Viaggio
attraverso la Bibbia
Il leone
Il leone è universalmente considerato
quale simbolo di regalità, di potenza e di nobiltà. Il suo corpo muscoloso,
la sua criniera, il suo sguardo acuto, denti affilati e la forma degli artigli
suscitano in noi l’impressione di perfezione.
Il ruggito del leone svolge dì solito
la funzione di segnale territoriale, ma solo gli adulti hanno una laringe adatta
a produrlo. La caccia generalmente viene praticata in gruppo: un individuo,
solitamente femmina, spinge la preda verso gli altri membri del gruppo che
stanno in agguato. I leoni sono capaci di soffocare la preda e di frantumarne le
ossa, all’altezza della cervice o della gola, grazie alla saldissima dentatura
che è perfettamente adattata alla loro dieta a base di carne.
Il
simbolismo del leone nelle religioni antiche
Per la sua maestà e la sua prestanza il
re degli animali è anche l’animale dei re e degli dei E’ curioso notare
che il simbolismo del leone, molto presente nella mitologia egizia, greca e
induista, venne associato alla femminilità; sono infatti quasi sempre le dee ad
essere rappresentate con questo aspetto. Nell’antico Egitto l’associazione
più famosa concerne Sekhmet, la dea della guerra, la quale, in veste di
leonessa selvaggia, stermina gli uomini che hanno complottato contro Ra (il dio
creatore, signore del ciclo e degli elementi). A Sekhmet, venerata soprattutto a
Menfi, viene dato l’epiteto di «la più potente». Nel pantheon greco,
Ecate, la dea della magia, ha una triplice testa: di leonessa, di cagna e di
giumenta. i carri di Demetrea e di Rea - entrambe divinità della terra -
sono
trainati da leoni.
Su un diverso piano simbolico, il leone
interviene nel corso del combattimento tra il bene e il male. Di Eracle, fìglio
di Zeus, si narra che ancora in età tenera uccise un leone sul monte Critone
e, successivamente,
tra
le sue «Dodici fatiche» affronta il leone Nemea: prima lo soffoca tra le sue
braccia vigorose, e infine, dopo averlo scuoiato, si copre della sua
pelle. Al termine di questo combattimento, Zeus pone il leone nel numero
delle costellazioni.
In Assiria il leone era circondato da venerazione e solo i membri della famiglia reale avevano il privilegio della sua caccia, in Africa, da sempre, è simbolo del capo tribù: Mari-Jata, il fondatore dell’antico Mali, come segno di venerazione, aveva il titolo «leone di Mali».
La
metafora del leone nella Bibbia
Fino al secolo XII, orsi, leopardi e
leoni erano animali consueti della fauna del medio oriente, Come nell’Arabia, nella
Siria e nella Macedonia, così anche in Israele, nei tempi antichi, sulle
montagne del Libano e sulle vette deIl’Antilibano si trovavano habitat di
tali
animali feroci: «Vieni con me dal Libano, o sposa, con me dal Libano
vieni! Osserva dalla cima dell’Amana, dalla cima di Senir e dell’Ermon,
dalla tane dei leoni, dai monti dei leopardi” (Ct 4,8).
Nella Bibbia, in chiave simbolica,
rappresentante di forza e di valore, c’è naturalmente il leone: «
Tre
esseri hanno un portamento
maestoso, anzi quattro sono eleganti nel camminare: il leone, il più
forte degli animali, che non indietreggia davanti a nessuno; il gallo pettoruto,
il caprone e un re alla testa del suo popolo» (Pr 30,29-30).
Il leone era simbolo della tribù di
Giuda (Gen 49,9) e dei re della stirpe di Davide (compreso il Messia cf Ap 5,5
ndr). Anche Salomone aveva dei leoni scolpiti sul suo trono e, successivamente,
nel tardo giudaismo, il leone era uno dei soggetti preferiti delle decorazioni
sinagogali. Tale raffigurazione sfuggiva in qualche modo alla censura sulla rappresentazione
artistica.
