L’ATTENZIONE ALLE VEDOVE NEI DOCUMENTI DELLA CHIESA

a cura di Lucia Cingolani dell’Ordo Viduarum di Bari

 

La vedovanza cristiana, vissuta in piena e consapevole adesione al disegno di Dio, può divenire un cammino di virtù e talvolta di santità, poiché il Signore dona la possibilità di trasformare uno stato di vita per così dire dimidiato, in una via di comunione con Lui e con i fratelli, nella Chiesa.

A questo proposito si può parlare, all’interno della spiritualità cristiana, di una spiritualità vedovile, per determinati valori che emergono da questo stato caratterizzato da un particolare stile di vita, da atteggiamenti e scelte che ne evidenziano le potenzialità e spesso anche la ricchezza.

Tutto questo non è sfuggito alla Chiesa che, animata dallo Spirito Santo, è tornata a guardare con amorevole attenzione alla figura ed al ruolo della vedova all’interno della comunità cristiana, memore di quanto avveniva nella Chiesa delle origini quando le vedove cosiddette “canoniche” o “catalogate” svolgevano un ministero ecclesiale, si dedicavano ad opere caritative e soprattutto, come scrive S. Paolo, avendo riposto ogni speranza in Dio, perseveravano notte e giorno nella preghiera e nelle suppliche (cfr. 1 Tim 5,5), svolgendo anche un ruolo di mediazione penitenziale con digiuni e preghiere.

Dopo secoli di oblio, se si fa eccezione degli scritti di alcuni celebri Padri della Chiesa fra i quali spiccano Sant’Ambrogio e Sant’Agostino e di qualche santo dell’età moderna, solo in età recente il problema della vedovanza è stato ripreso in considerazione soprattutto nei documenti del Concilio Vaticano II, anticipati da un importante discorso del Papa Pio XII rivolto alle vedove e pronunziato a Castelgandolfo il 16 settembre 1957 durante un Congresso della “Unione mondiale degli organismi familiari” dedicato all’infanzia orfana di padre e considerato la “Magna Carta” della spiritualità cristiana della vedovanza. Non dimentichiamo che il mondo di allora era uscito, da pochi anni, dalla terribile Il guerra mondiale che aveva seminato morte e lutto in ogni paese, distruggendo famiglie e producendo un numero esorbitante di vedove e di orfani, ai quali la Chiesa desiderava rivolgere un messaggio di speranza.

Nel Messaggio di Pio XII incontriamo dei concetti di estrema importanza che verranno ripresi dai Padri conciliari nei successivi documenti del Vaticano II. Scrive il Papa: <La Chiesa gioisce nel vedere coltivate le ricchezze spirituali proprie di tale stato. La prima fra tutte, ci sembra, è la convinzione vissuta che la morte, anziché distruggere i legami di amore umano e soprannaturale contratti con il matrimonio, può perfezionarli e rafforzarli. E’ fuori dubbio che sul piano puramente giuridico e su quello delle realtà sensibili, l’istituto matrimoniale non esiste più. Ma sussiste tuttora ciò che ne costituiva l’anima, ciò che le conferiva vigore e bellezza, cioè l’amore coniugale con tutto il suo splendore ed i suoi voti di eternità.[.. .]Se il sacramento del matrimonio, simbolo dell’amore redentore di Cristo e della sua Chiesa, trasferisce agli sposi la realtà di questo amore[..], ne consegue che la vedovanza diventa, in qualche modo, il compimento di questa mutua consacrazione[..]. Ecco la grandezza della vedovanza quando è vissuta come prolungamento delle grazie del matrimonio e come preparazione del loro dischiudersi nella luce di Dio! > (1)

Riflettendo sulle parole del Santo Padre comprendiamo che la vedovanza si pone sulla scia del Sacramento matrimoniale, come meglio spiegherà la Costituzione pastorale Gaudium et Spes e rappresenta un modo nuovo di vivere la grazia del Sacramento, simbolo dell’ amore sponsale di Cristo e della sua Sposa che è la Chiesa.

