L’ATTENZIONE
ALLE VEDOVE NEI DOCUMENTI DELLA CHIESA
a
cura di Lucia Cingolani dell’Ordo Viduarum di Bari
La
vedovanza cristiana,
vissuta in piena e consapevole adesione al disegno di Dio, può divenire un
cammino di virtù e talvolta di santità, poiché il Signore dona la
possibilità di trasformare uno stato di vita per così dire dimidiato, in una
via di comunione con Lui e con i fratelli, nella Chiesa.
A
questo proposito si può parlare, all’interno della spiritualità cristiana,
di una spiritualità vedovile, per determinati valori che emergono da questo
stato caratterizzato da un particolare stile di vita, da atteggiamenti e
scelte che ne evidenziano le potenzialità e spesso anche la ricchezza.
Tutto
questo non è sfuggito alla Chiesa che, animata dallo Spirito Santo, è
tornata a guardare con amorevole attenzione alla figura ed al ruolo della
vedova all’interno della comunità cristiana, memore di quanto avveniva
nella Chiesa delle origini quando le vedove cosiddette “canoniche” o
“catalogate” svolgevano un ministero ecclesiale, si dedicavano ad opere
caritative e soprattutto, come scrive S. Paolo, avendo riposto ogni speranza
in Dio, perseveravano notte e giorno nella preghiera e nelle suppliche (cfr. 1
Tim 5,5), svolgendo anche un ruolo
di mediazione penitenziale con digiuni e preghiere.
Dopo
secoli di oblio, se si fa eccezione degli scritti di alcuni celebri Padri
della Chiesa fra i quali spiccano Sant’Ambrogio e Sant’Agostino e di
qualche santo dell’età moderna, solo in età recente il problema della
vedovanza è stato ripreso in considerazione soprattutto nei documenti del
Concilio Vaticano II, anticipati da un importante discorso del Papa Pio
XII rivolto alle vedove e
pronunziato a Castelgandolfo il 16 settembre 1957
durante un Congresso della “Unione mondiale degli organismi familiari”
dedicato all’infanzia orfana di padre e considerato la “Magna Carta”
della spiritualità cristiana della vedovanza. Non dimentichiamo che il mondo
di allora era uscito, da pochi anni, dalla terribile Il guerra mondiale che
aveva seminato morte e lutto in ogni paese, distruggendo famiglie e producendo
un numero esorbitante di vedove e di orfani, ai quali la Chiesa desiderava
rivolgere un messaggio di speranza.
Nel
Messaggio di Pio XII incontriamo dei concetti di estrema importanza che
verranno ripresi dai Padri conciliari nei successivi documenti del Vaticano II.
Scrive il Papa: <La Chiesa gioisce
nel vedere coltivate le ricchezze
spirituali proprie di tale stato. La prima fra tutte, ci sembra, è la
convinzione vissuta che la morte, anziché distruggere i legami
di amore umano e soprannaturale contratti con il matrimonio, può
perfezionarli e rafforzarli.
E’ fuori dubbio che sul piano puramente giuridico e su quello delle
realtà sensibili, l’istituto matrimoniale non esiste più. Ma sussiste
tuttora ciò che ne costituiva l’anima, ciò che le conferiva vigore e
bellezza, cioè l’amore coniugale con tutto il suo splendore ed i
suoi voti di eternità.[.. .]Se il sacramento del matrimonio, simbolo
dell’amore redentore di Cristo e della sua Chiesa, trasferisce agli sposi la
realtà di questo amore[..], ne consegue che la vedovanza diventa, in qualche
modo, il compimento di questa mutua consacrazione[..]. Ecco la grandezza della
vedovanza quando è vissuta come prolungamento
delle grazie del matrimonio e come preparazione del loro dischiudersi nella
luce di Dio! >
(1)
Riflettendo
sulle parole del Santo Padre comprendiamo che la vedovanza si pone sulla scia
del Sacramento matrimoniale, come meglio spiegherà la Costituzione pastorale Gaudium
et Spes e rappresenta un modo nuovo di vivere la grazia del
Sacramento, simbolo dell’ amore sponsale di Cristo e della sua Sposa che è
la Chiesa.