Oltre la presenza reale dei leoni in
Israele, nella Bibbia, la manifestazione dell’ira di Dio sui popoli della
terra è descritta, con toni violenti. Nell’oracolo di Isaia il deserto del
Negheb è popolato da leonesse, leoni ruggenti, vipere e draghi volanti (Is
30,6).
Nel libro del profeta Amos la Parola di
Dio è paragonata ad un ruggito: «Il Signore ruggisce da Sion e da
Gerusalemme fa udire la sua voce» (Am 1,2). Questo ruggito ha qualcosa di
teofanico, come la voce del tuono: «Ruggisce il leone: chi non trema? Il
Signore ha parlato: chi può non profetare?» (Am 3,8). Il
simbolo
del
leone
ben convoglia l’idea di forza e di sorgente di timore. A proposito notiamo che
le lettere che compongono la parola ebraica «leone» sono ‘ryh che,
lette al contrario, diventano hyr’ ossia la «paura/il timore».
L’appello di Dio è irresistibile,
come la paura suscitata dal ruggito del leone; perciò Amos è obbligato a
profetizzare. La parola del Signore ha infatti una forza che s’impone con
veemenza e il profeta vuole essere questa «voce del leone» che turba e
scuote le coscienze, promuovendo, con l’annuncio di un castigo imminente, un
cambiamento di vita.
Il profeta Geremia sembra testimoniare
l’uscita minacciosa dalle selve di bestie feroci che si sarebbero avvicinate
persino alle porte della città della Giudea, per sbranare quanti sarebbero
usciti per recarsi alla campagna. La punizione è inevitabile e radicale: il
popolo-vigna, che è diventato infedele al suo Signore, è condannato da Dio
perché ha assecondato l’irreligiosità dei suoi membri: «Mi rivolgerò
ai grandi e parlerò con loro. Certo, essi conoscono la via del Signore, il diritto
del loro Dio. Ahimè, anche questi hanno rotto il giogo, hanno spezzato i
legami! Per questo li azzanna il leone della foresta, il lupo delle steppe ne fa
scempio» (Ger 5,5-6).
Con l’immagine del leone è descritto
inoltre l’assoluto dominio di Dio nella storia, per cui egli è capace di
compiere una totale distruzione: «Io sarò come un leone per Efraim, come un
leoncello per la casa di Giuda. lo farò strage e me ne andrò, porterò via la
preda e nessuno me la toglierà. Me ne ritornerò
alla mia dimora finché non avranno espiato e cercheranno il mio volto, e
ricorreranno a me nella loro angoscia» (Os 5,14-15). Osea afferma che Dio è il
vero leone per Efraim e Giuda: il più potente nemico o alleato che dovrebbero
temere o cercare.
Nella letteratura sapienziale, le fiere
sono stereotipi del pericolo e della minaccia. Sotto l’immagine teriomorfa del
leone, l’orante allude alle accuse e alle persecuzioni morali. I nemici del
giusto perseguitato sono infatti paragonati a delle belve che si appostano per
assalto: «...contro di me digrignano i denti; libera la mia vita
dalla
loro violenza, dalle zanne dei leoni, l’unico mio bene; spalancano contro di
me la loro bocca» (SaI 35,16.17.21). Gli aggressori vengono così dipinti
nelle loro caratteristiche bestiali più temibili e si dice di loro che sono
grandi, invincibili, armati di zanne e artigli potenti,
pronti a sbranare, seminatori di morte. (Sal 7,3 22,14.22). Il «malvagio che
strazia la carne» (SaI 27,2)
è un modulo costante per definire i nemici carichi di odio, di calunnia e di
malizia (cf SaI 14,4; Gb
19,22; 31,31). La testimonianza di accusa è spesso vista come pluralità massiccia e
impressionante, come appunto un leone che si scaglia contro la preda.
Daniele
nella fossa dei leoni
«Resh
Lakish disse: il re degli animali selvatici è il leone, il re degli armenti è
il bue, il re degli uccelli è l’aquila; e l’uomo è esaltato sopra di
essi; e il Santo, sia benedetto, è esaltato al di sopra di essi e al di sopra del mondo
intero» (Talmnd gerosolomitano, Chagiga, 13b).
