THE
SUM OF RUSS*
di
Lynden Barber, News.com.au, 20
marzo 2002
Cos’è
che spinge Russell Crowe a comportarsi così? Lynden Barber ci parla del
maestro che si nasconde dietro il selvaggio di Hollywood, The Australian.
Il
regista australiano Stephen Wallace non scorderà mai il giorno di 13 anni
fa in cui un trasandato venticinquenne si presentò ad un provino per il
ruolo di un certo Soldato Talbot.
Il
film era “Blood Oath”, un dramma ambientato in Indonesia su un
tribunale australiano per i crimini di guerra alla fine della Seconda
Guerra Mondiale. Talbot era un piccolo ruolo. Quindi Wallace rimase
stupefatto quando il nuovo arrivato rivelò che aveva scritto alcuni pezzi
romanzati, tirò fuori qualcosa come 20 foglietti di carta e cominciò a
leggerli a voce alta – impressionando tutti non soltanto per il fatto di
essersi preso la briga di scriverli ma anche per la loro qualità.
Crowe
era troppo vecchio per la
parte (che fu assegnata a Jason Donovan, ma, “In seguito ne parlammo
tutti”, racconta il regista, “Non è stato straordinario? Dobbiamo
dargli una parte”. Crowe accettò un altro piccolo ruolo da tenente e
Wallace lo osservò costruire la caratterizzazione praticamente da zero.
“Seppi molto presto di poter contare completamente su di lui. Era solito
dire: ‘Lo so che ci riesco, lo so che posso farlo’ Non era arroganza
la sua, era più determinazione.”
Sin
da allora Crowe ha continuato a mostrare quella straordinaria energia e
non dà segno di allentarla. Il prossimo lunedì egli saprà se ha vinto
l’Oscar come miglior attore per il secondo anno consecutivo; avendo
vinto l’anno scorso per “Il Gladiatore”, è nuovamente in lizza per
aver interpretato il ruolo del matematico John Nash in “A Beautiful Mind”.
Se vincerà, sarà un risultato eguagliato nella storia dell’Academy
Award solo da Spencer Tracy e Tom Hanks. Ma vincere o perdere sarà poco
influente sulla carriera di Crowe, dal momento che il trentasettenne ha
dimostrato di essere al di là di ogni dubbio uno dei massimi attori di
lingua inglese della sua generazione.
La
sua scalata al successo è stata tanto bruciante quanto la sua recitazione
è ampiamente ammirata, disseminata di testate di giornali su risse,
scazzottate e avventure sentimentali, specie nell’ultimo paio d’anni.
Per comprenderne il perché, può esser utile riuscire a vedere oltre le
gelide etichette (arrogante, villano, delinquente, brutto tipo e
antisociale tanto per citare le più gentili) fino al fatto che la sua
voglia di farcela è feroce. Il suo disinteresse nei confronti delle
inibizioni sociali e dei concetti convenzionali della celebrità sono al
servizio di un rifiuto insolitamente accanito del compromesso. O lo prendi
così o non se ne fa niente. “C’è un fuoco in lui che arde tutta la
notte, tutto il giorno, sempre,” dice Burt Reynolds, suo co-interprete
in “Mystery, Alaska”, “e questo può fargli del male perché la
gente non capisce quel tipo di fiamma.”
In
Australia, dove il neozelandese è cresciuto fra i 4 e i 17 anni d’età,
non è raro sentir dire dalla gente “è un attore talmente bravo, se
solo si comportasse meglio”. Il presupposto che la sua brillante
recitazione e il rigido personaggio pubblico siano due bestie separate è
errato. Crowe è un grande attore non nonostante bensì grazie al suo
temperamento – quantomeno in parte. Molti di quelli che hanno lavorato
con lui osservano la sua intelligenza riconoscendo contemporaneamente una
sensibilità nascosta dietro l’aspetto da macho, come ha dimostrato in
“The Sum of Us” del 1994, storia dell’amore fra un padre e il
proprio figlio omosessuale.
Wallace
è lungi dall’essere l’unico regista australiano che sia rimasto
stupito dal suo impegno. David Elfick, regista-produttore della commedia
“Love in Limbo”, dove il personaggio di Crowe aveva un accento
gallese, rimase a bocca aperta quando l’attore rivelò durante il primo
giorno delle riprese che aveva appena trascorso una o due settimane in
Galles per perfezionare l’accento - a proprie spese.
Per
il dramma a sfondo rurale “Hammers over the Anvil” Crowe andò a
vivere “con i montanari” prima di interpretare la parte di uno
stalliere insieme a Charlotte Rampling, dice la regista Ann Turner.
