L’ORIGINE DELL’UOMO
Evoluzione
e creazione
DE ROSA GIUSEPPE S.J.
La Civiltà
Cattolica 2005 II 3-14 – quaderno 3715 (2 aprile 2005)
vedi: www.corsodireligione.it
L’uomo è un essere «storico». Infatti la sua
apparizione nella storia non è stata improvvisa e immediata, ma è avvenuta
lentamente e per successive modificazioni, che hanno riguardato tanto la sua
struttura biologica quanto la sua psiche. C’è stato infatti sia un
processo di «ominizzazione», cioè il processo evolutivo che ha condotto
l’uomo da forme pre-umane a forme umane sempre più perfette, fino a giungere
all’uomo attuale; sia un processo di «umanizzazione», per cui dallo stato di
natura l’uomo è passato allo stato di cultura, che ha mostrato la sua
singolarità, tanto rispetto alle forme pre-umane, quanto rispetto ad altri
esseri, a lui geneticarnente assai vicini, come alcuni primati, quali gli
scimpanzè, i gorilla e gli orango.
L’evoluzione:
il «fatto» e le «cause» o i «modi»
L’ominizzazione s’inserisce nel quadro assai più
generale dell’evoluzione della vita sulla Terra, dopo la creazione da parte di
Dio. Qui è necessario distinguere tra il «fatto» dell’evoluzione e le «cause»
e i «modi» di essa. Il «fatto» dell’evoluzione della vita sul pianeta
terra — cioè il passaggio per evoluzione, vale a dire per trasformazione
degli organismi gli uni negli altri, nel corso dei tempi geologici — sembra
scientificamente accertato, tanto che oggi non si qualifica più l’evoluzione
dei viventi come una semplice «ipotesi», che dev’essere confermata e
convalidata, ma si parla di «teoria dell’evoluzione biologica»: «Essa,
infatti, si fonda su un insieme di fatti estremamente ampio e offre una
spiegazione degli esseri viventi che rende ragione dell’insieme dei fatti
biologici: spiega infatti perché i viventi sono quelli che sono nella diversità
delle loro forme e nella comunanza della loro struttura. Così, allo stato
attuale delle conoscenze, la teoria dell’evoluzione è la sola che possa
rendere ragione della totalità dei fatti. Non può, perciò, essere ridotta
allo stato precario dell’ipotesi» (1).
Se il «fatto» dell’evoluzione dell’uomo al pari
dell’evoluzione di tutti gli altri esseri viventi può ritenersi avvenuto, non
c’è accordo tra gli studiosi sui meccanismi dell’evoluzione: se cioè
questa sia avvenuta gradualmente per piccole mutazioni genetiche trasmesse
ereditariamente per selezione naturale, oppure se sia avvenuta per salti
bruschi. Questa seconda teoria, detta degli «equilibri punteggiati» (la prima
teoria è detta «sintetica») spiega l’evoluzione col fatto che le specie
animali restano immutate per milioni di anni e poi vengono brutalmente
rimpiazzate da nuove specie che presentano, rispetto alle prime, reali
differenze morfologiche: in questa teoria, l’evoluzione è compresa come
l’apparizione brusca di nuove specie dopo lunghissimi periodi di stasi
evolutiva (2).
Questi
modi differenti di spiegare il fatto dell’evoluzione non mettono in questione
il principio dell’evoluzione e i suoi metodi, ma riguardano il ritmo — se
lento e graduale oppure rapido e brusco — con cui l’evoluzione è avvenuta.
Tuttavia incidono sul senso dell’evoluzione: nella teoria «sintetica»
l’evoluzione è orientata verso la produzione di forme viventi «migliori»,
cioè di forme sempre più complesse in organismi sempre più sviluppati. Nella
teoria degli «equilibri punteggiati» l’evoluzione è dominata dalla «contingenza»:
non va verso il meglio, ma verso il disordine, poiché il mutamento brutale è
dovuto a una rottura dell’equilibrio che assicurava la permanenza; rottura
dovuta alla distruzione interna del genoma. Le forme aberranti o non vitali
scompaiono immediatamente e il loro posto è subito preso da forme viventi
geneticamente più forti.
