Viaggio attraverso la Bibbia

Il leone

Il leone è universalmente considerato quale simbolo di regalità, di potenza e di nobiltà. Il suo corpo muscoloso, la sua criniera, il suo sguardo acuto, denti affilati e la forma degli artigli suscitano in noi l’impressione di perfezione. Il   «re della foresta» appartiene alla famiglia dei felidi; predatore per eccellenza, vive in una grande va­rietà di habitat: dai deserti alle regioni artiche. I leoni vivono in gruppi familiari di 20 o 30 individui, composti da 5-15 femmine, dalla loro prole, e da 1-6 maschi. Ogni gruppo possiede e difende il proprio terri­torio di caccia. Prevalentemente terricoli, i leoni sono abili arrampicatori e bravi nuotatori. Hanno un olfatto sensibilissimo e lo usano per comunicare, mentre quando cacciano si affidano soprattutto alla vista e all’udito. La visione binoculare permette loro una per­fetta valutazione delle distanze, e lo strato di cellule riflettenti nell’occhio potenzia la visione notturna, che è fino a sei volte più efficiente della nostra. Le orec­chie mobili incanalano il suono fino all’orecchio in­terno che può percepire i suoni ad alta frequenza emessi dalle prede piccole come i topi. I maschi, di pelo rossiccio-bruno, sono caratteriz­zati da una folta criniera che le femmine non possie­dono. Il maschio adulto è lungo circa due metri esclu­sala coda, e pub pesare sino a 230 chili. Per trovare ci­bo a sufficienza, si muovono su vasti territori, le cui dimensioni variano da 20 a 500 kmq, all’interno dei quali essi possono spostarsi anche per 20km al giorno.

Il ruggito del leone svolge dì solito la funzione di segnale territoriale, ma solo gli adulti hanno una laringe adatta a produrlo. La caccia generalmente viene praticata in gruppo: un individuo, solitamente femmina, spinge la preda verso gli altri membri del gruppo che stanno in agguato. I leoni sono capaci di soffocare la preda e di frantumarne le ossa, all’altezza della cervice o della gola, grazie alla saldissima dentatura che è perfettamente adattata alla loro dieta a base di carne.

 

Il    simbolismo del leone nelle religioni antiche

Per la sua maestà e la sua prestanza il re degli ani­mali è anche l’animale dei re e degli dei E’ curioso notare che il simbolismo del leone, molto presente nella mitologia egizia, greca e induista, venne associato alla femminilità; sono infatti quasi sempre le dee ad esse­re rappresentate con questo aspetto. Nell’antico Egitto l’associazione più famosa concerne Sekhmet, la dea della guerra, la quale, in veste di leonessa selvaggia, stermina gli uomini che hanno complottato contro Ra (il dio creatore, signore del ciclo e degli elementi). A Sekhmet, venerata soprattutto a Menfi, viene dato l’epiteto di «la più potente». Nel pantheon greco, Ecate, la dea della magia, ha una triplice testa: di leonessa, di cagna e di giumenta. i carri di Demetrea e di Rea - entrambe divinità della terra - sono trainati da leoni.

Su un diverso piano simbolico, il leone interviene nel corso del combattimento tra il bene e il male. Di Eracle, fìglio di Zeus, si narra che ancora in età tene­ra uccise un leone sul monte Critone e, successiva­mente, tra le sue «Dodici fatiche» affronta il leone Nemea: prima lo soffoca tra le sue braccia vigorose, e in­fine, dopo averlo scuoiato, si copre della sua pelle. Al termine di questo combattimento, Zeus pone il leone nel numero delle costellazioni.

In Assiria il leone era circondato da venerazione e solo i membri della famiglia reale avevano il privilegio della sua caccia, in Africa, da sempre, è simbolo del capo tribù: Mari-Jata, il fondatore dell’antico Mali, come segno di venerazione, aveva il titolo «leone di Mali».

 

La metafora del leone nella Bibbia

Fino al secolo XII, orsi, leopardi e leoni erano animali consueti della fauna del medio oriente, Come nell’Arabia, nella Siria e nella Macedonia, così anche in Israele, nei tempi antichi, sulle montagne del Liba­no e sulle vette deIl’Antilibano si trovavano habitat di tali animali feroci: «Vieni con me dal Libano, o sposa, con me dal Libano vieni! Osserva dalla cima dell’Amana, dalla cima di Senir e dell’Ermon, dalla tane dei leo­ni, dai monti dei leopardi” (Ct 4,8).

