Indice sostanze  

Gli psicofarmaci

ANSIOLITICI E IPNOINDUCENTI    »

ANTIDEPRESSIVI    » NEUROLETTICI     »
La storia La storia La storia
Aspetti clinici Aspetti clinici Aspetti clinici
Gli effetti fisiologici I TCA (triciclici) Gli effetti collaterali e tossici
Gli effetti psicologici L'intossicazione acuta da TCA Gli effetti extrapiramidali
I segni dell'assunzione Gli antidepressivi atipici
L'intossicazione acuta Gli IMAO
L'astinenza
L'astinenza da barbiturici
La dipendenza
La sindrome da sospensione
Le complicanze generali

        Gli psicofarmaci si distinguono in alcune grandi categorie  : ansiolitici e ipnoinducenti, antidepressivi, neurolettici.

I farmaci ansiolitici e ipnoinducenti

La storia

        L’introduzione in terapia delle benzodiazepine (BDZ) all’inizio degli anni '70 ha portato ben presto ad un progressivo aumento delle prescrizioni ad uso sanitario di tali sostanze, sia da parte del medico generico che dello specialista psichiatra. L’efficacia delle BDZ nelle più varie condizioni di ansia, il loro buon effetto ipnoinducente, la buona tollerabilità, la bassa tossicità e la scarsa interazione con altri farmaci sono, indubbiamente i motivi principali di questo successo clinico e commerciale. A partire dalla metà degli anni '70, una serie di studi, stimolati dalla diffusione del consumo di queste sostanze, hanno incominciato a valutare sistematicamente le conseguenze cliniche dell’abuso, dell’uso scorretto, della dipendenza farmacologica e dei problemi connessi alla sospensione del trattamento.

           L’assunzione di BDZ, se necessaria, deve essere fatta sotto controllo medico. L’uso di tali farmaci deve essere accompagnato da un adeguato sostegno morale e/o amicale, dal supporto sociale e familiare. E’ sempre importante non miscelare BDZ con altre sostanze o alcol, perché gli effetti dei primi vengono potenziati. Se si usano BDZ e poi si vuole interrompere, è necessario farlo con gradualità, la temporanea sostituzione può essere fatta con basse dosi di neurolettici sedativi, o, in casi particolari, con dosi inferiori di BDZ la cui emivita sia più lunga.

        Le BDZ hanno sostituito i barbiturici nella terapia della sintomatologia d'ansia nei primi anni '60. Oggi infatti i barbuiturici non sono più usati a questi fini terapeutici, mentre ancora se ne fa uso nella terapia dell'epilessia (Gardenale) e nell'induzione dell'anestesia (Pentothal). I barbiturici e il relativo abuso costituisce un pericolo molto grande. Fortunatamente la prescrizione e la disponibilità dei barbiturici sono oggi molto più limitate rispetto alla prima metà del nostro secolo.

 

Aspetti clinici (BDZ, barbiturici)

        La classe dei sedativi ipnotici comprende oltre gli ansiolitici (benzodiazepine, BDZ) anche i barbiturici. Alcune di queste sostanze sono inserite in Italia nelle tabelle ministeriali III e IV (legge 309/90, disciplina delle sostanze stupefacenti) e richiedono una ricettazione medica particolare.

classe farmacologica 

principio attivo

barbiturici

(roipnol)

sedativi ipnotici

secobarbital, pentobarbital, amobarbital

benzodiazepine

(tavor, valium, minias, ecc.)

sedativi ipnotici

lorazepam, clorazepato, diazepam, e altri

 

        I sedativi ipnotici sono utilizzati terapeuticamente nel trattamento di:

      Sono utilizzati anche in pre-anestesia e in anestesia, possono ritrovarsi associati con altri farmaci come gli analgesici. La somministrazione avviene usualmente per via orale, in forma di compresse, alcuni sono assunti sotto forma di sospensione liquida. Sono inoltre disponibili anche forme iniettabili. Gli effetti dei sedativi ipnotici consistono in una generale depressione del SNC, del sistema respiratorio e del sistema cardio-vascolare. In alcuni casi tali sostanze inducono una reazione d’ira, durante la quale la persona diventa violenta e imprevedibile.

