«RENOVATIONIS CAUSAM»

Istruzione della Sacra Congregazione per i Religiosi

e gli Istituti secolari sull’aggiornamento

della formazione alla vita religiosa

6 gennaio 1969

L’Istruzione «Renovationis causam» promulgata dalla Sacra Congregazione per i Religiosi e per gli Istituti secolari è un primo saggio pratico di applicazione delle deliberazioni conciliari circa il rinnovamento della vita religiosa, mediante l'aggiornamento di tutto il ciclo di formazione dei mèmbri degli Istituti religiosi propriamente detti.

A questo scopo nell'Istruzione vengono semplificate le norme canoniche, relative alla formazione dei religiosi, a tal punto da permettere ai diversi Istituti di meglio adeguare l'insieme del ciclo della formazione dei loro mèmbri alla mentalità delle nuove generazioni, alle condizioni presenti, come anche alle odierne esigenze dell'apostolato, pur fedelmente conservando la fisionomia e il fine specifico di ciascun Istituto.

Le innovazioni principali dell'importante documento si riferiscono ai due periodi essenziali della formazione religio­sa, quello del noviziato e quello della prova successiva ad esso, dando possibilità di introdurre nel corso del noviziato periodi di esperimenti formativi in rapporto alle attività e al genere di vita loro propri, nonché la possibilità di sostituire i voti temporanei con vincoli di altro genere, nel periodo di prova successivo al noviziato.

Tali innovazioni convergono al fine di condurre gradualmente l'aspirante alla vita religiosa al grado di maturità umana e spirituale necessario, che gli permetta di emettere la professione religiosa perpetua, sia semplice o solenne, con scelta libera e responsabile, di assumerne con cosciente impegno tutte le esigenze e di esservi stabilmente fedele.

 

proemio

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nell'intraprendere l'opera di rinnovamento, allo scopo di arricchire la Chiesa di più copiose energie spiritua­li e di renderla più efficacemente disposta a recare l'annuncio della salvezza agli uomini del nostro tempo, ha dedicato cure non lievi anche a coloro che perseguono il dono divino della vocazione religiosa, e posto in più chiara luce la natura, l'organizzazione e l'importanza del loro stato di vita (1). Intorno alla loro condizione entro il corpo della Chiesa così si è espresso: «Lo stato... che è costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non facendo parte della struttura giuridica della Chiesa, appartiene tuttavia inseparabilmente alla sua vita e alla sua santità» (2).

Inoltre, «essendo compito della Gerarchia ecclesiastica di pascere il popolo di Dio e di condurlo a pascoli ubertosi» (cfr. Ez 34,14), ad essa spetta di regolare con saggezza mediante le sue leggi la pratica dei consigli evangelici, dai quali è «in modo singolare favorita la perfezione della carità verso Dio e verso il prossimo. Essa, seguendo docilmente gli impulsi dello Spirito Santo, accoglie altresì le regole proposte da esimi uomini e donne, e perfezionandole, le approva in forma autentica; e con la sua autorità vigile e protettrice viene anche in aiuto degli Istituti, ovunque essi siano stati eretti per l'edificazione del Corpo di Cristo, per far sì che abbiano a crescere ed a fiorire secondo lo spirito dei fondatori» (3).

Rimane peraltro vero che Inoperoso vigore, particolarmente il rinnovamento della vita spirituale, evangelica ed apostolica, che deve animare lo sforzo delle diverse Famiglie religiose per tendere instancabilmente ad una carità sempre più profonda, dipendono principalmente da coloro che, in nome della Chiesa e con la grazia celeste, hanno ricevuto la missione di governare tali Famiglie, così come dalla generosa collaborazione di tutti i loro mèmbri. Appartiene infatti alla natura della vita religiosa, come d'altronde alla natura stessa della Chiesa, l'esigenza di una struttura senza cui nessuna società, neppure quella soprannaturale, può conseguire il proprio fine e disporre dei mezzi più idonei per raggiungerlo.

La Chiesa pertanto, in seguito anche all'ammaestramento di secoli di esperienza, è stata indotta a formulare a poco a poco un corpo di norme canoniche, che nel passato non poco hanno contribuito alla stabilità ed al progresso della vita religiosa. Nessuno peraltro ignora che l'aggiornamento dei vari Istituti, qual è richiesto dalle presenti circostanze, non può effettuarsi senza una revisione delle norme canoniche relative alla struttura ed ai mezzi della vita religiosa.

Siccome «l'aggiornamento degli Istituti dipende soprattutto dalla formazione dei loro mèmbri» (4) molti di essi, sia maschili che femminili, desi­derosi di collaborare al rinnovamento auspicato dal Concilio, si sono studiati, mediante accurate indagini e sovente in occasione della preparazione dello speciale Capitolo generale prescritto dal Motu Proprio «Ecclesiae sanctae» (5), di stabilire le condizioni più efficaci per l'aggiornamento  della graduale formazione dei loro mèmbri alla vita religiosa.

E' così avvenuto che varie domande sono sta­te presentate alla Sacra Congregazione per i Re­ligiosi e gli Istituti secolari, in particolare per il tramite dell'Unione dei Superiori generali. Queste domande in verità miravano ad ottenere che le norme canoniche, da cui è al presente regolata la for­mazione dei religiosi, fossero semplificate al punto di permettere ai diversi Istituti, in conformità con le istruzioni del Decreto «Perfectae caritatis» (6), di meglio adeguare l'insieme del ciclo della formazione alla mentalità delle nuove generazioni, alle condizioni presenti, come anche alle odierne esigenze dell'apostolato, pur fedelmente conservando la fisionomia e il fine specifico di ciascun Istituto.

