Russell Crowe - La Stampa - traduzioni

 

Articolo di Adam Sternbergh dal National Post online, 13 aprile 2002 

la traduzione e' a cura di Cecilia celia59@vivacity.it

 

 

Russell Crowe: una difesa

L’Oscar e poi il broncio: perché dovremmo ringraziare il corpulento e sgarbato zoticone di Hollywood 

di Adam Sternbergh - Saturday Post

Illustrazione di Mark Zingarelli (Russell Crowe)

Il mattino successivo alla cerimonia degli Oscar, Lloyd Grove, il redattore della rubrica “Gossip” del Washington Post, ha inviato una e-mail a George Rush, il redattore della rubrica “Gossip” del “The New York Daily News” con la seguente domanda: “C’è qualcosa che Russell Crowe possa fare a questo punto per recuperare la sua immagine?”. La domanda di Grove - che era saltata fuori in una delle lettere pubblicate dai redattori sul sito Web Slate.com - assommava il pensiero prevalente. Crowe era stato dato come sicuro vincitore dell’Oscar per il Miglior Attore (aveva già vinto un Golden Globe, lo Screen Actors Guild ed il BRIT Award (premio dell’Accademia Britannica dei Film e della Televisione). Poi aveva rovinato le sue chance con i suoi accessi di maleducazione e la sua arroganza sgarbata. Inoltre, Crowe si è trasformato rapidamente, nel giro di un anno, da eroe degli Oscar in ascesa in bruto residente di Hollywood, serioso, strapazzatore di produttori del BAFTA, terrore di registi, declamatore di poesia, criminale perennemente arrabbiato che non sa perdere.

Risale solo agli Oscar dell’anno scorso il periodo in cui Crowe conduceva il “Gladiatore” verso un successo inverosimile? Quando era annunciato come la rinvigorente combinazione di rude uomo-uomo e di virtuoso attore, che eccelleva allo stesso tempo in ruoli con caratteristiche di complessità o di pura azione, lasciando una traccia di fuoco attraverso Hollywood ruttando, maledicendo, travolgendo le donne, ingollando birra, sfasciando famiglie e seducendo lo spettinato e favorito folletto d’America, Meg Ryan, lungo la strada?

E’ difficile credere che, solo un anno più tardi, la domanda più pertinente riguardo a Russell Crowe sia: può essere salvata la sua carriera? Esaminiamo un attimo le accuse mossegli più comunemente: E’ sgarbato. E’ arrogante. Ha un brutto carattere. Non è cortese. E’ troppo dannatamente istrionico. Il suo brillante ruolo in “A Beautiful Mind” si arruffianava troppo all’Academy. Ed è eccessivamente peloso.

Ora consideriamo alcune delle ragioni per cui noi, pubblico che va al cinema, che osserva le stars, e che dibatte sugli Oscar, possiamo ringraziare Russell Crowe.

1) Russell Crowe ha fatto rivivere il classico mito del maschio sex-symbol. Con il “Gladiatore” da solo ha posto fine a quella inquietante tendenza che voleva dei ragazzi di 15 anni, magri e glabri (ed attori che somigliano loro) elevati a status symbol del sesso - un fenomeno che può ora essere definito la Beat-ificazione dell’Adolescenza da parte di Hollywood.

Non dimenticate che, in epoca pre-Gladiatore, il modello dominante della mascolinità sullo schermo era il tipo magro-come-un-levriero alla Leonardo DiCaprio, che rimbalzava come un folletto sul Titanic. Poi, ecco che venne Crowe nel ruolo di Maximus, un pezzo d’uomo minaccioso ed ingrugnito, dal cuore impavido, con l’occhio strabico e di poche parole. In un solo poderoso colpo, Crowe vanificava la strisciante sessualizzazione degli adolescenti che minacciava di infettare Hollywood (Va bene, Crowe ha fatto poco per vanificare la strisciante sessualizzazione delle adolescenti che minaccia di infettare Hollywood al momento - ma, hei, è solo un uomo).