Per quanto riguarda il problema dell’abuso e del cattivo uso delle BDZ è opportuno sottolineare che il concetto di abuso di un farmaco è essenzialmente legato atre situazioni:

  1. il suo utilizzo al di fuori di situazioni terapeutiche

  2. il suo utilizzo a dosi nettamente superiori a quelle prescritte o terapeuticamente necessarie

  3. il suo utilizzo per periodi di tempo indefiniti e comunque non rapportati alle necessità terapeutiche

        Queste tre condizioni possono verificarsi nel caso del BDZ con diversa incidenza. La prima possibilità è molto rara e si osserva generalmente in un contesto di abuso di più sostanze. Più frequente, ma moderatamente, è il verificarsi della seconda possibilità; la terza possibilità avviene più frequentemente quale conseguenza di interventi terapeutici mal programmati.

                La loro capacità di diminuire l’attività del SNC, accompagnata da un effetto depressore dell'attività respiratoria, è dipendente dalla dose assunta. La tolleranza ai sedativi ipnotici si sviluppa dopo un prolungato uso quotidiano; la tolleranza agli effetti psicoattivi si sviluppa più rapidamente rispetto a quella verso gli effetti depressivi, tanto che gli abusatori cronici possono ingerire una dose letale, nel tentativo di ripetere gli effetti gratificanti della sostanza.

        Il danno prodotto da queste sostanze viene notevolmente aumentato se sono assunte da soggetti con una cronica intossicazione da alcol o da altri sedativi ipnotici. Queste sostanze potenziano gli effetti di altre sostanze depressogene in particolare l’alcol. Dosi individuali non letali di queste sostanze e alcol possono dare , quando combinate, una depressione respiratoria fatale.

 

Gli effetti fisiologici dei farmaci sedativo-ipnotici

    I sedativi ipnotici

 

Gli effetti psicologici dei farmaci sedativi-ipnotici

        Gli effetti soggettivi di queste sostanze variano considerevolmente con la dose, l’ambiente e i tratti di personalità dei soggetti che le usano. A basse dosi producono disinibizione, euforia, diminuzione dell’ansia, visione meno pressante, angosciante e immediata dei propri problemi. L’assunzione per via venosa di BDZ, accompagnata da alcol può produrre uno stato nel quale tutto passa e il soggetto non si accorge di niente, non si ha coscienza, non si sa che cosa succederà e qualsiasi cosa accadrà attorno al soggetto non verrà vissuta e percepita.

 

I segni dell'assunzione di farmaci sedativo-ipnotici

 

L'intossicazione acuta da farmaci sedativo-ipnotici

E’ caratterizzata dal recente uso accompagnato dai seguenti sintomi:

 

L'astinenza da farmaci sedativo-ipnotici

        L’astinenza si verifica dopo l’interruzione di un uso prolungato e massivo degli ipnotici (barbiturici), o un uso più prolungato di BDZ. I sintomi d’astinenza possono apparire in pazienti mantenuti con dosi terapeutiche di BDZ, dovuti allo sviluppo di tolleranza alla dose efficace iniziale. La dipendenza farmacologica è stata documentata in soggetti trattati con basse dosi di BDZ per sole sei settimane. Tali effetti sono aumentati in soggetti con un compresente alcolismo. L’inizio dell’astinenza alle BDZ può avere una durata che va dalle 12 alle 14 ore per le BDZ con vita breve, a 3-10 giorni per quelle a lunga durata d’azione.

        In relazione all’importanza degli eventi che si hanno con l’assunzione e quando compaiono convulsione, delirium, psicosi, si parla di astinenza maggiore, la quale comporta:

        L’astinenza può anche essere complicata da:

        Il principio basilare dell’interruzione dell’assunzione è sottrarre lentamente il soggetto al sedativo ipnotico, controllando attentamente i segni e i sintomi per assicurare una lenta graduale astinenza. Bisogna fare anche attenzione alla possibilità di insorgenza di convulsioni dovuta ad un’astinenza troppo rapida. Le strategie da utilizzare sono:

 

I sintomi specifici dell’astinenza da barbiturici

 

La dipendenza da BDZ

        La dipendenza psicologica è la spinta a ripetere l’assunzione di una sostanza, a prescindere dalla sua azione farmacologica reale e specifica, per rivivere le esperienze e le sensazioni legate al passato uso della sostanza e per soddisfare le aspettative legate alla già sperimentata azione della sostanza stessa.