E' evidente che non si possono formulare in modo determinato e preciso nuove leggi, se non alla luce dell'esperienza, e per di più di una espe­rienza condotta su una scala. sufficientemente vasta e durante un periodo di tempo abbastanza lungo, che metta in grado di dare un giudizio oggettivo. Ciò è tanto più vero, in quanto la complessità delle circostanze, la loro varietà connessa con la diversità dei luoghi e con la crescente rapidità dei cambiamenti, non permettono a quanti hanno il compito di formare oggi i giovani ad un'autentica vita religiosa, di stabilire «a priori» quali siano i metodi più adatti.

Di conseguenza la Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari, avendo ponderata­mente esaminato le varie proposte che le sono pervenute circa i diversi periodi di formazione alla vita religiosa, ha ritenuto opportuno semplificare talune disposizioni canoniche, allo scopo di permettere i necessari esperimenti. Se in qualche punto tuttavia si attenuano le norme giuridiche, ciò che maggiormente conta, è che non ne subiscano scapito i valori fondamentali, che la vigente legislazione giustamente ha inteso di assicurare. Anzi, «occorre con ogni impegno tener presente che il più idoneo aggiornamento alle esigenze del nostro tempo non avrà effetto, se non sarà animato da un rinnovamento spirituale» (7).

Pertanto la revisione dei mezzi e delle norme della vita religiosa, per essere autentica, suppone che siano a un tempo di nuovo definiti i valori essenziali di essa, che queste norme hanno precisamente lo scopo di salvaguardare. Per tale ragione e nell'intento di far meglio comprendere il significato delle nuove disposizioni emanate con la presente Istruzione, la Sacra Congregazione ha ritenuto utile farle precedere da alcune osservazioni.

I

Alcuni criteri e princìpi

1. La complessità delle situazioni, a cui si è sopra accennato, e in modo speciale la crescente diversità degli Istituti e delle loro attività, permet­tono sempre meno di formulare norme idonee, applicabili indistintamente a tutti gli Istituti e in tutte le regioni. Per questo le norme più larghe promulgate con questa Istruzione, devono permettere ad ogni Istituto di scegliersi con prudenza i metodi più convenienti.

In particolare è opportuno non dimenticare che, principalmente in materia di formazione e di educazione, i metodi più adatti non sono proprio gli stessi per gli Istituti maschili e per quelli femminili. Così pure i criteri e i mezzi di formazione saranno differenti, secondo che si tratta di un Istitu­to dedito esclusivamente alla contemplazione ovvero di un Istituto dedito alle attività apostoliche.

2. Le questioni sorte dalla facoltà che con questa Istruzione viene accordata agli Istituti di sostituire, se Io ritenessero opportuno, i voti tempora­nei con vincoli di genere diverso, inducono a richiamare alla memoria la natura e il valore proprio della professione religiosa. Questa professione infatti, con cui i mèmbri degli Istituti, «mediante i voti od altri vincoli sacri, per loro natura simili ai voti» (8), si obbligano alla pratica dei tre consigli evangelici, costituisce una consacrazione totale a Dio, che solo merita un dono così assoluto da parte di una persona umana. E' più conforme al carattere di un tal dono che esso raggiunga il suo compimento e la sua espressione più alta nella professione perpetua, sia semplice o solenne. Difatti la «consacrazione sarà tanto più perfetta, quanto più solidi e stabili sono i vincoli con cui viene rappresentata l'immagine di Gesù Cristo unito indissolubilmente alla Chiesa sua sposa» (9). La professione religiosa, costituisce così un atto di religione ed una speciale consacrazione a Dio.

Non solo secondo l'insegnamento della Chiesa, bensì anche per il carattere proprio di questa con­sacrazione, il voto di obbedienza, con il quale il religioso compie la piena rinuncia di se stesso e, insieme con i voti di povertà e di castità, si offre a Dio in sacrificio perfetto, appartiene all'essenza della professione religiosa (10).

Il religioso così consacrato a Gesù Cristo, è per ciò stesso consacrato al servizio della Chiesa e, se­condo la propria vocazione, viene a realizzare la perfezione della carità apostolica, che deve sospingerlo ed animarlo, sia nella vita esclusivamente contemplativa che in quella attiva. Conviene peraltro rammentare che, anche se negli Istituti dedicati all'apostolato «Fazione apostolica e caritativa appartiene alla natura della vita religiosa» (11), essa non costituisce il fine primario della professione religiosa. Del resto, le stesse opere apostoliche si possono perfettamente compiere senza la consacrazione propria dello stato religioso, sebbene questa consacrazione possa, anzi debba aiutare colui che vi si è obbligato, a dedicarsi con maggiore intensità all'apostolato.

Se è quindi utile rinnovare la vita religiosa nei suoi mezzi e nelle sue forme concrete, non è peral­tro lecito sostenere la necessità di modificare la sostanza della professione religiosa, ne di attenuarne le esigènze; giacché i giovani che ai nostri giorni sono da Dio chiamati allo stato religioso, non desiderano meno, anzi bramano di corrispondere a simile vocazione in tutte le sue esigenze, a condi­zione che queste siano autentiche.

3. Nondimeno, prescindendo dalla vocazione religiosa propriamente detta, lo Spirito Santo non cessa di suscitare nella Chiesa, particolarmente in questi ultimi tempi, molti Istituti i cui mèmbri, legati o meno da un qualche vincolo sacro, intendono di condurre una vita comune e di mettere in pratica i consigli evangelici, per darsi a diverse attività apostoliche o caritative. La Chiesa ha riconosciuto e sanzionato l'autenticità di queste differenti forme di vita; esse però non costituiscono lo stato religioso, sebbene, quanto alla legislazione canonica, ben sovente siano in qualche modo simili. Le norme e le disposizioni contenute in questa Istruzione riguardano pertanto direttamente gli Istituti religiosi propriamente detti, mentre gli altri Istituti potranno liberamente ispirarvisi quanto all'ordina­mento della formazione dei loro mèmbri nella forma meglio corrispondente allo spirito delle rispettive attività.

