Intervista a Russell Crowe - Packet online, 04 gennaio 2002 la traduzione e' a cura di grace big_grunt@hotmail.com
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HOLLYWOOD VIENE IN CITTA’
di Kam Williams Time OFF
Russell parla della controversia emersa durante le riprese del suo ultimo film, “A Beautiful Mind” Nato in Nuova Zelanda ma cresciuto in Australia, Russell Crowe è stato ovviamente influenzato da ambedue i background “Ho una combinazione di entrambi”, ammette prontamente il roco attore. “I neozelandesi tendono ad essere molto ostinati e gli australiani sono buontemponi. Il complesso Mr. Crowe in effetti si considera una mescolanza di maori e norvegese sebbene il suo cognome sia di estrazione irlandese. L’attore dice di avere sperimentato il razzismo “Da ambedue i lati della barricata”. In Nuova Zelanda dove è effettivamente ancora registrato per votare come aborigeno. Nel frattempo quaggiù negli Stati Uniti, questo divo sfrontato e schietto costituisce un elemento anomalo come idolo dello spettacolo. Il suo appeal grintoso da classe operaia lo ha reso una sorta di eroe anti-hollywoodiano. Agli inizi della sua carriera cinematografica, Mr. Crowe ha avuto dei poco rumorosi riconoscimenti per aver realizzato diversi ruoli da valido attore caratterista. Ha sfondato nel ruolo di volubile poliziotto in “L.A.Confidential”. Nel frattempo, ha gestito un tris di ruoli basati su personaggi reali portati allo scoperto dalle rivelazioni di Vanity Fair, “The Insider”(1999),”Proof of Life”(2000) e “A Beautiful Mind”(2001). Ma ha conquistato il suo Oscar come Miglior Attore per il suo imponente ritratto di Maximus, il valoroso, schiavo ex-generale in “Gladiator”(2000). Nel suo ultimo film, Crowe, che ha lui stesso abbandonato gli studi superiori, si ritrova ad interpretare un professore di Princeton schizofrenico e vincitore di un Premio Nobel. L’irascibile attore mi si è rivelato alquanto franco e aperto su qualsiasi argomento affrontato.
TimeOFF Lei aveva attorno un bel po’ di guardie del corpo agli Oscar a causa delle minacce di morte. E’ stressante vivere così? Russell Crowe Non è qualcosa di cui in realtà mi va di parlare, anche se ritengo che la maggior parte della situazione sia stata risolta. Non sono io a scegliere di avere attorno guardie del corpo. Ma quando sto lavorando, da un punto di vista assicurativo, suppongo che sia un male necessario. TO E’ stato più difficile prepararsi per questo film che per altri suoi ruoli recenti? RC “The Insider”, ad esempio, doveva essere certo più semplice per via delle circostanze. A ripensarci, Wigand era così facile da interpretare perché il fatto era appena accaduto. Era stato un circo dei media, quindi era molto ben documentato su nastro. Avevo avuto ore su ore di filmati da visionare, compresa la sua deposizione di sette ore, che noi abbiamo presentato nel film con lo stesso tipo di ripresa. Avevo tutto questo come uno specchio. TO Nash ha ricevuto il Nobel non poi tanto tempo fa e vive ancora qui a Princeton. RC Era una situazione diversa perché abbiamo cominciato la storia una cinquantina di anni prima. E Nash era noto nei circoli accademici soprattutto per le sue eccentricità e la sua mente troppo analitica. Quindi hai questo anziano di oltre settant’anni con un gap nella sua vita di 35 anni di ricoveri e cure. Ma non c’erano suoi filmati. Nemmeno un nastro audio o un pezzo di film che mi aiutasse a vedere come camminava e sentire come parlava quando era giovane. Di lui avevo soltanto 17, estremamente contraddittorie, fotografie in bianco e nero. TO E allora come ha svolto le ricerche sul ruolo? RC Ho cominciato con l’indagare sulla malattia della schizofrenia. E usando studi su casi contemporanei, ho potuto vedere che qualcuno tornava com’era prima dell’insorgere della malattia. Ho appreso dei notevoli cambiamenti che sopraffacevano le persone fisicamente e anche in termini della loro inflessione vocale. Anche le cure potevano avere degli effetti su di loro e potevano esasperare certi movimenti. Quindi mi sono trovato di fronte a un problema piuttosto grande. TO Ha considerato l’idea di incontrare Nash per modellare se