Percorsi di Fede |
BIBBIA: LE DOMANDE SCOMODE
a cura di Mons. Gianfranco Ravasi
Da La Bibbia illustrata di Fernando Compagnoni EP
Perché
Gesù si fece battezzare da Giovanni?
Nel
vangelo della liturgia della Il
domenica per annum (Anno B ndr), si legge questo passo: «Giovanni Battista
stava là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che
passava, disse: Ecco l’agnello di Dio! E i due discepoli, sentendolo parlare
così, seguirono Gesù» (Gv 1,35-37). Com’è evidente, due seguaci del
Battista abbandonano il loro maestro e si avviano sulla strada del nuovo
“profeta” messianico indicato da Giovanni. Questo fatto si è ripetuto a più
riprese durante la vita di Gesù ma, per quanto riguarda i discepoli del
Battista, non fu così pacifico come questo racconto sembra dimostrare.
Vorremmo, perciò, affrontare — sia pure in modo molto semplificato — la
questione, più delicata di quanto appaia, del rapporto tra Cristo e il suo
precursore e soprattutto tra le due comunità che si erano create attorno a
loro.
La
figura di Giovanni Battista (cioè il
Battezzatore) appare solenne agli esordì della vita pubblica di Gesù, come lo
era stato agli inizi stessi del suo ingresso nel mondo, se stiamo al racconto
del capitolo 1 di Luca. Non mancano anche tensioni e confronti tra le due
figure, registrati soprattutto dal quarto vangelo (Gv 1,6-8; 1,19-39; 3,22-36).
Uno studioso italiano, il professor Edmondo Lupieri, ha seguito la vicenda del
Battista non solo nei vangeli ma anche nella tradizione successiva, vicenda
sospesa tra storia e leggenda, con la costituzione di un gruppo che rimandava al
precursore come se fosse lui il vero Messia. Per questa ragione si marca nei
vangeli la confessione che Giovanni fa della sua dipendenza e finalizzazione a
Gesù, colui che “deve crescere” e occupare la scena della salvezza. In
questa luce desta qualche sorpresa la rappresentazione del battesimo di Cristo
al Giordano. Gli esegeti fanno notare che l’evento è indubbiamente storico,
secondo quel criterio di verifica che è definito della “discontinuità”. Infatti mai si sarebbe creato artificiosamente un episodio nel quale Gesù
risultasse inferiore al Battista e immerso nella folla dei peccatori: questo
sarebbe stato in aperta “discontinuità” o difformità con la fede in Cristo
della Chiesa delle origini e con l’evocata celebrazione dell’inferiorità
del precursore rispetto al Messia. Ma, allora, perché Gesù si è messo in fila
lungo le sponde del Giordano per essere battezzato da Giovanni? L’unico
evangelista a rispondere al quesito è Matteo, che riferisce questo dialogo tra
Gesù e il Battista: «Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: io ho
bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? Ma Gesù gli disse: Lascia
fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia. Allora
Giovanni acconsentì» (3,14-15). Questo dialogo è ancor più marcato in un
frammento del vangelo apocrifo detto “degli Ebrei” citato da san Girolamo,
ove Gesù inizialmente rifiuta di andare con Maria e i suoi parenti da Giovanni
dichiarando: «Che peccato ho commesso perché vada a farmi battezzare da lui?».
Gesù
— secondo le stesse parole del precursore
citate da Matteo — non solo non ha bisogno di un battesimo d’acqua di
conversione, ma è superiore allo stesso battezzatore come suo Signore e Messia.
Decisiva, allora, è la risposta di Cristo sopra citata, che è modulata secondo
il linguaggio matteano e che letteralmente suona così: «E opportuno che noi
portiamo a pienezza ogni giustizia». Due sono i termini fondamentali della
frase. Da un lato, c’è il verbo greco pleroun, che non è solo il
semplice “adempiere” come spesso si traduce (così anche la versione usata
nella liturgia, cioè la Bibbia della C.E.I.), ma è il pieno compimento, il
portare a pienezza. L’Antico Testamento col suo annunzio è come una sorgente
o un fiume che raggiunge il suo approdo ora in Cristo: esso è alla base ed è
indispensabile, ma anche rimanda a una meta ulteriore.
D’altro lato, c’è il vocabolo dykaiosyne, che di solito è
reso con “giustizia”. Anche in questo caso la traduzione può essere
fuorviante, perché la “giustizia” a cui si fa riferimento è quella divina
e nell’Antico Testamento essa è sinonimo di fedeltà amorosa di Dio, di
salvezza. Gesù, allora, afferma che con quel gesto di umiltà egli vuole
rappresentare pubblicamente la sua adesione al progetto divino di salvezza:
facendosi battezzare in mezzo agli uomini peccatori, Gesù si fa solidale con
loro, rivela l’incarnazione, si fa prossimo all’umanità e al suo peccato,
proprio com’era nel disegno del Padre celeste.
A questo punto ecco aggiungersi, quasi in contrappunto all’atto di
fraternità nei confronti dei peccatori, la visione successiva che rivela al
mondo il mistero profondo di quell’uomo battezzato: «Si aprirono i cieli ed
egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire sopra di luì. Ed
ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il Figlio mio, il prediletto, nel
quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,16-17).
Fonte: Vita Pastorale, Periodici S. Paolo, Gennaio 2006 - p. 56
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