4. Le facoltà accordate con questa Istruzione sono state suggerite da un certo numero di costatazioni che conviene brevemente esporre.

Pare ai nostri giorni che un'autentica formazione alla vita religiosa debba essere più graduale ed estendersi ad una più lunga durata. Essa deve in­sieme abbracciare il periodo del noviziato e gli anni successivi ai primi vincoli temporanei. In questo ciclo di formazione, il noviziato deve conservare la sua funzione insostituibile e privilegiata di prima, iniziazione alla vita religiosa. Questa finalità non si potrà però raggiungere, se il futuro novizio non possiede per lo meno una qualche preparazione umana e spirituale, che è conveniente non solo provare, bensì anche sovente completare.

Infatti il noviziato si deve compiere nel periodo di tempo in cui ogni candidato, avendo preso co­scienza della chiamata da parte di Dio, è giunto a tale grado di maturità umana e spirituale che gli permetta di rispondere a questa chiamata con sufficiente scelta libera e responsabile. Non si deve invero entrare nella vita religiosa senza che una tale scelta sia stata fatta liberamente, con l'accettazione delle rotture che essa comporta rispetto alle persone ed alle cose. Questa prima risoluzione tuttavia non esige necessariamente che il candidato sia in condizione di soddisfare immediatamente tutte le esigenze della vita religiosa e delle opere apostoliche dell'Istituto; egli però deve essere ritenuto capace di giungervi progressivamente. La maggior parte delle difficoltà incontrate ai nostri giorni nella formazione dei novizi derivano appunto dal fatto che questi, al momento della loro ammissione al noviziato, non possedevano la sufficiente maturità.

Una preparazione all'ingresso nel noviziato risulta quindi tanto più necessaria, quanto più il mondo è refrattario ai valori del cristianesimo. Un graduale adeguamento spirituale e psicologico si rivela infatti nella maggior parte dei casi indispensabile, per preparare gli animi a certe rotture con l'ambiente e con le stesse consuetudini mondane. I giovani d'oggi, che si sentono attratti dalla vita religiosa, non cercano una vita facile, e la loro sete d'assoluto è grande; se non che la loro fede riposa sovente su conoscenze dottrinali elementari, non adeguate allo sviluppo delle loro conoscenze profane.

Di conseguenza tutte le Famiglie religiose, anche quelle in cui non è prescritto il postulato, devono dare grande importanza a questa preparazione all'ingresso nel noviziato. Negli Istituti che possiedono scuole apostoliche, collegi ovvero seminari, i candidati alla vita religiosa di solito passano direttamente al noviziato. Sembra peraltro opportuno riflettere se sia conveniente conservare questo modo di procedere, o se sia piuttosto preferibile, per una migliore preparazione alla scelta pienamente responsabile della vita religiosa, far precedere l'ammissione al noviziato da un conveniente periodo di prova, atto a favorire la maturazione umana ed affettiva del candidato. D'altro canto, pur riconoscen­do che i problemi si possono presentare in maniera assai diversa secondo le regioni, occorre tuttavia confessare che l’età dell’ammissione al noviziato deve ora essere superiore a quella richiesta nel passato.

5. Negli Istituti dediti alle attività apostoliche, quanto alla formazione nel noviziato, è chiaro che essa deve tenere in maggior conto la necessità di preparare i novizi, fin dal principio e, in una forma più diretta, al genere di vita o di attività, che dovranno essere loro proprie in avvenire, e di insegnar loro così a realizzare a poco a poco nella propria vita le condizioni di quella armoniosa unità che associa la contemplazione e l'azione apostolica; unità che è uno dei valori fondamentali dei medesimi Istituti. La realizzazione di questa unità sup­pone una giusta concezione dell'essenza della vita spirituale e dei mezzi che conducono ad una più stretta unione con Dio, lasciandosi guidare da un identico amore soprannaturale verso Dio e verso gli uomini, che si esprime ora nella solitudine di un contatto intimo con il Signore, ora nella dedizio­ne generosa alle attività apostoliche. E' utile insegnare ai giovani religiosi che questa unità tanto desiderata, a cui aspira ogni esistenza umana per essere pienamente sviluppata, non si realizza al livello delle attività, ne può in generale essere psicologicamente avvertita, giacché risiede nella carità divina, che è il vincolo della perfezione e sorpassa ogni esperienza sensibile.

Il tendere a questa unità, che non si può raggiungere senza un lungo cammino di spogliamento, ne senza un assiduo sforzo rivolto a purificare l'intenzione nell'azione, esige che in queste Famiglie religiose venga con fedeltà osservata la legge inerente alla vita spirituale, che consiste nello stabilire, durante il corso della propria vita, un proporzionato avvicendamento tra i periodi riservati alla solitudine con Dio e quelli dedicati alle diverse attività ed alle relazioni umane, che esse comportano.

Al fine pertanto di permettere ai novizi di scoprire l'importanza di questa legge e di cominciare a prenderne la consuetudine, nel far l’esperienza di certe attività proprie del loro Istituto, pare uti­le lasciare alle Famiglie religiose, che Io ritenessero opportuno, la possibilità di introdurre nel corso del noviziato periodi di esperimenti formativi in rapporto alle attività ed al genere di vita loro propri.

Importa rilevare che questi periodi, i quali vengono ad integrare la formazione del noviziato, non hanno la finalità di impartire ai novizi la formazione tecnica o professionale richiesta da talune attività apostoliche, quale verrà loro data più tardi, bensì di contribuire a far loro meglio scoprire, nell’esercizio di queste attività, le esigenze della loro vocazione religiosa e la maniera di restarvi stabilmente fedeli.

