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Russell
Crowe sulle riviste italiane... e non
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(pagina 39)
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"FilmTV" n. 9 del 3 marzo 2002.
Grazie a Kya per la scansione e l'OCR dei testi!
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A Beautitul Mind
Sempre piu bravo come regista, Ron Howard. Che dirige uno strepitoso Russell Crowe nei panni di John Forbes Nash
jr., genio ombroso e schizofrenico che con la teoria dei giochi rivoluzionò le basi dell’economia moderna e vinse il Nobel.
Davvero una ‘magnifica mente’, quella di John Forbes Nash jr., che a vent’anni elaborò la teoria dei giochi e rivoluzionò le basi dell’economia moderna.
Era il 1948 e Nash stava a Princeton con la più ambita delle borse di studio; ma non era della razza classica degli studenti che da generazioni hanno l’università nel sangue e nei modi. Piccolo borghese, un po’ sciattone, testa nelle nuvole (sempre a inseguire un’idea brillante e veramente originale), molto scontroso, per nulla avvezzo ai riti giovanili, molto invidiato e perciò un po’ perseguitato per la fama, appunto, di mente magnifica che l’ha preceduto. Eppure, bastano una sconfitta al "Go" (antico gioco da tavolo al quale si sfidano gli studenti di Princeton) e una serata al bar a osservare i meccanismi di squadra innescati tra i suoi compagni dalla presenza di una bionda
esplosiva per accendere nel suo cervello la scintilla dell’invenzione.
Si fa fatica a immaginare il "gladiatore" Russell Crowe nei panni di questo genio ombroso e travolto dalla schizofrenia, che arriva al Nobel nel 1994 grazie a quella sua teoria giovanile. Ma basta ricordare il borghese ostinato di
"Insider" per ritrovare sulla faccia di Crowe
quell’espressione decisa e aggrottata che qui gli fa voltare le spalle, con sofferenza, alle immagini della sua malattia. Probabilmente Crowe non vincerà un secondo Oscar in due anni, ma per questo film lo meriterebbe davvero. E, al suo fianco, lo meriterebbe anche Jennifer
Connelly, cresciuta in misura, fascino e tenerezza da quando, ragazzina, ballava
"Amapola" e si lasciava guardare da Noodles in "C’era una volta in America".
"A Beautiful Mind" è un film dalle cadenze classiche e impreviste. Nasconde con abilità i risvolti misteriosi della sceneggiatura e con senso sotterraneo del suspense centellina dubbi e rivelazioni, quasi la
consapevolezza degli spettatori dovesse andare di pari passo con quella del protagonista. Non esita davanti all’esasperazione e non si vergogna della commozione. Ron Howard cresce sempre di più come regista e, se non inventa, certamente ama raccontare.
EMANUELA MARTINI
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Perché ha scelto di raccontare la storia di John Forbes Nash?
«Conoscevo John Nash come celebre matematico e premio Nobel dalla metà degli anni ‘60. Solo due anni fa mi sono accostato anche alla sua vicenda umana.
Ho un fratello che soffre di schizofrenia e penso che su questa patologia esistano ancora molti pregiudizi e ignoranza. Si ragiona per sentito dire, per stereotipi, senza approfondire il tema da un punto di vista
clinico. Alla base di "A Beautiful Mind" c’è un esigenza di conoscenza, il desiderio di smontare tutta una serie di luoghi comuni che accompagnano la percezione che si ha della schizofrenia e di chi ne soffre».
Cosa l'ha convinta di Russell Crowe?
«Quando "A Beautiful Mind" era solo una sceneggiatura di Akiva
Goldsman, non volevo che a interpretare Nash fosse una star, e, prima di "Il
gladiatore" Russell non lo era.
I primi contatti con lui risalgono, infatti, a molto tempo prima. Ero rimasto molto colpito dalla sua interpretazione di Jeffrey Wigand in
"Insider" di Michael Mann, non solo per la sua trasformazione fisica
rispetto a "L.A. Confidential", ma soprattutto per la sua recitazione trattenuta, di mezzi toni, di sguardi, di espressioni, quasi distaccata. Ero lo stesso approccio che volevo per A Beautiful
Mind».