D’accordo, Crowe impersona il ruolo del selvaggio Aussie (Australiano), presentandosi agli Oscar con i lunghi riccioli, la barba incolta, come Giovanni Battista emergente dalla selva. Ma, vista come ripudio della precedente, prevalente glabrità del Di Caprio, la villosità di Crowe risulta meno repellente

2) Russell Crowe è un bravo attore. Qualsiasi cosa pensiate dell’uomo, è difficile negare il suo talento. E qualsiasi cosa pensiate di “A Beautiful Mind”, è difficile liquidare la sua interpretazione - non per le scene ululanti del collasso mentale - ma per il modo in cui Crowe è invecchiato - senza apparenti strappi - da studente di vent’anni e qualcosa a premio Nobel di settanta. (E’ stato aiutato, nel rappresentare John Nash in tarda età, da un sapiente make-up - un vantaggio di cui non ha goduto Jennifer Connelly, il cui make-up la faceva rassomigliare a Rum Rum Tugger di Cats.

3) Non solo Crowe è un bravo attore, ma è interessato anche ad una buona prestazione. I suoi ruoli sono diventati più variati a mano a mano che è diventato famoso - l’opposto di quello che succede in genere. Crowe ha cominciatola sua carriera alla TV australiana, in serie quali “Police Rescue” e “Vicini di casa”. Dopo alcuni ruoli in vari film, si è rivelato con il ruolo di impetuoso skinhead in “Romper Stomper” nel 1992. La leggenda dice che, quando Sharon Stone vide il film, insistette che Crowe fosse scelto per il film “The Quick and the Dead”, un divertente ma dimenticabile fumetto western di Sam Raimi. In seguito Crowe si trascinò in un pantano di ruoli non memorabili, il più notevole dei quali fu SID 6.7 nel film d’azione “Virtuosity”. Crowe impersonava uno psicotico virus computerizzato che prende vita (non chiedete come) il quale - in un’involontaria pre-visione della gara degli Oscar 2002 - viene battuto da Denzel Washington. Nel 1997, Crowe semi-sfondò in Hollywood, come Bud White nel film candidato all’Oscar “L.A. Confidential”. Ma, invece di trasformare questo ruolo in una serie di film d’azione basati su poliziotti-amiconi - senza dubbio la svolta di carriera più facile da intraprendere - Crowe mise su pancia, si tinse i capelli di bianco e inforcò un paio di occhiali da ingegnere per interpretare l’elusivo informatore Jeffrey Wigand nel film “The Insider”, che gli valse la prima di tre candidature all’Oscar in fila.

4) Ancora più importante, Crowe non solo è unicamente interessato ad interpretare buoni ruoli, ma non è Nicholas Cage. Vale a dire che non vedremo Crowe interpretare un ex-Marine su un aereo pieno di killers pericolosi, o un ladro di macchine ritiratosi a vita privata richiamato per un ultimo lavoro, o un poliziotto che ha perso distintivo e collega, ma non la sua voglia di vendicarsi. Immaginatevi come sarebbe stato facile per Crowe, dopo che aveva provato con il “Gladiatore” che poteva capitanare un film d’azione (che, in effetti, poteva elevarne la qualità), riempire il suo carnet di blockbuster estivi ed enormi cachet. In altre parole diventare Nicholas Cage: Il Sequel. Anche Cage una volta era un attore interessante che ricercava ruoli particolari. Poi vinse un Oscar e immediatamente fece voto di non comparire mai più in un film che non fosse prodotto da Jerry Bruckheimer. Crowe, a suo credito, ha rifiutato di tradire le sue prime promesse e di dedicare la sua carriera a penzolare dagli elicotteri e a schivare esplosioni in slow-motion. OK, state pensando: Russell Crowe è un buon attore, un attore interessante che ha dimostrato integrità nella sua carriera. Ma a quello, naturalmente, non si è mai obiettato. La forte reazione negativa alla carriera di Russell Crowe non è stata causata dalla delusione nei confronti della qualità del suo lavoro. Piuttosto, dal suo temperamento. E’ un balordo! Non era stato abbastanza felice quando ha vinto l’Oscar. Non è stato felice abbastanza per Denzel Washington quando lui ha vinto l’Oscar. E poi c’è stato quello sfortunato incidente della spinta durante i premi BAFTA in Gran Bretagna, nel quale Crowe ha ingaggiato una zuffa con un produttore dello show, dopo aver scoperto che una poesia che aveva letto durante il suo discorso di ringraziamento era stata tagliata dalla trasmissione TV.

