffa
leggera della veste da notte. Lei poteva vedere piccole perle di sudore
sulla fronte di lui e si stupì della sua capacità di autocontrollo. Le
carezze continuarono a lungo e le mani e le dita di Massimo divennero
gradualmente più sfacciate, spingendo via il tessuto per insinuarsi sotto
di esso ed accarezzarle la pelle. Quando le mise le mani a coppa sui seni,
giocando con i suoi capezzoli turgidi, Lucilla emise un profondo gemito,
facendo sorridere Massimo di soddisfazione."Questo ti piace,
no?" Lei fu a malapena in grado di annuire.
"Ma tutta questa roba dà fastidio...Togliamola."Ancora una
volta lei replicò con un cenno d'assenso, poi sollevò le braccia sopra
la testa per aiutarlo. E quindi fu nuda di fronte a lui per la prima
volta, ma non provò né vergogna né imbarazzo, perché le sembrava
naturale, giusto.
"Sei bellissima,"mormorò Massimo con voce carica di
desiderio, amandola con lo sguardo. "Molto più bella della stessa
Venere."
Lei sorrise a quel complimento sdraiandosi sui cuscini."Vieni da
me," sussurrò guardandolo con gli occhi semichiusi mentre lui si
spogliava di fronte a lei. Come lei, non portava biancheria, e la bellezza
del suo duro corpo mascolino le stordì i sensi. Non era la prima volta
che vedeva un uomo nudo (Roma era piena di statue e alcuni gladiatori
combattevano completamente svestiti) ma niente l'aveva preparata alla
visione della sua eccitata virilità. Essa si ergeva dura e grossa,
puntando orgogliosamente verso di lei. La sua mano, curiosa ed inesperta,
si allungò per toccarlo e restò sorpresa dal calore che trovò lì e
dalla sensazione come di seta tesa sopra il marmo. Massimo gemette di
desiderio e mise la propria mano su quella di lei, insegnandole a toccarlo
in modo da dargli piacere. Lucilla guardò meravigliata e deliziata quando
lui chiuse gli occhi e cominciò a dondolare i fianchi sempre più
rapidamente, per poi fermarsi all’improvviso e allontanare la mano di
lei come se scottasse.
Lei lo guardò con occhi confusi, "Ho fatto qualcosa di
sbagliato?" domandò preoccupata.
Massimo non rispose ma, dopo alcuni rapidi respiri, le sorrise e,
sdraiandosi al suo fianco, riprese con i baci e le carezze. La sua mano si
sollevò a carezzarle i morbidi capelli ricciuti, prima di tornare al suo
corpo, posandosi sul seno. Egli cominciò a massaggiarla, come aveva fatto
poco prima, stuzzicando il sensibile capezzolo tra pollice e indice,
facendola gemere, sospirare e provocandole un violento incendio nel
profondo del ventre. Incoraggiato da quella risposta, lui continuò ad
esplorare la sua carne con la bocca e le mani, facendola gemere
profondamente e dimenarsi sotto di lui, mentre gli carezzava i muscoli
scolpiti della schiena e gli graffiava la pelle con le unghie. Anch'egli
sembrava soddisfatto dalle sue attenzioni perché un gemito profondo gli
sfuggì dalle labbra quando lei inarcò la schiena per stringersi contro
la sua vigorosa erezione.
Quindi lui scivolò lungo il suo corpo, tracciando umidi sentieri di
baci sui fianchi e sullo stomaco, fino a raggiungere l'umido triangolo di
pelo al sommo delle sue cosce. Le fece un sorriso rassicurante e
gentilmente le allargò le gambe, facendo scivolare tra di loro le dita e
accarezzandola intimamente. Aspettò che fosse sufficientemente
lubrificata quindi le inserì dentro l'indice, muovendolo circolarmente,
carezzando e solleticando. Lucilla si sentì come se proprio corpo fosse
attraversato da un fulmine e i fianchi le sussultarono mentre il piacere
la invadeva. La ragazza pensò distrattamente che non potesse esistere al
mondo sensazione più meravigliosa, ma ogni pensiero coerente l'abbandonò
non appena Massimo abbassò la testa e le sue soffici labbra e la sua
lingua esigente presero il posto delle dita. Lucilla si abbandonò all’istinto,
gli imprigionò la testa tra le cosce, sentendo la tensione crescere
sempre più nel suo corpo finché alla fine non si spezzò e lei si sentì
travolta da un'ondata di indescrivibile piacere. Urlò forte e la sua
gioia echeggiò in tutta la stanza; quindi si abbandonò sui materassi,
totalmente esausta, gli occhi chiusi, mentre provava a riguadagnare la
regolarità del respiro. Quando li riaprì, incontrò le iridi verdazzurro
di Massimo. Si era scostato da lei, e la guardava con espressione
tenera."Come é andata?"le sussurrò.
Lucilla si leccò le labbra, cercando di trovare le parole per
esprimere le sue sensazioni, ma non ci riuscì. Così lo abbracciò
stretto, sussurrandogli un "Grazie"all'orecchio. Fu allora che
sentì la prominenza dell’impellente desiderio di lui frapporsi tra loro
e una nuova ondata di lussuria le fece correre un brivido per la schiena.