Avete studiato a lungo la psicologia e le caratteristiche fisiche di Nash?
«Ho mostrato a Russell diversi filmati d’epoca di Nash. Fisicamente i due si assomigliano poco, Nash è molto alto, mentre Crowe è più tozzo. L’intento non era, però, quello di ricreare ossessivamente la mimica
e la gestualità di Nash, ma, piuttosto di renderne la sfaccettata e complessa personalità».
È sorpreso della nomination all’Oscar?
«Piacevolmente sorpreso. Sono lusingato di comparire accanto ad autentici maestri del cinema come Robert
Altman, David Lynch e Ridley Scott, ma penso di avere poche chance di vittoria».
ANTONIO TERMENINI
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"FilmTV" n. 9 del 3 marzo 2002.
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In clamoroso ritardo alla conferenza stampa a Roma, Russell Crowe fa infuriare giornalisti e fotografi. Che comunque non sono mai contenti...
Citizen Crowe
RUSSELL CROWE: UN GENIO, UN CRETINO O PIU' VEROSIMILMENTE UNA COSA A METÀ FRAQUESTI DUE ESTREMI?
Ve lo sareste domandato anche voi, se vi foste trovati un martedì sera, il giorno stesso della conferenza romana del divo, a uno dei brain-trust che la stampa cinematografica della capitale vive quasi quotidianamente nelle salette riservate (nella fattispecie, quella
dell’Anica) per le proiezioni dei film. Quella sera, il film era "Sposami
Kate" ma si parlava solo di Russell. A mezzogiorno, infatti, si era presentato alla conferenza stampa per "A Beautiful
Mind" (pronunciato rigorosamente alla romana, suona come 'a morto de fame' o 'a fio de
'na mignotta') con un’ora di ritardo. Capita. Anni fa capitò a Victoria
Abril, che però fu capace di sedurre i cronisti imbufaliti adducendo, a motivo del ritardo, la
"noche romana", e lasciando intuire chissà quali scappatelle al suono di "Roma nun fa’la stupida
staser".
Crowe è meno seducente della Abril o forse lo è di più, ma in maniera diversa. Come suo solito, ha cominciato a latrare e a trattar male tutti
quanti. Nelle chiacchiere serali, il grande interrogativo era: a chi Russell aveva rivolto un
"fuck!" risuonato durante l’incontro? A un microfono che non funzionava, a un cameriere che gli aveva versato mezzo cucchiaino di zucchero in più nel caffè, o addirittura all’esterrefatta addetta stampa della
Uip, la mite Cristina Casati che è una persona adorabile e che non si merita un
"fuck" da nessuno, nemmeno da un premio Oscar? Mistero.
Che nel dibattito si infittiva, trasformando Crowe in un novello Citizen Kane sul quale i pettegolezzi si alimentano su se stessi dando vita ad autentiche leggende metropolitane. Il dialogo era di questo tipo: «Ma perché deve arriva’ in ritardo, dico io? Ce dovevamo
alza’, annassene tutti e buonanotte ar secchio». «Sì, e se poi restano "Corriere" e "Repubblica" che
famo?». «E ‘sti cazzi, escono "Corriere" e "Repubblica" e chi se ne frega». «Era in ritardo perché manco ha dormito in albergo. È tornato all’alba embriaco
fracico». «Macché, stava in palestra a rifasse li muscoli». «No, ha distrutto ‘na Ferrari (anzi,
Ferari, con una ere, se no è erore: ndr.) comprata ieri pomeriggio». «Comunque è un rozzo, un burino: come se fa’ a di’ che è
bbono?». «Ahò, a me me pare bonissimo». «Capirai, fatte vede’ da uno bravo», e così via. E poi la lamentela finale: e quanto chiacchiera, a ogni domanda una risposta chilometrica! Per la cronaca quando i divi rispondono a monosillabi ci si lamenta che non hanno un cavolo da dire. Ah, iene deI quarto potere, siamo più feroci dei gladiatori.
ALBERTO CRESPI
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"FilmTV" n. 9 del 3 marzo 2002.