Così alla base dell’evoluzione, nella teoria
sintetica, c’è il principio che la natura non è invariata e fissista, ma è
dotata di una reale iniziativa e di un potere di innovazione e di
trasformazione, cioè di un dinamismo interno, in forza del quale essa è in
movimento verso il meglio, cioè verso la produzione di forme di vita sempre più
complesse e più perfette. Ciò significa che la Natura (ormai con la maiuscola)
può, per virtù propria, passare dalla materia inerte alla materia vivente, e
questa può auto-organizzarsi in forme sempre più nuove e perfette e
differenziarsi in forme sempre più diverse, ma legate le une alle altre
attraverso l’ereditarietà. Per tale motivo l’evoluzione designa una «storia
della vita» che, procedendo per gradi di complessità sempre più elevati,
conduce dai primi organismi pluricellulari all’uomo, passando per la
vertebralizzazione, l’omeotermia, la protezione della discendenza mediante la
gestazione e l’allattamento, la bipedia.
I tipi di cambiamenti successivi sono due: il primo
va nel senso della complessità crescente, ed è quindi di natura propriamente
evolutiva; il secondo va nel senso della diversificazione e della ramificazione
di uno stesso livello di complessità. Ciò significa che l’evoluzione della
vita non procede in maniera lineare e continua secondo un asse unico, ma è
discontinua e i cambiamenti avvengono in maniera imprevedibile e aleatoria,
senza però che l’aleatorietà sia assoluta: perciò nell’evoluzione è
presente il caso, ma non tutto è opera del caso. Così «la storia del mondo
organico non è stata né quella di un caso assoluto, cieco, né quella di uno
stretto determinismo, di un regno delle leggi» (3).
L’apparizione dell’uomo: l’ominizzazione
«L’apparizione dell’uomo non deve essere
considerata come una rottura con le leggi della natura: la teoria
dell’evoluzione è competente per descrivere e spiegare come l’uomo è
apparso. Per questa ragione, l’uso della nozione di «emergenza» è
pertinente. Non vi si può rinunciare, anche se il termine resta legato a una
filosofia materialista. Il termine di emergenza in senso stretto riconosce che
l’uomo è un animale fra gli altri e che si pone alla sommità di una
ramificazione di animali simili. Esso dice che l’apparizione dell’uomo è
avvenuta al termine di un lungo cammino che le ricerche condotte grazie alla
teoria dell’evoluzione permettono di descrivere e di spiegare in base alla
paleontologia e alla genetica. Se non si può più dire, come si faceva
nell’Ottocento, che l’uomo discende dalla scimmia, appare chiaramente che
egli intrattiene con le scimmie una relazione (di cui la sperimentazione medica
si serve largamente e fruttuosamente). La nozione di emergenza si basa sul fatto
che la sola interpretazione possibile dei dati biologici e paleontologici che
concernono la “famiglia” in cui l’uomo ha il suo posto, è quella di un
passaggio continuo tra specie che si sono separate» (4). Perciò, non si può
descrivere l’apparizione dell’uomo come una linea continua e armoniosa che
andrebbe dal Proconsul all’uomo moderno (Homo sapiens sapiens). La
comparsa dell’uomo sulla Terra appare molto tardiva nel corso
dell’evoluzione. Circa 63 milioni di anni fa appaiono le prime forme di
primati nell’ambito dei quali si designa, 3-4 milioni di anni fa, una linea
particolare che conduce all’uomo, attraverso forme sempre più evolute, che
però si sono estinte. Questa linea non è ancora ben conosciuta e nel suo
percorso storico «appare piuttosto multilineare e reticolata, anche se sembra
svilupparsi, specialmente dopo la comparsa della prima forma umana, su un ceppo
africano (monofiletismo)» (5).