Inoltre il Papa introduce un altro importante elemento: la dimensione escatologica dell’amore coniugale cristiano. A questo proposito leggiamo ancora nel discorso di Pio XII: <La vedovanza raffigura la vita presente della Chiesa militante, privata della visione dello Sposo celeste, al quale tuttavia resta indefettibilmente unita, avanzando verso di Lui nella fede e nella speranza, vivendo di quell’amore che la sostiene In tutte le prove, attendendo impazientemente l’adempimento definitivo delle promesse iniziali>.

La morte spezza di fatto la “comunità coniugale o familiare“, ma non spezza la “comunione” , poiché, come afferma Pio XII la morte anziché distruggere i legami d’amore contratti con il sacramento matrimoniale, li perfeziona e li rafforza nel cuore di chi resta. Fondamentale per la comprensione di questo passo è ricordare che nel matrimonio cristiano l’uomo e la donna sono chiamati a vivere una comunione d’amore sul modello della vita trinitaria: il “Noi divino” deve essere il modello del “noi umano” di quell’uomo e quella donna creati ad immagine e somiglianza di Dio e la vocazione al matrimonio è una vocazione alla reciprocità, alla donazione reciproca totale, al vivere non solo ”uno accanto all’altro”, ma “l’uno per l’altro“, come afferma Giovanni Paolo Il nella Mulieris Dignitatem del 1988.

Il matrimonio, sacramento dell’alleanza degli sposi, esprime l’amore sponsale di Dio ed il suo popolo, nell’Antico Testamento, e del Cristo con la Chiesa nel Nuovo Testamento. Infatti i coniugi, per la forza del sacramento del matrimonio, sono <il richiamo permanente di ciò che è accaduto sulla croce> (Famiiaris Consortio, 13), poiché amare è donarsi “sino alla fine”, è morire come “il chicco di grano” per dare frutto (cfr Gv 12,14) e Gesù insegna che l’amore sponsale è oblatività, servizio, attenzione e promozione dell’altro. Per questo esiste un nesso inscindibile fra Matrimonio ed Eucaristia, come lo si può evincere fra vedovanza ed Eucaristia.

La fede ci porta a credere che tutto questo non può essere interrotto dalla morte, poiché il morire, come dice S.Paolo è <andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore> (2 Cor 5,8). Ecco perché la vedovanza si schiude ad una prospettiva escatologica. cioé si apre verso le realtà ultime che non sono però solo <un traguardo posto nel futuro — come afferma il Santo Padre Giovanni Paolo Il — ma una realtà già iniziata con la venuta storica di Cristo![...]. La risurrezione dei morti attesa per la fine dei tempi, riceve una prima e decisiva attuazione già ora, nella risurrezione spirituale, obiettivo primario dell’opera di salvezza. Essa consiste nella nuova vita comunicata dal Cristo risorto, quale frutto della sua opera redentrice> (2). Infine, per Giovanni Paolo II le vedove cristiane sono <testimoni della risurrezione, evangelizzatrici della speranza cristiana, donando un esempio concreto e silenzioso di santità, vissuta in famiglia, nella Chiesa e nella comunità civile>  (ib.).

Seguendo l’itinerario di ricerca indicato dal cardinale Tettamanzi (3), procediamo ora ad esaminare i passi dei documenti del Concilio Vaticano IL in cui è fatto riferimento alle vedove.

Come afferma il Cardinale, constatiamo innanzi tutto che nei sedici documenti elaborati dal Concilio sono presenti solo tre passi riferiti alle vedove, brevi, ma estremamente importanti ed un altro piccolo accenno è fatto loro nel discorso di chiusura rivolto dal Santo Padre, PaoloVI, alle donne.

Nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, ritenuta il documento centrale del Concilio Vaticano II, troviamo un richiamo indiretto alla vedovanza nel V capitolo dedicato alla universale vocazione alla santità nella Chiesa ed il testo così recita: <Tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla Gerarchia, sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla santità, secondo il detto dell’Apostolo: Certo la volontà di Dio è che vi santifichiate” (1 Ts 4,3; LG 39) ed inoltre: <Essi devono con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuta [...] E’ chiaro dunque che tutti i fedeli, di qualsiasi stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana ed alla perfezione della carità> (LG 40-40b).