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L’INTERVISTA
E Russell tenta il bis: <<Le statuette non
bastano mai>>
Di Maurizio Cabona
Il Giornale- 13 febbraio 2002
Candidato all’Oscar nel 2000 per Insider di
Michael Mann, lo vince nel 2001 per Il Gladiatore di Ridley Scott e
ora è candidato per A Beautiful Mind di Ron Howard. Russell Crowe
dunque trionfa, ma quasi nessuno si accorse di lui in Italia nel suo primo
film giunto da noi, l’australiano Istantanee di Jocelyn Moorhouse
(1991).
La fama mondiale di Crowe è però di matrice
hollywoodiana e deriva innanzitutto da L.A. Confidential di Curtis
Hanson (1997), dove recitava accanto a Kevin Spacey, che a questo festival
di Berlino ha presentato The Shipping News. Ieri qui è arrivato
anche Crowe per presentare A Beautiful Mind (<<Una bella
testa>>, fuori concorso), biografia edificante del matematico John
Nash, Nobel per la scienza nel 1994, tuttora vivente.
Distribuito dalla Dreamworks di Spielberg, A Beautiful
Mind è un A.I. Intelligenza artificiale senza robot: fra algebre
ed allucinazioni Nash attraversa la guerra fredda, con le sue isterie,
aggiungendovi le sue allucinazioni. Soffre di sdoppiamento di
personalità. A proposito: Ed Harris, che in A Beautiful Mind
recita da agente segreto, vi ha questa battuta: << McCarthy sarà un
cretino, ma che ovunque ci siano comunisti è vero>>.
Signor Crowe, l’Oscar alla carriera per Elia Kazan
(1999) è stato contestato da Harris per la testimonianza resa, mezzo
secolo prima, davanti alla commissione per le attività antiamericane…
<<Di Harris ricordo un altro episodio. Era
candidato come miglior attore protagonista per Pollok, da lui anche
diretto. E io ero suo rivale per Il Gladiatore. La mattina dopo avremmo
cominciato le riprese di A Beautiful Mind…>>
Risultato?
<<Non era il modo migliore per cominciare un film
insieme. Ed però è un signore>>.
Perché sa perdere?
<<Questo non l’ho detto>>.
A Beautiful Mind ha avuto, oltre la sua, sette
candidature agli Oscar.
<<E’ fantastico, sono contentissimo. È il mio
sedicesimo film, nel quale resto sposato con Jennifer Connelly (anche lei
candidata all’Oscar - Ndr.) per cinquant’anni. Meritavo il
riconoscimento anche per questa resistenza>>.
Ormai dovrebbe esserci abituato. Agli Oscar, intendo.
<<Sa com’è… Gli Oscar non bastano mai>>.
Quando ha saputo della candidatura?
<<Poche ore fa, in Albergo, guardando il
notiziario della CNN>>.
Milos Forman dice che l’Oscar è importante
<<perché, dopo, fai quello che ti pare>>. E dopo due Oscar
che cosa può succedere?
<<Fai ancora di più quello che ti pare. Ma un
premio conferito dall’Academy lusinga anche perché viene solo da
persone che fanno il tuo stesso mestiere, che capiscono se lo fai bene>>.
Nel Gladiatore, suo primo Oscar, lei era forte
nel corpo e doveva combattere con altri forzuti; in A Beautiful Mind,
è forte nella mente, ma deve combattere con la follia. Che cos’è
peggio?
<<E’ una di quelle domande alle quali qualunque
risposta è sbagliata. Mi consenta di sottrarmi>>.
Restiamo agli Oscar, allora. Candidato il film di un
australiano, Baz Luhrmann, Mulin Rouge, con l’australiana, Nicole
Kidman…
<<Sono contento anche per loro. Se cresci in
Australia, hai la fortuna di parlare inglese e di avere aperte le porte di
Hollywood quasi come un americano. È un popolo avventuroso, sportivo,
legato alle scoperte per la sua stessa esistenza>>.
Ma lei è neozelandese. E la Nuova Zelanda è la vera
protagonista del Signore degli Anelli del neozelandese Peter
Jackson, film che all’Oscar arriva con ben tredici candidature.