stesso su di lui? RC Il libro di Silvia Nasar è una grande lettura come biografia di un matematico. Ma per quanto sia molto ben scritta con una grande componente di avventura nei suoi toni, rimane sempre un’opinione individuale e non un fatto necessariamente assoluto. Quindi, questa era un’esperienza completamente diversa da “The Insider”, che toglieva tensione ad un percorso molto più spaventoso, proprio perché sembrava ci fossero interi tratti su cui non potevamo avere informazioni. TO Perché non chiedere a Nash? RC Tutti noi possiamo essere falsi testimoni delle nostre vite. Un uomo nella settantina ricorda certe cose. Noi gli abbiamo dato una lista di domande su varie occasioni e abbiamo video-registrato le sue risposte. Alcune delle domande servivano per sondare quanto fosse affidabile. TO Che tipo di domande erano? RC “Ha mai fumato sigarette?” “No”. “Fratello, ho le prove che tu hai fumato sigarette” Oppure, “Ha mai portato la barba?” “No” Ma per sette o otto anni, quando era in Europa ha portato la barba. Non poteva ricordare tutti i periodi della sua vita. Quindi non potevo utilizzarlo. Il libro perlomeno mi dava delle piccole indicazioni, come una descrizione del suo modo di parlare sereno e ricco di ornamenti. TO Per quale motivo ritiene che una storia così strana abbia funzionato tanto bene come film? RC Perché avevi queste gigantesche pietre di paragone a cui agganciare la storia. Hai il genio, la follia, il Premio Nobel. La vera bellezza della sceneggiatura era che per tutti questi tempi turbolenti, sua moglie rimaneva lì con lui e gli forniva la scena per ascoltare se stesso. Questo alla fine gli permetteva di verificare la differenza fra la vera realtà e i piani separati dell’immaginazione. Se Alicia Nash non avesse fornito un palco per la continuità allora probabilmente lui non sarebbe stato in grado di raggiungere il punto in cui organizzare la sua mente attraverso la cura e attraverso la malattia. Lei lo aiutava a mettere nella giusta prospettiva quella che era la realtà e quelli che invece erano gli indicatori che lui cominciava a riconoscere quando stava scivolando in una fase di ragione al di fuori della nostra realtà fisica. TO Ha mai incontrato Nash mentre era a Princeton? RC Ha fatto un salto non annunciato durante la prima settimana di riprese a Princeton. Quando l’ ho incontrato è stato più un incanto che qualsiasi altra cosa, perché eccola qui la persona sulla quale ero stato ad ossessionarmi. Stavo in piedi lì davanti a lui e gli ho fatto una semplice domanda. Gradirebbe del caffè o tea? E circa 15 minuti dopo ho ottenuto da lui qualcosa di abbastanza vicino ad una risposta. Tale è il grado di esame che lui farà su ogni cosa che gli attraversi la strada. Lui ha continuato ed io ho finito per usarlo nel film. Quindi da ogni secondo trascorso con lui mi derivava qualche informazione utile. Ma come ho detto prima non volevo permeare il Nash più giovane con troppo del Nash più vecchio. TO Come è stato lavorare con Ron Howard? RC C’è stata una situazione molto insolita nel New Jersey quando ci siamo bagnati dalla testa alla punta dei piedi per tre settimane girando la sequenza con la pioggia e il neonato. E avevamo tre neonati sul set che potevano darti sui nervi e causare molta tensione. Qualche volta ci dovevamo sedere e far piangere il neonato. E Ron fa: “Dai! bimbo, dai! non ho tempo per questo. Piangi!” Richie Cunningham che batte neonati. Sì, lo sentite per la prima volta da me. TO Bene, qualsiasi cosa Ron facesse, ha funzionato, dato che avrà la sua prima nomina per l’Oscar per il film. RC Sono stato davvero molto contento, perché passare per tutto questo con qualcun altro avrebbe potuto dare un tono diverso e avere un’energia diversa, probabilmente lo avrebbe reso molto più difficile. Tutti si ingannano nel pensare che Ron sia un tipo semplice. In realtà è uno dei registi più intensi con cui io abbia mai lavorato. Ma lo fa in un modo cortese perché è organizzato e sa ciò che vuole. TO Perché ritiene che Princeton fosse una calamita per tanti geni scientifici nel periodo culminante di Nash? RC Einstein e tutti i damerini dell’Europa Orientale