Inoltre
il Papa introduce un altro importante elemento: la
dimensione escatologica dell’amore coniugale cristiano. A
questo proposito leggiamo ancora nel discorso di Pio XII: <La
vedovanza raffigura la vita presente della Chiesa militante, privata della
visione dello Sposo celeste, al quale tuttavia resta indefettibilmente unita,
avanzando verso di Lui nella fede e nella speranza, vivendo di quell’amore
che la sostiene In tutte le prove, attendendo impazientemente l’adempimento
definitivo delle promesse iniziali>.
La
morte spezza di fatto la “comunità
coniugale o familiare“, ma non spezza la “comunione”
, poiché, come afferma Pio XII la morte anziché distruggere i legami
d’amore contratti con il sacramento matrimoniale, li perfeziona e li
rafforza nel cuore di chi resta. Fondamentale per la comprensione di questo
passo è ricordare che nel matrimonio cristiano l’uomo e la donna sono
chiamati a vivere una comunione d’amore sul modello della vita trinitaria:
il “Noi divino” deve essere il modello del “noi umano”
di quell’uomo e quella donna creati ad immagine e somiglianza di Dio e la
vocazione al matrimonio è una vocazione alla reciprocità, alla
donazione reciproca totale, al vivere non solo ”uno
accanto all’altro”, ma “l’uno
per l’altro“, come afferma Giovanni Paolo Il nella Mulieris
Dignitatem
del 1988.
Il
matrimonio, sacramento dell’alleanza degli sposi, esprime l’amore sponsale
di Dio ed il suo popolo, nell’Antico Testamento, e del Cristo con la Chiesa
nel Nuovo Testamento. Infatti i coniugi, per la forza del sacramento del
matrimonio, sono <il richiamo
permanente di ciò che è accaduto sulla croce>
(Famiiaris Consortio, 13), poiché amare è
donarsi “sino alla fine”, è morire come “il chicco di
grano” per dare frutto (cfr Gv 12,14) e Gesù insegna che l’amore
sponsale è oblatività, servizio, attenzione e promozione
dell’altro. Per questo esiste un nesso inscindibile fra Matrimonio
ed Eucaristia,
come lo si può evincere fra vedovanza ed Eucaristia.
La
fede ci porta a credere che tutto questo non può essere interrotto dalla
morte, poiché il morire, come dice S.Paolo è <andare
in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore>
(2 Cor 5,8).
Ecco perché la vedovanza si schiude ad una prospettiva escatologica. cioé
si apre verso le realtà ultime che non sono però solo <un
traguardo posto nel futuro
— come afferma il Santo
Padre Giovanni Paolo Il — ma
una realtà già iniziata con la venuta storica di Cristo![...].
La risurrezione dei morti attesa per la fine dei tempi, riceve una prima e
decisiva attuazione già ora, nella risurrezione spirituale, obiettivo
primario dell’opera di salvezza. Essa consiste nella nuova vita comunicata
dal Cristo risorto, quale frutto della sua opera redentrice> (2).
Infine, per Giovanni Paolo II le vedove cristiane sono <testimoni
della risurrezione, evangelizzatrici della speranza cristiana, donando un
esempio concreto e silenzioso di santità, vissuta in famiglia, nella Chiesa e
nella comunità civile>
(ib.).
Seguendo
l’itinerario di ricerca indicato dal cardinale Tettamanzi (3), procediamo
ora ad esaminare i passi dei documenti del Concilio Vaticano IL in cui è
fatto riferimento alle vedove.
Come
afferma il Cardinale, constatiamo innanzi tutto che nei sedici documenti
elaborati dal Concilio sono presenti solo tre passi riferiti alle vedove,
brevi, ma estremamente importanti ed un altro piccolo accenno è fatto loro
nel discorso di chiusura rivolto dal Santo Padre, PaoloVI, alle donne.
Nella
Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, ritenuta il
documento centrale del Concilio Vaticano II, troviamo un richiamo indiretto
alla vedovanza nel V capitolo dedicato alla universale vocazione alla santità
nella Chiesa ed il testo così recita:
<Tutti nella Chiesa, sia che
appartengano alla Gerarchia, sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla
santità, secondo il detto dell’Apostolo: Certo la volontà di Dio è che vi
santifichiate” (1
Ts 4,3; LG 39) ed inoltre: <Essi
devono con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità
che hanno ricevuta [...] E’ chiaro dunque che tutti i fedeli, di qualsiasi
stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana ed alla
perfezione della carità>
(LG 40-40b).