I più antichi «ominoidi» — gli australopitechi
— vissero nella savana africana a est della «valle del Rift» (oggi Kenya e
Ciad) circa 4-5 milioni di anni fa. Essi si erano separati dalle
scimmie antropomorfe, la cui linea avrebbe condotto alle scimmie attuali, 5-7
milioni di anni fa, e forse anche assai prima. Gli australopitechi erano,
sia pure imperfettamente, bipedi, e le dimensioni della loro scatola cranica non
erano superiori a quelle delle attuali scimmie antropomorfe africane. Si
conoscono molte forme — alcune gracili, altre robuste — di australopitechi,
che formano un vero cespuglio di specie, succedutesi fino a un milione di anni
fa e che poi si sono estinte. A una di queste forme di australopitechi è
collegata la linea degli ominidi, che si distinguono da essi per una maggiore
cerebralizzazione, per una più marcata tendenza al bipedismo e per alcune forme
di abilità manuale: di qui la designazione di Homo habìlis data a
questi ominidi, apparsi 2,5-2 milioni di anni fa e di cui sono stati
trovati reperti nell’Africa orientale (Tanzania, Etiopia, Kenya) e nel Sud
Africa.
La designazione di Homo habilis è dovuta a
una maggiore capacità cranica (700 cc) e al fatto che insieme con i reperti
sono stati trovati anche ciottoli scheggiati lungo il margine di una o delle due
facce della pietra. Non si può dire con certezza, ma è probabile che questa
lavorazione della pietra, che è la più antica che si conosca, sia
intenzionale. Se così fosse, con l’Homo habilis si sarebbe raggiunto
il livello umano, anche perché, insieme con la lavorazione della pietra,
sarebbe attestata anche una certa organizzazione del territorio e la costruzione
di capanne a scopo abitativo.
Osserva, a questo proposito, I. Tattersal: «Non c’è
dubbio che con l’invenzione degli strumenti litici si sia verificato un
cambiamento di grandi proporzioni nel modo di vita degli ominidi (appartenenti
alla specie Homo habìlis) , oltre a innovazioni cognitive di immense
conseguenze. Tuttavia sarebbe profondamente fuorviante pensare a questi
costruttori di strumenti come a una semplice versione “primitiva” di noi
stessi. E dubito molto che, se per un miracolo potessimo incontrarli in carne e
ossa, li descriveremmo intuitivamente come esseri funzionalmente “umani”»
(6).
Tra 1,9 e 1,7 milioni di anni fa apparve una nuova
specie detta Homo ergaster o Homo erectus (7), che
presentava una cerebralizzazione più ampia (da 800 cc a 1.100 cc), una
lavorazione simmetrica bifacciale degli strumenti litici, l’uso del fuoco,
l’organizzazione dello spazio abitato sia all’aperto sia nelle grotte,
un’economia fondata sulla caccia (compito dei maschi) e sulle raccolte
(compito delle femmine). Questa specie dall’Africa centrale (Kenya e Tanzania)
si diffuse prima nel Sud e nel Nord dell’Africa, poi in Europa e in Asia.
Il passaggio da Homo ergaster, e dal suo
discendente Homo erectus, all’Homo sapiens fu graduale: esso viene
collocato tra i 200.000 e i 100.000 anni fa. Le forme più antiche dell’Homo
sapiens — che non sono più viventi — sono gli «uomini di Neandertal»,
vissuti tra 100.000 e 37.000 anni fa. Essi sono stati rimpiazzati, a partire da
33.000 anni fa, dall’Homo sapiens sapiens. Con la comparsa di questa
specie, la forma umana è ben definita nelle caratteristiche che si trovano oggi
nei diversi gruppi umani, cosicché si può affermare che l’evoluzione
somatica si è compiuta. Ciò che caratterizza questa specie umana è il
raggiungimento della «soglia» umana vera e propria. Questa è rappresentata
dalla capacità di «progettazione», e quindi dall’autocoscienza,
dall’autodeterminazione e dalla libertà; dalla capacità di «simbolizzazione»,
e quindi dalla capacità di comunicazione mediante il linguaggio; dalla capacità
artistica e dal senso religioso.
In realtà ciò che distingue l’Homo sapiens
sapiens dai primati più evoluti (scimpanzé, gorilla, orango) è la «cultura»:
sul piano biologico, le differenze sono assai modeste; invece, sul piano culturale,
sono massime: infatti i primati non progettano, non inno-vano, non hanno storia,
non sono capaci di simbolismo, cioè di attribuire a un segno un significato che
vada al di là del segno stesso e perciò non parlano, essendo il linguaggio
frutto di una simbolizzazione. Inoltre non hanno capacità artistiche né
sentimenti religiosi. Tutto ciò si riscontra invece nell’Homo sapiens
sapiens: con lui perciò è certamente raggiunta la «soglia» umana.