volevano andare ad Harvard, ma non li avrebbero accettati all’epoca a causa dell’anti-semitismo. Quindi Princeton, all’improvviso fu in grado di uguagliare qualsiasi scuola nel mondo. TO Come si è trovato nel campus di Princeton? RC E’ stato divertentente trovarsi circondati da così tanti studenti che si considerano veramente nell’elite latte e miele di questo paese, perché non gliene poteva importare di meno se tu stavi facendo lì un film o no. Sono riuscito a stabilire alcune relazioni positive ma la maggior parte di loro ti intralciava il cammino a causa di quella estrema arroganza. TO In che modo? RC I flash delle fotografie durante le scene. Stiamo parlando di 50, 60 flash. Era come, chi [imprecazione] credete di essere? Mi mandava in bestia perché dovevamo buttar via così tanto materiale. Ogni volta che Ron diceva “Azione!” e stavamo girando sentivi “pop” “pop” “pop” provenire dalle finestre dei dormitori. Era denaro che andava sprecato. E glielo abbiamo chiesto tante e tante volte. TO Non potevate liberare l’area dei dormitori attorno al set? RC L’atteggiamento della scuola era che i loro studenti erano così maturi, così favolosi e intellettualmente superiori che non c’era bisogno che imponessimo loro delle regole. Ma non è che ogni cosa ti verrà servita nelle mani nella vita. Potresti pensare di sì, ma non è così che funziona, ragazzi e ragazze. TO C’era una sua foto nei giornali locali in cui alzava loro il dito durante le riprese. RC Oh, glielo avrei dato ogni tanto. Avrei detto loro di andare a farsi fottere. Il primissimo giorno abbiamo sprecato probabilmente un’ora e mezza di riprese preparate, per non contare tutto l’altro materiale di mezzo, solo per aspettare che le persone tirassero le teste fuori dalle finestre e smettessero di scattare fotografie. E alcune riprese veramente buone andavano sprecate, sprecate perché queste persone si ritengono al di sopra del tuo lavoro. TO Ma doveva proprio alzare il dito ai ragazzi? RC Lei sa che sono un culo tosto, se legge le riviste. Hollywood non è certo il fine ultimo. Ma stavamo girando un film e una parte della fama nel fare un film e spendere quella gran quantità di soldi su una leggenda di Princeton, ovviamente c’era una specie di contributo finanziario per l’Università, altrimenti non saremmo stati là. Io penso che probabilmente ci sia un problema di prospettiva con gli studenti di Princeton, che potrebbe o meno essere bilanciato lungo il corso delle asprezze della vita. TO Risponde mai alle insinuazioni più piccanti relative al suo nome nei tabloid? RC Non so se mi importa davvero di attizzare quel tipo di fuoco. Non ho mai fatto la scelta facile in termini dell’essere una celebrità ma qualsiasi reputazione che io sia la belva sessuale è pura merda confezionata dai media. Ora lei mi chiede di rispondere a qualcosa che è stato preconfezionato. [Imprecazione]. TO Non sente il bisogno di rispondere alle critiche negative e chiarire l’equivoco? RC Si, risponderei, ma lei non vuole sentire altre parolacce. Se i miei compensi crollano e le mie condizioni di vita cambiano perché scelgo semplicemente di prendere sul serio il mio lavoro di attore, allora che sia pure così. Chi se ne frega? TO Pensa di essere mal giudicato? RC Non mal giudicato, ma in definitiva penso di essere mal interpretato perché è molto facile offendere le persone con la verità, per qualche motivo. TO Pensa che il contenuto dei tipici tabloid sia spazzatura? RC Nel darmi l’opportunità di rispondere a questa domanda mi sta anche mettendo nella posizione di fare il genere di affermazione che non vorrei mai fare. Ci sono tante cose nel mondo che non condivido, amico. Solo perché sono un attore questo non vuol dire che io debba essere visto come un portavoce per qualsiasi cosa. Penso che lo star system sia incontrollabile. Vorrei solo che quello che faccio per vivere fosse visto di più nel contesto.
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Hollywood Comes to Town By Kam Williams, TimeOFF Russell Crowe talks about the controversy that emerged during the filming of his latest movie, A Beautiful
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