"Adesso tocca a te," mormorò, allungando la mano per
accarezzarlo.
"Sì..."rantolò lui, sapendo di essere giunto al limite
della propria resistenza. Si girò sulla schiena e mormorò, "Vieni
qui, dovrebbe essere più semplice per te, in questo modo..." Lucilla
annuì e, mettendosi in ginocchio, si lasciò guidare dall'istinto,
facendogli passare una gamba sul ventre, finché non gli si mise a
cavalcioni. Massimo l'afferrò per i fianchi, ma non cercò di forzarla,
lasciando che lei si muovesse a suo piacimento, indirizzandole un sorriso
d'incoraggiamento. Lucilla fece un respiro profondo, quindi cominciò da
sola a guidarlo dentro di lei. Non appena la punta del suo fallo la
penetrò, lei sentì il panico assalirle la mente. Era così grosso,come
sarebbe stato possibile per lei accoglierlo? La paura doveva essere
traspirata dalla sua espressione perché la mano di Massimo abbandonò il
fianco per accarezzarle la guancia."Ti stai comportando benissimo,
amore mio...Presto il dolore scomparirà e proverai soltanto
piacere..." Lei annuì e, mordendosi il labbro inferiore, impose ai
propri muscoli di rilassarsi e fece il passo decisivo. Un violento dolore
la assalì, mozzandole il fiato, ma si dissolse con la stessa rapidità
con cui era cominciato, lasciandole dentro solo una strana ma
piacevolissima sensazione di pienezza.
"E adesso?" domandò quando vi si abituò, sorridendo a
Massimo.
Egli replicò al suo sorriso, quindi cominciò a muoversi dentro di
lei, inarcando la schiena in sintonia con il ritmo con cui le sue mani,
ancora strette ai fianchi di lei, le sollevavano ed abbassavano il corpo,
guidandola. Ben presto Lucilla imparò a muoversi con lui e l'incredibile
sensazione di piacere che aveva provato poco prima tornò a travolgerla,
più forte e più dolce. Abbandonò ad essa il suo corpo, quasi non
accorgendosi di come Massimo avesse fatto in modo di invertire la loro
posizione, e stesse ora spingendo dentro di lei con impeto, sempre più
forte e più veloce, finché all’improvviso non s’irrigidì e lei
sentì il calore del suo seme fluirle dentro. Quella fu l'ultima
sensazione cosciente, prima che l’orgasmo la travolgesse, facendola
volare senza ali.
Quando riguadagnò la propria presenza di spirito, Lucilla trovò
stretta tra le braccia di Massimo, la testa posata sul petto di lui,
mentre il battito del suo cuore e le sue parole d'amore la inducevano ad
addormentarsi. Ebbe appena il tempo di sollevare la testa, di dargli un
tenero bacio e di sussurrargli, "Ti amo" prima che Morfeo
venisse a visitarla e la trasportasse nel mondo dei sogni, nel quale, ne
era certa, Massimo sarebbe stato lì ad aspettarla.
*****
Il periodo che seguì fu il più felice della vita di Lucilla, man mano
che la sua storia con Massimo si sviluppava crescendo d'intensità.
Durante il giorno, essi si comportavano come se niente fosse cambiato tra
di loro, giocando ai latrunculi, uscendo a cavallo scortati dai
pretoriani o recandosi a visitare Emerita Augusta. Ma di notte, con il
favore delle tenebre e la complicità di Delia, gli amanti si incontravano
nella stanza di Lucilla liberi di dar sfogo alla loro giovanile passione.
Massimo era tutto quel che lei aveva sempre sognato: gentile, tenero e
ardente. Di giorno sembrava tanto serio, ma quando era solo con lei si
trasformava in un giovane senza pensieri, pronto a ridere, scherzare e
giocare con lei, iniziando perfino una battaglia a colpi di cuscino
durante una notte particolarmente scatenata. Ma era anche pronto ad
ascoltarla parlare dei suoi sogni, delle sue paure, e dei suoi dubbi
riguardanti Commodo e i suoi costumi talvolta immorali.
"Non preoccuparti," le sussurrò una volta, abbracciandola
stretta, "Io ti aiuterò con lui, quando saremo sposati...Il nostro
futuro sarà libero da preoccupazioni. Te lo prometto." Lucilla gli
aveva stretto la schiena in risposta, ma il suo cuore aveva pianto. Il
nostro futuro...non ci sarebbe stato alcun futuro per loro, almeno non
quello che Massimo intendeva, come marito e moglie. Ma lei sperava di
convincerlo a restarle accanto come amante, quando si sarebbe trasferito a
Roma per iniziare la carriera politica, a dispetto del suo matrimonio con
Lucio Vero. Tuttavia, qualcosa le suggeriva che sarebbe stato impossibile.
Massimo era troppo onesto per cercare di ingannare intenzionalmente uno
dei suoi Cesari, ragion per cui lei continuò a rimandare il momento in
cui gli avrebbe detto la verità.