Molto
più tardi il Santo Padre Giovanni Paolo II affermerà nella Lettera
apostolica Novo Millennio Ineunte,
scritta al termine del Grande Giubileo del Duemila: <Le
vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno.
Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in
questi anni, tanti cristiani e tra loro molti laici che si sono santdìcati
nelle condizioni più ordinarie della vita. E’ ora di riproporre a tutti con
convinzione questa “misura alta “della vita cristiana ordinaria: tutta la
vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in
questa direzione> (NMI
31).
Tornando
al testo conciliare Lumen Gentium, si
può concludere che tutti i cristiani, a partire dal loro stato e dal diverso
compito svolto nella Chiesa, devono perseguire ideali di santità: <Un
simile esempio è offerto in altro modo dalle vedove e dalle nubili, le quali
possono contribuire non poco alla santità ed operosità della Chiesa>
(LG 41).
A
questo punto è giusto chiedersi: quale può essere la via specifica della
santificazione vedovile? In quale modo la vedova può “contribuire
non poco alla santità ed operosità della Chiesa”?
La
via è sempre e comunque Cristo, vivere alla sua presenza, imitarne i
sentimenti, donarsi fino in fondo a Dio ed ai fratelli, cercare di imitare
Maria, per essere persone eucaristiche. Il nesso fra Maria e l’Eucaristia,
come afferma il Santo Padre in Ecclesia de Eucaristia, è il legame che
c’è fra Madre e Figlio e si attua nell’obbedienza del “Fiat”,
nella condivisione della passione e nella “spiritualità del
Magnificat” in cui Maria, facendo memoria delle meraviglie di Dio che
rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili <...canta
“quei cieli nuovi” e
“quella terra nuova” che nell’Eucaristia trovano la loro anticipazione
ed in certo senso il loro “disegno” programmatico [...]. L’Eucaristia ci
è data perché la nostra vita, come quella di Maria, sia tutta un Magnìficat>
(4).
Attraverso
lo spirito di obbedienza e di sacrificio che soltanto la vita eucaristica, cioè
di intensa unione con Dio, può trasformare nel Magnificat. prende avvio
quella metamorfosi interiore che induce la vedova a non vivere più nella
dimensione del passato e del ricordo, ma ad aprirsi in modo operoso al
presente, in vista del futuro in cui avrà termine questo pellegrinaggio
terrestre. Inoltre non solo i coniugi cristiani, ma anche la persona vedova
deve potere offrire alla Chiesa un esempio di “amore
instancabile e generoso” ed è
proprio questo amore, donato con generosità, il contenuto concreto del
santificarsi della vedova cristiana. Amore che scaturisce da una vita
eucaristica e diviene dedizione, servizio, oblazione generosa, operosità
disinteressata, testimonianza di Cristo col <fulgore
della loro fede, della loro speranza e carità> (LG
31 b).
Nel
Decreto Apostolicam Actuositatem,
sull’apostolato dei laici così
leggiamo: <Questa
spiritualità dei laici deve parimenti assumere una sua peculiare
caratteristica dallo stato di matrimonio e di famiglia, di celibato o di
vedovanza, dalla condizione di infermità, dall’attività professionale e
sociale. Non lascino dunque di coltivare costantemente le qualità e le doti
ricevute corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei propri doni
ricevuti dallo Spirito Santo>.
(AA
4)
In
questo passo del decreto troviamo ribadito il principio che ogni cristiano
progredisce spiritualmente all’interno della situazione esistenziale e
sociale in cui è chiamato a vivere e da cui derivano i suoi doveri concreti e
quotidiani. Certamente non si progredisce spiritualmente se si eludono i
doveri del proprio stato, ma non bastano neppure le forze personali, perché
è necessario scoprire le qualità ed i doni ricevuti dallo Spirito, per
metterli a frutto con ”amore
instancabile e generoso”.
Questo
ci dimostra anche l’importanza di uscire dall’isolamento e di prendere
parte alla vita della comunità ecclesiale, diocesana e parrocchiale, perché
i carismi dello Spirito possano emergere con chiarezza proprio nei rapporti
con i fratelli, poiché, come dice S. Paolo: <C’è varietà dei doni, ma
un solo Spirito; c’è varietà di ministeri, ma un solo Signore; c’è
varietà di operazioni, ma un solo Dio che opera tutto in tutti: a ciascuno è
data la manifestazione dello Spirito per l’utilità comune> (1 Cor
4-7).
