Rapimento e Riscatto - Proof of Life (2000)

Qui di seguito alcune recensioni italiane del film "Rapimento e Riscatto."
Recensione "Rapimento e Riscatto"

di Giona A. Nazzaro
Cineforum 403 - Maggio 2001


Taylor Hackford è un regista robusto e a tratti persino interessante che però non è mai riuscito a sollevarsi al di sopra dell'anonimato cui finora sembrava essere condannato. Certo "Ufficiale e Gentiluomo" si fa ricordare con piacere perche è (ancora) un buon melo'. "L'Avvocato del Diavolo" (non c'è ne vogliano i pollackiani...) era senz'altro più interessante de "Il Socio", ma l'indecisione di Hackford, oscillante tra il classico cinema di denuncia liberaI, l'horror satanico e una buona dose di moralismo puritano ne faceva un film dall'andamento decisamente altalenante (anche se intrigante). A confondere ulteriormente le carte sul conto di Hackford, i suoi esordi da documentarista affascinato dal Sudamerica, la passione per il rock'n'roll e l'attività di produttore. "La Bamba", uno dei migliori rock biopic degli anni Ottanta e Novanta, era stato prodotto proprio da Hackford, come "When We Were King", il celebrato film di Leon Gast sul combattimento tra Ali e Foreman a Kinshasa. Attraverso questi brevissimi cenni di curriculum vitae non si intende certo porre le basi per un presunto agire da auteur del nostro; semplicemente indicare i punti salienti di una carriera tanto vissuta con determinazione nel cuore stesso di Hollywood quanto, ironicamente, anonima.

In questo senso è persino comprensibile la frustrazione di Hackford nell'osservare "Rapimento e Riscatto" andare a fondo presso il pubblico e sui giornali a causa dei gossip scatenati dall'affaire Crowe-Ryan.

Infatti, contro ogni aspettativa, il film in questione segna un nettissimo avanzamento del Hackford regista (sinora sempre in svantaggio rispetto al produttore). Un cerotto sul sopracciglio di Crowe e un montaggio alternato bastano ad Hackford per mettere in scena lo scarto tra il linguaggio burocratico del mediatore e la realtà del suo lavoro (ottimamente mediato dai cromatismi di Slawomir Idziak, l'operatore kieslowskiano di Film blu). In realtà, il film oltre a essere un lancinante dramma della mancanza e dell'assenza è anche un'analisi abbastanza lucida delle strategie attraverso le quali corporazioni e multinazionali si conservano reciprocamente in piedi.

In questo senso Hackford continua a evidenziare la sua matrice sessantottina. Ciò che però seduce di più del suo film (al di là del discorso politico più facilmente riscontrabile) è la sua natura di oscuro melo coniugale tutto retto dall'assenza di un corpo che bisogna ritrovare (quello di Bowman) e, viceversa, dalla presenza di quello di Alice che Terry non può (non) desiderare. Per certi versi, e in maniera assolutamente non mediata criticamente, emergono nella memoria altre missioni di recupero come "Sentieri Selvaggi", "Comanche Station", "Hardcore"... Ancora una volta

nel cinema americano degli ultimi mesi si evidenzia il fantasma di una spoliazione materiale (come nel [purtroppo] irrisolto Cast Away) specchio necessario di una palingensi morale non più procrastinabile... Hackford si dimostra estremamente abile nel gestire questa tessitura di assenze e di vuoti (Terry che tratta solitario di notte con una voce ostile; la solitudine di Alice e di Bowman, il desiderio di Terry per Alice...). L'abilità del regista si evidenzia comunque perfettamente nel finale pirotecnico dove, piuttosto che risolversi in un tardo esercizio pancosmatosiano, Hackford riesce non solo a far funzionare al meglio le tensioni accumulate sino a quel momento (essendo il pubblico già proiettato in avanti verso il dopo rilascio... quando Terry e Alice dovranno affrontarsi definitivamente...), ma si concede persino il lusso di un climax nel segno del più pudico degli understatement (a conferma della fiducia nutrita nel proprio lavoro). In questo senso "Rapimento e Riscatto" si può senz'altro considerare uno dei pochi prodotti hollywoodiani della stagione cinematografica attualmente in corso degni di questo nome. Staremo a vedere se Hackford continuerà anche in futuro a produrre film di questo valore.