Bisogna però tener presente che la «soglia» umana
è superata pienamente soltanto con l’apparizione dell’Homo sapiens moderno
(i Cro-Magnon), non con l’«uomo di Neandertal». Osserva I. Tattersal: «Arte,
pensiero simbolico, musica, sistemi di notazione, linguaggio, senso del mistero,
padronanza di materiali diversi e pura abilità: tutti questi attributi, e altri
ancora, erano estranei ai Neandertaliani» (8).
La «creazione» dell’anima spirituale da parte di Dio
Ma che cosa comporta per l’Homo sapiens sapiens il
raggiungimento della «soglia» umana? Comporta una continuità e una
discontinuità. Una continuità, nel senso che l’Homo sapiens sapiens è
in continuità evolutiva con le forme umane precedenti a livello somatico e
culturale; una discontinuità a livello spirituale. Tale discontinuità è
radicale riguardo al mondo animale e anche alle diverse specie di primati, come
gli scimpanzé e gli australopitechi; è relativa rispetto alle forme umane
primitive (Homo habilis, Homo ergaster-erectus, Homo sapiens), poiché,
mentre nei primati e negli australopitechi non ci sono segni di cultura, nelle
forme umane primitive ci sono segni di vita intelligente, come la costruzione di
strumenti litici, l’«addomesticazione» del fuoco, una certa organizzazione
del territorio, la sepoltura dei defunti.
Questa discontinuità a livello spirituale — che
raggiunge il punto più alto nell’Homo sapiens sapiens con la sua
capacità di progettazione del futuro, la sua autocoscienza, la sua capacità di
simbolizzazione e quindi di parlare, di comunicare, di esprimersi con
raffigurazioni pittoriche di uomini e di animali, di cui sono esempi mirabili le
pitture delle grotte di Altamira (Spagna) e di Lascaux (Francia), 15-11.000 anni
fa, con il senso della bellezza, con le prime, seppure incerte, espressioni di
sentimento religioso —esige che nell’Horno sapiens sapiens ci sia un
principio spirituale, capace di spiegare la presenza in lui di attività che
trascendono l’ordine puramente materiale. Questo principio spirituale, in
grado di unificare tutte le attività umane, sia fisiche e sensoriali, sia
propriamente intellettuali, è l’anima spirituale.
Questo principio spirituale — che costituisce un
fatto «nuovo», irriducibile ai precedenti — non è il frutto o il prodotto
del processo evolutivo, che è di ordine biologico e quindi materiale. Esso
emerge per evoluzione, dopo un lunghissimo e niente affatto lineare cammino
evolutivo, ma non è un risultato delle forze che dirigono e determinano il
processo evolutivo, tanto che è un unicum in tutta la storia
dell’evoluzione, non riscontrandosi in nessun’altra delle innumerevoli forme
viventi, neppure in quelle che per la struttura biologica e morfologica sono
vicinissime alla forma umana, come gli scimpanzé e i babbuini. Questo significa
che l’anima spirituale, come principio delle attività spirituali dell’Homo
sapiens sapiens, rappresenta un «salto» ontologico, e quindi qualitativo,
nel processo evolutivo che la scienza può riconoscere e constatare, ma che non
può spiegare in base alle leggi che regolano l’evoluzione dei viventi.
Perciò — poiché le forze della materia non
possono produrre lo spirito — l’apparizione dell’anima spirituale nel
processo evolutivo può essere spiegata soltanto facendo ricorso
all’intervento di un Essere spirituale che, insieme, trascenda e diriga il
processo evolutivo: in altre parole, per un intervento creativo di Dio, in
forza del quale si ha una continuità filetica e nello stesso tempo una rottura
irreversibile tra l’uomo e l’animale. Così — come afferma Pio XII
nell’enciclica Humani generis (12 agosto 1950) —si può ammettere che
il corpo umano abbia origini «da una materia già esistente e vivente», e
quindi per evoluzione; ma «la fede cattolica ci impone di pensare (nos
retinere iubet) che le anime siano create immediatamente da Dio (animas a
Deo immediate creari)» (Denz. -Schönm. 3896).