Molto più tardi il Santo Padre Giovanni Paolo II affermerà nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, scritta al termine del Grande Giubileo del Duemila: <Le vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani e tra loro molti laici che si sono santdìcati nelle condizioni più ordinarie della vita. E’ ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta “della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione> (NMI 31).

Tornando al testo conciliare Lumen Gentium, si può concludere che tutti i cristiani, a partire dal loro stato e dal diverso compito svolto nella Chiesa, devono perseguire ideali di santità: <Un simile esempio è offerto in altro modo dalle vedove e dalle nubili, le quali possono contribuire non poco alla santità ed operosità della Chiesa> (LG 41).

A questo punto è giusto chiedersi: quale può essere la via specifica della santificazione vedovile? In quale modo la vedova può “contribuire non poco alla santità ed operosità della Chiesa”?

La via è sempre e comunque Cristo, vivere alla sua presenza, imitarne i sentimenti, donarsi fino in fondo a Dio ed ai fratelli, cercare di imitare Maria, per essere persone eucaristiche. Il nesso fra Maria e l’Eucaristia, come afferma il Santo Padre in Ecclesia de Eucaristia, è il legame che c’è fra Madre e Figlio e si attua nell’obbedienza del “Fiat”, nella condivisione della passione e nella “spiritualità del Magnificat” in cui Maria, facendo memoria delle meraviglie di Dio che rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili <...canta “quei cieli nuovi” e “quella terra nuova” che nell’Eucaristia trovano la loro anticipazione ed in certo senso il loro “disegno” programmatico [...]. L’Eucaristia ci è data perché la nostra vita, come quella di Maria, sia tutta un Magnìficat> (4).

Attraverso lo spirito di obbedienza e di sacrificio che soltanto la vita eucaristica, cioè di intensa unione con Dio, può trasformare nel Magnificat. prende avvio quella metamorfosi interiore che induce la vedova a non vivere più nella dimensione del passato e del ricordo, ma ad aprirsi in modo operoso al presente, in vista del futuro in cui avrà termine questo pellegrinaggio terrestre. Inoltre non solo i coniugi cristiani, ma anche la persona vedova deve potere offrire alla Chiesa un esempio di “amore instancabile e generoso” ed è proprio questo amore, donato con generosità, il contenuto concreto del santificarsi della vedova cristiana. Amore che scaturisce da una vita eucaristica e diviene dedizione, servizio, oblazione generosa, operosità disinteressata, testimonianza di Cristo col <fulgore della loro fede, della loro speranza e carità> (LG 31 b).

Nel Decreto Apostolicam Actuositatem, sull’apostolato dei laici così leggiamo: <Questa spiritualità dei laici deve parimenti assumere una sua peculiare caratteristica dallo stato di matrimonio e di famiglia, di celibato o di vedovanza, dalla condizione di infermità, dall’attività professionale e sociale. Non lascino dunque di coltivare costantemente le qualità e le doti ricevute corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei propri doni ricevuti dallo Spirito Santo>.  (AA 4)

In questo passo del decreto troviamo ribadito il principio che ogni cristiano progredisce spiritualmente all’interno della situazione esistenziale e sociale in cui è chiamato a vivere e da cui derivano i suoi doveri concreti e quotidiani. Certamente non si progredisce spiritualmente se si eludono i doveri del proprio stato, ma non bastano neppure le forze personali, perché è necessario scoprire le qualità ed i doni ricevuti dallo Spirito, per metterli a frutto con ”amore instancabile e generoso”.

Questo ci dimostra anche l’importanza di uscire dall’isolamento e di prendere parte alla vita della comunità ecclesiale, diocesana e parrocchiale, perché i carismi dello Spirito possano emergere con chiarezza proprio nei rapporti con i fratelli, poiché, come dice S. Paolo: <C’è varietà dei doni, ma un solo Spirito; c’è varietà di ministeri, ma un solo Signore; c’è varietà di operazioni, ma un solo Dio che opera tutto in tutti: a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l’utilità comune> (1 Cor 4-7).