Rapimento e Riscatto

Tullio Kezich (Corriere della Sera, 03 marzo 2001)

Non legano la Ryan e Crowe. Affoga nella prevedibilità un rapimento senza riscatto (avventura)

Hanno fatto bene a dirsi addio Meg Ryan e Russell Crowe, dopo lo strombazzato innamoramento sul set di Rapimento e Riscatto, perché sullo schermo non legano proprio. Lui sembra «Gladiator» in borghese e lei, impreparata com' è ad affrontare il dramma, fa le faccette. Terry è un idealista finto cinico, recuperatore professionista di sequestrati; quanto ad Alice, con il marito ci litigava e ora soffre nel saperlo prigioniero di una banda di narco-guerriglieri. L' azione si svolge stretta fra il bieco cinismo affaristico delle multinazionali e il crimine ex politico organizzato in forma paramilitare. Il sequestrato Peter è David Morse, il migliore. Introducendo divagazioni e personaggi inutili, il film confida nella tenuta dei suoi interrogativi. Ce la farà Alice a convincere Terry perché corra al salvataggio di Peter? Riuscirà l' ex parà australiano a strappare il probo incolpevole dalle mani dei sequestratori? E se Peter dovesse tornare, come la metteranno Terry e Alice con l' amore nato fra loro? Chiunque conosce «Casablanca» è in grado di dare le risposte senza vedere il film. Dieci con lode al regista Taylor Hackford per le scene d' azione, girate negli esterni veri. Il resto è silenzio.

Rapimento e Riscatto

di Eleonora Saracino (Cinema it)

Russell, che eroe!

Più del denaro, poté l’amore. In questo caso sono gli occhioni belli di Meg Ryan a far vacillare il granitico professionismo di Russel Crowe, cinico e pragmatico esperto negoziatore di ostaggi che, a dispetto delle regole del gioco, decide di aiutare, in missione solitaria, la disperata moglie del rapito.

Fin dalle prime scene, in cui Crowe affronta pallottole e rocambolesche fughe in elicottero, si capisce che lui è un tipo che non scherza: né sul campo di battaglia, né al tavolo dei negoziati e tanto meno durante le riunioni in cui si decidono le strategie di liberazione di ostaggi sparsi per mezzo mondo. In camicia azzurra e completo blu, l'attore australiano ha tutta l’aria di un “manager” dei rapimenti e riscatti. Tuttavia, nonostante le rigide norme del suo lavoro, accetta di dedicarsi totalmente (inizialmente senza aiuto e di tasca sua) al rapimento Bowman.

Colpo di fulmine? Pare proprio di sì. Del resto come resistere ai lacrimoni di Meg? Peccato che come motivo sia un po’ scarsino per rendere credibile l’intera storia, il cui successivo evolversi non è meno inverosimile del punto di partenza. Taylor Hackford si dà un bel da fare a muovere la macchina da presa, a regalarci primi piani della sempre più attonita (unica e sola espressione dell’attrice) Ryan e a riprendere il “fisicaccio” di Crowe. La storia proprio non convince e non si capisce se il film abbia pretese di action movie o di drammatica storia d’amore.

Nell’indecisione Hakford ha mescolato un po’ tutto facendo del protagonista un personaggio a metà strada tra uno stratega e Rambo e della bionda Meg una delle mogli “affrante” più eleganti, trendy e ben pettinate che si siano viste al cinema. Intorno a loro si muovono una serie di personaggi da macchietta (dal prete finto pazzo, ai guerriglieri strafatti) e il tutto raggiunge l’acme con il raid nella foresta in cui Crowe, finalmente liberato delle mortificanti camicie in favore di una canottiera che gli rende giustizia, dà prova della sua abilità di soldato.

Nel frattempo sono passate più di due ore e gli ultimi minuti sono dedicati agli addii. Meg non la smette di piangere, Crowe divaga (da vero duro) e lo spettatore non capisce se tutto questo strazio amoroso scaturisca da qualcosa di più di un unico bacio. Del resto, questo interrogativo è il massimo della suspence offerta dal film. Basta accontentarsi.

Rapimento e Riscatto

di ROBERTO NEPOTI (la Repubblica it, 03/03/2001)

Melodramma poco appassionante con innamoramento sul set

Meg e Russel, riscatto in stile "Casablanca"

