IL
VOLO DEL CROWE*
(Flight of the Crowe)
Dimenticate la sua immagine da bad-boy creata dai media e il suo
status da superstar, quando è sul set Russell Crowe è qualcosa di
assolutamente differente. Andrew L. Urban traccia un profilo dell’attore
vincitore di riconoscimenti cinematografici - e dell’essere umano.
Per qualcuno, Russell Crowe è ancora un po’ Hando, il nazi-skin del
controverso film di Geoff Wright “Romper Stomper” (1992), con i
tatuaggi sulle dita, la svastica sulla parete e arrabbiato col mondo
intero. Non è che Crowe abbia alcuna di queste cose - però c’è quella
ardente, esplosiva spigolosità. “Romper Stomper” non è stato il suo
primo film, e neppure il più grande, ma per la sua carriera è stato
forse ciò che “Fronte del Porto” è stato per quella di Marlon
Brando. E l’immagine da picchiatore gli è rimasta attaccata addosso.
Con il ruolo del matematico John Nash in “A Beautiful Mind” che gli
ha fruttato riconoscimenti come migliore attore , a partire dal Golden
Globe Award, fino al B.A.F.T.A, al premio della Screen Actors Guild (S.A.G.),
allo S.W.M.S. ed una terza nomination consecutiva per l’Academy Award
(che meritava di vincere secondo il parere di molte persone), Russell
Crowe ha raggiunto la massima vetta stratosferica della sua professione.
Assieme alla sua altra nomination per il ruolo di Jeffrey Wigand, l’uomo
che ha denunciato l’industria del tabacco, in “The Insider” (1999),
poi la vittoria un anno dopo come Maximus in “Gladiator”, Crowe ha
confermato la sua statura fra gli uomini più importanti del mondo. Come
si dice ad Hollywood, adesso può “open a picture” (n.d.t.
letteralmente “aprire un quadro, un’immagine” per indicare un attore
che costituisce un’icona della storia del cinema) uno di una ristretta
cerchia che comprende il collega australiano (onorario) Mel Gibson, o Tom
Hanks, Harrison Ford e Jim Carrey.
Il regista Ron Howard e il produttore Brian Grazer avevano voluto Crowe
per “A Beautiful Mind” molto tempo prima del successo di “Gladiator”
sugli schermi. “Ho tenuto in considerazione solo ed esclusivamente
Russell perché lui riesce a comunicare così intensamente senza neppure
parlare” dice Grazer. Per Howard, si trattava “della fisicità e del
carisma di Crowe…..del suo intelletto, della sua forza mentale e della
sua ricchezza di sentimenti. E’ una rara mescolanza ed è così
importante per la storia di Nash.” Howard dice che lui e Grazer “volevano
che il film avesse un certo livello di introspezione, non solo essere solo
una visione sentimentale della vita di quest’uomo. Questo è quello che
voleva anche Russell.”
Il regista di “Gladiator”, Ridley Scott dice di riuscire ad
individuare quel “qualcosa” che certi attori possiedono, e che è
così che effettua il casting. “Non mi riferisco a buone capacità
espressive….è più una questione di partecipazione. E’ in un secondo
momento che vediamo cosa fanno con le parole e con le parole viene l’intelligenza.
E Russell possiede tutte queste cose. Oltre a tutto ciò, lui è
insolitamente inquisitivo, la qual cosa di solito è indicativa di una
notevole intelligenza. Per cui adesso è veramente formidabile.
Fatto ironico, però, sin dall’inizio, Crowe è stato un attore che
non ha mai dato eccessiva enfasi al recitare. Persino adesso non si illude
che l’essere un membro del club delle superstar si rinnovi
automaticamente. “Tutta questa faccenda (il suo successo) è come
praticare il surf,” ha dichiarato un anno fa alla vigilia degli Oscar,
“mi trovo su una certa onda, e un giorno se ne andrà.”
