Percorsi di Fede

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BIBBIA: LE DOMANDE SCOMODE

a cura di Mons. Gianfranco Ravasi

Da chi è nata la moglie di Caino?

Fernando Compagnoni: Caino e Abele sacrificano a Dio

Dalla Bibbia illustrata delle Edizioni S. Paolo

 

L’ermeneutica, ossia la corretta interpretazione di un testo, è una componente decisiva dell’autentica esegesi. Naturalmente la particolare qualità delle Scritture, che sono al tempo stesso Rivelazione trascendente ed eterna e vicenda e parole umane con tutto il loro carico di storicità e di relatività, rende il compito dell’ermeneutica biblica particolarmente delicato. Ci sono, infatti, metodi e vie squisitamente teologiche e percorsi interpretativi storico-critici: entrambi questi ambiti devono essere tenuti in equilibrio. Vorremmo fare un esempio di interpretazione corretta, partendo da un frammento testuale curioso dei primi capitoli della Genesi. Leggiamo, infatti, che: «Adamo si unì a sua moglie, la quale concepì e partorì Caino [...]. Poi, partorì ancora suo fratello Abele [...]. [Dopo il fratricidio] Caino abitò nel paese di Nod, a oriente di Eden. Là si unì alla moglie che conce­pì e partori Enoch» (Gen 4,1-2.16-17). E ovvio che, stando sempre alla lettera, qualcosa non quadra: o Adamo ed Eva non sono l’unica coppia primordiale oppure Caino si sarebbe sposato con un’ulteriore sua sorella di cui non si fa cenno e che, comunque, sarebbe andata ad abitare all”’estero” (Nod).

In realtà, queste contraddizioni nascono da una lettura “letteralista” o “fondamentalista” della Bibbia che non tiene conto del genere letterario delle pagine di apertura della Genesi, cioè della loro vera qualità che non è quella di essere pagine storiche in senso “storiografico”, quasi fossero documenti d’archivio. D’altronde, come sarebbe stato possibile avere documenti di un’epoca primordiale in cui non esisteva ancora la scrittura? Quelle pagine, infatti, sotto l’apparenza di un racconto storico rivelano un’altra tipologia più raffinata che ora cercheremo di precisare. Già la traduzione della Bibbia “ufficiale” italiana della Conferenza episcopale è significativa. Se si leggono i capitoli 2-3 della Genesi, ci si accorge che si traduce “l’uomo” e non “Adamo”: in ebraico, infatti, si ha ha-’adam ove ha- è l’articolo e ‘adam significa “uomo” (letteralmente “uno che ha il colore ocra” del terreno). Il protagonista, perciò, è l’umanità in quanto tale, presente nel primo uomo ma anche nei suoi discendenti, in noi e nei figli che seguiranno. Nel loro linguaggio sofisticato gli studiosi affermano che quelle pagine bibliche vogliono offrirci un”’eziologia metastorica sapienziale”. Detto in parole più accessibili, siamo in presenza di un’apparente narrazione storica (con eventi, colpi di scena, personaggi precisi e una trama) che ha però un valore teologico, “sapienziale”, che vuole cioè farci scoprire il senso ultimo e profondo dell’essere uomini e donne — ha-’adam o hawwah, Eva, “la vivente” — nel bene e nel male. Questa narrazione vuol farci risalire alla fonte stessa dell’umanità per trovarne il senso, la spiegazione, la finalità: è, quindi, un’eziologia, parola di matrice greca che indica la ricerca delle cause, del significato, della sorgente del fiume della vita umana che giunge fino all’oggi.

Lo scopo non è spiegare cosa sia successo con precisione alle origini, ma individuare chi è veramente l’uomo, nella sua realtà intima, quella che permane in tutte le persone e in tutte le epoche: è per questo che si parla di “metastoria”, cioè di qualcosa che è “oltre” la pura storia documentabile, quel filo segreto sotteso a tutte le creature umane e alle loro vicende storiche. La Bibbia, dunque, risale all’archetipo — che chiama appunto ha‘adam, l’Uomo per eccellenza — per identificare ciò che è fondamentale in tutti coloro che si chiamano “uomini” e “viventi” o “madri della vita” (Eva), cioè “donne”. Da un lato, nel capitolo 2, si mostrerà lo splendore dell’armonia tra l’umanità e Dio e il mondo (gli animali) e all’interno della coppia umana; d’altro lato, nel cap. 3, si mostrerà la tragedia del peccato “originale”, che fiorisce dalla libertà e che infrange quell’armonia. In questa luce non dobbiamo leggere “letteralisticamente” la storia di Abele e Caino. Essa, infatti, incarna la violenza che pervade l’umanità e che divide la società: non per nulla si oppongono due modelli di vita, quello agricolo-sedentario di Caino e quello nomadico-pastorale di Abele. Il nome stesso di Caino, se è vero che è dalla Bibbia riportato al verbo ebraico qanah, “acquistare, generare, creare” (sua madre, partorendolo, esclama: «Ho acquistato/generato un uomo dal Signore», Gen 4,1), è altrettanto vero che rimanda anche al nome di una tribù, quella dei Qeniti, spesso in tensione con Israele, e che di sua natura potrebbe indicare un’attività “industriale” urbana, quella del “lavoratore di metalli”. Come è evidente, l’autore sacro trasferirebbe — anche in questo caso con un’eziologia — un dato concreto della storia, di cui è spettatore, alle origini per individuarne il senso profondo, cioè lo scontro tra società, modi di vita e civiltà. Una corretta lettura della Bibbia richiede, dunque, una corretta interpretazione che tenga conto dell’espressione storico-letteraria e del messaggio teologico.

 

Gianfranco Ravasi, Da chi è nata la moglie di Caino?, in Vita Pastorale 2005 nn. 8-9 p. 56

 

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