LE  ROGAZIONI    A    CROCE

 

Questa  mattina, 1.1.2016,   forse   sentendo  il canto del “VENI CREATOR“   mi è tornata in mente  la  pratica  delle  ROGAZIONI  e subito ho pensato che  era un argomento  da  riportare  nel  mio  “sito” che  tra  le  tante cose  inutili, dismesse,  declassate  (come  le  Ossa dei  Caduti)  può  dare  spazio anche a questa  realtà  sconosciuta  dalla  maggior  parte  della  popolazione al di sotto della cinquantina.

Oso sperare che  qualche qualcuno mi  aiuti con i suoi  ricordi  e  qualche altro approfondisca,  magari con documentazione anche fotografica l’argomento   che  io  abbozzo.

 

Questa  forma  di  preghiera per  ottenere  la  benedizione  sui  raccolti,   si svolgeva  nei tre  giorni  precedenti la  festa  dell’ASCENSIONE  (che  cadeva  di  giovedì, 40 giorni  dopo  Pasqua).

La ripartizione in tre giorni, oltre che a soddisfare la necessità di insistere  nella  preghiera,  soddisfaceva  anche  ad una  necessità  “spaziale”/territoriale.

 

La processione (e la preghiera) doveva interessare tutto il territorio parrocchiale, nessuno era disinteressato/escluso perché non c’erano “zone industriali”, o artigianali e l’economia  era  tutta basata sull’agricoltura quindi esposta  a  tutti  i rischi  atmosferici.

Ogni  giorno  era dedicato per pregare per una particolare zona della parrocchia.

Per la zona verso Musile  c’era questo percorso:  Via  Croce,  Via  Argine  San  Marco fino alla casa “Vivai Trentin” (ora Mariuzzo, all’altezza di via Rovigo).

A questo punto veniva lasciata la strada e la  processione  si  inoltrava  attraverso  i  campi.  Riferisco il percorso più probabile.   Girare a sinistra verso Casa  Roncaglia (che è  l’ultima  casa  di Croce al confine  con la Parrocchia di Musile). Ad  un certo punto (ad un fosso)  girare a destra  verso  la  strada  statale Triestina. Alla statale girare a destra fino al Canale “Morosina”, casa Persico e Casatori. Da qui a sinistra verso la casa Montagner (ora  semidistrutta). Superare la  nuova  strada  in  “zona  artigianale”, attraversare il canale e immettersi nella Via Emilia. Qui  girare a  destra  fino alla  Casa  Bincoletto  (poi Zoccoletto, ora chiusa) all’incrocio  con via Cascinelle. Girare  a  destra verso la  Triestina. Continuare dritti per  Via  “Ponte del  Bosco” (nome  esatto  storicamente, è un grave errore omettere il termine “PONTE” ) fino da Dariol.

Qui  proseguire  a  sinistra,  verso  il  passaggio  a livello (ora  sottopasso),  fino  alla  chiesa.

Variante

(Dai “Vivai Trentin”  (ora  Mariuzzo) sarebbero possibili due varianti: girando  a destra e scendendo verso la  Triestina, passando a fianco alla casa Camin (storica famiglia degli organisti di Croce)  oppure, (seconda possibilità), un poco più avanti della  stradina  della casa Camin)  attraversare i campi, parallelamente a  il “Fion”(=  Via  Verona. Si  poteva raggiungere egualmente Strada Triestina  (costruita  verso la  metà degli anni trenta) in prossimità delle case  Persico e  Casatori  da  dove  proseguire  verso  la  Casa  Montagner   come  già  scritto).

E’ opportuno ricordare che  il passaggio  sulla  sinistra dietro la  casa “VIVAI TRENTIN”,   prima  della  costruzione della  Triestina  e prima  della riconfigurazione dei confini delle  parrocchie  Croce e Musile,  portava  diritto, diritto, verso alla  zona  CASE BIANCHE territorio della Parrocchia di Croce.  C’è traccia di questo antico percorso ed è la stradina che si diparte dalla  SS 14,  in destra,  subito dopo la  zona  ex GIMCA  e prima  della  attuale  “G.M. Noleggi”  a  servizio delle Case Busato.  Dall’altra parte  della  Triestina,  ora zona  urbanizzata,  la  strada andava  diritta verso  via  Mincio  come  si può  dedurre dalla  foto da satellite che  inserisco alla fine.

Ecco una mappa :ROGAZIO 11.jpg

Un giro di circa 7 chilometri fatto di mattina  presto, con  sosta  in  vari  punti  più  significativi: dove c’era un vecchio “capitello” o dove  c’era  un  gruppo di  case. 

Le famiglie preparavano un “altarino”, dietro il quale venivano  depositate  le  offerte  (propiziatrici)  (normalmente uova di gallina).