Massimo avrebbe voluto parlare con il padre di lei e chiedere la sua
mano subito, ma Lucilla aveva fatto in modo di bloccarlo,dicendogli che
Marco Aurelio avrebbe preferito che loro non andassero così di fretta, ma
prendessero tempo per riflettere sulle loro decisioni e non fossero troppo
impetuosi nei riguardi di un passo tanto importante. Le sue parole
convinsero Massimo ad aspettare, ma la giovane sapeva che non lo avrebbe
fatto a lungo.
Ma si sa, prima o poi tutti i nodi vengono al pettine e l’inattesa
visita di Lucio Vero distrusse la felicità di Lucilla nel giro di poche
ore.
*****
Era pomeriggio e Lucilla stava preparandosi per la consueta lezione di latrunculi
con Massimo quando la porta si asprì bruscamente e il suo amante si
precipitò nella stanza. Lucilla e le ancelle scattarono in piedi e quasi
indietreggiarono di fronte alla furia emanata dall'uomo."Fuori
voialtre!" ringhiò alle serve, che si rivolsero alla loro padrona
con occhi carichi di terrore.
"Fate come dice," disse lei ed esse ubbidirono. Massimo
aspettò che la porta si chiudesse dietro di loro, quindi cominciò a
percorrere la stanza a lunghi passi, sibilando con rabbia, "Perché
non mi hai mai detto che sei promessa a Lucio Vero?"
"Cosa?" il respiro le accelerò, “Chi te l'ha detto?"
domandò desiderando negare le affermazioni di lui.
"Non cercare di dirmi che non è vero, perché l'ho sentito da lui
in persona."
"Lucio è qui?"
"E' appena arrivato, e intende trascorrere un po'di tempo in
compagnia della sua promessa sposa prima del vostro ritorno a Roma. Credo
che queste siano state le sue esatte parole. Ero nello studio di tuo padre
quando lui è arrivato (stavamo parlando della Germania) e l'entusiasmo
del co-imperatore era alle stelle, tanto da non accorgersi della mia
presenza." la voce di Massimo grondava veleno.
Lucilla sentì le lacrime sgorgarle dagli occhi e cercò invano di
trattenerle. "Hai ragione, Massimo. Ti ho mentito."
"Me ne sono accorto. Ma perché lo hai fatto?"
"Perché non ti saresti messo con me se ti avessi detto la
verità." ammise lei guardandolo negli occhi.
"Certo che non l'avrei fatto! Non posso credere che tu ti sia
presa gioco di me facendomi credere che per noi due ci sarebbe stato un
futuro!"
"Non volevo prenderti in giro! Io ti amo, Massimo!Volevo conoscere
il vero amore prima di compiere il mio dovere verso Roma e verso mio
padre!" esclamò cercando di convincerlo della sua sincerità con
occhi supplichevoli.
"E che cosa ne è del mio dovere verso Roma e tuo padre? Che cosa
credi penserebbe di me se sapesse che ho disonorato sua figlia? Penserebbe
che è stato solo perché tu mi hai fatto credere che sarei diventato tuo
marito?" sbottò lui con sarcasmo.
"Sì, Massimo, io ti crederei, perché sei l'uomo più leale che
abbia mai conosciuto, e sono certo che mai avresti toccato mia figlia in
diverse circostanze." La voce pacata di Marco Aurelio risuonò
nell'aria ed entrambi gli amanti si voltarono e videro Cesare fermo sulla
soglia. Le ancelle di Lucilla, spaventate, tremavano alle sue spalle.
"Padre!"
"Cesare!"
Esclamarono i giovani all'unisono, con le voci che tradivano il loro
sconvolgimento.
Marco Aurelio avanzò dentro la stanza, alzando la mano per intimare il
silenzio." Ho notato la tua agitazione quando eri nel mio studio,
Massimo, e ti ho visto impallidire quando il mio fratello adottivo ha
parlato del suo imminente matrimonio con Lucilla. Il mio istinto mi ha
suggerito che qualcosa non andava e ho deciso di seguirti."
"Cesare..." Il tribuno provò a parlare ma venne zittito
un'altra volta.
"Shh, Massimo," disse l'imperatore calmo, "Vai nel mio
ufficio e aspettami. Arriverò subito."
"Agli ordini, Cesare."
Massimo lanciò un ultimo sguardo a Lucilla, un misto di rabbia,
affetto e paura che quella fosse l'ultima volta che l’avrebbe vista,
quindi s'allontanò.
Una volta che lui se ne fu andato, Lucilla guardò a lungo la porta
chiusa, prima di voltarsi verso il genitore supplicando, "Per favore,
padre, non punirlo! Egli ha ceduto ai miei desideri perché pensava che mi
avrebbe sposata...io gliel'ho fatto credere."
"Lo so, figliola,lo so. Ma tu sei fortunata che Lucio non ne
sappia niente." Sospirò profondamente, passandosi la mano sui
capelli castani striati di grigio. "Adesso dovrò andare a parlare
con Massimo. Dovrò decidere che cosa fare. Tornerò più tardi."