Ma questo non vuol dire che non se ne curi. A metà degli anni ’90 mi
disse durante un’intervista: “Sono ossessionato dal lavoro. No, non è
che io mi allinei, ma mi adatto a quello che è richiesto. Ed ho un’opinione
mia….il che può costituire un problema. Ma se le persone prendono il
lavoro seriamente, non ci sono problemi con me. E intendo dire prendere
seriamente il lavoro, non prendere seriamente me stesso.”
Questo porta dritto al cuore della sua fama di enfant terribile.
Prendiamo il recente scontro ai premi B.A.F.T.A. a Londra, dove ha messo
con le spalle al muro un produttore della BBC e lo ha aggredito per avere
tagliato parte del suo discorso di accettazione che comprendeva dei brevi
versi: nessun attore attento alla propria immagine avrebbe fatto qualcosa
del genere. Ma la protesta di Crowe non era basata sul suo ego; reclamava
perché i tagli comprendevano ringraziamenti e riconoscimenti verso
persone che lui rispettava. Né si preoccupa della sua immagine.
La sua lettura di versi mi ha fatto tornare in mente la nostra prima
intervista sul set di “The Crossing”, nel 1989, quando stava lavorando
con il regista John Ogilvie: “All’inizio lui (Ogilvie) ha detto
qualcosa di molto interessante per me. Voleva che tutti leggessimo alcuni
versi - questo distilla le cose. Ecco cosa vuole da noi come interpreti.
Raggiungi l’essenza attraverso la sofferenza… mi ha proprio colpito
quando lo ha detto.”
Il suo primo film, “Blood Oath” fu girato presso i Warner Roadshow
Studios sulla Gold Coast; aveva un ruolo di spalla a Bryan Brown. Crowe
non ha mai dimenticato che quando io visitai il set, intervistai soltanto
Brown. Non è passato molto tempo, però, prima che ci incontrassimo di
nuovo, questa volta in giugno, nella parte meridionale del New South
Wales, sul set di “The Crossing”. Il film aveva come co-protagonisti
Robert Mammone e Danielle Spencer, che interpretava una ragazza di nome
Meg per il cui amore lui si batteva nel film.
Sul fatto di lavorare con lui come attore, la Spencer (da una saletta d’aeroporto
durante il tour promozionale per il suo nuovo CD “White Monkey”) dice:
“Russell è un attore molto altruista e stimolante con cui lavorare. Lui
si impone dei rendimenti molto elevati e questo tende a trainare chiunque
altro verso quello stesso livello di dedizione e di realizzazione.”
Sul fronte personale, le sue relazioni con la sua co-star di “Proof
of Life”, Meg Ryan, e quella con la Spencer sono entrambe di dominio
pubblico - anche se i particolari sono talvolta molto lontani dalla
verità. La seconda è l’unica relazione di lunga data che abbia
mantenuto, e che ha avuto un’interruzione, anche se lui desiderava molto
avere dei figli già sette anni fa.
“The Crossing” non è stato un successo al box-office ma ha
lanciato la carriera australiana di Crowe. E lo ha spinto a trovare ora un
modo per ringraziare i distributori del film, la Beyond Films.
L’anno scorso, quando la Miramax ha acquistato i diritti mondiali di
“Texas”, il documentario che Crowe ha prodotto sulla sua band, i
Thirty Odd Foot of Grunts, ha escluso dal pacchetto i diritti australiani
in modo da farli avere alla Beyond Films. Adesso ride e si domanda se la
Beyond vede la cosa come un regalo - o come un mal di testa.
Risultati commerciali di “The Crossing “ a parte, la stella di
Crowe salì nei primi anni ’90, passando per una serie di svariati
personaggi in film australiani, come “Proof” (1991), “Spotswood”
(1991), “Brides of Christ “ (miniserie TV, 1991), “Hammers over the
Anvil” (1991), “Love in Limbo” (1993), “The Silver Brumby”
(1993) e “The Sum of Us” (1994). Tutti avrebbero arricchito la sua
gamma e la sua versatilità, dallo sfortunato giovane amante in “The
Crossing “ fino ad arrivare all’uomo che voleva domare un cavallo
selvaggio in “The Silver Brumby”.