Non devono infatti i religiosi, di fronte alle diverse attività apostoliche che loro si offrono, dimenticare che, a differenza degli Istituti secolari, la cui specifica attività viene esercitata con i mezzi del mondo o nelle realtà temporali, essi hanno innanzi tutto, secondo l'insegnamento del Concilio, l'obbligo di essere in seno alla Chiesa, in una forma tutta particolare, i testimoni di Gesù Cristo: «I religiosi devono con cura tendere a far sì che la Chiesa per loro mezzo mostri in realtà ogni giorno più efficacemente, sia ai fedeli che agli infedeli. Gesù Cristo quando è assorto in contemplazione sul monte, o quando annuncia alle folle il regno di Dio, o quando guarisce i colpiti da infermità e malanni e converte i peccatori sulla via del bene, o quando benedice i fanciulli ovvero dispensa a tutti benefici, in ogni momento obbedendo alla volontà del Padre che lo ha mandato» (12).

Diversi sono invero i doni. Di conseguenza ognuno deve restare fermo nella vocazione ricevuta; giacché altra è la missione di coloro che sono stati chiamati allo stato religioso nella Chiesa, altra la missione degli Istituti secolari, altra infine la missione temporale ed apostolica dei laici che non hanno fatto una speciale consacrazione a Dio in un Istituto.

E' in questa prospettiva della propria vocazione che colui il quale è chiamato da Dio allo stato religioso, ha il dovere di comprendere il valore e il significato della formazione che comincia a ricevere nel corso del noviziato.

Il carattere pertanto e il valore educativo di questi periodi di attività, come pure l'opportunità di introdurli durante il noviziato, dovranno essere differentemente valutati, secondo che si tratti di Famiglie religiose maschili o femminili, ovvero di Famiglie dedite alla contemplazione od alle attivi­tà apostoliche.

D'altronde l'efficacia di questa formazione, impartita in un clima di maggiore libertà ed adattabilità, molto dipende anche dalla fermezza e dalla saggezza della direzione data dal Maestro dei novizi e da tutti coloro che, dopo il noviziato, dovranno contribuire alla formazione dei giovani re­ligiosi. E' altresì da rilevare l'importanza dell’influsso esercitato su tale formazione dall'ambiente di fervore generoso e concorde di una comunità, in seno alla quale i giovani religiosi siano in grado di sperimentare il valore del reciproco aiuto fraterno, come fattore di più facile progresso e perseveranza nella loro vocazione.

6. Nell'intento di corrispondere a tale bisogno di una formazione graduale, è stata posta la questione se si debba prolungare il periodo di prova dei vincoli temporanei che precedono la professione dei voti perpetui, e se si debbano sostituire ovvero premettere ai voti temporanei vincoli di genere diverso.

E' infatti conveniente che, al momento di pronunciare i voti perpetui, il religioso sia giunto al grado di maturità spirituale necessario, affinché lo stato religioso, nel quale si accinge ad impegnarsi definitivamente, possa davvero essere per lui un mezzo per raggiungere più facilmente la perfezione ed una più grande carità, e non un fardello troppo pesante da portare. Se nondimeno in alcuni casi il prolungamento della prova temporanea può favorire questa maturazione, in altri può invece comportare inconvenienti che è utile segnalare. Il fatto di restare troppo a lungo in uno stato d'incertezza, non è sempre fattore di maturazione; anzi, questa situazione può produrre in taluni una certa tendenza all'instabilità. Occorre aggiungere che in caso di non ammissione alla professione perpetua, il ritorno alla vita laicale sovente porta con sé problemi di riadattamento tanto più dolorosi e difficili, quanto più lungo è stato il periodo trascorso con i vincoli temporanei. I Superiori devono pertanto essere consapevoli della responsabilità che sotto questo aspetto si assumono, e non rinviare fino all'ultimo momento una risoluzione, che avreb­bero potuto e dovuto prendere prima.

7. Nessun Istituto deve prendere la deliberazione di far uso della facoltà accordata con questa Istruzione, di sostituire i voti temporanei con vin­coli di genere diverso, senza che siano stati pienamente conosciuti e soppesati i motivi e la natura di un simile cambiamento.

Non si tratta, per colui che ha sentito la chiamata di Gesù a lasciar tutto per seguirlo, di rimettere in discussione l'importanza di corrispondere con cuore generoso ed aperto a questa chiamata fin dall’inizio della sua vita religiosa; la professione dei voti temporanei corrisponde perfettamente a questo impegno. Pur conservando il carattere di prova, per il fatto che è temporanea, la professione dei primi voti rende tuttavia il candidato partecipe della consacrazione propria dello stato religioso.

Nondimeno la preparazione ai voti perpetui si può anche fare senza la professione dei voti temporanei. Difatti non è raro trovare, oggi più sovente che nel passato, novizi i quali terminano il loro noviziato senza aver acquistato la maturità sufficiente per legarsi immediatamente con i voti religiosi, ne d'altra parte si può mettere in dubbio la loro generosità e l'autenticità della loro vocazione allo stato religioso. Questa esitazione a pronunciare i voti si accompagna sovente alla coscienza molto chiara che essi hanno delle esigenze e dell'impor­tanza della professione perpetua, a cui aspirano e desiderano di prepararsi. Di conseguenza è sembrato conveniente a talune Famiglie religiose che i novizi, al termine del noviziato, si possano .legare con un vincolo temporaneo differente dai voti, corrispondente di più al loro duplice desiderio di do­narsi a Dio e all'Istituto e di impegnarsi a una preparazione più completa alla professione per­petua.

Qualunque sia la forma di un siffatto vincolo temporaneo, è naturale che la fedeltà ad un'autentica vocazione religiosa esiga che esso conduca in qualche modo alla pratica dei tre consigli evangelici, e sia così già tutto orientato verso l'unica professione perpetua, di cui deve essere come un tirocinio ed una preparazione.