Egli concluse con un cenno della testa, quindi se ne andò, lasciandosi
alle spalle una ragazza sconvolta e preoccupata che non poteva credere che
la sua felicità fosse finita tanto in fretta. Una ragazza che cominciava
a capire quanto pericolose potessero essere le bugie, e come fosse
difficile controllare a proprio piacimento l'evolversi degli eventi.
*****
Due ore dopo, Cesare tornò a visitare sua figlia, notando subito i
suoi occhi rossi e gonfi.
"Ho detto a Lucio che non ti senti bene," cominciò a bassa
voce, "questo ti assicurerà qualche giorno di tranquillità, per
riguadagnare la tua compostezza."
"Grazie, padre, " Lucilla sorrise stentatamente. Vi fu un
momento di silenzio, prima che Marco Aurelio, osservando l'espressione
preoccupata della figlia, lo interrompesse.
"Massimo se n'é andato, Lucilla."
"Andato? E dove?" mormorò con sguardo ansioso.
"L'ho mandato a casa per una breve licenza, prima della sua
partenza per la Germania."
"Capisco, "commentò lei con la mente già impegnata ad
escogitare il modo di contattarlo al suo podere, a come spedirgli una
lettera per tentare di spiegargli il proprio modo di agire. Avrebbe voluto
farlo di persona, ma avrebbe dovuto accontentarsi...
"Non pensarci nemmeno, Lucilla." La voce tonante di Marco
Aurelio le penetrò nella mente. "Tu non spedirai alcuna lettera a
Massimo, né tenterai di contattarlo in alcun modo. Non dev'esserci più
alcun incontro tra di voi. Tu lo hai preso in giro abbastanza, è tempo di
piantarla con questa storia e darci un taglio è la soluzione migliore per
tutti."
"Ma, padre, devo spiegargli...devo..."
"No, Lucilla. A queste cose avresti dovuto pensarci prima di
mentire a Massimo. Hai sbagliato, e pagherai per questo. Tornerai in
Italia ad aiutare tua madre che sta per partorire e a prepararti per le
nozze. Hai capito?”
"Sì, padre," Lucilla chinò il capo.
"Bene." Marco Aurelio fece per andarsene ma si fermò e
soggiunse, "Stavo dimenticando qualcosa. Per evitare ogni possibile
tentazione, farò in modo che il cursus honorum di Massimo non si
svolga a Roma ma qui in Spagna; egli ricoprirà gli stessi incarichi in
Emerita Augusta.”
"Cosa?! Perché lo punisci? Ti ho detto che é solo colpa
mia!" Gli occhi verdi di Lucilla scintillarono.
"Se lo conosco bene, dubito che Massimo considererà questo una
punizione. Penso che preferirà restare qui,vicino alla sua famiglia,
piuttosto che mettersi in viaggio per Roma."
"Ma non diventerà mai il grande generale che tu pensi sia
destinato ad essere, se non servirà a Roma e si farà conoscere nei
circoli politici che contano!"
"Questo non sarà necessario. Me ne farò carico io. Vedi,
Lucilla, voglio proteggervi entrambi dalle tentazioni e dagli scandali che
potrebbero rovinarvi la vita, ma voglio anche tenere Massimo lontano dalla
corruzione della classe politica. Ho la sensazione che un giorno avrò
bisogno di un uomo onesto e capace a cui affidarmi senza
esitazione."Lucilla annuì, non del tutto convinta da quelle parole,
ma sapendo di non avere scelta. Suo padre era un brav'uomo, ma diventava
inflessibile quando aveva preso una decisione.
Cadde ancora il silenzio e Marco Aurelio uscì dalla stanza lasciando
la figlia sola con il cuore spezzato e i sogni distrutti.
OGGI
Lucilla sbatté le palpebre e fissò il mare di fronte a lei, provando
a fermare il flusso dei ricordi prima che questi raggiungessero la loro
inevitabile conclusione, ma era troppo tardi, e lei tornò ancora una
volta al passato, a quasi nove mesi dopo che aveva visto Massimo in
Hispania per l'ultima volta. Al giorno in cui aveva dato alla luce una
bambina, ufficialmente nata dopo soli sette mesi dopo le sue nozze con
Lucio Vero.
Ma Lucilla, Delia e probabilmente anche Marco Aurelio sapevano la
verità, che Annia Lucilla la Giovane era la figlia di Massimo, la prova
vivente che le spugne che la serva le aveva consigliato di usare non
avevano funzionato a dovere. Per cinque, meravigliosi mesi, la piccola
Annia era stata la gioia della vita di Lucilla, finché una febbre
improvvisa se l'era portata via, più o meno nello stesso periodo in cui
le era giunta notizia che Massimo aveva sposato una ragazza di Emerita
Augusta. Il sapere che la loro unione era nata da sincero affetto e non da
calcoli politici, aveva contribuito a dare il colpo di grazia all'amore di
Lucilla per il bell'Ispanico, e lei aveva capito d'averlo perduto per
sempre.
Caprae, inizi di gennaio, anno 182
"Quando potremmo tornare a casa, madre?" domandò Lucio
alzando la testa dal rotolo che stava leggendo. "E'così noioso
l'inverno, qui, e io ho nostalgia dei miei amici..." E guardò
malinconicamente fuori dalla finestra, il cielo grigio e la pioggia che
cadeva, immaginando di guardare i monumenti e i templi di Roma.