Occorre porsi nell’ottica che nulla ci appartiene e che tutto è per il bene di tutti. Anche lo stato vedovile, se visto come condizione di vita casta e solitaria che avvicina sempre più a Dio attraverso un amore tendente alle realtà ultime, allora la vedovanza si trasforma in un carisma, in un dono che può portare molto frutto sia nel progresso interiore personale che nell’impegno di apostolato.

L’ultimo testo conciliare in cui è possibile trovare un riferimento alla vedovanza è la Costituzione pastorale su “La Chiesa nel mondo contemporaneo” (Gaudium et Spes). Indichiamo subito il passo che riguarda la vedovanza: <La vedovanza, accettata con animo forte come continuazione della vocazione coniugale, sarà onorata da tutti> (GS 48). L’affermazione è di estrema importanza ed illumina ancor più la concezione cristiana dello stato vedovile, considerato in un certo qual modo una continuazione della vocazione coniugale. Ciò significa che non esiste una frattura incolmabile fra i due stati e che, una volta ricevuta la vocazione coniugale, questa opera, grazie al Sacramento del Matrimonio, anche quando la morte sembra aver interrotto ogni legame fisico e giuridico.

A questo proposito afferma il Card. Tettamanzi: <La vedova ha un “suo” sacramento cui riferirsi come a sorgente di grazie e di responsabilità, il sacramento del Matrimonio ricevuto ed in qualche modo perdurante. Così la vita spirituale della vedova si qualifica come un modo nuovo — corrispondente alla situazione vedovile — di vivere la grazia del sacramento del Matrimonio, di vivere cioè l’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa e della Chiesa per il suo Signore> (5).

In realtà, come aveva già espresso Pio XII nel suo Discorso del 1957, il sacramento del Matrimonio, una volta ricevuto, in un certo qual modo permane anche in vedovanza nella grazia, negli effetti e questo è innegabile, come dimostrano i figli, le responsabilità e le stesse caratteristiche spirituali che la donna, che è stata coniugata, ha assunto nel tempo. Ma permane soprattutto la grazia del sacramento ricevuto, di questo sacramento simbolo sponsale di Cristo e la sua Chiesa e viceversa.

Quindi per la vedova cristiana l’amore non si esaurisce con la morte, anzi si rafforza e si purifica, permane come permangono le anime stesse dei coniugi. E torna ancora la visione escatologica dell’amore spirituale della vedova che, come la Chiesa privata dello Sposo attende il Suo ritorno nella fede e nell’amore, così anche lei vive nell’attesa di rincontrare il suo amato bene, divenendo così donna della speranza, testimone della risurrezione. Infatti se ogni vedova vive, anche inconsapevolmente, nella tensione verso l’aldilà, ancor più la vedova cristiana non può rimanere ancorata ad una sterile memoria del coniuge, ma deve aprirsi alla vita futura non solo affettivamente, ma con la forza della fede, sapendo che questo tempo del pellegrinaggio e della sofferenza prelude a quello della beatitudine eterna.

E’ proprio un effetto della vedovanza questo proiettarsi oltre il tempo, verso la Comunione dei Santi e come afferma T. Goffi: <La vedovanza stabilisce verso il cielo un legame che gli altri ignorano> (6). Forse per questo motivo, la persona vedova tende a vivere in modo riservato, colloquiando con il Signore e donando tutta se stessa soprattutto all’interno della famiglia e della Chiesa.