8. Colui che assume l'impegno di seguire il Signore nella vita religiosa, deve ricordare la sua pa­rola : «Nessuno che, nell'atto di metter mano all'aratro, guarda indietro, è fatto per il Regno di Dio» (Lc 9,62). Ciò nonostante, le maggiori difficoltà psicologiche ed affettive incontrate da alcuni nel loro progressivo adattamento alla vita religiosa, non sono sempre risolte al termine del noviziato, senza che si possa mettere prudentemente in dubbio la possibilità di un'autentica vocazione. In non pochi casi il permesso di assenza da parte dei Superiori, previsto dal diritto, offre loro l'occasione di vivere per un certo periodo di tempo fuori della casa dell’Istituto per essere più facilmente in grado di ri­solvere le proprie difficoltà. In altri casi più difficili però questa soluzione non basta. Allora potranno i Superiori suggerir loro di far ritorno nel mondo, avendo eventualmente riguardo alla facoltà di cui al n. 38 di questa Istruzione.

9. Una formazione religiosa infine più progressiva e saggiamente distribuita lungo le varie tappe della vita del giovane religioso, deve trovare il suo compimento in una seria preparazione ai voti perpetui. E' infatti desiderabile che questo atto unico ed essenziale della consacrazione perpetua di un religioso a Dio, sia preceduto da una preparazione immediata sufficientemente lunga, trascorsa nel raccoglimento e nella preghiera; preparazione che si potrebbe ritenere come un secondo noviziato.

 

II

Norme speciali

La Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari pertanto, desiderosa di favorire i necessari ed utili esperimenti atti a facilitare un aggiornamento della formazione alla vita religiosa, avendo ponderatamente esaminato tutti questi problemi nell'Assemblea plenaria del 25 e 26 giugno 1968, in virtù di speciale mandato ricevuto dal Sommo Pontefice Paolo VI, si è data cura di sta­bilire e di promulgare con questa Istruzione le seguenti norme:

10. A. La formazione alla vita religiosa comporta due periodi essenziali: quello del noviziato, e quello della prova successiva al noviziato di maggiore o minore durata, secondo la fisionomia degli Istituti, nel quale gli interessati restano legati da voti ovvero da altri vincoli temporanei.

B. Una previa prova, di durata variabile, obbligatoria in alcuni Istituti e denominata postulato, precede di solito l’ammissione al noviziato.

 

11. A. Questa previa prova ha per fine non solamente di permettere un giudizio sulle attitudini e sulla vocazione del candidato, bensì anche di verificare il grado di cultura religiosa e, quando occorra, di completarla nella misura ritenuta necessa­ria; e da ultimo ha per fine di permettere un passaggio progressivo dalla vita del mondo a quella propria del noviziato.

B. Durante questo periodo di prova si dovrà in particolare assicurare se il candidato alla vita religiosa possieda tali requisiti di maturità umana ed affettiva, da lasciar sperare che egli sarà in grado di assumersi gli obblighi dello stato religioso e che continuerà in esso, anzitutto durante il noviziato, a progredire verso una più completa maturità.

C. Se in taluni casi più difficili il Superiore, con il libero consenso dell'interessato, ritenesse dì dover ricorrere al consiglio di uno psicologo vera­mente esperto, prudente e stimato per i suoi principi morali, è desiderabile che questo esame, per essere pienamente efficace, abbia luogo dopo un periodo di prova abbastanza lungo, nell'intento di permettere allo specialista di dare un avviso fondato sull'esperienza.

 

12. A. Nelle Famiglie religiose in cui il postulato è obbligatorio di diritto comune ovvero per disposizione delle Costituzioni, il Capitolo generale potrà ispirarsi alle norme di questa Istruzione per organizzare il postulato in una forma che corrisponda ad una più efficiente preparazione al noviziato.

B. Negli altri Istituti è compito del Capitolo generale di definire la natura e la durata di questa previa prova, che potrà variare secondo i candidati. Essa peraltro, per essere efficace, non deve essere troppo breve, ne di solito superare i due anni.

C. E’ desiderabile che questa prova non abbia luogo nella casa del noviziato. Potrà essere utile che si faccia, in tutto ovvero in parte, fuori delle case della Famiglia religiosa.

D. Durante il periodo di questa previa prova, quand'anche abbia luogo fuori dell'Istituto, i candidati devono essere affidati alla direzione di reli­giosi esperti; e deve stabilirsi tra questi e il Maestro dei novizi un'assidua collaborazione, in vista di assicurare la continuità della formazione.

 

13. A. La vita religiosa ha inizio con il noviziato. Qualunque sia il fine specifico dell'Istituto, scopo principale del noviziato è di far conoscere al no­vizio le esigenze essenziali della vita religiosa, come pure, in vista di una carità più perfetta, la pratica dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, di cui un giorno dovrà fare professione «con i voti ovvero con altri vincoli sacri, per loro natura simili ai voti» (13).

B. Negli Istituti in cui «l'azione apostolica e caritativa appartiene alla natura della vita religiosa», (14) i novizi devono altresì essere gradualmente formati alle attività corrispondenti al fine del loro Istituto, realizzando con Gesù Cristo quell'unione intima, donde deve scaturire ogni loro attività apostolica (15).

 

14. I Superiori che hanno la responsabilità di ammettere al noviziato, devono far attenzione a non ammettere, se non quei candidati che presentino le attitudini e i requisiti di maturità ritenuti necessari per iniziare la vita religiosa, tale qual è vissuta nell'Istituto.

 

15. A. Il noviziato, per essere valido, deve essere compiuto in una casa regolarmente a ciò designata.

B. Esso deve essere fatto in seno alla comunità o al gruppo di novizi, che siano fraternamente uniti sotto la direzione del loro Maestro. Le condizioni di vita e il genere delle attività e dei lavori dei novizi devono essere stabiliti con il preciso intento di agevolarne e promuoverne la formazione.

C. Questa formazione tende principalmente, secondo l'insegnamento dato dal Signore nel Vangelo e le esigenze del fine specifico e della spiri­tualità dell'Istituto, a far a poco a poco imparare ai novizi il distacco da tutto ciocche non ha rapporto con il regno di Dio, la pratica dell'umiltà, dell'obbedienza, della povertà, della preghiera, dell’unione abituale con Dio nella disponibilità allo Spirito Santo, e finalmente l'aiuto spirituale reciproco che si devono prestare mediante la carità sincera e aperta.