"Presto, Lucio. Torneremo presto a casa,"disse sua madre,
cercando di rassicurarlo.
"Mi hai detto la stesa cosa un mese fa e ancora siamo qui.."
protestò il fanciullo con una smorfia.
"Non dipende da me, ma dal nuovo imperatore. Lui ci ha mandati qui
e sarà lui a decidere quando potremo rientrare a Roma." provò a
fargli capire.
"Allora mi sa che non vuole che torniamo lì..."e Lucio
guardò la madre con aria interrogativa.
"Temo che sia proprio così." Lucilla capitolò, sapendo che
non avrebbe potuto evitare per sempre la verità.
"Tutto questo succede per colpa di ciò che ha fatto lo zio?"
chiese lui con l'innocenza tipica dei bambini, "Cesare teme che anche
noi possiamo fare lo stesso?"
"Sì, penso che sia proprio così," rispose lei per calmarlo,
anche se sapeva che Commodo non c'entrava niente ed erano piuttosto i
legami con l'amato Marco Aurelio a spaventare Pertinace.
Il ragazzo annuì, mentre i suoi occhi assumevano un'espressione
triste. "Mi piaceva lo zio… era sempre gentile con me.”
"Lo so, Lucio. Ma tuo zio era anche molto malato...la follia aveva
distrutto quel che in lui c'era di buono ed andava eliminato. Lo
capisci?" Lucilla carezzò i capelli morbidi del figlio e poi,
posandogli un braccio sulle spalle, lo attirò contro il proprio fianco.
"Lo capisco, madre. Vedevo che la sua presenza ti rendeva inquieta
e preoccupata. Sono semplicemente triste che sia finita così male, per lo
zio e per Massimo. Lo sai che domani saranno trascorsi sei mesi dal loro
duello?"
"Davvero?" Lucilla rimase sorpresa di aver perso la
cognizione del tempo.
"Sì." Lucio rimase per un po'in silenzio, quindi domandò,
"Chi credi abbia portato via il corpo di Massimo?"
"E tu che cosa sai a riguardo?"sussurrò lei con la gola
stretta.
"Ho origliato i discorsi tra una guardia e il senatore Gracco la
mattina dopo il duello."
"Vedo," Lucilla guardò un attimo fuori dalla finestra,
notando che la pioggia stava cadendo più piano rispetto a prima e
continuò,"Non so che cosa ne sia stato del corpo di Massimo. Lo
cercammo, ma senza fortuna. Penso che i suoi amici gladiatori lo abbiano
portato via. Forse, volevano seppellirlo con qualche cerimonia
particolare, in un luogo segreto."
Lucio annuì soddisfatto dalla spiegazione e il suo viso si rasserenò
quando vide che aveva smesso di piovere.
"Guarda madre!" Il tempo è migliorato! Posso uscire un
po'?"
"Certo, ma mettiti il mantello e sta attento a non correre vicino
agli scogli, che il terreno é viscido."
"Lo so, madre lo so!" Lucio roteò gli occhi a quelle
raccomandazioni e, dopo averle scoccato un rapido bacio sulla guancia,
schizzò fuori dalla porta. Lucilla lo guardò uscire, prima di posare gli
occhi sull'altra persona presente nella stanza.
"Per favore, seguilo Delia. Ha tanta di quell'energia da sfogare
che temo possa esagerare con i suoi giochi."
"Lo farò. Ma...stai bene, domina?" domandò la sua
ancella e amica di vecchia data.
"Sì, amica mia. Solo che, ogni volta che credo di avere
finalmente accettato la morte di Massimo, succede qualcosa che mi dimostra
quanto mi stia sbagliando.” Gli occhi verdi di Lucilla si riempirono di
lacrime."Perché lo hanno portato via? Perché non mi hanno lasciato
nemmeno la possibilità di piangere sulla sua tomba? Perché gli dei
continuano punirmi così?"
"Non ti stanno punendo, Lucilla, ma i disegni degli dei sono
spesso misteriosi e possiamo solo seguirli. Tuttavia sono sicura che
torneranno presto a sorriderti, mia signora."
Lucilla si sforzò di sorridere, "Lo spero. Lo spero tanto, amica
mia." Delia le strinse la spalla in una silenziosa dimostrazione di
solidarietà e se ne andò,lasciando la padrona sola con i propri
pensieri.
*****
Era un buio pomeriggio di fine gennaio e ancora una volta la pioggia
stava cadendo sull'isola mentre il mare in tempesta impediva qualsiasi
contatto con la penisola già da diversi giorni.
Lucilla era nella propria stanza, impegnata a scrivere una lettera
diretta al senatore Gracco, il suo solo amico fidato e alleato in Roma.