Nella Bibbia, in chiave simbolica, rappresentante di forza e di valore, c’è naturalmente il leone: « Tre esseri  hanno un portamento maestoso, anzi quattro sono eleganti nel camminare: il leone, il più  forte degli animali, che non indietreggia davanti a nessuno; il gallo pettoruto, il caprone e un re alla testa del suo popolo» (Pr 30,29-30).

Il leone era simbolo della tribù di Giuda (Gen 49,9) e dei re della stirpe di Davide (compreso il Messia cf Ap 5,5 ndr). Anche Salomone aveva dei leoni scolpiti sul suo trono e, successiva­mente, nel tardo giudaismo, il leone era uno dei soggetti preferiti delle decorazioni sinagogali. Tale raffigurazione sfuggiva in qualche modo alla censura sulla rappresentazione artistica.

Oltre la presenza reale dei leoni in Israele, nella Bibbia, la manifestazione dell’ira di Dio sui popoli della terra è descritta, con toni violenti. Nell’oracolo di Isaia il deserto del Negheb è popolato da leonesse, leoni ruggenti, vipere e draghi volanti (Is 30,6).

Nel libro del profeta Amos la Parola di Dio è paragonata ad un ruggito: «Il Signore ruggisce da Sion e da Gerusalemme fa udire la sua voce» (Am 1,2). Que­sto ruggito ha qualcosa di teofanico, come la voce del tuono: «Ruggisce il leone: chi non trema? Il Signore ha parlato: chi può non profetare?» (Am 3,8). Il simbolo del leone ben convoglia l’idea di forza e di sorgente di timore. A proposito notiamo che le lettere che compongono la parola ebraica «leone» sono ‘ryh che, lette al contrario, diventano hyr’ ossia la «paura/il timore».

L’appello di Dio è irresistibile, come la paura su­scitata dal ruggito del leone; perciò Amos è obbligato a profetizzare. La parola del Signore ha infatti una for­za che s’impone con veemenza e il profeta vuole esse­re questa «voce del leone» che turba e scuote le co­scienze, promuovendo, con l’annuncio di un castigo imminente, un cambiamento di vita.

Il profeta Geremia sembra testimoniare l’uscita minacciosa dalle selve di bestie feroci che si sarebbero avvicinate persino alle porte della città della Giudea, per sbranare quanti sarebbero usciti per recarsi alla campagna. La punizione è inevitabile e radicale: il popolo-vigna, che è diventato infedele al suo Signore, è condannato da Dio perché ha assecondato l’irreligio­sità dei suoi membri: «Mi rivolgerò ai grandi e parlerò con loro. Certo, essi conoscono la via del Signore, il diritto del loro Dio. Ahimè, anche questi hanno rotto il giogo, hanno spezzato i legami! Per questo li azzanna il leone della foresta, il lupo delle steppe ne fa scempio» (Ger 5,5-6).

Con l’immagine del leone è descritto inoltre l’assoluto dominio di Dio nella storia, per cui egli è capace di compiere una totale distruzione: «Io sarò come un leone per Efraim, come un leoncello per la casa di Giuda. lo farò strage e me ne andrò, porterò via la preda e nessuno me la toglierà. Me ne ritornerò alla mia di­mora finché non avranno espiato e cercheranno il mio volto, e ricorreranno a me nella loro angoscia» (Os 5,14-15). Osea afferma che Dio è il vero leone per Efraim e Giuda: il più potente nemico o alleato che dovreb­bero temere o cercare.

Nella letteratura sapienziale, le fiere sono stereotipi del pericolo e della minaccia. Sotto l’immagine teriomorfa del leone, l’orante allude alle accuse e alle persecuzioni morali. I nemici del giusto perseguitato sono infatti paragonati a delle belve che si appostano per assalto: «...contro di me digrignano i denti; libera la mia vita dalla loro violenza, dalle zanne dei leoni, l’unico mio bene; spalancano contro di me la loro bocca» (SaI 35,16.17.21). Gli aggressori vengono così dipinti nelle loro caratteristiche bestiali più temibili e si dice di loro che sono grandi, invincibili, armati di zanne e artigli potenti, pronti a sbranare, seminatori di morte. (Sal 7,3 22,14.22). Il «malvagio che strazia la carne»  (SaI 27,2) è un modulo costante per definire i nemici carichi di odio, di calunnia e di malizia (cf  SaI 14,4; Gb 19,22; 31,31). La testimonianza di accusa è spesso vista come pluralità massiccia e impressionante, come appunto un leone che si scaglia contro la preda. Tale immagine è uno dei leit-motif della cosiddetta «lamentazione individuale» (Sal 25,19; 31,14; 563; 119,157; 129,1; Gb 30,12; 35,9).

