Russell Crowe: una
difesa
L’Oscar e poi il broncio: perché dovremmo
ringraziare il corpulento e sgarbato zoticone di Hollywood
di Adam Sternbergh - Saturday Post
Illustrazione
di
Mark Zingarelli (Russell Crowe)
Il mattino successivo alla cerimonia degli Oscar, Lloyd
Grove, il redattore della rubrica “Gossip” del Washington Post, ha
inviato una e-mail a George Rush, il redattore della rubrica “Gossip”
del “The New York Daily News” con la seguente domanda: “C’è
qualcosa che Russell Crowe possa fare a questo punto per recuperare la sua
immagine?”. La domanda di Grove - che era saltata fuori in una delle
lettere pubblicate dai redattori sul sito Web Slate.com - assommava il
pensiero prevalente. Crowe era stato dato come sicuro vincitore dell’Oscar
per il Miglior Attore (aveva già vinto un Golden Globe, lo Screen Actors
Guild ed il BRIT Award (premio dell’Accademia Britannica dei Film e
della Televisione). Poi aveva rovinato le sue chance con i suoi accessi di
maleducazione e la sua arroganza sgarbata. Inoltre, Crowe si è
trasformato rapidamente, nel giro di un anno, da eroe degli Oscar in
ascesa in bruto residente di Hollywood, serioso, strapazzatore di
produttori del BAFTA, terrore di registi, declamatore di poesia, criminale
perennemente arrabbiato che non sa perdere.
Risale solo agli Oscar dell’anno scorso il periodo in
cui Crowe conduceva il “Gladiatore” verso un successo inverosimile?
Quando era annunciato come la rinvigorente combinazione di rude uomo-uomo
e di virtuoso attore, che eccelleva allo stesso tempo in ruoli con
caratteristiche di complessità o di pura azione, lasciando una traccia di
fuoco attraverso Hollywood ruttando, maledicendo, travolgendo le donne,
ingollando birra, sfasciando famiglie e seducendo lo spettinato e favorito
folletto d’America, Meg Ryan, lungo la strada?
E’ difficile credere che, solo un anno più tardi, la
domanda più pertinente riguardo a Russell Crowe sia: può essere salvata
la sua carriera? Esaminiamo un attimo le accuse mossegli più comunemente:
E’ sgarbato. E’ arrogante. Ha un brutto carattere. Non è cortese. E’
troppo dannatamente istrionico. Il suo brillante ruolo in “A Beautiful
Mind” si arruffianava troppo all’Academy. Ed è eccessivamente peloso.
Ora consideriamo alcune delle ragioni per cui noi,
pubblico che va al cinema, che osserva le stars, e che dibatte sugli
Oscar, possiamo ringraziare Russell Crowe.
1) Russell Crowe ha fatto rivivere il classico mito del
maschio sex-symbol. Con il “Gladiatore” da solo ha posto fine a quella
inquietante tendenza che voleva dei ragazzi di 15 anni, magri e glabri (ed
attori che somigliano loro) elevati a status symbol del sesso - un
fenomeno che può ora essere definito la Beat-ificazione dell’Adolescenza
da parte di Hollywood.
Non dimenticate che, in epoca pre-Gladiatore, il
modello dominante della mascolinità sullo schermo era il tipo
magro-come-un-levriero alla Leonardo DiCaprio, che rimbalzava come un
folletto sul Titanic. Poi, ecco che venne Crowe nel ruolo di Maximus, un
pezzo d’uomo minaccioso ed ingrugnito, dal cuore impavido, con l’occhio
strabico e di poche parole. In un solo poderoso colpo, Crowe vanificava la
strisciante sessualizzazione degli adolescenti che minacciava di infettare
Hollywood (Va bene, Crowe ha fatto poco per vanificare la strisciante
sessualizzazione delle adolescenti che minaccia di infettare Hollywood al
momento - ma, hei, è solo un uomo).
D’accordo, Crowe impersona il ruolo del selvaggio
Aussie (Australiano), presentandosi agli Oscar con i lunghi riccioli, la
barba incolta, come Giovanni Battista emergente dalla selva. Ma, vista
come ripudio della precedente, prevalente glabrità del Di Caprio, la
villosità di Crowe risulta meno repellente
2) Russell Crowe è un bravo attore. Qualsiasi cosa
pensiate dell’uomo, è difficile negare il suo talento. E qualsiasi cosa
pensiate di “A Beautiful Mind”, è difficile liquidare la sua
interpretazione - non per le scene ululanti del collasso mentale - ma per
il modo in cui Crowe è invecchiato - senza apparenti strappi - da
studente di vent’anni e qualcosa a premio Nobel di settanta. (E’ stato
aiutato, nel rappresentare John Nash in tarda età, da un sapiente make-up
- un vantaggio di cui non ha goduto Jennifer Connelly, il cui make-up la
faceva rassomigliare a Rum Rum Tugger di Cats.