Nel secondo, il regista John Tatoulis scoprì un attore che “aveva la
presenza… che sapeva riempire lo schermo e non gli serviva alcun altro
personaggio perché in realtà non c’era nessuno che gli si potesse
contrapporre.” Tatoulis fu “incredibilmente impressionato dal modo in
cui Russell poteva calarsi nel personaggio. Giravamo sulle montagne e lui
stava in costume per quasi tutto il tempo. Ma la prima cosa che mi
attrasse di lui fu la sua voce. E’ una voce talmente risonante,
universale. Scoprii in lui un professionista consumato, appassionato.”
Ma quando Crowe andò per la prima volta ad Hollywood, aveva un arduo
compito - un ruolo a fianco di Sharon Stone e Gene Hackman (oltre ad un
giovane Leonardo Di Caprio nel ruolo di pistolero) in “The Quick and the
Dead” (1995) diretto da Sam Raimi. Se a determinare il successo bastasse
il solo potere della celebrità, allora il film avrebbe dovuto ottenerlo
di sicuro. Certamente Crowe se la cavò abbastanza bene, ma come dichiarò
il critico del Los Angeles Times, Kenneth Turan, il film “perde
inevitabilmente energia ben prima di quanto le pistole perdano i
proiettili”.
E’ show-business.
Nel 1995, ad Hollywood, Crowe girò altri tre film, compreso “Virtuosity”
con Denzel Washington - candidato con lui quest’anno al premio Oscar
come miglior attore protagonista, prima di riuscire davvero a fare fortuna
con “L.A. Confidential” nel 1997, co-interpretato con il collega
australiano Guy Pearce. Qui, il suo “agente Bud White” è stato il
precursore del suo “generale Maximus”; determinato, pericoloso e
carismatico sullo schermo.
Lui è stato impulsivo, divertente e generoso ma sempre imprevedibile.
Persino tracotante: “Non è arroganza,” ha detto nel 1994 sul set di
“The Sum of Us, “è onestà. Sono camaleontico… sulla spiaggia, sono
acquatico; nella boscaglia , un cespuglio.” Ha riso. “ Sono passato
attraverso tante esperienze crescendo (nato in Nuova Zelanda nell’aprile
del 1964, è cresciuto a Sidney sin dall’età di 4 anni). Non ho abitato
in una casa fino ai 14 anni, quindi ho molto spirito di adattamento.”
Ed, a suo stesso dire, impenetrabile. Se gli si chiede come la gente possa
riuscire a capire Russell Crowe, la sua risposta è pronta: “Non è
possibile.”
Però è possibile capire che cosa lo trascina: “ Recitare ruoli
estremi o personaggi che siano difficili da ritrarre o cose che ti sfidano
personalmente… ecco cosa ti mantiene in tensione,” ha detto.
“Perché non sai quel che stai facendo. Se fai cose che sono troppo
facili per te, che non richiedono alcun vero sviluppo del pensiero o roba
simile, o se il copione o la storia non ha alcuna sottigliezza, allora mi
annoio. Divento veramente molto annoiato. Più varietà c’è, meglio è.”
Il che spiega la sua passione nell’interpretare John Nash in “A
Beautiful Mind”.
Man mano che cresceva il suo successo, contemporaneamente cresceva il
clamore dei media. In tempi recenti, Crowe è stato accusato di essere un
uomo difficile, piantagrane e amante delle risse. Tale reputazione gli è
rimasta incollata addosso, nonostante la crescente gloria poiché
giornalisti oziosi ripetono e montano storie (tratte da inesattezze
precedentemente pubblicate) solo per sbrigarsi in fretta e furia. Crowe
dice che lui non è contro i media, è contro i giornalisti privi di
professionalità che creano agli altri una cattiva nomèa rigurgitando
storie prefabbricate sulla loro vita. “I media creano un’altra vita
per questo… Russell Crowe… cosa…persona… che non esiste veramente.”
La sua immagine di “bad-boy”, riconosce, è stata gonfiata “da
persone che lavorano per i giornali. Non c’è regista che non
lavorerebbe di nuovo con me, “ ha detto scherzando in una delle nostre
interviste. Ma poi aggiunge con uno sbuffo malizioso, “… forse alcuni
produttori…loro possono avere la parola.”