 

Il settore verso Fossalta era servito dalla processione per Via Contee fino all’inizio del cortile (alla stalla) della Casa Sgnaolin dove la processione girava a destra (verso il campanile di Croce) e proseguiva per un tratto fin o ad incontrare “el stradon” verso l’Argine San Marco. Attraverso i campi si arrivava alla casa Ambrosin e quindi al Capitello S.  Antonio. Scavalcato l’argine, sempre  attraverso  i campi, si arrivava alle case Bergamo (ai piedi dell’argine del Piave).  Da ricordare che per l’occasione  era  autorizzato il passaggio della processione dalla proprietà Manfredi alla strada  del Gonfo (= Case  Bergamo) attraverso la così detta  “porta santa” (che dovrebbe essere localizzata dove ora esiste un piccolo spazio tenuto ad orto da Vito Dianese, spazio residuo di un insediamento più  ampio,  dotato  di  pozzo  a  cui  attingevano  tutte le  famiglie del  “colmello”.  Da qui si saliva sull’argine del Piave (attuale  via  Treviso) per arrivare a Via Croce e, attraverso questa,   ritornare alla  Chiesa.

Questo era  il giro più  breve: circa  Km    3,5.

Ecco una  mappa   ROGAZIO 22.jpg .

 

La  processione  a favore della  zona  verso Mille Pertiche e Ca’ Malipiero  richiede la menzione di  altri  problemi.

Fino  alla  realizzazione della  bonifica  la parrocchia di Croce  si  estendeva   fino alla laguna.

Dopo  la bonifica  della  palude è stata  costituita  la  Parrocchia  di  Mille Pertiche  che ha  ridotto ulteriormente il  territorio di  quella  di Croce  ed avrà  organizzato  le  sue  Rogazioni  accorciando quelle della  parrocchia  madre.

Qui  cerco di  ricostruire  la  processione  sulla  zona  rimasta alla Parrocchia di Croce,  quindi  la  zona  verso  Ca’ Malipiero.

Il  percorso  era:  Chiesa, “calle del fil de ferro” (“baraccopoli di Croce”), incrocio  “Colonnello Gioia” (Triestina), Via

 Casera fino all’attuale sottopasso  alla  Treviso-Mare. Da qui la processione girava a destra,  toccando le Case Zandarin e Venturato e arrivava alla Triestina (all’ attuale  “rotonda”). Camminando sulla  Triestina,  accanto alla  “Fossetta”,  la processione giungeva alla chiesetta di Ca’ Malipiero. Qui veniva  celebrata  la  Santa  Messa e la  cerimonia  terminava. Percorso di circa 5 chilometri.

Questa la mappa  ROGAZIO 33.jpg

 

Credo che le rogazioni  siano state  fatte  in questo modo  fino verso la  fine  degli anni cinquanta.

Ho notizia che con Don Ferruccio (quindi prima della suo ritiro  per malattia (1970,  morto il 3 marzo 1971)) siano state fatte delle  rogazioni  “in  miniatura” (un solo giorno? un giro  limitato ai campi dei Mariuzzo  davanti alla chiesa?).

Quando, a parte le tradizioni religiose, venne meno  anche l’importanza dell’agricoltura ed il bisogno della protezione celeste sui raccolti (“a fulmine et tempestate,  libera  nos, Domine”  era  una  invocazione  delle  litanie) le  ROGAZIONI non furono più  celebrate.

Forse in quegli stessi anni, per compensazione ed in concomitanza  della  festa  civile  del Primo Maggio, fu introdotta la cerimonia della benedizione delle macchine agricole (e non agricole) i cui conducenti forse  avevano  bisogno  di  benedizioni  anche  maggiori dei contadini e dei loro  raccolti.

 

Per chi volesse  approfondire  l’argomento.

Ritenendo che le  OFFERTE  raccolte  in occasione delle  rogazioni  (=  UOVA o ricavo della loro vendita) fossero  di  pertinenza  della  parrocchia   (non del  parroco,  personali)  dovrebbe esserci riscontro nel registro  della cassa .

Oltre la registrazione delle entrate,  da qualche parte il  Parroco avrà scritto degli appunti circa la partecipazione dei  fedeli per rendere conto al Vescovo del suo ministero, per ricordare gli avvenimenti di interesse parrocchiale in generale.  Sarebbe interessante rileggerli dopo  60 anni.

 

Questa è la foto che  ricorda   come la zona  CASE BIANCHE  era collegata alla  parrocchia di Croce  sia  attraverso l’argine  San  Marco,  sia  attraverso  Via  Morosina .       ..\ROGAZIO 44.JPG *

 

PAN e VIN  -  CARGAMANTIEN   -   PIRECOCHE

 

Oltre alla preghiera  ufficiale ROGAZIONI  c’era il rito del   “PAN e VIN“  (che  ancora  resiste)  ed altre due occasioni  per  chiedere che gli “affari  agricoli”  andassero  bene.