3) Non solo Crowe è un bravo attore, ma è interessato
anche ad una buona prestazione. I suoi ruoli sono diventati più variati a
mano a mano che è diventato famoso - l’opposto di quello che succede in
genere. Crowe ha cominciatola sua carriera alla TV australiana, in serie
quali “Police Rescue” e “Vicini di casa”. Dopo alcuni ruoli in
vari film, si è rivelato con il ruolo di impetuoso skinhead in “Romper
Stomper” nel 1992. La leggenda dice che, quando Sharon Stone vide il
film, insistette che Crowe fosse scelto per il film “The Quick and the
Dead”, un divertente ma dimenticabile fumetto western di Sam Raimi. In
seguito Crowe si trascinò in un pantano di ruoli non memorabili, il più
notevole dei quali fu SID 6.7 nel film d’azione “Virtuosity”. Crowe
impersonava uno psicotico virus computerizzato che prende vita (non
chiedete come) il quale - in un’involontaria pre-visione della gara
degli Oscar 2002 - viene battuto da Denzel Washington. Nel 1997, Crowe
semi-sfondò in Hollywood, come Bud White nel film candidato all’Oscar
“L.A. Confidential”. Ma, invece di trasformare questo ruolo in una
serie di film d’azione basati su poliziotti-amiconi - senza dubbio la
svolta di carriera più facile da intraprendere - Crowe mise su pancia, si
tinse i capelli di bianco e inforcò un paio di occhiali da ingegnere per
interpretare l’elusivo informatore Jeffrey Wigand nel film “The
Insider”, che gli valse la prima di tre candidature all’Oscar in fila.
4) Ancora più importante, Crowe non solo è unicamente
interessato ad interpretare buoni ruoli, ma non è Nicholas Cage. Vale a
dire che non vedremo Crowe interpretare un ex-Marine su un aereo pieno di
killers pericolosi, o un ladro di macchine ritiratosi a vita privata
richiamato per un ultimo lavoro, o un poliziotto che ha perso distintivo e
collega, ma non la sua voglia di vendicarsi. Immaginatevi come sarebbe
stato facile per Crowe, dopo che aveva provato con il “Gladiatore” che
poteva capitanare un film d’azione (che, in effetti, poteva elevarne la
qualità), riempire il suo carnet di blockbuster estivi ed enormi cachet.
In altre parole diventare Nicholas Cage: Il Sequel. Anche Cage una volta
era un attore interessante che ricercava ruoli particolari. Poi vinse un
Oscar e immediatamente fece voto di non comparire mai più in un film che
non fosse prodotto da Jerry Bruckheimer. Crowe, a suo credito, ha
rifiutato di tradire le sue prime promesse e di dedicare la sua carriera a
penzolare dagli elicotteri e a schivare esplosioni in slow-motion. OK,
state pensando: Russell Crowe è un buon attore, un attore interessante
che ha dimostrato integrità nella sua carriera. Ma a quello,
naturalmente, non si è mai obiettato. La forte reazione negativa alla
carriera di Russell Crowe non è stata causata dalla delusione nei
confronti della qualità del suo lavoro. Piuttosto, dal suo temperamento.
E’ un balordo! Non era stato abbastanza felice quando ha vinto l’Oscar.
Non è stato felice abbastanza per Denzel Washington quando lui ha
vinto l’Oscar. E poi c’è stato quello sfortunato incidente della
spinta durante i premi BAFTA in Gran Bretagna, nel quale Crowe ha
ingaggiato una zuffa con un produttore dello show, dopo aver scoperto che
una poesia che aveva letto durante il suo discorso di ringraziamento era
stata tagliata dalla trasmissione TV.