Inoltre accettare con animo forte questo stato, come recita il testo conciliare, indica la piena adesione alla volontà di Dio e la presenza dello Spirito Santo datore del dono della fortezza. Ma la fedeltà alla memoria del coniuge, pur necessaria e nobile, perché fondata sul forte legame spirituale dell’amore “usque ad mortem et ultra” e sulla speranza del ricongiungimento futuro, non può essere il punto di arrivo, perché l’anima in tal modo corre il rischio di chiudersi in un lutto senza prospettive e così inaridire. Viceversa proprio questa tensione verso l’alto, può essere motivo di una lenta ascesi, poiché la vita si arricchisce di preghiera, la dimensione spirituale comincia a prevalere su quella materiale e l’animo si viene affmando attraverso il crogiuolo delle afflizioni e delle sofferenze. In molti casi, quando il Signore entra nell’anima, entra con la Croce e se l’anima riesce a comprendere questo, allora abbraccia la Croce, perché essa è Cristo stesso. Fortunato chi comprende che quando la Croce entra nella vita, occorre amarla e consegnarsi a lei, perché anche Cristo la amo. Ecco allora che il lutto, la sofferenza fanno spazio alla gioia che prende dimora nell’anima di chi comprende che Egli è amore: <Dio è amore: chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui> (1 Gv 4,16). E’ fortemente consolante quando la vedova comprende che Dio non toglie se non per dare centuplicato, Lui ferisce e Lui sana le ferite, talvolta presceglie secondo piani imperscrutabili ed assegna ad alcune sue creature sentieri nuovi ed impraticati assolutamente ingiustificati per chi assiste dall’esterno, sconvolgenti per chi èchiamato, gratuiti e misericordiosi per il Suo Cuore. Afferma Sant’Agostino che il Signore sussurra alle anime: <Amatemi e mi avrete, perché non potete amarmi, se già non mi possedete> (7), ma il possedere Dio in realtà è l’essere posseduti da Lui, “essere prigionieri di Cristo” per usare una immagine molto suggestiva di S.Paolo. Ecco che in certi casi il Signore, proprio mediante il dolore e la morte, scioglie i legami terreni ed attraverso il suo amore “riversato nei nostri cuori” (Rm 5,5) per mezzo dello Spirito Santo, fa compiere all’anima un salto da vertigini. Avendo imparato “ad amare Dio per mezzo di Dio”(8), tutto il passato viene raccolto e consegnato a Lui e ci si scopre creatura totalmente nuova, “or ora nata“, volta al futuro, ricca di amore e di speranza. Quello stesso Spirito che infonde nell’animo la fortezza, le infonde l’amore di Dio e la persona viene trasfigurata, perde la sua identità di vedova o che altro e diviene amante di Dio, ansiosa solo di servirlo. Canta il Salmo 29: <Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa. Signore, mio Dio, ti loderò per sempre>. Nel primo caso, quando si rimane ancorati ad una visione puramente umana della vedovanza, il lutto viene elaborato e diventa un aspetto permanente della personalità vedovile, velata di tristezza e fondamentalmente inconsolabile, nel secondo caso invece il dolore è un momento di passaggio, di purificazione e di ascesi, attraverso cui si compie il miracolo della metamorfosi. La vocazione all’alterità propria del Sacramento matrimoniale trova in questo caso come riferimento assoluto Dio, in cui ogni realtà si risolve, in cui ogni vissuto trova senso ed ogni atto di amore trova il suo inizio ed il suo compimento. Da questo fuoco ardente che il Signore accende nell’anima solitaria della vedova nasce, dal profondo, la chiamata alla consacrazione, cioè ad una vita totalmente donata a Lui a cui viene consacrato il suo cuore di sposa e di madre.

La sofferenza purifica l’anima e la Croce di Cristo appare come la strada maestra, la scala che porta a Lui, il passato si dissolve e si ricompone in un nuovo ordine interiore ed il pentimento rinnova l’anima che è invasa dal senso profondo del perdono. La chiamata della vedova trova nella Croce la vocazione più alta, vocazione a portarla in sé e negli altri, nella diaconia della carità e nel ministero della consolazione che le sono più congeniali anche perché la Croce prelude alla luce della Risurrezione.La Chiesa ha saputo leggere nel cuore delle sue figlie e le ha accolte maternamente, ritenendole un dono, segno della speranza, perché testimoni di Cristo che ha veramente vinto la morte ed è Risurrezione e Vita.

L’ultima parte del passo riportato dalla Gaudium et Spes “saranno onorate da tutti”, sembra richiamare l’incitamento di S. Paolo a Timoteo: <Onora le vedove>, ma anche il Decalogo: <Onora il padre e la madre>, come se nella persona vedova ciascuno potesse scorgere il volto della propria madre. Anche questo è un segno del perdurare degli effetti della grazia del sacramento matrimoniale ricevuto, che non devono perdersi, né sfuggire ai veri cristiani. Quindi nel verbo “onorare“ non solo si vuole intendere il sostenere spiritualmente e, se necessario, anche materialmente le persone vedove, ma anche donare loro stima ed affetto e ciò non andrà perduto perché la madre ama, la madre prega, la madre dona se stessa senza limiti.