Ecco una  foto che ricorda il PAN e VIN  del 1969  sull’argine  del Piave  quando non c’erano problemi  di  “polveri sottili”  e sparare un colpo con il fucile da  caccia  era un  divertimento  ammesso   CCI_PANeVIN 1969.jpg

 

CARGAMANTIEN    La mattina  dell’EPIFANIA  dalla  casa  contadina   qualcuno  usciva  e  percorreva  la campagna  (forse  meglio:  “i  vigneti”) battendo  le  viti,  rivolgendo alla  pianta  e/o  all’Altissimo  l’invocazione:  CARGA  e  MANTIEN   par sto anno che  vienossia:   In questo anno, appena  incominciato CARICA  (con tanti grappoli)   e MANTIENI  (i  grappoli, fino alla maturazione).

Chi  “celebrava questo  rito” (un vecchio?  un giovane?  con  un  bastone  particolare?  seguendo  un percorso particolare o fermandosi  alla prima vite del primo  filare?     da  dove traeva  origine questa invocazione e produceva  effetti?

Io non lo so e chiedendo qua e la ai conoscenti ho ottenuto ben poco.  Chi  può  aggiungere qualcosa. lo  faccia  per  non  dimenticare  come  eravamo.

 

 

PIRECOCHE    Di questo  “rito” ricordavo una frase che si riferiva alle galline e suonava così.

Se no le e tutte, ghe ne manca poche e aveva questo  senso”    Se le galline non ci sono tutte,  ne mancano   solo poche.  Il “celebrante” ovviamente non  cantava così.   Questa era la  “versione”,  “traduzione”,”interpretazione”  o “adattamento”  MALIZIOSO  fatto  da chi  conosceva  “le abitudini locali” tra le quali  il furto di galline.

Il “celebrante” recitava (o  cantava)  una  “formula”  che mi è stata riferita in questi termini:   Pire coche, Pire coche,       se non tutte,    almanco un poche.  Per a fortuna de a parona  che vae a coo anca a pitona. Par fortuna del paron   che e vada da  tutte benon”.

 

Cercando di sapere qualcosa di più dalle vecchie famiglie di Croce, ho fatto una  prima  scoperta  importantissima.

La  padrona  di  casa,  che da ragazza  abitava oltre il Piave, non    disse  piRe coche”  ma “piTe   coche”.

Mettere una   T   al posto della  R è importante  perché da  queste parti  del basso Piave pire non ha  alcun  significato  mentre “piTa“ (e piTe al plurale)   in  altre  zone  ( trevigiano …)    indica  le  galline.   Qui da  noi il termine  PITA   forse   era  usato  per individuare la  tacchina  (è più comune dire PITONA,  usato  per similitudine della  forma,   per  SQUALIFICARE   il monumento a Giannino Ancillotto).

Prima  conclusione

Il rito forse  è arrivato tra noi  portato  da  famiglie  provenienti dalla  zona  pedemontana   (Conegliano,  Vittorio Veneto,  Pordenone)  dove si usa il termine  PITA   e  PITE.

Forse con questa migrazione  l’ originario  PITE   e   COCHE  a Croce  è diventato  PIRECOCHE.

 

E’ chiaro che  era  un  rito,   chissà di quale  origine,  fatto per invocare  che  le  galline   diventassero  COCHE   ossia  si  mettessero a  covare e far nascere i pulcini  in modo  da avere un buon allevamento  che  voleva  dire  carne  ed  uova    per  tutto l’anno.

E’ chiaro  il valore dell’espressione “PITE COCHE” se inteso  come  composto dal sostantivo   GALLINE seguito dall’aggettivo COCHE   aggettivo che specifica il verso della  gallina  quando alleva i pulcini,   “che chiocciola”, canta in un  modo particolare.

Ancor più chiaro il senso del rito se  leggiamo  bene un  attendibile testo delle invocazioni

PITE coche, PITE coche,

Se  no tutte, almanco un poche.

Per a fortuna de a parona,

vada a coo  anche la  pitona.

Par a fortuna del paron,

vae a coo anche el piton.

 

Messo in lingua  comprensibile  suona  così

 

(Auguriamo,  invochiamo) Che, se  non tutte, almeno alcune  delle  galline  si mettano a  covare

Se si mette a  covare  anche la  tacchina   (che poteva  tenere  sotto le  sue  grandi ali più uova  di una  gallina, questo farebbe la fortuna  della massaia (parona).

Vogliamo  la  fortuna  massima, anche per suo marito, il capo famiglia,  per tutta la famiglia (“el paron”)?   Allora

Auguriamo  che  si  metta  a covare  anche il  tacchino (piton)    (che,  naturalmente,  non  cova).