D. Il noviziato comporta altresì lo studio e la meditazione della Sacra Scrittura, la formazione dottrinale e pratica nelle materie spirituali, indi­spensabile allo sviluppo di una vita soprannaturale che unisca a Dio ed alla comprensione dello stato religioso, e la conoscenza della vita liturgica e della spiritualità dell'Istituto.

 

16. A. Per la costituzione del noviziato non è necessaria l'autorizzazione della Santa Sede. E' com­pito del Superiore generale, con il consenso del suo Consiglio e secondo il disposto delle Costituzioni, di deliberarla ovvero di autorizzarla, di determinarne le particolari modalità relative alle condizioni di vita e di fissarne la sede in una casa dell'Istituto.

B. Per corrispondere in maniera più idonea a talune esigenze della formazione dei novizi, il Superiore generale può autorizzare l'insieme dei novizi a trasferirsi, durante determinati periodi, in altra casa dell'Istituto da lui designata.

 

17. Qualora la necessità lo esiga, il Superiore generale può, con il consenso del suo Consiglio e, sentito il parere del Superiore provinciale inte­ressato, autorizzare anche la costituzione di diversi noviziati nella stessa provincia.

18. Data la grandissima importanza della funzione propria della vita comune nella formazione dei novizi, qualora lo scarso numero di novizi non permetta di creare le condizioni favorevoli ad una vera vita comune, il Superiore generale deve pos­sibilmente stabilire il noviziato presso una comunità dell'Istituto, che sia capace di favorire la formazione del ristretto gruppo di novizi.

19. In casi particolari e in via eccezionale, viene data al Superiore generale, con il consenso del suo Consiglio, la facoltà di autorizzare il candidato a compiere validamente il noviziato in una casa dell’Istituto diversa da quella del noviziato, però sotto la direzione di un religioso esperto che faccia le veci del Maestro dei novizi.

20. Per una causa ritenuta giusta, il Superiore maggiore può permettere che la prima professione abbia luogo fuori della casa del noviziato.

21. Il noviziato, qual è stato ora definito, deve, per essere  validamente compiuto, durare dodici mesi.

 

22. A. Le assenze dalla comunità e dalla casa del noviziato, che superino i tre mesi, continui o in­terrotti, rendono il noviziato invalido.

B. Per le assenze inferiori ai tre mesi, è compito dei Superiori maggiori, sentito il parere del Maestro dei novizi, di deliberare nei singoli casi, avuto riguardo alla causa dell'assenza, se convenga o meno completare tale assenza, esigendo un prolungamento del noviziato e determinandone la durata. Questa materia può anche essere regolata dalle Costituzioni.

 

23. A. Il Capitolo generale, con la maggioranza di almeno due terzi dei voti, può, in via di esperimento, deliberare di inserire nella formazione dei novizi uno o più periodi apostolici formativi corrispondenti alla fisionomia dell'Istituto, da trascorrersi fuori della casa del noviziato, nella misura in cui, a giudizio del Maestro dei novizi e con il consenso del Superiore maggiore, tali periodi sembrassero utili alla formazione.

B. Questi periodi apostolici formativi possono riguardare imo o più novizi o anche l'insieme di essi. Nella misura del possibile, i novizi devono tra­scorrere tali periodi non da soli, bensì a gruppi.

C. Durante questi periodi apostolici formativi, i novizi restano sotto la direzione del Maestro dei novizi.

 

24. A. L'intera durata dei periodi apostolici formativi trascorsi dai novizi fuori della casa del noviziato, si deve aggiungere ai dodici mesi di presenza richiesti, a tenore del n. 21, per la validità del noviziato, senza che peraltro la durata complessiva del noviziato così ampliata possa superare i due anni.

B. Tale attività formativa del noviziato non può aver luogo, se non dopo almeno tre mesi di presèn­za nel noviziato, e deve essere organizzata in modo che il novizio resti per un minimo di, sei mesi continui nel noviziato e vi faccia ritorno almeno un mese prima dell'emissione dei primi voti o dei vincoli temporanei.

C. Nel caso che i Superiori ritenessero necessario alla formazione del futuro novizio che questi svolga un'attività formativa prima dei tre mesi di presenza richiesti all'inizio del noviziato, tale atti vita potrà aver luogo come prova, e il noviziato comincerà solamente dopo.

 

25. A. Il criterio dell'attività formativa fuori della casa del noviziato può variare secondo il fine degli Istituti e lo spirito delle loro attività. Essa peraltro deve essere sempre concepita e attuata in funzione della formazione dei novizi, ovvero, in taluni casi, allo scopo di saggiare le loro attitudini al genere di vita dell'Istituto. Oltre che per prepararli gradualmente alle attività apostoliche, tali periodi possono avere anche per fine di far scoprire ai novizi nelle circostanze concrete della vita le realtà della povertà e del lavoro, di contribuire alla formazione del carattere, di approfondire la conoscenza degli uomini, di irrobustire la volontà, di sviluppare la responsabilità personale, infine di offrir loro l'occasione di uno sforzo di fedeltà all'unione con Dio in un contesto di vita attiva.

B. Questo avvicendamento di periodi di attività e di periodi di ritiro dedicati alla preghiera, alla meditazione e allo studio, che caratterizzerà in avvenire la formazione dei novizi, deve spingerli a rimanere ad essa fedeli nel corso della loro vita religiosa. E' pure da augurarsi che simili periodi di ritiro siano di regola intercalati negli anni della formazione che precede la professione perpetua.

 

26. Il Superiore maggiore può, per una giusta causa, permettere che la prima professione venga anticipata, non però più di quindici giorni.