E’ importante però rilevare che l’affermazione
della creazione immediata dell’anima umana da parte di Dio non è di ordine
scientifico, ma di ordine filosofico e teologico. La scienza può soltanto
rilevare che, a un certo momento della storia dell’evoluzione, appare l’uomo
come essere pensante, dotato di autocoscienza, di capacità di progettazione e
di simbolizzazione, di creatività e di linguaggio; ma non può affermare che
l’essere pensante uomo derivi, per un caso fortuito, dall’evoluzione
biologica. Se lo facesse, uscirebbe dal campo della scienza e farebbe
un’affermazione filosofica di tipo riduzionistico e materialistico,
ispirandosi cioè a una filosofia che riduce tutto ciò che esiste alla materia
e nega per principio l’esistenza di ogni realtà spirituale trascendente la
materia: facendo quindi del pensiero una produzione del cervello, una volta che
questo sia giunto per evoluzione alla sua forma perfetta. In realtà
l’affermazione che l’anima dell’uomo, che lo costituisce essere pensante,
non è un prodotto del processo evolutivo della materia, ma è fatta in base a
un ragionamento di ordine filosofico, secondo il quale se c’è un effetto di
natura spirituale, cioè trascendente la materia, deve esserci una causa di
natura spirituale che lo ha prodotto. Tale causa trascendente la materia non può
essere che Dio Creatore mediante un atto creativo.
Non c’è opposizione tra evoluzione e creazione
Come dev’essere compreso tale atto creativo?
Bisogna dire anzitutto che esso non può essere compreso come un atto di ordine
puramente evolutivo, ma come un atto trascendente che si inserisce nel processo
evolutivo, nel senso che quando questo, attraverso successive nuove e più
perfette forme nella linea degli ominidi, ha raggiunto una forma umana in
possesso di un grado di cerebralizzazione tale da costituire un supporto adatto
al pensiero riflesso e all’autocoscienza, Dio è intervenuto dotando tale
forma umana di un’anima spirituale. In tal modo, l’evoluzione ha preparato
la forma umana capace di ricevere l’atto divino creatore dell’anima; ma è
in forza di questo atto divino che l’uomo è «uomo».
In altre parole, nell’apparizione dell’uomo, il
processo evolutivo — che si è svolto secondo le proprie leggi di continuo
perfezionamento, sia pure tra insuccessi e fallimenti, come mostra la scomparsa
di molte forme viventi, anche di tipo umano, come l’«uomo di Neandertal» —
si è incontrato, per così dire, con l’atto divino creativo dell’anima
umana. Come ciò sia avvenuto è impossibile dire, trattandosi di un atto
propriamente divino e trascendente, che va quindi al di là di quanto la scienza
e la ragione possano percepire. Mostra tuttavia un fatto estremamente
importante: che cioè tra evoluzione e creazione non c’è nè contrasto ne
opposizione. In realtà, l’opposizione esiste tra una visione
dell’evoluzione puramente materialistica — che cioè vede l’evoluzione
come un processo in cui agiscono unicamente le forze cieche della materia,
dotata di una capacità dinamica che le consente di passare dal meno al più per
virtù intrinseca, e in cui domina incontrastato il caso, per cui «tutto
avviene per caso» — e una visione dell’evoluzione non riduttivamente
materialista, ma aperta alla trascendenza. La visione dell’evoluzione che qui
viene proposta, da una parte, contro il «creazionismo fissista» (9), ammette
che ci sia stata un’evoluzione che ha condotto dalla materia inerte agli
esseri viventi, dapprima semplicissimi e poi sempre più complessi e sempre più
diversi, ma filogeneticamente uniti: questa evoluzione si è svolta secondo le
leggi della materia, a noi in gran parte ancora sconosciute, e ha comportato la
casualità e l’aleatorietà. Ma, dall’altra parte, ritiene che essa sia
stata voluta da Dio, creatore e provvidente, e si sia svolta secondo un suo
progetto: sia stata cioè finalizzata all’apparizione dell’uomo come essere
pensante, che dà senso al processo evolutivo svoltosi sul nostro pianeta.