Per concludere possiamo dire che noi vedove, portate a trascendere noi stesse ed a vivere ”nell’attesa“ dell’incontro futuro, dobbiamo guardare costantemente alle “cose di lassù” per procedere nel cammino di purificazione e di elevazione di cui la preghiera e la castità rappresentano le pietre miliari. La vedova, sotto questo profilo, è stata raffigurata come icona della Chiesa pellegrinante verso Cristo glorioso, al quale spera e brama con tutte le sue forze di unirsi nella gloria (cfr. LG 5).

Ma la Chiesa stessa guarda alle vedova come a colei che vive <l’intimità nell’ invisibile e l’attesa indefettibile degli incontri eterni...> (9), poiché il suo amore è totalmente spirituale e proteso all’ “Eschaton”, al tempo in cui verrà svelato il mistero. C’è quindi nella vita della vedova un contenuto ascetico di grande valore che può via via affinarsi sino a divenire ricerca ed attesa dell’unico Sposo celeste che è Cristo in cui si dissolve ogni amore passato, prende forma la nuova creatura che da sposa in Cristo, diviene sposa di Cristo, conservando nel cuore il tesoro indelebile della sponsalità e della maternità.

Infatti, nell’Esortazione apostolica postsinodale Vita Consecrata, sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, Giovanni Paolo Il afferma: <Torna ad essere oggi praticata anche la consacrazione delle vedove, nota sin dai tempi apostolici (cfr. 1 Tim. 5,5.9-10; 1 Cor 7,8), nonché quella dei vedovi. Queste persone, mediante il voto di castità perpetua quale segno del Regno di Dio, consacrano la loro condizione per dedicarsi alla preghiera ed al servizio> (VC 7).

Ecco come dal dolore è fiorito un amore grande e indissolubile per la Chiesa universale, che che viene espresso concretamente nella Chiesa locale, diocesana e parrocchiale, con l’offerta della preghiera costante, del servizio amorevole e del proprio umile, ma sincero apostolato. A questo proposito afferma il Card. Tettamanzi che : <Per la persona vedova vale il criterio dell’apostolato del simile con il simile. Tocca perciò alle persone vedove farsi apostole delle persone vedove, realizzando così in prima persona, la sollecitudine pastorale della Chiesa verso le vedove>{10), sulla scia di quanto Paolo VI aveva pronunciato nel messaggio alle vedove pellegrine a Lourdes, nel 1966: <Voi sarete dunque le apostole delle altre vedeve, specialmente di quelle che non credono più, di quelle che il dolore ha allonanato da Dio e dalla Chiesa> (11).

Ecco perché la Chiesa considera la vedovanza cristiana un dono per sé, per i tesori che implicitamente contiene e per la missione ecclesiale che può svolgere nel rapporto esistente fra la Chiesa e la società, per il messaggio di fede e di speranza che la vedova cristiana testimonia e comunica con l’intera sua esistenza.

   

NOTE:

(1) Pio XII, Allocuzione del 16 sett.1957, in Discorsi di S.S. Pio XII, Vaticano 1958,  vol. 19, pp.398-405

(2) Giovanni Paolo II, Discorso tenuto nell’Udienza del Mercoledì, 22 Aprile 1998

(3) Dionigi Tettamanzi, La vedova cristiana - vocazione e missione,  Ed. Salcom 1980

(4) Giovanni Paolo Il, Ecclesia de Eucaristia, 58, p.87, Ed. Piemme 2003

(5) Dionigi Tettamanzi, op. cit., p. 82

(6)  T. Goffi, Spiritualità familiare, Roma 1965, p. 154

(7) Sant’Agostino, Discorsi, dal Breviario del Tempo di Pasqua, p. 642

(8) Sant’Agostino, ib. p. 642

(9)  L. Lochet, La luce di Cristo sulla vedovanza, in La vedova cristiana, op. cit., p. 129

(10) Dionigi Tettamanzi, op. cit., p. 137

(11) Ib., p.l38

(12) Tutti i Documenti del Concilio, Ed. Massimo, Milano 2002

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