27. Salvo contraria disposizione delle Costituzioni, negli Istituti che hanno diversi noviziati secondo le diverse categorie di religiosi, il noviziato compiuto per una categoria è valido anche per l'altra. Le eventuali condizioni relative all'attuazione del passaggio da una categoria all'altra devono es­sere fissate dalle Costituzioni.

28. La particolare fisionomia e finalità del noviziato, così come gli stretti rapporti di vita comune dei novizi, esigono una certa loro separazione dagli altri mèmbri dell'Istituto. Possono nondimeno i novizi avere, a giudizio del loro Maestro, dei rapporti con le altre comunità e con I religiosi professi. E' Compito del Capitolo generale di stabilire, tenendo conto della fisionomia dell'Istituto e delle circostanze particolari, il carattere dei rapporti che i novizi possono avere con gli altri mèmbri dell'Istituto.

 

29. A. Il Capitolo generale può permettere ovvero anche rendere obbligatori, durante il periodo del noviziato, taluni studi utili ad una più efficien­te formazione dei novizi. Gli studi dottrinali e scientifici devono peraltro servire ad una conoscenza amorosa di Dio e allo sviluppo di una più profonda vita di fede.

B. Sono esclusi nel periodo del noviziato di cui al n. 21 tutti gli studi, anche quelli teologici e filosofici, fatti per conseguire diplomi ovvero per acquistare una formazione diretta a preparare ai futuri compiti.

 

30. Tutti i compiti e le occupazioni affidati ai novizi devono essere eseguiti sotto la responsabilità e la direzione del Maestro dei novizi, il quale può farsi coadiuvare da persone idonee ed esperte.

Nell'esercizio di tali compiti si deve aver di mira la formazione dei novizi, non l'interesse dell'Istituto.              

 

31. A. Nella direzione dei novizi, in modo speciale durante i periodi di attività formativa, il Maestro dei novizi si ispirerà all'insegnamento chiara­mente enunciato dal Concilio Vaticano II: «Per far sì... che i religiosi corrispondano innanzi tutto alla loro vocazione di seguire Gesù Cristo, e di servirlo nelle sue membra, occorre che la loro attività apostolica assuma efficacia dalla loro intima unione con lui» (16). «Di conseguenza è necessario che i mèmbri di ogni Istituto, cercando prima di tutto e unicamente Dio, armonizzino tra loro la contemplazione, mediante la quale aderiscano con la mente e con il cuore a lui, e l'ardore apostolico, con cui si studino di collaborare all'opera della Redenzione e di dilatare il Regno di Dio» (17).

B. A tal fine egli deve insegnare ai novizi: 1) di ricercare in ogni cosa, nelle attività apostoliche ovvero nel servizio degli uomini, come pure nei momenti dedicati alla preghiera o al raccoglimento dello studio, la purità dell’intenzione e l'unità della carità verso Dio e verso il prossimo; 2) di servirsi del mondo come se non se ne servissero, allorché le opere apostoliche della loro Famiglia religiosa li portano a interessarsi di affari umani; 3) di riconoscere i propri limiti nell'azione, senza perciò scoraggiarsi; di prendere in mano la direzione della propria vita, convinti che nessuno può autenticamente donarsi a Dio e ai suoi fratelli, se prima non sa con umiltà dominare se stesso; 4) di realizzare nella loro vita, con volontà ferma e spirito d'iniziativa, in conformità con le esigenze dei compiti dei loro Istituti dediti all'attività apostolica, l'equilibrio indispensabile, sul piano umano come su quello spirituale, tra periodi dedicati all'apostolato e al servizio degli uomini, e pe­riodi più o meno prolungati, dedicati alla preghiera e alla meditazione della parola di Dio, nella solitudine ovvero nella comunità; 5) di stabilire gradualmente, nella fedeltà al ritmo essenziale di ogni vita consacrata in tali Istituti, il proprio cuore nell'unione con Dio e nella pace che deriva dal compimento della divina volontà, di cui devono imparare a scoprire le ispirazioni nei doveri del proprio stato e specialmente nelle esigenze della giustizia e della carità.       

 

32. A. Tra i Superiori, il Maestro dei novizi e i novizi deve regnare l'unità delle intenzioni e dei cuori. Questa unità, frutto di un'autentica carità, è necessaria alla formazione dei novizi.

B. I Superiori e il Maestro dei novizi devono sempre dar prova ai novizi di semplicità evangelica, di amicizia accompagnata a bontà, e di rispetto della loro personalità, al fine di creare un clima di fiducia, di docilità e di apertura, grazie al quale il Maestro dei novizi sarà in grado di orientare la loro generosità verso il completo dono di se stessi a Dio nella fede, e con la parola e con l'esempio farà ad essi scoprire gradualmente, nel mistero di Gesù Cristo crocifisso, le esigenze di un'autentica obbedienza religiosa.

Perciò il Maestro deve spingere i novizi «a collaborare con un'obbedienza attiva e responsabile nell’esercitare i propri compiti e nell'intraprendere iniziative» (18).

 

33. Spetta al Capitolo generale di determinare la foggia dell'abito dei novizi e di quello degli altri candidati alla vita religiosa.

 

34. A. Il Capitolo generale può, con la maggioranza dei due terzi dei voti, deliberare di sostituire ai voti temporanei vincoli di genere diverso, come, per esempio, una promessa fatta all'Istituto.

B. Tal vincolo viene contratto, alla fine del noviziato e per la durata del periodo di prova, che si estende fino alla professione perpetua ovvero fino ai vincoli sacri, che in taluni Istituti sostituiscono i voti (19). Questo vincolo temporaneo può essere contratto per un periodo di più breve durata, rinnovato più volte o anche essere seguito dalla professione dei voti temporanei.