Ora, la parola può essere come un ariete che sfonda, e Crowe ha
dimostrato in che modo. Di sicuro ha più esperienza, qualcosa che lui
ritiene essere un bene. Ma la ragione per cui molti lo considerano un
ragazzaccio è che lui rifiuta di giocare al gioco della celebrità nel
modo in cui Hollywood o molti dei media si aspettano da lui. “Devo avere
persone che mi dicono quale deve essere la mia immagine? Ma chi se ne
fotte? Io recito solo il mio ruolo,” ha detto nel 1994. Quindi, si mette
sul naso di alcuni dirigenti delle società cinematografiche e di alcune
persone dei media che si aspettano da lui un determinato comportamento.
Una cosa è evidente: non è la creatura sociale superficiale che spesso
si accompagna alla fama e alla celebrità.
Crowe è complesso. Moltissime persone lo sono, e specialmente chiunque
viva del proprio talento creativo. Ma per certi aspetti, è più facile
rapportarsi con lui, perché non fa lo stronzo. In tutti i nostri incontri
è stato diretto e professionale.
Il suo agente australiano lo descrive come quello che lavora di più
fra gli attori che conosce. Ora è anche ricco, eppure finora ha soltanto
le case nel New South Wales: una proprietà multi-milionaria nella zona
del porto della Elizabeth Bay di Sidney e una fattoria a Coffs Harbour
sulla costa settentrionale dello stato. Certo, ci sono migliaia di
australiani con le case sul mare; solo che non molti di loro volano anche
a Sidney da una cerimonia di consegna degli Oscar per assistere all’incontro
di ritorno dei Rabbitohs (squadra di rugby di South Sidney), se distrutti.
Ma questo è il tipico Crowe: lui è “star” e “bloke” e “muso”
e “boyfriend” e “footy fan” e ambasciatore degli antipodi tutto
contemporaneamente.
La prima delle due maggiori ambizioni da lui stesso confessate si è
realizzata quando ha interpretato un personaggio australiano in un film
hollywoodiano a grosso budget, “Proof of Life”. L’altra sua massima
ambizione è di realizzare un film di primaria importanza in Australia con
cast e squadra australiani - e finanziamenti internazionali. “Ci sto
lavorando,” ha dichiarato alla prima di “Proof of Life” nel marzo
dello scorso anno.
Crowe sta lavorando anche ad un progetto di regia. Finora gli viene
attribuita soltanto la produzione di “Texas” e non pretende nemmeno
che gliene venga attribuita la regia. Ha insistito perché nei titoli di
coda risultasse come “Diretto dalle Circostanze”. E’ stato
abbastanza valido, rude e irriverente com’è, da essere non soltanto
acquistato dalla Miramax ma anche da essere presentato ai festival di
Berlino e Sundance di quest’anno. Nonostante la sua modestia Crowe lo ha
usato per fare pratica. Se gioca bene le proprie carte, quando prenderà
un progetto da dirigere, riuscirà a realizzare quello che vuole.
Nel frattempo, i 30 Odd Foot of Grunts continuano ad essere la sua
opzione di riserva. Come se avesse bisogno di averne una. Una misura della
sua fama e del suo successo (un mucchio di riconoscimenti e una
moltitudine di fan) si è potuta vedere nel marzo dello scorso anno quando
le voci di un complotto per rapire Crowe sono sfrecciate in tutto il
mondo. Questo è avvenuto dopo l’uscita di “Proof of Life”, in cui
interpreta un negoziatore di riscatti. Si è trattato proprio di un brutto
tiro; mi spiace veramente per qualunque idiota volesse veramente rapire
Russell Crowe.
Andrew L. Urban è l’Editore di www.urbancinefile.com.au,
rivista cinematografica online dell’Australia
* Il titolo è un gioco di parole basato
sull’assonanza fra il cognome di Russell ed il termine “crow”, in
inglese “corvo”.