Questa finalizzazione dell’evoluzione all’uomo
come essere pensante non esclude dal processo evolutivo la caoticità, la
casualità e la contingenza, e quindi non obbliga a ritenere che un progetto
evolutivo abbia dovuto svolgersi secondo una linea di progresso costante e
lineare dai primi esseri viventi all’uomo; soprattutto non esclude
l’apparizione di ominoidi e di ominidi, cioè di forme di esseri viventi non
ancora pienamente «umane», quindi non dotate di autocoscienza e di linguaggio
simbolico. Questo perché l’azione creativa e finalizzante di Dio è azione di
Dio in quanto «Causa prima»: come tale, essa non fa numero e non interferisce
con l’azione delle «cause seconde». Ciò significa che l’azione di Dio non
sopprime la contingenza, il fortuito e il caso che sono propri delle cause
seconde, ma nella sua provvidenza li dirige al fine dell’apparizione
dell’uomo. Non bisogna infatti dimenticare che l’azione creatrice e
finalizzatrice di Dio è trascendente, e non immanente alla natura, la quale è
lasciata ai suoi determinismi, da un lato, e, dall’altro, alla sua casualità
e alla sua contingenza.
La rivelazione cristiana e l’origine dell’uomo
Che cosa dice la rivelazione cristiana circa
l’origine dell’uomo? Essenzialmente quattro cose. Dice anzitutto
che «l’uomo è stato creato da Dio» (Gn 1,27). Questo significa
che egli esiste perché Dio nella sua infinita bontà e nel suo infinito amore
lo ha voluto liberamente e per amore, e nella sua libertà e provvidenza ha
tutto disposto perché potesse esistere come essere intelligente e libero. E
importante però notare che, dicendo che Dio ha «creato» l’uomo, non si deve
intendere che Dio ha «fatto» l’uomo come un falegname «fa» un tavolo, ma
nel senso che Dio «fa essere» l’uomo, fa cioè che l’uomo «sia» in
quanto «dipende» da lui, dalla sua volontà d’amore. Inoltre, dicendo che
Dio ha «creato» l’anima umana, s’intende dire che Dio «ha fatto essere»
l’anima non da un essere o una sostanza precedente, ma «dal nulla». Questo
vale non soltanto per il primo uomo, ma per tutti gli uomini, nel senso che le
persone umane derivano la loro struttura biologica dai loro genitori, ma
derivano il principio spirituale che «informa» la loro struttura biologica,
cioè l’anima, da un intervento creatore di Dio. Così nel concepimento
dell’essere umano c’è una sinergia di Dio e dei genitori, che però non si
colloca sullo stesso piano, perché l’atto generativo dei genitori è
immanente alla natura materiale e si svolge secondo le sue leggi, mentre
l’atto creativo di Dio trascende la natura materiale.
Perciò
la persona umana è l’unico essere dell’universo che porti l’impronta di
Dio, in quanto Spirito.
Questo vuol significare la Sacra Scrittura quando afferma che l’essere umano,
unico tra tutti gli esseri viventi, è creato «a immagine» di Dio (Gn 1,26).
E’ infatti l’essere creato «a immagine» di Dio che rende l’uomo una «persona»,
cioè un’essere pensante, intelligente e libero, capace di conoscersi ed
essere autocosciente, capace di possedersi e quindi di essere libero e sui
iuris, capace di entrare in comumone con gli altri attraverso il linguaggio
simbolico; capace, soprattutto, di conoscere Dio e di mettersi in contatto con
lui, anzi di essere chiamato da Dio, per grazia, a stringere un’alleanza con
lui e a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro essere può
dargli.
In
terzo luogo, la rivelazione cristiana afferma che la persona umana è immagine
di Dio non solo per la sua anima, ma anche per il suo corpo. Questo perché il corpo di una persona è un corpo «umano»
in quanto è animato da un principio spirituale, l’anima, creata
immediatamente da Dio. La persona umana non è cioè formata da due princìpi
distinti, che sarebbero il «corpo» materiale e l’«anima» spirituale, i
quali si uniscono in maniera accidentale, come pensavano i «dualisti» quali
furono Platone, i neoplatonici e, più tardi, Cartesio, Malebranche e Leibniz.
