Percorsi di Fede |
GESÙ E I SUOI “FRATELLI”
La scoperta di un graffito e il dibattito sui parenti di Cristo
di Gianfranco Ravasi
Tutti i giornali hanno dato notizia di un articolo apparso sul numero di ottobre-novembre della Biblical Archaeology Review in cui un noto studioso francese, Andrè Lemaire, informava sulla scoperta dell’iscrizione aramaica: “Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù”, incisa sul lato di un’urna funeraria databile del I sec. D.C. e appartenente a una collezione privata. In attesa di una documentazione più ampia e specifica (la rivista in questione anche se settoriale, è divulgativa), l’attenzione s’è spostata sull’antica questione dei “fratelli” di Gesù.
Ricostruiamo gli antefatti storici della questione, partendo da un paio di passi del Vangelo di Marco. Gesù passa dal suo villaggio, Nazaret. E’ sabato e va da buon ebreo in sinagoga ove tiene un discorso che impressiona tutti. Scattano subito le reazioni tipiche di un piccolo paese e lo stupore si trasforma in ironia e sospetto. “Da dove vengono queste doti? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, è il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?”. Fin dalle origini cristiane ci si è interrogati proprio sull’identità di questi “fratelli e sorelle” rispetto ai quali Gesù sembra prendere le distanze anche in un’altra occasione. Un giorno, infatti, gli comunicano: ”Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano!”. E Gesù: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi, dopo aver girato lo sguardo sugli uditori, continua: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre”.
Anche lo storico giudaico
Giuseppe Flavio (I sec.) nella sua opera Antichità giudaiche (XX, 200) parla di
Giacomo, responsabile della Chiesa di Gerusalemme, come di un “fratello di Gesù
detto il Cristo”. Una prima e antica identificazione di questi “fratelli” appare
in uno scritto apocrifo (cioè non accolto nel Canone delle Sacre Scritture)
composto nel II secolo, il cosiddetto Protovangelo di Giacomo. In esso Giuseppe
al momento del matrimonio con Maria, confessa: “Ho figlie sono e sono vecchio,
mentre lei è una ragazza!” I “fratelli” di Gesù sarebbero per quest’opera
“fratellastri”, nati da un precedente matrimonio di Giuseppe. Sempre nel II
secolo un autore cristiano di origine palestinese, un certo Egesippo, nelle sue
memorie parla di “parenti” di Gesù che furono processati dai Romani sotto
l’imperatore Domiziano, quindi sul finire del I secolo: Questa tesi fu accolta
anche dal famoso traduttore latino della Bibbia, san Girolamo, che nei
“fratelli” e nelle “sorelle” di Gesù vide in pratica i cugini, cioè gli
appartenenti al clan familiare di Maria. Egli sostenne questa tesi nell’opera De
perpetua virginitate polemizzando aspramente contro un tale Elvidio, suo
contemporaneo (IV secolo), che affermava trattarsi invece di figli avuti da
Maria e Giuseppe successivamente rispetto a Gesù, tesi sostenuta anche da alcuni
esegeti moderni. Uno degli argomenti addotti era la frase del Vangelo di Luca in
cui si dice che Maria “diede alla luce il suo primogenito”, Gesù (2,7). E’ però
da notare che il termine ‘primogenito’ ha di per sé valore giuridico e
sottolinea i diritti biblici connessi alla primogenitura. Curiosamente in un
documento aramaico del I secolo si parla di una madre (di nome Maria essa pure)
che morì dando alla luce “il suo figlio primogenito”.
L’esegesi storico-critica moderna ha fatto notare poi che nell’aramaico o
nell’ebraico il termine “fratello”(‘aha’ e ‘ah) indica sia il fratello, sia il
cugino, sia il nipote, sia l’alleato: nella Genesi Abramo chiama il nipote Lot
“fratello” (13,8), come fa Labano col nipote Giacobbe (29,15). Inoltre
l’espressione “fratelli del Signore” nel Nuovo Testamento designa un gruppo ben
definito, quello dei cristiani di origine giudaica legati al clan nazareno di
Cristo. Essi costruirono una specie di comunità a sé stante, dotata di una sua
autorevolezza al punto tale da poter proporre un proprio candidato come primo
“vescovo” di Gerusalemme, Giacomo (Atti 15, 13; 21, 18). Nel brano sopra citato
(Marco 3, 31 - 35) Gesù sembra ridimensionare i loro privilegi e ridurli
all’orizzonte più generale e più significativo della fedeltà alla volontà del
Signore. Per altro essi non sono mai chiamati, come Gesù, “figli di Maria”.
A questo punto, però, entra in scena la nostra iscrizione ove si avrebbe “figlio
di Giuseppe” e quindi si inviterebbe a considerare Giacomo come fratello carnale
di Gesù, magari come figlio avuto da Maria dopo aver generato Gesù. Prescindendo
dal discorso teologico sulla verginità di Maria, attestata dalla fede cristiana
antica, e rimanendo nell’ambito puramente storico - critico, bisogna essere in
realtà molto cauti. Lo stesso Lemaire riconosce che “tenendo conto del numero di
abitanti di Gerusalemme (ca.80.000) e dell’onomastica dell’epoca, vi potevano
essere almeno una ventina di Giacomo che avevano un padre chiamato Giuseppe e un
fratello denominato Gesù”, trattandosi di nomi comunissimi.
Supponendo pure che l’espressione “fratello di Gesù” -piuttosto inattesa in un’epigrafe funeraria- sia stata introdotta proprio per rimandare a Cristo, figura nota, non si potrebbe però storicamente escludere né la tesi dalla paternità solo legale di Giuseppe nei confronti di Gesù, paternità attestata dal Vangelo di Matteo, né la tesi di una precedente prole di Giuseppe, attestata dall’antica tradizione apocrifa.
Avvenire 24 novembre 2002