Prima di tutto liberiamoci di questo: Crowe può essere una persona sgarbata, arrogante spiacevole e con un cattivo carattere. Non lo sappiamo per certo, sebbene ci siano degli indizi che suggeriscono che, quantomeno, possiede una salutare auto-stima. Crowe viene costantemente definito da quelli con cui ha lavorato “un perfezionista”, che, in Hollywood, è un eufemismo per “sciocco”. (Ogni intervista di Ron Howard da quando “A Beautiful Mind” è uscito nei cinema è stato un illuminante esercizio di giudiziosa selezione delle parole). E Crowe non ha certamente paura ad esprimere il suo malcontento, per quanto si possa “esprimere” qualcosa con i pugni.

Se Russell e' un balordo difficile, allora questo decisamente è un problema - per lo 0,001% della popolazione che entrerà mai in contatto con lui sul set di un film. Che cosa questo non fa è renderlo diverso dalla gran massa delle celebrità. Qualcuno pensa onestamente che egli sia la sola star del cinema hollywoodiano arrogante ed irritabile? Sdegnarsi con una celebrità perché è difficile è come sdegnarsi con un Puffo perché è blu.

Non ci si aspetta che qualcuno applauda Crowe per i suoi capricci da ragazzo cattivo. Non è bello fare il prepotente con le persone, specialmente se queste ti hanno appena premiato. Ed i gruppi rock guidati da una celebrità - come quella che Crowe guida, gli “30 Odd Foot of Grunts” non devono mai essere perdonati. Né legami romantici con Courtney Love - anche se presunti - perché suggeriscono una grave mancanza di discernimento, oppure l’inizio di una grave malattia alla vista. Ma, sinceramente, quanto spesso leggiamo di stars di Hollywood che si scaldano per la poesia? Perlomeno la passione di Crowe per la letteratura è un cambiamento dai soliti capricci caratteriali per la misura del proprio caravan o perché il tavolo del buffet è stato rifornito con i tramezzini alla carne sbagliati. E se Crowe è un attore così difficile con cui lavorare, perlomeno i frutti della sua celebrata irritabilità sono evidenti nei suoi film sicchè tutti ne possiamo godere.

Per quello che riguarda il suo comportamento alla cerimonia degli Oscar, che cosa avremmo preferito da Russell Crowe? Un vistosa scoppio di bonomia a base di pacche sulla schiena? Una dimostrazione proprio di quella falsità insincera che generalmente rende così difficili da sopportare le cerimonie di consegna dei premi?

E’ sempre soddisfacente per i fans quando un attore trova la giusta nota di dignità ed umiltà quando si vede consegnare il più alto onore di Hollywood (quest’anno il caso di Crowe non è stato aiutato dal perfetto discorso di accettazione di Denzel Washington). Ed è definitivamente più facile accettare celebrità che si presentano come gente di buon carattere. Ma capiamo anche come ci sia implicita divisione tra quello che le star “interpretano” e quello che esse sono veramente.

E quello alla fine, è quello che veramente ci disturba di Crowe. Non che sia un balordo difficile e sgarbato, ma che si rifiuta di far finta di essere diverso. Ci piacerebbe molto di più se fosse un po’ più falso. Nonostante tutto il nostro brontolare sull’artificiosità di Hollywood, nulla ci ferisce di più di una star che non interpreta il ruolo di simpatico.

Crowe non fa campagne per il procurarsi il nostro affetto, che è il più imperdonabile tradimento del patto fan-celebrità. Sembra pensare che, se fa un buon lavoro sullo schermo, non abbia bisogno di comportarsi come un candidato presidenziale nel suo tempo libero, accaparrandosi un fan per ogni stretta di mano.

Con Crowe non c’è da domandarsi come sia nella vita reale. E’ desideroso di mostrarsi come realmente sia, spiacevolezze incluse. Non dovremmo volergliene per questo - dovremmo goderne. E’ quello che vogliamo dalle celebrità, o che diciamo di volere. Se non è effettivamente così, allora non è Crowe che non ha rispettato l’accordo.

Russell Crowe: a defence

Oscar, then grouch: Why we should thank Hollywood's surly, burly lout

Adam Sternbergh

Saturday Post

The morning after the Oscars, Lloyd Grove, gossip columnist for The Washington Post, e-mailed George Rush, gossip columnist for The New York Daily News, with the following question: "Is there anything Russell Crowe can do at this point to repair his image?" Grove's query -- which popped up in one of the daily missives the columnists were publishing on the Web site Slate.com -- summed up the prevailing wisdom. Crowe had been a shoo-in for a Best Actor Oscar. (He'd already won a Golden Globe, the Screen Actors Guild award and the British Academy of Film and Television Arts award.) Then he soured his chances with his loutish outbursts and surly arrogance. Moreover, Crowe has briskly transformed himself, in the span of a year, from ascendant Oscar hero to Hollywood's resident brutish, self-serious, poetry-spouting, BAFTA-producer-shoving, director-terrorizing, scowl-sporting, sore-losing thug.