Un po' ammorbati dalle chiacchiere dei tabloid sulla conclamata (e ormai finita) lovestory tra Meg Ryan e Russell Crowe, andiamo a vedere Rapimento e riscatto aspettandoci un torrido cocktail d'amore e azione: ci troviamo, invece, alle prese con un film lungo e un po' languente, dove le due star si scambiano solo un casto bacio e, alla fine, fanno la grande rinuncia stile Bogey e Bergman in "Casablanca". Il soggetto è ispirato a un fatto autentico, raccontato da William Prochnau in un reportage su Vanity Fair. Tutto comincia col rapimento di Peter Bowman (David Morse), ingegnere americano e marito della bionda Alice (Meg). I guerriglieri latino americani che lo hanno sequestrato chiedono un riscatto di tre milioni di dollari, che la compagnia d'assicurazione non ha la minima voglia di sborsare. L'unico a venire in aiuto di Alice è Terry Thorne (Crowe), esperto negoziatore ma abbastanza tosto da proseguire il lavoro con altri mezzi quando le parole non bastano più. Il film ci racconta le trattative in montaggio parallelo, tentando di vivacizzarlo con qualche sfasatura temporale: da una parte il povero ingegnere è condotto sulle Ande dai rapitori, connotati più come criminali che come guerriglieri; dall'altra, la sposa in ambasce e il fascinoso esperto si prodigano e palpitano: anche per l'amore che, malgrado qualche litigio e una sberla, inevitabilmente sboccia tra loro.

A un certo punto il rapito riesce, con enorme rischio, a comunicare l'impervia posizione in cui si trova. Dopo centoventi giorni di prigionia e centoventi minuti di film, Russell mostra finalmente le grosse braccia, si barda come Rambo, si dipinge la faccia di colori mimetici e va alla riscossa. Seguono strage di guerriglieri e fuga, durante la quale il marito di Meg si dà da fare con la pistola salvando il salvatore. Compiuta la missione, l'eroe riconsegna Peter alla legittima consorte e rinuncia a lei: anche se, dal primo piano del "gladiatore", si capisce che non è per nulla contento. Diretto da Taylor Hackford ("Ufficiale e gentiluomo", "L'avvocato del diavolo") con uno stile di regia competente, Rapimento e Riscatto è un melodramma poco appassionante. Quanto alla famosa alchimia delle due star sul set galeotto, non ce l'avessero raccontata non la sospetteremmo neppure.

Rapimento e riscatto

di Marina Sanna (Rivista del Cinematografo online, 02/03/2001)

In Rapimento e riscatto Taylor Hackford porta alla luce il nuovo business della criminalità internazionale: quello dei sequestri di persona con cui i gruppi rivoluzionari dell'America Latina si finanziano. Il film è interpretato da Russell Crowe e Meg Ryan, innamoratisi sul set durante le riprese; ma della loro love story, sullo schermo, quasi non c'è traccia.

In tempi di globalizzazione e di new economy è nato un nuovo business. Il rapimento e il riscatto di dirigenti di multinazionali all'estero. Gruppi rivoluzionari che non possono più contare sull'aiuto economico degli ex paesi comunisti sostengono la loro causa ricorrendo ad altri mezzi. A loro volta le compagnie interessate sottoscrivono polizze assicurative per coprire i loro dirigenti in caso di sequestri... Sembra la trama di un film, invece è tutto vero. La fonte è un articolo di William Prochnau apparso su Vanity Fair nel 1998, intitolato Adventures in the Ransom Trade. Il giornalista ha passato 6 mesi con ex agenti segreti, ha incontrato Susan Hargrove, la moglie di Tom Hargrove, rapito nel '94 in Colombia, e ha trascorso altri 6 mesi in Sud America e in Europa. A questo articolo e al libro-documento Long March to Freedom... di Thomas Hargrove si è ispirato Taylor Hackford per girare Rapimento e Riscatto (in originale Proof of Life). E' Russell Crowe a introdurci nel nuovo business mondiale, la sua voce ci guida in Cecenia fin dai titoli di testa. Attraverso un flashback in cui i colori sono freddi e sbiaditi come il paesaggio invernale Crowe spiega la procedura della "Proof of Life": il segno tangibile che l'ostaggio sia ancora in vita.
Terry, alias Russell, è un professionista della negoziazione, un veterano della Sas che ha risolto positivamente molti casi di rapimento. Dalla Cecenia l'obiettivo si sposta su Londra, capitale dell'economia mondiale, per spostarsi ancora in Ecuador. I colori diventano più vividi per raccontare la storia di Peter Bowman (il David Morse del Miglio verde) e di sua moglie Alice (Meg Ryan). Peter è un ingegnere americano incaricato di costruire una diga e durante un raid viene catturato dalle forze antigovernative. Ha inizio l'agonia, quella personale di Alice e quella di Peter ostaggio per oltre 100 giorni. Perché la compagnia di Peter, sull'orlo del fallimento, ha rinunciato all'assicurazione. La negoziazione diventa lunghissima ed elemento chiave è l'ex Sas Terry Thorne.
E' noto a tutti che durante questo film Russell Crowe e Meg Ryan si sono innamorati: curiosamente non c'è traccia di passione sui loro volti. Forse per questo Meg sembra fuori posto dalla prima all'ultima battuta. O semplicemente, come è già avvenuto per altri film che non fossero commedie, la parte non è nelle sue corde. La narrazione, avvincente in alcuni momenti, perde ritmo e mordente per concentrarsi nell'ultima mezz'ora (il prologo, il rapimento di Peter-David, e le locations in Ecuador, sono invece efficaci e dirette alla grande). Il film oscilla pericolosamente tra il dramma e il thriller e non c'è suspense. Quanto a Russell Crowe, ancora una volta solo contro tutti, è bravo. Ma il suo personaggio è poco caratterizzato, al punto da lasciare in sospeso il perché del suo coinvolgimento nella storia. David Morse sembra un vero sopravvissuto alla Cast Away: dimagrito di parecchi chili, sfoggia un barbone da far invidia a Tom Hanks. Non basta. La conclusione ricorda un ben più celebre film e Russell si allontana sulle note di Van Morrison I'll Be Your Lover Too. Peccato. Si tratta dello stesso regista, non dimentichiamolo, di Ufficiale e gentiluomo e dell'Ultima eclissi.