        La dipendenza da BDZ è difficile da quantificare poiché i soggetti possono non conoscere o non voler ammettere la quantità di farmaci che stanno assumendo. Inoltre i soggetti possono diventarne dipendenti e sviluppare gravi sintomi d’astinenza, anche dopo un periodo d’uso quotidiano di dosi terapeutiche di alcune settimane. Nel caso delle BDZ il fenomeno della dipendenza può essere così definito: moderata dipendenza fisica e moderati fenomeni da sospensione dell’uso, scarsa tolleranza, tendenza ad un’elevata dipendenza psicologica. Nel trattamento con BDZ per dosi terapeutiche si osservano evidenti ma non gravi fenomeni da sospensioni, non vi è tendenza all’aumento dei dosaggi, mentre vi è una tendenza a protrarre il trattamento anche quando non vi sono ragioni cliniche evidenti che ne consiglino la prosecuzione.

        Il trattamento della dipendenza da BDZ dovrebbe essere sempre individualizzato. Gli effetti sul SNC variano con: dosaggio, durata d’uso, stato nutrizionale, livello di dipendenza. Una completa disintossicazione dalle BDZ può richiedere fino a sei settimane e i pazienti possono provare: ansia transitoria, attacchi di panico, desiderio verso la sostanza fino a sei mesi. In questa fase possono essere utili sedute di rilassamento o biofeedback.

 

Sindrome da sospensione di BDZ

        E’ il fenomeno più evidente e tende ad essere maggiore e intenso con la brusca sospensione, può manifestarsi in forma attenuata anche nel corso di riduzione programmata del dosaggio. Si manifesta più facilmente in seguito a trattamenti prolungati, oltre i quattro-sei mesi, se sono state usate dosi mediamente più elevate delle normali dosi terapeutiche e se vi sono caratteristiche di personalità del soggetto che lo predispongano all’assunzione di sostanze senza indicazione terapeutica.

        La sindrome da sospensione può fare la sua comparsa non solo in condizioni di abuso o di cattivo uso di BDZ, ma anche in alcune condizioni di normale uso terapeutico. Nella grande maggioranza dei casi l’assunzione di BDZ a dosi terapeutiche può essere sospesa o spontaneamente dal paziente o su indicazione medica con uno scalaggio breve e senza particolari fenomeni di rimbalzo. Per quanto riguarda la sintomatologia psicofisica essa fa in genere la sua comparsa da uno a sette giorni dopo la sospensione, in rapporto alla durata di azione della BDZ usata. La durata della sintomatologia può variare da una a quattro settimane in rapporto alla sua intensità e al quadro clinico; i sintomi più frequenti sono l’insonnia e l’ansia di rimbalzo. Altri sintomi possono essere: irritabilità, ipersensibilità sensoriale, palpitazioni, cefalea e dolori muscolari, sensazioni di caldo e di freddo. In casi molto rari sono state descritte crisi di tipo convulsivo, ma solo in seguito alla brusca interruzione di dosaggi molto elevati.

 

Le complicanze generali legate all'assunzione di BDZ

        Le benzodiazepine possono intervenire sul normale livello di attenzione e di capacità di percepire i pericoli e di attivare le difese. Possono compromettere o eliminare la capacità di critica e di indirizzo della propria vita. Le BDZ danno forte dipendenza fisica e psicologica, sono difficili da scalare, poiché riaffiorerebbero tutti i problemi per le quali sono state assunte. Possono dare sonnolenza, scadimento delle prestazioni psicointelletive, difficoltà di coordinazione motoria, minor rendimento nelle attività quotidiane, maggior rischio di infortuni o incidenti se associate ad alcol e accentuazione di problemi al fegato.

        L’overdose da benzodiazepine consiste in coma con depressione respiratoria. Complicazioni frequenti dell’overdose comprendono lo shock e aritmie cardiache.

 

Gli antidepressivi

 

La storia

        Agli inizi degli anni ’50, furono descritte casualmente le proprietà euforizzanti del iproniazide, principio usato nella terapia della tubercolosi il quale risultò poi efficace in pazienti depressi. Dal iproniazide è derivata una delle principali classi di antidepressivi: gli inibitorio delle monoammino ossidasi (IMAO). Poi qualche anno più tardi Kuhn riconobbe le proprietà antidepressive dell’imipramina, sintetizzata da Thile e Holzinger alla fine del XIX secolo e introdotta all’inizio in terapia psichiatrica come antipsicotico. Proprio dall’imipramina è derivata l’altra classe di farmaci antidepressivi, i triciclici (TCA), così chiamati per la loro struttura molecolare. Ancora più di recente, con il progressivo approfondimento delle conoscenze sul meccanismo d’azione degli antidepressivi e sui correlati biologici dei disturbi dell’umore, ai due raggruppamenti iniziali si sono aggiunte sostanze a struttura chimica eterogenea, definiti antidepressivi atipici o di seconda generazione. Il più noto di questi ultimi è il Prozac.