L'anziano uomo politico la teneva informata sulla situazione nell'Urbe e
si preoccupava di amministrare i suoi possedimenti e il suo capitale. Lei
gli aveva dato l'incarico di acquistare un vasto appezzamento di terreno
in qualche remota area dell'impero, con la speranza che lei e Lucio
potessero trasferircisi e voleva sapere se l’amico era stato in grado di
soddisfare la richiesta. Siccome le lettere erano intercettate e lette dai
pretoriani di servizio nell'isola e dagli uomini di Pertinace, Lucilla e
Gracco facevano ricorso ad un codice da loro inventato per comunicare
durante il regno di Commodo e scrivere una lettera in quel modo richiedeva
molto tempo.
All’improvviso la porta si aprì e Delia apparve sulla soglia con una
mano premuta sulla bocca. La sua non annunciata apparizione (nonostante il
rapporto confidenziale che la legava alla padrona, non si era mai permessa
un eccesso di familiarità), la faccia pallida e il respiro affannoso
furono sufficienti a riempire di preoccupazione Lucilla fino alle ossa, e
lei scattò in piedi, quasi rovesciando la sedia.
"Che succede, Delia? E'capitato qualcosa a Lucio?"
Delia scosse piano la testa, ma le lacrime che presero a scenderle
dagli occhi non servirono certo a rassicurare Lucilla, che attraversò la
stanza fino a trovarsi di fronte l'altra donna, le prese le mani nelle
proprie. Erano fredde, e tremavano. La figlia di Marco Aurelio sentì un
lungo brivido premonitore correrle lungo la schiena prima di chiedere con
voce calma, "Che è successo?"
L’ancella, con voce rotta dalle lacrime, cominciò a parlare."Ho
appena origliato la conversazione tra due guardie. Dicevano che Pertinace
é stato assassinato perché non è stato in grado di pagare il denaro
pattuito ai pretoriani. Didio Giuliano è il nuovo imperatore e
lui...lui..." La voce di Delia si spense.
"Lui che cosa? Che cosa, amica mia?"
"Lui...Oh, mia signora! Ha deciso che tu e Lucio sarete
giustiziati. Pensa che siate troppo pericolosi."
Lucilla ascoltò la sua sentenza capitale con una calma quasi irreale,
come se avesse sempre saputo che sarebbe finita così, e adesso che era
successo, provava quasi sollievo. Ma non era così, perché non era sola.
Suo figlio, il suo dolce, innocente bambino, era stato condannato a morte
come lei. Lui, un povero ragazzino innocente di nove anni che non aveva
fatto niente di male in vita sua. Quasi senza rendersene conto, Lucilla
scivolò sul pavimento, il corpo squassato dai singhiozzi. Con un urlo,
Delia prese e strinse il corpo dell'amica tra le braccia ed entrambe si
abbandonarono alla disperazione.
Lucilla non si rese conto di quanto tempo avesse passato sul pavimento,
ma dopo un po' i suoi singhiozzi si placarono e riguadagnò
l'autocontrollo. Asciugate le lacrime, sorrise tristemente a Delia e
sussurrò, "Così,sembra che gli dei abbiano deciso che farne di
me..."
L'ancella scosse la testa e disse, "Sono così dispiaciuta,
Lucilla. Ho pregato gli dei di risparmiarti, ma non è servito."
"Sshh, Delia, non è colpa tua. Adesso dobbiamo pensare a noi
stesse. Non voglio che Lucio mi veda in questo stato io...io non voglio
rovinare...i suoi ultimi giorni." E non poté proseguire oltre.
Delia inghiottì a fatica e sussurrò,"Nella mia stanza c'è una
fialetta. Veleno. Rapido e indolore. Se vuoi..."
"No, Delia," Lucilla scosse il capo, "ti ringrazio ma
non voglio sfuggire al mio destino. Voglio guardare in faccia il mio
carnefice mentre mi strangolerà. In quanto a Lucio...spero di convincere
Giuliano che mio figlio non rappresenta un pericolo per lui... So già che
non potrei mai fargli del male...Non potrei guardare i suoi occhi
chiudersi per sempre… Mi è già capitato una volta e non potrei
sopportarlo ancora…”
"Allora lo farò io. Sono certa che mi faranno venire con te.
Farò in modo che Lucio si addormenti per sempre, se Cesare gli negherà
la grazia...Che cosa ne pensi?"
Lucilla fu a malapena in grado di annuire. Sembrava così irreale
essere lì a pianificare la morte del proprio figlio come se fosse una
cosa normale, ma era tragicamente vero. Lucilla diversi profondi respiri e
domandò, "Sai quel che accadrà?"
"I pretoriani hanno detto che stanno aspettando l'arrivo del
Prefetto da Roma. Egli ti scorterà nella capitale quando il mare si sarà
calmato."
L'ex imperatrice annuì, "Bene,allora prepariamoci ad accogliere
Quinto con tutti gli onori che spettano ad un esperto traditore."
disse ironicamente alzandosi in piedi ed aiutando Delia a fare
altrettanto."Grazie di tutto, amica mia." sussurrò prima di
risistemarsi i capelli e uscire dalla stanza per prepararsi al suo
appuntamento col destino.