Al contrario, la persona umana è un essere unico, in cui l’anima è la «forma
del corpo» (forma corporis) (10), cioè è il principio che
organizza la materia e la fa essere un corpo «umano». Così, nella persona
umana, il corpo partecipa della dignità dell’anima spirituale e pone la sua
impronta su ogni attività dell’anima spirituale, per cui l’anima non può
pensare se i sensi non le forniscono le immagini. Per tale motivo, tutto ciò
che l’uomo compie è sempre nello stesso tempo spirituale e materiale. Di qui
la dignità del corpo umano, che non può essere trattato alla stregua di un
corpo animale. «Non è lecito all’uomo disprezzare la vita corporale; anzi,
egli è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto
perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno» (11).
Infine
la rivelazione cristiana afferma che Dio creò gli esseri umani come maschio e
femmina: «Maschio e femmina Dio li creò»
(Gn 1,27). Questo significa che l’uomo e la donna sono della stessa
natura e della stessa dignità, in quanto l’uno e l’altra hanno un anima
spirituale e un corpo da essa animato; ma sono diversi sotto il profilo sessuale
nel loro essere rispettivamente maschio e femmina e nell’avere quindi una
funzione diversa nella procreazione di altri esseri umani. Con ciò si afferma
che la sessualità e il suo esercizio sono realtà volute da Dio e quindi per
loro natura buone; che l’uomo e la donna sono nella stessa misura immagini di
Dio, non per la loro sessualità, perché Dio non è né maschio né femmina, ma
per il fatto che l’essere-uomo e l’essere-donna hanno perfezioni proprie che
in diversa maniera riflettono l’infinita perfezione di Dio.
Ma la diversità tra l’uomo e la donna non deve
essere vista come «opposizione», bensì come «complementarità», per cui
l’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altra. Perciò ogni «dominio»
dell’uomo sulla donna e ogni idea di «inferiorità» della donna rispetto
all’uomo sono contrari alla volontà di Dio e frutto del peccato, che fin
dalla sua origine ha segnato l’uomo e ha reso la storia umana così tragica e
dolorosa. Ma il peccato dell’uomo non ha reso vano il disegno che Dio ha avuto
creando l’essere umano: quello di predestinarlo ad essere «conforme
all’immagine del Figlio suo» (Rm 8,29), e, per l’opera creatrice e
redentrice di Cristo, di innalzarlo alla dignità di figlio di Dio e alla
partecipazione della sua stessa natura divina.
(1)
M. MALDANÉ, «Evolution et création», in Revue Thomiste 96 (1996) 580.
Nel suo discorso per il
600 anniversario della rifondazione della Pontificia Accademia delle Scienze (22
ottobre 1996), Giovanni Paolo Il affermò: «Tenuto conto dello stato delle
ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della
teologia, l’enciclica Humani generis considerava la dottrina
dell”’evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una
riflessione approfondita al pari dell’ipotesi opposta [...]. Oggi, circa mezzo
secolo dopo la pubblicazione dell’enciclica, nuove conoscenze conducono a non
considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota
il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei
ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline
del sapere. La convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei
lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un
argomento significativo a favore di questa teoria». Una critica serrata alla
teoria dell’evoluzione è condotta invece da D. RAFFARD DE BRJENNE, Per
finirla con l’evoluzionismo. Delucidazioni su un mito inconsistente, Roma,
Il Minotauro, 2003.
(2) La teoria «sintetica» risulta dall’incontro di
tre discipline: la paleontologia (G. G. Simpson), la genetica (T. Dobzhansky) e
la sistematica (E. Mayr). Questo incontro avvenne a partire dal 1930; verso il
1945-50 la teoria sintetica si è imposta progressivamente nella comunità
scientifica. La teoria degli «equilibri punteggiati» (punctuated equilibria)
è proposta da N. Eldredge e da S.J. Gould in numerose opere. Cfr 5. S.J.
Gould - N. ELDREDGE, «Punctuatedequilibria: the tempo e and mode of evolution
reconsidered», in Paleobiològy, 1977, n. 3,115-151; S.J. Gould, «L’evoluzione
della vita sulla terra», in Scienze, 1994, n. 316, 65-72.
Un’esposizione dell’evoluzione umana da un punto di vista della genetica
molecolare si trova in A. SERRA, «Le origini biologiche dell’uomo», in Civ.
Catt.
1998 iv 16-30.