I «giusti del Signore» spesso sono esposti a vari pericoli
e prove. Anzi, sembra che sia Dio a procurare loro grandi tribolazioni mediante
l’ostilità e la persecuzione dei nemici, fino al punto di fronteggiare la
morte, ma, al contempo, sarà lo stesso Dio ad esaudire la preghiera dei suoi
fedeli, salvandoli dalla tribolazione (Sal 9,10; 31,7; 33,7; 90,15). Il giusto
concepisce quindi le avversità e le angosce che colpiscono la sua vita come
esperienze di una storia salvifica personale, che per i fedeli di ogni tempo
hanno un carattere paradigmatico.
Daniele, nel libro che porta il suo
nome, riveste molti ruoli: egli è un funzionario presso la corte di
Nabucodonosor (cap 1,1-6); interprete divisioni e sogni (capp 2-5); veggente (capp
7-12); ha il dono del discernimento (cap 13); è infine, l’uomo di fiducia del
re Ciro (cap 14).
Nel capitolo 6 lo vediamo come il «giusto
perseguitato»: nonostante la pena di morte per coloro che adorassero altri dei
se non il re. Daniele si oppone palesemente al decreto di Dario: “Le
finestre della sua stanza si aprivano verso Gerusalemme e tre
volte al giorno si metteva in ginocchio a pregare e
lodava il suo Dio, come era solito di
fare anche prima»(6,11b).
I suoi nemici attendevano proprio
questa scena per poterlo denunciare dinanzi al
re. Il versetto 15 riferisce che il re, all’udire le parole dei
congiurati,
, era
«molto addolorato» e «fece ogni sforzo» per liberare Daniele
(v. 15),
ma,
secondo l’usanza
dei
Medi dei Persiani,
la legge una volta promulgata, diviene immutabile
(v. 16). Perciò al re non resta altro che ordinare l’esecuzione di Daniele.
Stranamente il sovrano gli augura: «Quel Dio che tu servi con perseveranza,
ti possa salvare!» (v. 17b).
Quindi Daniele viene gettato tra
i leoni: all’imboccatura della fossa pongono una pietra e, come segno di
irreversibilità, il sigillo del re e suoi dignitari (v. 18). Da questo punto,
fino al v. 22, il lettore ignora la sorte di Daniele. E stato sbranato?
Il
narratore tiene sospeso gli animi: anziché Daniele, descrive nei minimi
dettagli il travaglio del re, il quale «tormentato dalla cattiva coscienza, passa la notte in digiuno e senza
sonno» (v. 19).
Allo spuntar del giorno il re si
reca in fretta alla fossa dei leoni a chiamare Daniele: «Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che tu servi con
perseveranza ti ha potuto salvare dai leoni? » (v. 21). Daniele, il cui nome
significa «il mio giudice è Dio», non tarda a rispondere positivamente: «Il
mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi
hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui» (vv.
22-23); egli, poiché ha posto nel Signore la sua fiducia, anche nel pericolo
mortale resta sereno: Dio infatti, è il «rifugio», l’area di difesa
protetta entro cui egli è al riparo dagli assalti del male. Nulla potrà
colpire il giusto, affidato com’è alla protezione divina.
I
leoni di questa storia diventano strumenti di Dio fino a distinguere
l’innocente dal peccatore. Il giusto esce illeso dalla fossa, mentre i suoi
accusatori vengono gettati ai leoni (v. 25). Daniele può affermare che Dio è
intervenuto, ha mandato un angelo a chiudere le fauci dei leoni. Il re riconosce
nella sua miracolosa liberazione il giudizio divino, proclamando il Signore «Salvatore» (v. 28). Oppressione, persecuzione, pericolo di
morte, e chiunque stia dietro ad esse, non sono in grado di separare i credenti
da Dio, che è la loro guida, perché egli è fedele a coloro che gli sono
fedeli.
Fonte: La Vita in Cristo e nella Chiesa n. 7 - 2007