 

Questa  invocazione  veniva  fatta   stando al centro di un cerchio  disegnato per terra con la puta di un bastone.

Alla  mattina la  massaia  doveva  distribuire il becchime alle sue galline  stando dentro  quel cerchio.

Le galline  benedette, fortunate,  per grazia  del  rito,  si sarebbero messe a  covare  e  far  crescere i pulcini.

 

Si  sa  che chi serve all’altare, vive di altare.  Così anche in questo caso.

La  mattina  del martedì, ultimo giorno di carnevale,  il  “Celebrante”   ed i suoi   “chierichetti”     rifacevano il percorso della sera, non più con il bastone ma con un carrettino con cui  portare a casa  il ricavato (salame,  formaggio,  vino,   galline,  uova)    di questa  richiesta  di elemosine  che  i più  ricchi, più creduloni o semplicemente quelli che “stavano al  gioco”,  concedevano  secondo  la  propria  disponibilità.

Detto in termini  correnti: era una  preghiera  per  conto terzi,   una benedizione   a  pagamento   mascherata  da  rito  bene augurale.

Non so da quando  non si “celebra”  più questo  “rito”.   Certamente  fu celebrato  lunedì 17 febbraio 1969 quando una  persona,  che  non  conosceva la  tradizione,  prese  paura al  sentire  il  rumore provocato  dai  “celebranti”.

L’industria  elettromeccanica mise  in  circolazione   le  incubatrici   che  covavano  meglio  delle  “coche”.

Si mise di  mezzo anche l’industria  molitoria  che con i suoi rivenditori  forniva  gratuitamente  i pulcini  in cambio dell’acquisto dei suoi mangimi preparati “scientificamente” in base all’età  (periodo I,  II …) e al destino  (ingrasso, allevamento …). A questo punto,  quindi,  non era più  necessario  avere  “coche”  anzi  sarebbe  stato  un  danno  perché le  chiocce non  depongono l’uovo giornaliero.

In ogni caso anche i ministri del “pirecoche  vanno in pensione ed in paradiso.  Così anche quello di Croce, che  era nato  il 13.5.1918,  ci ha lasciati il 4.9.1997.

Non mi risulta, ed è da  escludere,  che   qualcuno  abbia  accettato  l’eredità. Cosi si è estinta l’usanza.

 

Queste  sono due  foto scattate  verso  il  1960,  che ricordano  le  galline  di casa  mia:  Zia  Carlotta   che  da  da mangiare alle “sue” galline ed il pollaio “pensile” in cui  andavano  a  dormire,  CCI_GALLINEdiZIA CARLOTTA.jpg   *  CCI_POLLAIOeCARABINA.jpg

 

IL  FIORETTO

 

Nel  mese di maggio, dedicato alla  Madonna”, alla sera si celebrava il “Fioretto”:  canti  e preghiere  in  onore della  Vergine e per il bene dei fedeli.

Durante il giorno, noi bambini, dovevamo compiere dei  “fioretti” ossia  delle buone azioni  e  “contabilizzarle - documentarle” colorendo  i quadretti  di un  foglio  di quaderno   appositamente predisposto  con  qualche  disegnetto  di  abbellimento .

 

 

PORTAR  EL MAJO

Non era  un  rito  propiziatorio  ma  una occasione per  prendersela  con le  donne  da  marito  o  anche  più  mature.

Era  tradizione che  nella  notte  verso il primo maggio i maschi portassero alle  donne   degli omaggi commisurati alle  loro  speranze, illusioni, abitudini    e  naturalmente  alle  “vedute”  dei maschi.

I ragazzi  gentili,  innamorati  e  speranzosi   portavano  alla  casa  della  “fiamma” un  vaso  di  fiori”.

I fiori  erano  usati  in  maniera  opposta  contro  le  donne  che  dedicavano ad  essi  più attenzioni di quante  riservate  agli uomini.  Per  punizione  quei  fiori  venivano rubati  in modo che  la  donna   “perdesse  il  vizio”.

C’erano  altri  vegetali  che  venivano usati  per  esprimere simbolicamente le  opinioni dei maschi sul  conto  della  donna.

Qualcuna si  trovava sulla porta le erbe “lingua  di  vacca”,  oppure  erba  medica,  oppure  fieno  e così via.

Qualcuna,  forse troppo ambiziosa, si trovava appeso ad un albero  un  pupazzo forse  perché  era ritenuto più adatto  alle  condizioni  della  ragazza.

Forse era  un modo  popolare  di   castigare  le  donne  scherzando  sulle  loro abitudini,  speranze   eccetera.

 

Anche  questa  tradizione  è  pressoché  scomparsa.

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Aggiornamento 16.1.2016

 

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