*****
La notte era caduta sull'isola, ma non c'era pace per Lucilla, anche se
non a causa della tempesta che imperversava all’esterno. Al contrario,
il bagliore dei lampi, il boato dei tuoni e l'infrangersi delle onde le
calmavano i nervi, perché tenevano a distanza i pretoriani, e Lucilla non
voleva addormentarsi, per il timore che le condizioni atmosferiche
sarebbero migliorate se lei avesse smesso di pregare gli dei affinché le
mantenessero pessime com'erano.
Infine, verso mezzanotte, la stanchezza e le preoccupazioni la vinsero
e cadde in un sonno agitato, popolato da incubi.
Sognò la propria morte e vide se stessa camminare nei Campi Elisi,
mentre due figure le andavano incontro; una era suo padre, l'altra una
bimba bruna dai grandi occhi verdazzurro, la sua piccola Annia. Sorrideva
e voleva giocare con lei... Lucilla tese le braccia per prendere la bimba,
ma sentì una voce. Una voce familiare, amata. Quella di Massimo.
La stava chiamando, le intimava di destarsi ma lei non ne aveva
l'intenzione, perché era al sicuro nei Campi Elisi e non voleva
andarsene. Ma la voce insistente, urgente di Massimo le diceva che avevano
poco tempo e, alla fine, lei ubbidì e aprì gli occhi.
*****
C'era buio nella stanza, ma Lucilla si accorse subito che c'era
qualcuno accanto a lei. Un potente lampo cadde proprio nelle vicinanze
della finestra e la luce repentina illuminò una figura incappucciata
china su di lei. Aprì la bocca per urlare, ma una grande mano callosa
gliela tappò, mentre il forestiero si chinava su di lei e sussurrava,
"Non temere, Lucilla. Sono io, Massimo."
Lucilla non poteva credere a quello che stava udendo. Era solo uno
scherzo della sua mente sconvolta. Doveva essere così, Massimo era morto.
Ma la mano che le copriva la bocca era reale e calda. Quindi l'uomo parlò
ancora, con la sua bassa voce e profonda, "Lucilla, sto per togliere
la mano. Per favore, non gridare ma accendi la lucerna." Lei annuì
con un cenno della testa, per dimostrare che aveva capito e la mano fu
rimossa.
Tremando, si sedette sul materasso e accese la lucerna sul tavolino da
notte, e quando vi fu più luce, tutti i suoi dubbi che trattasse solo di
un sogno caddero: Massimo era davvero nella stanza con lei, avvolto dalla
testa ai piedi da un mantello militare e con il viso annerito dalla
cenere. Era la cosa più bella che avesse mai visto, ma com'era possibile?
Lo aveva lasciato morto nei sotterranei del Colosseo, prima che i
pretoriani, preoccupati per la sua sicurezza, la portassero via...
"Come..."La parola le nacque spontanea sulle labbra, senza
l'apporto del pensiero cosciente, ma lui scosse la testa.
"E'una storia lunga e adesso non abbiamo tempo. Dobbiamo lasciare
l'isola prima dell'alba."
Il cuore di Lucilla le balzò in petto per la gratitudine: ancora una
volta, lui veniva in suo aiuto. Sentì lacrime di sollievo spuntarle dagli
occhi, ma le ricacciò risolutamente indietro, non era il momento di
lasciarsi andare alle emozioni.
“Che cosa vuoi che io faccia?"
"Scrivi un biglietto dove spieghi che hai deciso di uccidere Lucio
e te stessa per non dare a Giuliano la soddisfazione di farti giustiziare
in pubblico."
"Tu lo sapevi?"domandò lei, benché non fosse sorpresa più
di tanto, alzandosi e dirigendosi allo scrittoio.
"Sì, lo sapevo. E' per questo che è così importante andarcene
di qui prima possibile. Non so quanto vantaggio abbiamo sui
pretoriani." Spiegò Massimo aprendo la porta della camera per
controllare che non ci fosse nessuno nel corridoio. Lei non rispose, ma si
affrettò a terminare di scrivere il suo appunto. Massimo tornò da lei,
lesse lo scritto, quindi si avvicinò al letto e lo posò sul comodino.
"Adesso andiamocene."disse accendendo una piccola lanterna che
aveva portato, ovviamente, con sé. "Valerio dovrebbe aver già
preparato Lucio."
"Valerio?" Si domandò lei, allungando la mano verso il
mantello che era posato sulla spalliera di una sedia.
"No. Devi portare solo i vestiti che hai addosso. Dobbiamo far
credere loro che ti sia allontanata da casa per gettarti in mare. Questo
dovrebbe essere sufficiente a tenerti al caldo per un po’,” Massimo si
tolse il sagum e glielo drappeggiò sulle spalle. Conservava il
calore del corpo di lui e lei non poté fare a meno di annusare il
tessuto, felice di sentirsi addosso la stoffa che odorava del sentore
pulito e mascolino di Massimo.
Quando fu certo che lei fosse al caldo, prese la sua veste da notte e
le sue pantofole in una mano, la lanterna nell'altra e si diresse verso la
porta.
Una volta in corridoio, raggiunsero velocemente la stanza di Lucio, che
era vicina a quella della madre, ed entrarono. Il bambino era seduto sul
letto, con un mantello drappeggiato addosso, in compagnia di due uomini
vestiti di nero come Massimo.