Prima di tutto liberiamoci di questo: Crowe può essere
una persona sgarbata, arrogante spiacevole e con un cattivo carattere. Non
lo sappiamo per certo, sebbene ci siano degli indizi che suggeriscono che,
quantomeno, possiede una salutare auto-stima. Crowe viene costantemente
definito da quelli con cui ha lavorato “un perfezionista”, che, in
Hollywood, è un eufemismo per “sciocco”. (Ogni intervista di Ron
Howard da quando “A Beautiful Mind” è uscito nei cinema è stato un
illuminante esercizio di giudiziosa selezione delle parole). E Crowe non
ha certamente paura ad esprimere il suo malcontento, per quanto si possa
“esprimere” qualcosa con i pugni.
Se Russell e' un balordo difficile, allora questo
decisamente è un problema - per lo 0,001% della popolazione che entrerà
mai in contatto con lui sul set di un film. Che cosa questo non fa è
renderlo diverso dalla gran massa delle celebrità. Qualcuno pensa
onestamente che egli sia la sola star del cinema hollywoodiano arrogante
ed irritabile? Sdegnarsi con una celebrità perché è difficile è come
sdegnarsi con un Puffo perché è blu.
Non ci si aspetta che qualcuno applauda Crowe per i
suoi capricci da ragazzo cattivo. Non è bello fare il prepotente con le
persone, specialmente se queste ti hanno appena premiato. Ed i gruppi rock
guidati da una celebrità - come quella che Crowe guida, gli “30 Odd
Foot of Grunts” non devono mai essere perdonati. Né legami romantici
con Courtney Love - anche se presunti - perché suggeriscono una grave
mancanza di discernimento, oppure l’inizio di una grave malattia alla
vista. Ma, sinceramente, quanto spesso leggiamo di stars di Hollywood che
si scaldano per la poesia? Perlomeno la passione di Crowe per la
letteratura è un cambiamento dai soliti capricci caratteriali per la
misura del proprio caravan o perché il tavolo del buffet è stato
rifornito con i tramezzini alla carne sbagliati. E se Crowe è un attore
così difficile con cui lavorare, perlomeno i frutti della sua celebrata
irritabilità sono evidenti nei suoi film sicchè tutti ne possiamo
godere.
Per quello che riguarda il suo comportamento alla
cerimonia degli Oscar, che cosa avremmo preferito da Russell Crowe? Un
vistosa scoppio di bonomia a base di pacche sulla schiena? Una
dimostrazione proprio di quella falsità insincera che generalmente rende
così difficili da sopportare le cerimonie di consegna dei premi?
E’ sempre soddisfacente per i fans quando un attore
trova la giusta nota di dignità ed umiltà quando si vede consegnare il
più alto onore di Hollywood (quest’anno il caso di Crowe non è stato
aiutato dal perfetto discorso di accettazione di Denzel Washington). Ed è
definitivamente più facile accettare celebrità che si presentano come
gente di buon carattere. Ma capiamo anche come ci sia implicita divisione
tra quello che le star “interpretano” e quello che esse sono
veramente.
E quello alla fine, è quello che veramente ci disturba
di Crowe. Non che sia un balordo difficile e sgarbato, ma che si rifiuta
di far finta di essere diverso. Ci piacerebbe molto di più se fosse un po’
più falso. Nonostante tutto il nostro brontolare sull’artificiosità di
Hollywood, nulla ci ferisce di più di una star che non interpreta il
ruolo di simpatico.
Crowe non fa campagne per il procurarsi il nostro
affetto, che è il più imperdonabile tradimento del patto fan-celebrità.
Sembra pensare che, se fa un buon lavoro sullo schermo, non abbia bisogno
di comportarsi come un candidato presidenziale nel suo tempo libero,
accaparrandosi un fan per ogni stretta di mano.
Con Crowe non c’è da domandarsi come sia nella vita
reale. E’ desideroso di mostrarsi come realmente sia, spiacevolezze
incluse. Non dovremmo volergliene per questo - dovremmo goderne. E’
quello che vogliamo dalle celebrità, o che diciamo di volere. Se non è
effettivamente così, allora non è Crowe che non ha rispettato l’accordo.
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Russell Crowe: a defence
Oscar, then grouch: Why we should thank Hollywood's
surly, burly lout
Adam Sternbergh
Saturday Post
The morning after the Oscars, Lloyd Grove, gossip
columnist for The Washington Post, e-mailed George Rush, gossip columnist
for The New York Daily News, with the following question: "Is there
anything Russell Crowe can do at this point to repair his image?"