Was it really just one Oscars ago that Crowe was leading Gladiator to an unlikely triumph? That he was heralded as an invigorating combo of burly he-man and acting virtuoso, excelling in complex character roles and out-and-out action romps alike? That he was burning a path through Hollywood, belching, cursing, goosing women, quaffing ale, wrecking homes and seducing America's favourite tousled-haired pixie, Meg Ryan, along the way? It's hard to believe that, just a year later, the pertinent question vis-à-vis Russell Crowe is: Can this career be saved?

Let's review the charges most commonly levelled against Crowe: He's surly. He's arrogant. He's ill-tempered. He's not gracious. He's too damned actorish. His showy role in A Beautiful Mind pandered to the Academy. And he's excessively hirsute.

Now, let's consider some of the things for which we, the movie-going, celebrity-watching, Oscar-debating public, can thank Russell Crowe:

1) Russell Crowe revived the classic male sex symbol. With Gladiator, he single-handedly put a halt to the disturbing trend by which skinny, hairless, 15-year-old boys (and the actors who resemble them) were elevated to sex symbol status -- a phenomenon that might now be called the Teen Beat-ification of Hollywood. Don't forget that, pre-Gladiator, the dominant model for onscreen masculinity was the whippet-thin Leonardo DiCaprio, bounding about the Titanic like some elfin sprite.

Then, along came Crowe as Maximus, a grunting, glowering slab of a man, brave of heart, squint of eye and few of words. With one powerful turn, Crowe vanquished the creepy sexualization of teen boys that had threatened to infect Hollywood. (Granted, Crowe did little to vanquish the creepy sexualization of teen girls that currently infects Hollywood -- but hey, he's only one man.)

Sure, Crowe likes to play the Aussie wild man, showing up long-locked and thick-bearded to the Oscars, like John the Baptist emerging from the wilderness. But, when viewed as a repudiation of the previously prevalent DiCaprian hairlessness, Crowe's hairiness seems less repellent.

2) Russell Crowe is a good actor. Whatever you think of the man, it's hard to deny his talent. And whatever you thought of A Beautiful Mind, it's hard to dismiss his performance -- not for the bellowing scenes of mental breakdown, but for the seamless way Crowe aged from a twentysomething grad student to a seventysomething Nobel laureate. (He was, in portraying John Nash's later years, aided by some expertly applied makeup -- an advantage not enjoyed by his co-star, Jennifer Connelly, whose makeup as the aged Alicia Nash made her look like Rum Tum Tugger from Cats.)

Yes, the part was flashy and seemed like deliberate Oscar bait. But did this part pander to the Academy any more than that of a mentally challenged father did? Or a legendary prize-fighting icon? Or a lawless, breast-beating cop-gone-wrong?

3) Not only is Crowe a good actor, but he's interested in good acting. His parts have become more varied as he's become more famous -- the opposite of the usual pattern. Crowe started his career on Australian TV, appearing on shows like Police Rescue and a soap opera called Neighbours. After a few film roles, he broke out for good as a fiery skinhead in the 1992 Australian film Romper Stomper. Legend has it that when Sharon Stone saw the film, she insisted Crowe be cast in The Quick and the Dead, a fun but forgettable comic-book western by director Sam Raimi.

Crowe then waded through a mire of unmemorable roles, the most notable of which was as SID 6.7 in the 1995 action film Virtuosity. Crowe played a psychotic computer virus come to life (don't ask) who -- in an inadvertent preview of the 2002 Oscar race -- gets a beat down from Denzel Washington.

In 1997, Crowe had his semi-breakout in Hollywood, as Bud White in the Oscar-nominated L.A. Confidential. But, instead of parlaying this role into a string of buddy-cop action flicks -- no doubt the career path of least resistance -- Crowe packed on a healthy midsection, dyed his hair white and threw on a pair of engineer's eyeglasses to play shifty informant Jeffrey Wigand in The Insider, earning him the first of three straight Oscar nominations.