Occorre
porsi nell’ottica che nulla ci appartiene e che tutto è per il bene di
tutti. Anche lo stato vedovile, se visto come condizione di vita casta e
solitaria che avvicina sempre più a Dio attraverso un amore tendente alle
realtà ultime, allora la vedovanza si trasforma in un carisma, in un dono che
può portare molto frutto sia nel progresso interiore personale che
nell’impegno di apostolato.
L’ultimo
testo conciliare in cui è possibile trovare un riferimento alla vedovanza è
la Costituzione pastorale su “La Chiesa nel mondo contemporaneo” (Gaudium
et Spes). Indichiamo subito il passo che riguarda la vedovanza: <La
vedovanza, accettata con animo forte come continuazione della vocazione
coniugale, sarà onorata da tutti>
(GS 48). L’affermazione è di estrema importanza ed illumina ancor più
la concezione cristiana dello stato vedovile, considerato in un certo qual
modo una continuazione della vocazione coniugale. Ciò significa che non
esiste una frattura incolmabile fra i due stati e che, una volta ricevuta la
vocazione coniugale, questa opera, grazie al Sacramento del Matrimonio, anche
quando la morte sembra aver interrotto ogni legame fisico e giuridico.
A
questo proposito afferma il Card. Tettamanzi: <La vedova ha un “suo”
sacramento cui riferirsi come a sorgente di grazie e di responsabilità, il
sacramento del Matrimonio ricevuto ed in qualche modo perdurante. Così la
vita spirituale della vedova si qualifica come un modo nuovo —
corrispondente alla situazione vedovile — di vivere la grazia del sacramento
del Matrimonio, di vivere cioè l’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa
e della Chiesa per il suo Signore> (5).
In
realtà, come aveva già espresso Pio XII nel suo Discorso del 1957,
il sacramento del
Matrimonio, una volta ricevuto, in un certo qual modo permane anche in
vedovanza nella grazia, negli effetti e questo è innegabile, come dimostrano
i figli, le responsabilità e le stesse caratteristiche spirituali che la
donna, che è stata coniugata, ha assunto nel tempo. Ma permane soprattutto la
grazia del sacramento ricevuto, di questo sacramento simbolo sponsale di
Cristo e la sua Chiesa e viceversa.
Quindi per la vedova cristiana l’amore non si esaurisce con la morte, anzi si rafforza e si purifica, permane come permangono le anime stesse dei coniugi. E torna ancora la visione escatologica dell’amore spirituale della vedova che, come la Chiesa privata dello Sposo attende il Suo ritorno nella fede e nell’amore, così anche lei vive nell’attesa di rincontrare il suo amato bene, divenendo così donna della speranza, testimone della risurrezione. Infatti se ogni vedova vive, anche inconsapevolmente, nella tensione verso l’aldilà, ancor più la vedova cristiana non può rimanere ancorata ad una sterile memoria del coniuge, ma deve aprirsi alla vita futura non solo affettivamente, ma con la forza della fede, sapendo che questo tempo del pellegrinaggio e della sofferenza prelude a quello della beatitudine eterna.
E’
proprio un effetto della vedovanza questo proiettarsi oltre il tempo, verso la
Comunione dei Santi e come afferma T.
Goffi: <La vedovanza
stabilisce verso il cielo un legame che gli altri ignorano>
(6). Forse per questo motivo, la persona vedova tende a vivere in modo
riservato, colloquiando con il Signore e donando tutta se stessa
soprattutto all’interno della famiglia e della Chiesa.
Inoltre
accettare con animo forte questo
stato, come
recita il testo conciliare, indica la piena
adesione alla volontà di Dio e la presenza dello Spirito Santo datore del
dono della fortezza. Ma la fedeltà alla memoria del coniuge, pur necessaria e
nobile, perché fondata sul forte legame spirituale dell’amore “usque ad
mortem et ultra” e sulla speranza del ricongiungimento futuro, non può
essere il punto di arrivo, perché l’anima in tal modo corre il rischio di
chiudersi in un lutto senza prospettive e così inaridire. Viceversa proprio
questa tensione verso l’alto, può essere motivo di una lenta ascesi, poiché
la vita si arricchisce di preghiera, la dimensione spirituale comincia a
prevalere su quella materiale e l’animo si viene affmando attraverso il
crogiuolo delle afflizioni e delle sofferenze. In molti casi, quando il
Signore entra nell’anima, entra con la Croce e se l’anima riesce a
comprendere questo, allora abbraccia la Croce, perché essa è Cristo stesso.