Grove's query -- which popped up in one of the daily missives the
columnists were publishing on the Web site Slate.com -- summed up the
prevailing wisdom. Crowe had been a shoo-in for a Best Actor Oscar. (He'd
already won a Golden Globe, the Screen Actors Guild award and the British
Academy of Film and Television Arts award.) Then he soured his chances
with his loutish outbursts and surly arrogance. Moreover, Crowe has
briskly transformed himself, in the span of a year, from ascendant Oscar
hero to Hollywood's resident brutish, self-serious, poetry-spouting,
BAFTA-producer-shoving, director-terrorizing, scowl-sporting, sore-losing
thug.
Was it really just one Oscars ago that Crowe was leading
Gladiator to an unlikely triumph? That he was heralded as an invigorating
combo of burly he-man and acting virtuoso, excelling in complex character
roles and out-and-out action romps alike? That he was burning a path
through Hollywood, belching, cursing, goosing women, quaffing ale,
wrecking homes and seducing America's favourite tousled-haired pixie, Meg
Ryan, along the way? It's hard to believe that, just a year later, the
pertinent question vis-à-vis Russell Crowe is: Can this career be saved?
Let's review the charges most commonly levelled against
Crowe: He's surly. He's arrogant. He's ill-tempered. He's not gracious.
He's too damned actorish. His showy role in A Beautiful Mind pandered to
the Academy. And he's excessively hirsute.
Now, let's consider some of the things for which we, the
movie-going, celebrity-watching, Oscar-debating public, can thank Russell
Crowe:
1) Russell Crowe revived the classic male sex symbol.
With Gladiator, he single-handedly put a halt to the disturbing trend by
which skinny, hairless, 15-year-old boys (and the actors who resemble them)
were elevated to sex symbol status -- a phenomenon that might now be
called the Teen Beat-ification of Hollywood. Don't forget that,
pre-Gladiator, the dominant model for onscreen masculinity was the
whippet-thin Leonardo DiCaprio, bounding about the Titanic like some elfin
sprite.
Then, along came Crowe as Maximus, a grunting, glowering
slab of a man, brave of heart, squint of eye and few of words. With one
powerful turn, Crowe vanquished the creepy sexualization of teen boys that
had threatened to infect Hollywood. (Granted, Crowe did little to vanquish
the creepy sexualization of teen girls that currently infects Hollywood --
but hey, he's only one man.)
Sure, Crowe likes to play the Aussie wild man, showing
up long-locked and thick-bearded to the Oscars, like John the Baptist
emerging from the wilderness. But, when viewed as a repudiation of the
previously prevalent DiCaprian hairlessness, Crowe's hairiness seems less
repellent.
2) Russell Crowe is a good actor. Whatever you think of
the man, it's hard to deny his talent. And whatever you thought of A
Beautiful Mind, it's hard to dismiss his performance -- not for the
bellowing scenes of mental breakdown, but for the seamless way Crowe aged
from a twentysomething grad student to a seventysomething Nobel laureate.
(He was, in portraying John Nash's later years, aided by some expertly
applied makeup -- an advantage not enjoyed by his co-star, Jennifer
Connelly, whose makeup as the aged Alicia Nash made her look like Rum Tum
Tugger from Cats.)
Yes, the part was flashy and seemed like deliberate
Oscar bait. But did this part pander to the Academy any more than that of
a mentally challenged father did? Or a legendary prize-fighting icon? Or a
lawless, breast-beating cop-gone-wrong?
3) Not only is Crowe a good actor, but he's interested
in good acting. His parts have become more varied as he's become more
famous -- the opposite of the usual pattern. Crowe started his career on
Australian TV, appearing on shows like Police Rescue and a soap opera
called Neighbours. After a few film roles, he broke out for good as a
fiery skinhead in the 1992 Australian film Romper Stomper. Legend has it
that when Sharon Stone saw the film, she insisted Crowe be cast in The
Quick and the Dead, a fun but forgettable comic-book western by director
Sam Raimi.
Crowe then waded through a mire of unmemorable roles,
the most notable of which was as SID 6.7 in the 1995 action film
Virtuosity. Crowe played a psychotic computer virus come to life (don't
ask) who -- in an inadvertent preview of the 2002 Oscar race -- gets a
beat down from Denzel Washington.
In 1997, Crowe had his semi-breakout in Hollywood, as
Bud White in the Oscar-nominated L.A. Confidential. But, instead of
parlaying this role into a string of buddy-cop action flicks -- no doubt
the career path of least resistance -- Crowe packed on a healthy
midsection, dyed his hair white and threw on a pair of engineer's
eyeglasses to play shifty informant Jeffrey Wigand in The Insider, earning
him the first of three straight Oscar nominations.