4) More important, not only is Crowe interested in good acting, he's not Nicolas Cage. Which is to say we're not likely to see Crowe play an ex-Marine on a plane full of dangerous killers, or a retired car thief lured back for one last job, or a cop who's lost his badge and his partner, but not his will for revenge.

Imagine how easy it would have been for Crowe, after he'd proven with Gladiator that he could headline an action film (that, in fact, he could elevate an action film), to fill up his dance card with summer blockbusters and huge paycheques. In other words, to become Nicolas Cage: The Sequel. Cage was also once an interesting actor who sought out quirky roles. Then he won an Oscar and immediately took a vow to never again appear in a movie not produced by Jerry Bruckheimer. Crowe, to his credit, has refused to betray his early promise and dedicate his career to swinging from helicopters and outrunning explosions in slow motion.

OK, you're thinking: Russell Crowe is a good, interesting actor who has evinced integrity in his career. But that, of course, has never been the objection. The Russell Crowe backlash isn't fuelled by disappointment with the quality of his work. Rather, it's his temperament. He's a jerk! He wasn't happy enough when he won the Oscar. He wasn't happy enough for Denzel Washington when he won the Oscar. And then there was that unfortunate shoving incident at the BAFTA awards in Britain, where Crowe tussled with a producer after finding out the poem he read during his acceptance speech had been cut short for the TV broadcast.

First, let's get this out of the way: Russell Crowe may well be a surly, arrogant, miserable, ill-tempered wretch. We can't know for sure, though there are clues to suggest that, at the least, he has a healthy self-regard. Crowe is consistently referred to by those who have worked with him as a "perfectionist," which, in Hollywood, is a euphemism for "jackass." (Every interview Ron Howard has given since A Beautiful Mind opened has been an enlightening exercise in judicious word selection.) And Crowe is obviously not afraid to voice his disappointment, insofar as you can "voice" something with your fists.

If Russell Crowe is a difficult jerk, then that definitely presents a problem -- for the 0.001% of the population who will ever have to come in contact with him on a film set. What it doesn't do is set him apart from the great mass of celebrities. Does anyone honestly think he's the only ill-tempered, arrogant movie star in Hollywood? Disdaining a celebrity for being difficult is like disdaining a Smurf for being blue.

No one should be expected to applaud Crowe's bad-boy antics. It's not nice to push people around, especially when they've just given you a prize. And celebrity-fronted rock bands -- such as Crowe's 30 Odd Foot of Grunts -- must never be condoned. Nor should romantic liaisons with Courtney Love, even alleged ones, which suggest a grave lack of discernment, or the onset of a troubling eye disease.

But, really, how often do we read about Hollywood stars getting worked up about poetry? At least Crowe's passion for literature is a change from the usual temper tantrums about the size of one's trailer or the fact that the craft table is stocked with the wrong kinds of sandwich meat. And, if Crowe is hard to work with as an actor, at least the fruits of his storied prickliness are evident in his movies, for all of us to enjoy.

As for his behaviour at the Oscars, what would we rather from Russell Crowe? A showy burst of back-slapping bonhomie? A display of exactly the kind of insincere fakery that usually makes awards shows so hard to stomach?

It's always satisfying for fans when an actor strikes the right note of dignity and humility upon being awarded Hollywood's highest honour. (Crowe's case this year wasn't helped by Denzel Washington's pitch-perfect acceptance speech.) And it's definitely easier to like stars who come across as good-natured folk. But we also understand that there's an implicit divide between how stars act and who they "really" are.

And that, in the end, is what's really upsetting about Crowe. It's not that he's a difficult, surly jerk, but that he refuses to pretend otherwise. We'd like him much better if he'd just be a little more fake. For all our grousing about Hollywood's artificiality, nothing rankles us more than a star who won't play nice.

Crowe doesn't campaign for our affections, which is the most unpardonable betrayal of the fan-celebrity pact. He seems to think that, if he does good work onscreen, he doesn't need to act like a presidential candidate off- screen, winning over fans one handshake at a time.

With Crowe, there's no question of what he's like in "real life." He's willing to show us who he really is, ugliness and all. We should not resent this -- we should enjoy it. It's what we want from celebrities, or what we claim to want. If that's not actually the case, then it's not Crowe who failed to uphold his end of the bargain.

 

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