Fortunato chi comprende che quando la Croce entra nella vita, occorre amarla e
consegnarsi a lei, perché anche Cristo la amo. Ecco allora che il lutto, la
sofferenza fanno spazio alla gioia che prende dimora nell’anima di chi
comprende che Egli è amore: <Dio
è amore: chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui>
(1 Gv 4,16). E’
fortemente
consolante quando la vedova comprende che Dio non toglie se non per dare
centuplicato, Lui ferisce e Lui sana le ferite, talvolta presceglie secondo
piani imperscrutabili ed assegna ad alcune sue creature sentieri nuovi ed
impraticati assolutamente ingiustificati per chi assiste dall’esterno,
sconvolgenti per chi èchiamato, gratuiti e misericordiosi per il Suo Cuore.
Afferma Sant’Agostino che il Signore sussurra alle anime: <Amatemi e
mi avrete, perché non potete amarmi, se già non mi possedete> (7), ma
il possedere Dio in realtà è l’essere posseduti da Lui, “essere
prigionieri di Cristo” per usare una immagine molto suggestiva di S.Paolo.
Ecco che in certi casi il Signore, proprio mediante il dolore e la morte,
scioglie i legami terreni ed attraverso il suo amore “riversato nei
nostri cuori” (Rm 5,5)
per mezzo dello Spirito Santo, fa compiere all’anima un salto da
vertigini. Avendo imparato “ad amare Dio per mezzo di Dio”(8),
tutto il passato viene raccolto e consegnato a Lui e ci si scopre creatura
totalmente nuova, “or ora nata“,
volta al futuro, ricca di amore e di speranza. Quello stesso Spirito che
infonde nell’animo la fortezza, le infonde l’amore di Dio e la persona
viene trasfigurata, perde la sua identità di vedova o che altro e diviene
amante di Dio, ansiosa solo di servirlo. Canta il Salmo 29: <Hai mutato
il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io
possa cantare senza posa. Signore, mio Dio, ti loderò per sempre>. Nel
primo caso, quando si rimane ancorati ad una visione puramente umana della
vedovanza, il lutto viene elaborato e diventa un aspetto permanente della
personalità vedovile, velata di tristezza e fondamentalmente inconsolabile,
nel secondo caso invece il dolore è un momento di passaggio, di purificazione
e di ascesi, attraverso cui si compie il miracolo della metamorfosi. La
vocazione all’alterità propria del Sacramento matrimoniale trova in questo
caso come riferimento assoluto Dio, in cui ogni realtà si risolve, in cui
ogni vissuto trova senso ed ogni atto di amore trova il suo inizio ed il suo
compimento. Da questo fuoco ardente che il Signore accende nell’anima
solitaria della vedova nasce, dal profondo, la chiamata alla consacrazione,
cioè ad una vita totalmente donata a Lui a cui viene consacrato il suo cuore
di sposa e di madre.
La
sofferenza purifica l’anima e la Croce di Cristo appare come la strada
maestra, la scala che porta a Lui, il passato si dissolve e si ricompone in un
nuovo ordine interiore ed il pentimento rinnova l’anima che è invasa dal
senso profondo del perdono. La chiamata della vedova trova nella Croce la
vocazione più alta, vocazione a portarla in sé e negli altri, nella diaconia
della carità e nel ministero della consolazione che le sono più congeniali
anche perché la Croce prelude alla luce della Risurrezione.La Chiesa ha
saputo leggere nel cuore delle sue figlie e le ha accolte maternamente,
ritenendole un dono, segno della speranza, perché testimoni di Cristo che ha
veramente vinto la morte ed è Risurrezione e Vita.
L’ultima
parte del passo riportato dalla Gaudium et Spes “saranno
onorate da tutti”, sembra richiamare l’incitamento di S. Paolo a
Timoteo: <Onora le vedove>, ma anche il Decalogo: <Onora il
padre e la madre>, come se nella persona vedova ciascuno potesse
scorgere il volto della propria madre. Anche questo è un segno del perdurare
degli effetti della grazia del sacramento matrimoniale ricevuto, che non
devono perdersi, né sfuggire ai veri cristiani. Quindi nel verbo “onorare“
non solo si vuole intendere il sostenere spiritualmente e, se necessario,
anche materialmente le persone vedove, ma anche donare loro stima ed affetto e
ciò non andrà perduto perché la madre ama, la madre prega, la madre dona se
stessa senza limiti.