Rapimento e Riscatto

di F. Fer. (Il Messaggero online, 07/04/2001)

Amore e azione in “Rapimento e riscatto” girato sulle Ande
Crowe e Meg Ryan, troppi stereotipi 

ROMA - Un ingegnere impegnato nella costruzione di una diga sulle Ande viene rapito da un gruppo di guerriglieri, tenuto in ostaggio per mesi, usato non per fini politici ma per lucrare un congruo riscatto dalla sua azienda. Denari aziendali a parte - qui non è la ditta a pagare, ma la famiglia - la situazione descritta da Rapimento e riscatto è del tutto realistica.
In molti paesi poveri e scossi da conflitti locali, il rapimento di dirigenti delle multinazionali a scopo riscatto è infatti una pratica così diffusa che intorno ad essa è sorta una piccola industria parallela, «quella del "riportarli a casa", industria che coinvolge ex spie e rivoluzionari, AK-47 e auto blindate, lanci dal’elicottero e nascondigli», come scrive William Prochnau nell’inchiesta (pubblicata da Vanity Fair) che è all’origine del film.
Eppure Proof of Life, diretto da Taylor Hackford, balzato all’onore delle cronache per aver fatto scoccare la scintilla fra Russell Crowe e Meg Ryan, non suona mai davvero credibile. Troppo connotato come perdente il marito rapito (David Morse, visto di recente nel Miglio verde e in Dancer in the Dark). Troppo furiosamente in crisi il suo ménage con Meg Ryan per non spianare la strada all’attrazione fatale fra la mogliettina rimasta sola e il bel salvatore (ovviamente Russell Crowe) che non solo sa usare la forza e l’astuzia ma lo fa anche gratis, per orgoglio e (forse) per amore. Troppo avidi, untuosi, infidi, rapaci tutti i "latinos", per non parlare dei guerriglieri imbecilli e spacconi.
E’ interessante invece la spietatezza che regola i rapporti aziendali: il povero Morse infatti è «solo una copertura umanitaria» per la sua ditta. Di più: visto che la ditta sta fallendo, nessuno è assicurato e nemmeno l’ambasciata si cura di lui. Troppe grane politiche, e il dirigente che la sa lunga ma non muove un dito è forse la figura più interessante del film. Per il resto si possono ammirare le gonne folk post-hippy di Meg Ryan, il suo trucco sempre accurato in ogni situazione, la sua espressione più assatanata che angosciata. E sia detto senza malizia: era il commento di una spettatrice in sala.

Rapimento e Riscatto

di Simona Pellino (SentieriSelvaggi)