 

Daniele nella fossa dei leoni

«Resh Lakish disse: il re degli animali selvatici è il leone, il re degli armenti è il bue, il re degli uccelli è l’aquila­; e l’uomo è esaltato sopra di essi; e il Santo, sia bene­detto, è esaltato al di sopra di essi e al di sopra del mondo intero» (Talmnd gerosolomitano, Chagiga, 13b).

I «giusti del Signore» spesso sono esposti a vari pericoli e prove. Anzi, sembra che sia Dio a procurare loro grandi tribolazioni mediante l’ostilità e la persecu­zione dei nemici, fino al punto di fronteggiare la mor­te, ma, al contempo, sarà lo stesso Dio ad esaudire la preghiera dei suoi fedeli, salvandoli dalla tribolazione (Sal 9,10; 31,7; 33,7; 90,15). Il giusto concepisce quindi le avversità e le angosce che colpiscono la sua vita come esperienze di una storia salvifica personale, che per i fedeli di ogni tempo hanno un carattere paradigmatico.

Daniele, nel libro che porta il suo nome, riveste molti ruoli: egli è un funzionario presso la corte di Nabucodonosor (cap 1,1-6); interprete divisioni e sogni (capp 2-5); veggente (capp 7-12); ha il dono del discernimento (cap 13); è infine, l’uomo di fiducia del re Ciro (cap 14).

Nel capitolo 6 lo vediamo come il «giusto perseguitato»: nonostante la pena di morte per coloro che adorassero altri dei se non il re. Daniele si oppone palesemente al decreto di Dario: “Le finestre della sua stanza si aprivano verso Gerusalemme e tre volte al giorno si metteva in ginocchio a pregare e lodava il suo Dio, come era solito di fare anche prima»(6,11b).

I suoi nemici attendevano proprio questa scena per poterlo denunciare dinanzi al re. Il versetto 15 riferisce che il re, all’udire le parole dei congiurati, , era «molto addolorato» e «fece ogni sforzo» per liberare Daniele (v. 15), ma, secondo l’usanza dei Medi dei Persiani, la legge una volta promulgata, diviene immutabile (v. 16). Perciò al re non resta altro che ordinare l’esecuzione di Daniele. Stranamente il sovrano gli augura: «Quel Dio che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!»  (v. 17b).

Quindi Daniele viene gettato tra i leoni: all’imboccatura della fossa pongono una pietra e, come segno di irreversibilità, il sigillo del re e suoi dignitari (v. 18). Da questo punto, fino al v. 22, il lettore ignora la sorte di Daniele. E stato sbranato?

Il   narratore tiene sospeso gli animi: anziché Daniele, descrive nei minimi dettagli il travaglio del re, il quale «tormentato dalla cattiva coscienza, passa la notte in digiuno e senza sonno» (v. 19).

Allo spuntar del giorno il re si reca in fretta alla fossa dei leoni a chiamare Daniele: «Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che tu servi con perseveranza ti ha potuto salvare dai leoni? » (v. 21). Daniele, il cui no­me significa «il mio giudice è Dio», non tarda a ri­spondere positivamente: «Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui» (vv. 22-23); egli, poiché ha posto nel Signore la sua fiducia, anche nel pericolo mortale resta sereno: Dio infatti, è il «rifugio», l’area di difesa protetta entro cui egli è al riparo dagli assalti del ma­le. Nulla potrà colpire il giusto, affidato com’è alla protezione divina.

I leoni di questa storia diventano strumenti di Dio fino a distinguere l’innocente dal peccatore. Il giusto esce illeso dalla fossa, mentre i suoi accusatori vengono gettati ai leoni (v. 25). Daniele può affermare che Dio è intervenuto, ha mandato un angelo a chiudere le fauci dei leoni. Il re riconosce nella sua miracolosa liberazione il giudizio divino, proclamando il Signore «Salvatore» (v. 28). Oppressione, persecuzione, pericolo di morte, e chiunque stia dietro ad esse, non sono in grado di separare i credenti da Dio, che è la loro guida, perché egli è fedele a coloro che gli sono fedeli.

Agnes Linder

Fonte: La Vita in Cristo e nella Chiesa n. 7 - 2007

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