4) More important, not only is Crowe interested in good
acting, he's not Nicolas Cage. Which is to say we're not likely to see
Crowe play an ex-Marine on a plane full of dangerous killers, or a retired
car thief lured back for one last job, or a cop who's lost his badge and
his partner, but not his will for revenge.
Imagine how easy it would have been for Crowe, after he'd
proven with Gladiator that he could headline an action film (that, in fact,
he could elevate an action film), to fill up his dance card with summer
blockbusters and huge paycheques. In other words, to become Nicolas Cage:
The Sequel. Cage was also once an interesting actor who sought out quirky
roles. Then he won an Oscar and immediately took a vow to never again
appear in a movie not produced by Jerry Bruckheimer. Crowe, to his credit,
has refused to betray his early promise and dedicate his career to
swinging from helicopters and outrunning explosions in slow motion.
OK, you're thinking: Russell Crowe is a good,
interesting actor who has evinced integrity in his career. But that, of
course, has never been the objection. The Russell Crowe backlash isn't
fuelled by disappointment with the quality of his work. Rather, it's his
temperament. He's a jerk! He wasn't happy enough when he won the Oscar. He
wasn't happy enough for Denzel Washington when he won the Oscar. And then
there was that unfortunate shoving incident at the BAFTA awards in Britain,
where Crowe tussled with a producer after finding out the poem he read
during his acceptance speech had been cut short for the TV broadcast.
First, let's get this out of the way: Russell Crowe may
well be a surly, arrogant, miserable, ill-tempered wretch. We can't know
for sure, though there are clues to suggest that, at the least, he has a
healthy self-regard. Crowe is consistently referred to by those who have
worked with him as a "perfectionist," which, in Hollywood, is a
euphemism for "jackass." (Every interview Ron Howard has given
since A Beautiful Mind opened has been an enlightening exercise in
judicious word selection.) And Crowe is obviously not afraid to voice his
disappointment, insofar as you can "voice" something with your
fists.
If Russell Crowe is a difficult jerk, then that
definitely presents a problem -- for the 0.001% of the population who will
ever have to come in contact with him on a film set. What it doesn't do is
set him apart from the great mass of celebrities. Does anyone honestly
think he's the only ill-tempered, arrogant movie star in Hollywood?
Disdaining a celebrity for being difficult is like disdaining a Smurf for
being blue.
No one should be expected to applaud Crowe's bad-boy
antics. It's not nice to push people around, especially when they've just
given you a prize. And celebrity-fronted rock bands -- such as Crowe's 30
Odd Foot of Grunts -- must never be condoned. Nor should romantic liaisons
with Courtney Love, even alleged ones, which suggest a grave lack of
discernment, or the onset of a troubling eye disease.
But, really, how often do we read about Hollywood stars
getting worked up about poetry? At least Crowe's passion for literature is
a change from the usual temper tantrums about the size of one's trailer or
the fact that the craft table is stocked with the wrong kinds of sandwich
meat. And, if Crowe is hard to work with as an actor, at least the fruits
of his storied prickliness are evident in his movies, for all of us to
enjoy.
As for his behaviour at the Oscars, what would we rather
from Russell Crowe? A showy burst of back-slapping bonhomie? A display of
exactly the kind of insincere fakery that usually makes awards shows so
hard to stomach?
It's always satisfying for fans when an actor strikes
the right note of dignity and humility upon being awarded Hollywood's
highest honour. (Crowe's case this year wasn't helped by Denzel
Washington's pitch-perfect acceptance speech.) And it's definitely easier
to like stars who come across as good-natured folk. But we also understand
that there's an implicit divide between how stars act and who they "really"
are.
And that, in the end, is what's really upsetting about
Crowe. It's not that he's a difficult, surly jerk, but that he refuses to
pretend otherwise. We'd like him much better if he'd just be a little more
fake. For all our grousing about Hollywood's artificiality, nothing
rankles us more than a star who won't play nice.
Crowe doesn't campaign for our affections, which is the
most unpardonable betrayal of the fan-celebrity pact. He seems to think
that, if he does good work onscreen, he doesn't need to act like a
presidential candidate off- screen, winning over fans one handshake at a
time.
With Crowe, there's no question of what he's like in
"real life." He's willing to show us who he really is, ugliness
and all. We should not resent this -- we should enjoy it. It's what we
want from celebrities, or what we claim to want. If that's not actually
the case, then it's not Crowe who failed to uphold his end of the bargain.
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