Cinema di orizzonti, di rapporti e di frontiera, Rapimento e riscatto è un viaggio appassionante nelle terre di confine. Sospeso nel “tra”, tra melodramma e thriller, tra presenza ed assenza, fisicità ed emotività, la pellicola di Taylor Hackford deve la sua forza a questo straordinario gioco d'equilibri, in cui s'innestano oltretutto immagini vivide, segno della sua passione per il documentario.
Fin dalla prima sequenza, la voce fuori campo di Russel Crowe presagisce un film di contrasti e di opposizioni stridenti, sovrapponendo la sua voce di commento, intrisa di sensazioni dolorose, ad immagini concitate di guerriglia. Ma i percorsi avventurosi, in cui si imbatteranno in seguito i personaggi, non saranno solo quelli vissuti tra Europa e America Latina, ma anche quelli sentiti, esplorati e scoperti dall'animo umano. Il regista di Ufficiale e gentiluomo torna a raccontare di rapporti tra uomini e donne, di desideri non realizzati, di sentimenti inespressi e di opportunità perse. Russel Crowe, che ha su di sé ancora l'ombra del gladiatore, è un soldato, un combattente ma anche un reduce e un sopravvissuto…eppure il suo personaggio non è un vincente. È una donna la vera protagonista, la signora Bowman, con i suoi sentimenti e la sua vita fatta di relazioni faticosamente portate avanti: è lei che mette a nudo la solitudine di Terry Thorne, de-struttura il suo ruolo e svuota la sua figura dei connotati mitici dell'eroe positivo.
La stessa fisicità di Russel Crowe, che pur si esprime con forza attraverso lo schermo, sarà schiacciata da una dimensione emotiva e celebrale che il regista americano riesce abilmente a creare tra gesti, sguardi e silenzi. L’alchimia tra Meg Ryan e Russel Crowe è inoltre palpabile fin dall’inizio, dove più che conoscersi per la prima volta, i due sembrano venirsi incontro e riconoscersi. La sinergia tra questi due attori è un filo rosso che allaccia tutte le sequenze: la realtà dei loro pudichi sentimenti è presente in ogni momento, anche quando sono fisicamente distanti, assenti, non visibili. Cinema del “tra”, Rapimento e Riscatto si realizza qui, tra le parole non dette, tra gli sguardi mancati e le labbra appena sfiorate. In questo contesto, la ricerca dell'ostaggio Peter Bowman (che evoca, con il suo corpo provato dalla fatica, l'immagine di un nuovo naufrago del cinema americano) e il tempo della trattativa con i rapinatori, vanno visti come la cifra stilistica di un film che vuole dar forma al nascosto, al celato, a ciò che esiste tra il visibile e l'invisibile, il pensiero e l'azione. E la scena conclusiva del film è un momento di straordinaria catarsi, in cui finalmente le emozioni e le tensioni si liberano e riempiono tutti gli spazi possibili. Un rapido volo, attraverso cui le storie e le vite dei personaggi, le parole della canzone Van Morrison ed il film stesso esplodono ed escono fuori dal quadro, per dissolversi come vettori in fuga.

"Rapimento e Riscatto" 

di Stefano Lusardi CIAK 4 2001

(come indicazione di massima reca l'avviso: COLPO DI SONNO)

Un film che brilla per la sua inutilità: thriller noioso in bilico fra Rambo e Casablanca, con due star senza passione

Esistono film che, almeno in teoria, appartengono alla sempre piu' vasta e omologata schiera dei prodotti medi senza infamia e senza lode, ma che a fine visione, quando si fanno i conti sul tempo speso in sala, brillano fastidiosamente per la loro irritante inutilita'. "Rapimento e Riscatto" e' uno di quelli. Presi separatamente gli elementi che compongono il film potrebbero anche funzionare: la storia, fra action e sentimento, ha una sua accattivante prevedibilita', la coppia (ahinoi solo in teoria) Russell Crowe-Meg Ryan, il duro eroe e la fragile biondina, potrebbe funzionare e Hackford (L'ultima eclissi, L'avvocato del diavolo) dimostra anche in questo caso di essere un buon artigiano, almeno nelle scene d'azione. Peccato pero', che il plot sia del tutto dissennato. Che senso ha, infatti, andare avanti per quasi due ore fra tentennamenti dell'eroe ed estenuanti trattative, per poi ottenere come risultato finale che Crowe si trasformi in Rambo e faccia strage di cattivi? Hackford s'impegna al massimo col montaggio incrociato, ma la noia incombe sovrana e l'unico che ci guadagna qualcosa e' il rapito David Morse, l'unico che recita veramente con passione. Perche' l'altro elemento strombazzato ai quattro venti, ovvero la travolgente love story (gia' archiviata) fra i due protagonisti, sullo schermo ha dato risultati avvilenti. Crowe ha dichiarato che lui e Meg hanno girato una calda scena d'amore, caduta al montaggio (per pudore? per vergogna? o perche' non era poi cosi' calda?), ma in scena i due hanno la passionalita' di due pezzi di ghiaccio. Se poi Crowe ha una sua solidita' giusta per il ruolo, Ryan, tutta lacrime e mossette, rasenta l'insopportabile. Il colpo di grazia arriva col finale: d'accordo lanciarlo come il "Casablanca del 2000", ma rifare per l'ennesima volta Curtiz, con un elicottero al posto dell'aereo, e' veramente troppo.

Stefano Lusardi

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