<<Vale lo stesso per l’Australia. E non
dimentichi che nel Signore degli Anelli c’è un’altra australiana,
Cate Blanchett>>.
A Beautiful Mind lima certi lati di Nash, oltre la
follia: l’omosessualità, il divorzio…
<<Nash è venuto a trovarci sul set: abbiamo
avuto una semplice conversazione e si è congratulato. La sceneggiatura
non è affar mio>>.
Nash per Crowe?
<<Genio e sregolatezza>>.
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Dal Festival di Berlino, la conferenza stampa di
Russell Crowe, 13 febbraio 2002 - dal Mattino online
Il divo australiano in festa per la candidatura all’Oscar
di «A Beautiful Mind»:
«Recito la poesia della schizofrenia»
DALL’INVIATO VALERIO CAPRARA
Berlino. È la prima uscita dopo la gioia delle otto
nomination ed è raggiante il regista Ron Howard, nel cui volto scarnito
non riconosci più il familiare rosso dei nostri «Happy Days». Russell
Crowe invece appare come sempre guardingo, col collo taurino e le manone a
pala che scoppiano fuori dal vestito. Gli occhi chiari coronati dalla
barba sottile sembrano piuttosto minacciosi, o meglio vagamente pronti a
scattare, a reagire alle domande di quelle serpi che sono i giornalisti.
«Sono felice perché nel film ho investito una gran parte di me, oltre a
quattro anni di preparazione, e perché le nomination riguardano le
categorie più importanti. È sempre difficile competere sul terreno degli
Oscar e, pur non essendo un tipo da premi, sono ancora più contento
d'assaporare il mio momento magico a Hollywood, dove la prima a tagliarti
i panni addosso è proprio la gente che fa il tuo stesso lavoro». È
divertente chiedergli come se la cavava in matematica: «Era dura, anché
perché nella mia classe in Nuova Zelanda c'era un bravo professore che
però era ungherese e non capiva niente d'inglese: in quell'ora facevo
altre cose. Nel film le equazioni già scritte erano vere, ma poi durante
le riprese ci scarabocchiavo sopra numeri a casaccio». Il divo dovrà
pure dirci qualcosa delle altre grandi candidature... «Non sono sorpreso
del trionfo de ”Il signore degli anelli”, anche perché credo che ne
risulti confermata la forte competitività del cinema australiano. Non lo
tradirò definitivamente per Hollywood, ci lavorerò ancora perché non
credo che i budget stratosferici delle Majors siano indispensabili. Mi
congratulo in particolare con la bravissima Nicole Kidman, ma la compiango
perché passerà pessime giornate dovendo lavorare con quel folle di Lars
Von Trier».
Per «A Beautiful Mind» si è un po’ ispirato a «Forrest Gump»? «Non
direi perché Nash non è il solito patetico malato: la vera protagonista
è la sua fantastica mente che rappresenta una forma d'eroismo inedito e
non a caso farà discutere l'America al di là degli ambienti scientifici.
Adesso il soggetto sembra facile e scontato, ma vi assicuro che in
partenza faceva paura: recitare la poesia della schizofrenia non è certo
un espediente commerciale». Ha incontrato il settantaquattrenne
matematico, insignito dal Nobel nel '94, prima di girare? «No, volevo
liberamente decidere come lo avrei rappresentato. Poi il vero Nash si è
presentato un giorno a sorpresa sul set e gli ho chiesto se preferiva
prendere insieme un té o un caffé. E lui si è messo a sviscerare
dettagli per tutti noi decisamente inessenziali: quale sarebbe stata la
scelta più opportuna, quale bevanda sarebbe stata meglio esaltata dallo
zucchero e dal latte... Minuti indimenticabili, che naturalmente ho subito
rubato per il film. Comunque si tratta di una persona splendida,
incredibilmente affascinante ed anche generosa». Ed ecco puntuale la
domanda - si sente più a suo agio col corpo o con la mente - che
riattizza la nota fobia per le interviste: «La mente mi dice che è
meglio che lei faccia un'altra domanda», scandisce con voce calda
chiudendo la conferenza stampa.
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