Lucio sembrava impaurito, ma il suo viso si illuminò quando vide la
madre e gli occhi quasi gli uscirono dalle orbite quando riconobbe l’uomo
che era con lei. Aprì la bocca per parlare, ma Lucilla fu più
veloce,"Stai zitto, parleremo dopo. Adesso rimani in silenzio e fai
quello che dice Massimo senza discutere. Hai capito?"
Il bambino annuì, sorpreso dal tono perentorio della madre; era la
prima volta che gli parlava in quel modo. Nel frattempo, Massimo aveva
finito di scambiare qualche parola con i suoi uomini. "Siamo pronti
ad andare."
Lucilla annuì e tese la mano verso Lucio, invitandolo a starle vicino.
Silenziosamente lasciarono la stanza e camminarono lungo i corridoi
fino a raggiungere l'ingresso riservato alla servitù. Erano sul punto di
uscire quando una voce chiamò,"Dove vai, mia signora?"
Era Delia; si trovava sulla soglia della cucina con uno scialle gettato
sulle spalle. Uno degli uomini di Massimo le andò incontro minaccioso, ma
Lucilla lo fermò con un gesto imperioso. "Concedici un
momento." Si avvicinò all'amica e le sussurrò, "Delia, questi
uomini sono venuti a liberare me e Lucio. Noi dobbiamo inscenare un finto
suicidio...Io ho lasciato una lettera nella mia camera e ho bisogno che tu
dica ai pretoriani quanto disperata fossi ieri, in modo da far credere
loro che realmente meditassi di uccidermi gettandomi in mare con mio
figlio."
L’ancella annuì esitando,"Ne sei certa,Lucilla?" Quindi
guardò alle spalle della padrona e gli occhi le si spalancarono alla
vista di Massimo."Sì, vedo che lo sei." Un sorriso, quindi,
"Sembra che gli dei abbiano ascoltato le mie preghiere,
dopotutto."
"Sì, lo hanno fatto. Mi dispiace non poterti portare con me, ma
non è possibile."
"Lo so."
"Ma adesso prendi questo." Lucilla si sfilò l'anello
imperiale dal dito."Quanto ti lasceranno libera, e non dubito che lo
faranno, vai a Roma e cerca il senatore Gracco. Mostragli l'anello: lui
provvederà a te."
"Lucilla, dobbiamo andare." La voce di Massimo era ridotta a
un rapido bisbiglio.
"Un attimo solo." Le due donne si scambiarono un ultimo
abbraccio. Quindi Delia mormorò, "Adesso vai e che gli dei sorridano
a te e a Lucio." E così dicendo, risolutamente si voltò e se ne
andò. Lucilla la guardò finché non scomparve, quindi corse a riunirsi a
Massimo e agli altri.
Appena fuori, Massimo fece una rapida capatina alla terrazza che si
affacciava sul mare e gettò gli indumenti che aveva preso nelle stanze di
Lucilla e Lucio oltre la balaustra, quindi imbrattò la ringhiera di marmo
come se qualcuno l'avesse scavalcata con i piedi sporchi di fango.
Soddisfatto dal suo lavoro, raggiunse gli altri. "Dovrebbe bastare.
Con il mare in queste condizioni sarebbe impossibile recuperare i
corpi."
Lucilla annuì e subito il gruppo si rimise in cammino, lasciando i
giardini della villa e raggiungendo la spiaggia. La donna e il bambino
erano scalzi, ma sembravano non accorgersi dell'asperità del terreno. Una
barca li stava aspettando sulla riva, pronta a salpare, circondata da otto
uomini pronti a salire sulla loro piccola imbarcazione e mettersi ai remi.
Lucilla guardò le alte onde rabbiose quindi lo scafo, che sembrava troppo
fragile per affrontarle.
"Lo so che è mette paura, ma è l'unico modo," le sussurrò
Massimo all'orecchio, sorridendo per rassicurarla e lei assorbì forza dal
suo sguardo. Gli sorrise di rimando prima di compiere il decisivo passo
verso la barca, salirci e accomodarsi nel sedile centrale, con Lucio
stretto tra le braccia.
"Andrà tutto bene," gli mormorò sentendo il suo piccolo
corpo tremare.
Non appena tutti furono saliti a bordo, i rematori iniziarono a vogare
e la barca lasciò la relativa sicurezza della riva per il mare aperto.
*****
Il viaggio fu duro e difficile, con il vento e le onde a mettere a dura
prova la resistenza dei rematori e la pioggia battente a limitarne la
visibilità. Più di una volta la barca rischiò di rovesciarsi, ma per
fortuna non accadde, e dopo un tempo che era sembrò interminabile,
l'imbarcazione approdò a una cala protetta vicino al porto di Neapolis.
Il gruppo non perse tempo ad abbandonare la barca per salire sul carro o
montare sui cavalli che li aspettavano sotto la sorveglianza di altri due
uomini di Massimo e presto imboccarono la via Domizia, diretti a nord,
intenzionati a mettere la maggior distanza possibile tra loro e Caprae,
prima dell'alba e della scoperta del "suicidio".