Per
concludere possiamo dire che noi vedove, portate a trascendere noi stesse ed a
vivere ”nell’attesa“ dell’incontro futuro, dobbiamo guardare
costantemente alle “cose di lassù” per procedere nel cammino di
purificazione e di elevazione di cui la preghiera e la castità rappresentano
le pietre miliari. La vedova, sotto questo profilo, è stata raffigurata come
icona della Chiesa pellegrinante verso Cristo glorioso, al quale spera e brama
con tutte le sue forze di unirsi nella gloria (cfr. LG 5).
Ma
la Chiesa stessa guarda alle vedova come a colei che vive <l’intimità
nell’ invisibile e l’attesa indefettibile degli incontri eterni...>
(9), poiché il suo amore è totalmente spirituale e proteso all’ “Eschaton”,
al tempo in cui verrà svelato il mistero. C’è quindi nella vita della
vedova un contenuto ascetico di grande valore che può via via affinarsi sino
a divenire ricerca ed attesa dell’unico Sposo celeste che è Cristo in cui
si dissolve ogni amore passato, prende forma la nuova creatura che da sposa in
Cristo, diviene sposa di Cristo, conservando nel cuore il tesoro indelebile
della sponsalità e della maternità.
Infatti,
nell’Esortazione apostolica postsinodale Vita
Consecrata, sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel
mondo, Giovanni Paolo Il afferma: <Torna
ad essere oggi praticata anche la consacrazione delle vedove, nota sin dai
tempi apostolici (cfr. 1 Tim.
5,5.9-10; 1 Cor 7,8), nonché quella dei vedovi. Queste persone, mediante
il voto di castità perpetua quale segno del Regno di Dio, consacrano la loro
condizione per dedicarsi alla preghiera ed al servizio>
(VC 7).
Ecco
come dal dolore è fiorito un amore grande e indissolubile per la Chiesa
universale, che che viene espresso concretamente nella Chiesa locale,
diocesana e parrocchiale, con l’offerta della preghiera costante, del
servizio amorevole e del proprio umile, ma sincero apostolato. A questo
proposito afferma il Card. Tettamanzi che : <Per la persona vedova
vale il criterio dell’apostolato del simile con il simile. Tocca perciò
alle persone vedove farsi apostole delle persone vedove, realizzando così in
prima persona, la sollecitudine pastorale della Chiesa verso le vedove>{10),
sulla scia di quanto Paolo VI aveva pronunciato nel messaggio alle vedove
pellegrine a Lourdes, nel 1966: <Voi sarete dunque le apostole delle
altre vedeve, specialmente di quelle che non credono più, di quelle che il
dolore ha allonanato da Dio e dalla Chiesa>
(11).
Ecco
perché la Chiesa considera la vedovanza cristiana un dono per sé, per i
tesori che implicitamente contiene e per la missione ecclesiale che può
svolgere nel rapporto esistente fra la Chiesa e la società, per il messaggio
di fede e di speranza che la vedova cristiana testimonia e comunica con
l’intera sua esistenza.
NOTE:
(1)
Pio XII, Allocuzione del 16 sett.1957, in Discorsi di S.S. Pio XII, Vaticano
1958, vol. 19, pp.398-405
(2)
Giovanni Paolo II, Discorso tenuto nell’Udienza del Mercoledì, 22 Aprile
1998
(3)
Dionigi Tettamanzi, La vedova cristiana - vocazione e missione,
Ed. Salcom 1980
(4)
Giovanni Paolo Il, Ecclesia de Eucaristia, 58, p.87, Ed. Piemme 2003
(5)
Dionigi Tettamanzi, op. cit., p. 82
(6)
T. Goffi, Spiritualità familiare, Roma 1965, p. 154
(7)
Sant’Agostino, Discorsi, dal Breviario del Tempo di Pasqua, p. 642
(8)
Sant’Agostino, ib. p. 642
(9)
L. Lochet, La luce di Cristo sulla vedovanza, in La vedova cristiana,
op. cit., p. 129
(10)
Dionigi Tettamanzi, op. cit., p. 137
(11)
Ib., p.l38
(12) Tutti i Documenti del Concilio, Ed. Massimo, Milano 2002