(3)
CH. DEVILLERS - H. TINTANT, Questions
sur la théorie de l’évolution, Paris, PUF, 1996, 92.
(4)
I.-M. MALDANÉ, «L’émergence de l’homme comme événement de l’âme»,
in Revue Thorniste 101 (2002) 98.
(5) F. FACCHINI, «Uomo, identità biologica e
culturale», in G. TANZELLA-NITTI - A. STRUMIA (edd.), Dizionario
interdisciplinare di Scienza e Fede, vol. II, Città del Vaticano, Roma,
Urbaniana University Press - Città Nuova, 2002, 1.464. Raccomandiamo questo Dizionario
sia per il suo valore culturale e scientifico, dovuto al fatto che
all’elaborazione, assai ampia, delle singole voci hanno collaborato
specialisti delle singole materie, sia perché è la prima volta, a quanto ci
consta, che in un Dizionario vengono affrontati i problemi sotto
l’aspetto sia scientifico sia filosofico e teologico, in forma unitaria,
smentendo l’idea, ancora oggi assai diffusa in certi ambienti, di una
opposizione radicale tra scienza e fede. A proposito dei meccanismi
dell’evoluzione, E Facchini osserva giustamente che «se l’evoluzione come
evento viene suffragata da molti elementi, una spiegazione pienamente
soddisfacente delle cause e dei meccanismi con cui è realizzata non è stata
però ancora raggiunta. Spesso il darwinismo viene presentato come sinonimo di
evoluzione o di teoria evolutiva. In realtà, il darwinismo, anche nella
sua versione (o sintesi) moderna che vede nella
casualità delle mutazioni genetiche e nella selezione naturale il meccanismo di
tutta l’evoluzione, rappresenta soltanto una possibile spiegazione dei momenti
del processo evolutivo. Essa appare ben fondata a livello microevolutivo, ma non
viene ritenuta soddisfacente per rendere ragione dell’evoluzione nel suo
insieme, specialmente per le dimensioni privilegiate che in essa si individuano,
per cui si vanno ricercando anche altri meccanismi» (ivi).
(6) L. TATTERSAL, Il cammino dell’uomo, Milano,
Garzanti, 2004, 122.
(7) L’aggettivo erectus non significa che la
stazione eretta sia stata raggiunta con questa specie, perché già l’Homo
habilis aveva la stazione eretta. Il termine è un ricordo del nome dato
agli antichi fossili ritrovati a Giava alla fine del secolo XIX: Pithecanthropos
erectus.
(8) Ivi, 156.
(9) Il «creazionismo» è una teoria, nata in
ambiente anglosassone alla fine dell’Ottocento, in opposizione all’«evoluzionismo»
materialista e ateo: esso interpreta in maniera letterale i primi capitoli del
libro della Genesi, che parlano della creazione del mondo in sei giorni e della
formazione del primo uomo dal fango della terra. Perciò i «creazionisti»
ritengono che Dio abbia creato tutte le forme viventi così come sono
attualmente (fissismo), negando per conseguenza ogni evoluzione delle specie
viventi. Negli ultimi decenni del secolo XX in alcuni Stati degli Stati Uniti,
come il Kansas, ci sono state dispute legali fra «creazionisti» ed «evoluzionisti»,
per ottenere che nei programmi scolastici non si inserisse l’«evoluzionismo»
come materia d’insegnamento. Si deve però notare che il termine «evoluzionismo»
non indica la teoria dell’evoluzione in senso stretto, che è una teoria «scientifica»,
ma indica una visione filosofica che fa dell’universo un processo in continuo
mutamento, senza che sia possibile riconoscere in esso né la presenza di un
soggetto stabile né l’esistenza di un fine, né tanto meno l’idea di una
creazione da parte di Dio, essendo l’ateismo un presupposto essenziale e
irrinunciabile della filosofia evoluzionistica.
(10) La concezione dell’anima spirituale come forma
corporis appartiene alla fede cristiana. Essa è stata definita dal Concilio
di Vienne (Francia) il 6 maggio 1312, per cui chi asserisce che «l’anima
razionale o intellettiva non sia, per se stessa ed essenzialmente, forma del
corpo, si deve ritenere eretico» (DENZ.-SCHÒNM. 902).
(11)
Gaudium et spes, n. 14, i.