 

35. A. E' naturale che questo vincolo temporaneo conduca alla pratica dei tre consigli evangelici, al fine di costituire una vera preparazione alla professione perpetua. E' intatti conveniente conservare l'unità della formazione alla vita religiosa, la quale, pur realizzandosi definitivamente con la professione perpetua, deve tuttavia presto cominciare ad essere messa in pratica e sperimentata durante un periodo abbastanza lungo.

B. Acquistando in tal modo la professione religiosa, unica e perpetua, tutto il suo significato, è da augurarsi che sia preceduta da un periodo di pre­parazione immediata abbastanza lungo, che sia co­me un secondo noviziato, e di cui spetta al Capitolo generale di determinare la durata e le modalità.

 

36. Qualunque sia il carattere di questo vincolo temporaneo, il suo effetto è di legare la persona che lo contrae alla propria Famiglia religiosa, e di obbligarla a osservarne la Regola, le Costituzioni e le altre norme. Il Capitolo generale ha il compito di definire gli altri aspetti e le conseguenze di tale vincolo.

37. A. Il Capitolo generale, attentamente considerando tutte le circostanze, deve determinare la durata del periodo dei voti o dei vincoli tempora­nei, da estendersi dalla fine del noviziato alla professione dei voti perpetui. La durata di questa prova non può essere inferiore ai tre ne superiore ai nove anni continui.

B. Resta ferma la disposizione di compiere la professione perpetua prima di ricevere gli ordini sacri.

 

38. A. Qualora un religioso, che ha legittimamente lasciato l'Istituto, sia allo scadere della professione o del vincolo temporaneo, ovvero con di­spensa dai medesimi voti o vincoli, chieda di esservi riammesso, il Superiore generale, con il consenso del suo Consiglio, può riammetterlo, senza che venga obbligato a rifare il noviziato.

B. Il Superiore generale peraltro deve imporgli un periodo di prova, al termine del quale il candidato può essere ammesso ai voti temporanei ovvero ai vincoli di genere diverso per una durata che non sia minore di un anno ne del periodo di prova temporanea che, al momento in cui ha lasciato l'Istituto, gli restava da compiere, per l'ammissione ai voti perpetui. Il Superiore può esigere un periodo di prova più lungo.

 

III

Applicazione delle norme speciali

Relativamente all'applicazione delle presenti nor­me, si osserverà quanto segue:

A. Continuano a rimanere valide le disposizioni del diritto comune, tranne che venga ad esse dero­gato con le norme di questa Istruzione.

B. Le facoltà accordate da questa Istruzione non sono in nessun caso delegabili.

C. Con la denominazione Superiore generale si intende altresì l'Abate Presidente della Congregazione monastica.

D. In caso di mancanza ovvero di legittimo impedimento del Superiore generale, le stesse facoltà competono alla persona che lo sostituisce in base alle Costituzioni approvate.

E. Quanto alle monache dedite esclusivamente alla vita contemplativa, devono essere introdotte nelle loro Costituzioni e sottoposte ad approvazione norme speciali. Ad esse peraltro si possono applicare le norme di cui ai nn. 22, 26 e 27.

F. 1) Qualora sia già stato celebrato lo speciale Capitolo generale prescritto dal Motu Proprio «Ecclesiae sanctae», è compito del Superiore generale e del suo Consiglio di stabilire collegialmente, esaminando con diligenza tutte le circostanze, se convenga convocare un Capitolo generale per deliberare circa le facoltà ad esso accordate, ovvero se sia preferibile attendere il prossimo Capitolo gene­rale. 2) Nel caso che il Superiore generale e il suo Consiglio ritengano in forma analoga troppo onero­sa ovvero impossibile la convocazione di un nuovo Capitolo generale, e venga a un tempo ritenuta urgente, per il bene della Famiglia religiosa, l'applicazione delle facoltà accordate al Capitolo generale, il Superiore generale e il suo Consiglio sono collegialmente autorizzati ad applicarle, tutte ovvero alcune di esse, fino al prossimo Capitolo generale, a condizione che consultino previamente gli altri Superiori maggiori e i rispettivi Consigli, e ottengano il consenso dei due terzi. Questi Superiori maggiori devono avere a cuore di consultare in antecedenza i religiosi professi di voti perpetui. Negli Istituti che non siano divisi in province, il Superiore generale deve consultare i religiosi professi di voti perpetui e ottenere il consenso dei due terzi.

G. Queste norme, promulgate in via di esperimento, entrano in vigore nel giorno in cui sarà pubblicata la presente Istruzione.

 

Roma, festa dell'Epifania del Signore 1969

 

I. Card. Antoniutti

Prefetto

+ Antonio Mauro

Arc. tit. di Tagaste

Segretario

 

NOTE

(1)   Cfr. Cost. dogm. Lumen gentium, n. 43ss.; Decr. Perfectae carìtatis.

(2)   Cost. dogm. Lumen gentium, n. 44.

(3)   Ivi, n. 45.

(4)   Decr. Perfectae caritatis, n. 18.

(5)   Cfr. M. P. Ecclesiae sanctae, II, n. 3.

(6)   Decr. Perfectae caritatis, n. 3ss.

(7)   Ivi, n. 2 e).

(8)   Cost. dogm. Lumen gentium, n. 44.

(9)   Ibid.

(10) Cfr. Decr. Perfectae caritatis, n. 14.

(11) Ivi, n. 8.

(12) Cost. dogm. Lumen gentium, n. 46.

(13) Cost. dogm. Lumen gentium, n. 44.

(14) Decr. Perfectae caritatis, n. 8.

(15) Cfr. ibid.

(16) Decr. Perfectae caritatis, n. 8.

(17) Ivi, n. 5.

(18) Ivi, n. 14.

(19) Cfr. sopra, n. 3.

 

Il documento, redatto in lingua latina, è riportato nella traduzione italiana della «Tipografia poliglotta vaticana».

Ai paragrafi si è preferito usare la distinzione per lettera alfabetica invece di ripetere il numero in cifra romana (ndr per la rete).