Poi
ci fu “Romper Stomper”, dove la preparazione per il suo primo ruolo
principale, il leader di un gruppo di nazi-skin, si estese fino al sonno;
quando andava a dormire Crowe lasciava accesa la registrazione del clamore
della folla durante una partita di calcio in Gran Bretagna per fare in
modo che si insinuasse nel suo subconscio.
Il
regista-sceneggiatore di “Romper Stomper”, Geoffrey Wright, che è
tornato di recente in Australia dopo diversi anni passati ad Hollywood,
ricorda che Crowe era “sempre preparato come attore, che studiava molto
per trovare qualche dettaglio in più, qualche angolatura in più da dare
alla rappresentazione interiore ed esteriore del suo ruolo”.
“Molti
attori americani, ai giorni nostri, non riescono a lavorare duro e sono più
interessati al trattamento da star sul set,” aggiunge Wright. “Quindi
è probabile che Russell continui ad offuscarli per un bel po’ di tempo
e rimarrà la prima scelta di qualsiasi regista della massima importanza
che desideri realizzare “il film dell’anno”. Lui fa apparire molti
dei più famosi jankee quegli incapaci e sopravvalutati che in effetti
sono.
Se
Crowe si caccia nei guai, come nel caso del suo recente scoppio d’ira
nei confronti di un produttore televisivo della BBC, potrebbe essere perché
è troppo scrupoloso. Può anche darsi che abbia delle aspettative poco
realistiche del livello di controllo che qualcuno, sia pure del suo
valore, può esercitare.
In
merito al comportamento talvolta focoso di Crowe, Wright osserva,
“Ritengo che sia più facilmente provocato da varie forme di stronzi,
denigratori di chi ha successo e ciarlatani boriosi. Russell Crowe, come
molti, li ucciderebbe tutti, ma non si può. Ce n’è una moltitudine.”
Tuttavia, aggiunge: “Io non penso che qualcuno che ha lavorato tanto e
si sia impegnato fino al risultato finale abbia mai trascorso del tempo a
lungo spiacevole con Russell Crowe. E’ ciò sintomatico dell’essere un
professionista? Immagino di sì, ma, buon Dio, guardate i risultati in
termini di riconoscimenti. Gli australiani hanno bisogno di più
perfezionisti, anche se sono neozelandesi.”
Il
fatto che Wallace dovrebbe elogiare la cooperazione di Crowe per la
prossima uscita di “Blood Oath” (10 aprile) su DVD dimostra che
l’attore non dimentica presto coloro che gli hanno dato una mano pur non
essendone obbligati.
Chiaramente
Crowe si aspetta dagli altri le stesse cose che pretende da se stesso.
E’ una grossa richiesta. Parlando a The Australian , Crowe paragona il
suo atteggiamento verso il suo futuro debutto come regista, un adattamento
di “The long green Shore”, romanzo sulla Seconda Guerra Mondiale di
John Hepworth, con quello del grande regista americano John Ford – vale
a dire, chiunque vi lavori dovrà capire che “siamo insieme in
un’avventura, ci vorrà una x quantità di tempo, non c’è spazio per
la tua vita privata durante la lavorazione di questo film.”
E’
un’affermazione tipicamente inflessibile e il progetto è sintomatico
della sua grande ambizione. Il film è ambientato a Papua Nuova Guinea
alla fine della II Guerra Mondiale, dove gli australiani ricevettero
l’ordine di respingere i giapponesi. Mentre Crowe vuole girarlo in
Australia, non ha ancora scartato la possibilità di gran lunga più ardua
di P.N.G. Intraprendere un film così in grande quando non hai mai diretto
altro che documentari amatoriali è un salto straordinario. Lo stesso Mel
Gibson, non si mise a proprio agio a stare sulla sedia da regista con un
modesto pezzo come “L’Uomo senza Volto”, prima di affrontare
l’epico “Braveheart”?
Crowe
ammette di poter fallire. Ma, dice:”Ho fatto il possibile per
prepararmi. Sono uno studente del processo. Ho molti mentori che posso
chiamare a tarda notte quando entro un po’ in agitazione e continuo a
fare loro tantissime domande” Mentre lo dice ride. Si riferisce ai
registi più famosi di Hollywood che gli hanno dato i ruoli più ammirati
– Ridley Scott (“Gladiator”), Ron Howard (“A Beautiful Mind”),
Michael Mann (“The Insider”, che ha portato alla sua prima nomination
all’Oscar) e Curtis Hanson, il cui “LA Confidential” gli ha dato il
suo primo ruolo americano che lo ha reso famoso. Come nelle parole della
canzone di Neil Young, Crowe ovviamente crede che sia meglio ardere del
tutto piuttosto che svanire nel nulla.
A
quanto pare l’inferno continuerà a bruciare per un bel po’.
(*
Il titolo dell'articolo e' un gioco di parole dal titolo di un film di
Russell, "The Sum Of Us") torna
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