 

Aspetti clinici

        In generale i cosiddetti antidepressivi sono psicofarmaci utili nel trattamento della sintomatologia depressiva. In soggetti che non presentano disturbi di questo tipo, i farmaci antidepressivi generalmente non danno alcun effetto psicologico desiderabile, mentre possono comportare una generale sensazione di fatica e alcuni sgradevoli effetti collaterali. Per questo i farmaci antidepressivi non sono oggetto di abuso tossicomanico.

        In persone depresse, invece, gli antidepressivi si dimostrano spesso capaci di migliorare il tono dell’umore, di sbloccare l’inibizione psicomotoria tipica del depresso, di attivare l’appetito e, in qualche caso, di moderare l’ansia del soggetto.

 

Gli antidepressivi triciclici (TCA)

        Questa classe di antidepressivi ha sostituito quasi per intero gli antidepressivi IMAO. I TCA sono senza dubbio i farmaci antidepressivi più usati. L’efficacia antidepressiva di questi farmaci è stata ampiamente dimostrata da una serie di studi clinici effettuati negli ultimi 25 anni. Alcuni TCA come l’amitriptilina e la doxepina possiedono una maggiore attività sedativa rispetto ad altri TCA, infatti vengono impiegati specialmente negli episodi depressivi in cui è notevole la componente ansiosa e/o l’insonnia.

    Nella pratica clinica gli antidepressivi triciclici più usati sono i seguenti:

 

principio attivo

preparati commerciali

amitriptilina

Adepril, Laroxyl, Tripitizol

clorimipramina

Anafranil

desipramina

Nortimil

dotiepina

Protiaden

imipramina

Surplix, Tofranil

maprotilina

Ludiomil

nortriptilina

Noritren, Vividyl

 

        Gli antidepressivi triciclici vengono usualmente utilizzati nella terapia della depressione, a fronte di una sintomatologia di questo tipo:

        Non si riscontrano significativi fenomeni d’abuso di questi farmaci, perché il loro uso massiccio non comporta effetti psicologici e fisiologici appetibili, comportando al contrario effetti collaterali spiacevoli.

 

L'intossicazione acuta da antidepressivi triciclici

        I casi di sovradosaggio di antidepressivi triciclici possono sfociare in un’intossicazione acuta, che può essere valutata sulla base della quantità di farmaco assunta e dei livelli plasmatici di principio attivo. L’ingestione di alte dosi di antidepressivi triciclici provoca una sintomatologia da intossicazione acuta (vedi sotto) e in alcuni casi anche la morte (Surplix e Tofranil).

        L’intossicazione acuta da TCA interessa in particolare il cuore e il SNC, i sintomi tipici sono:

        Le interazioni farmacologiche dei TCA con altri psicofarmaci sono molto pericolose. In particolare l’interazione fra TCA e antidepressivi IMAO deve essere evitata per la possibile insorgenza di convulsioni, ipertensione arteriosa, colassi cardio-circolatori, morte improvvisa. Anche l’associazione di TCA con antiparkinsoniani, antistaminici, alcuni antispastici, deve essere evitata. I TCA aumentano inoltre l’effetto sedativo sul SNC di alcol, barbiturici, BDZ, e altre sostanze che deprimono il SNC. I TCA possono anche potenziare gli effetti farmacologici delle amfetamine e di farmaci ad attività amfetamino-simile. Sono stati riportati casi di crisi ipertensiva ed emorragie cerebrali talvolta fatali nei casi documentati di tali interazioni farmacologiche.

        Il trattamento dell’intossicazione acuta da TCA deve essere sempre effettuato in un’unità di terapia intensiva, il soggetto intossicato deve essere quindi accompagnato il più possibile rapidamente in ospedale.

 

Gli antidepressivi di seconda generazione (atipici)

        Vengono inclusi in questa classe i farmaci antidepressivi che presentano le seguenti caratteristiche:

  1. introduzione sul mercato farmaceutico più recente e in ogni caso successivo a quello della maggior parte dei TCA più classici

  2. profilo farmacologico, clinico e tossicologico differente rispetto ai TCA.

Questa categoria di antidepressivi atipici (eterocicli) raccoglie un gran numero di molecole, con effetti anche molto diversi. Come abbiamo già detto, il Prozac è forse l'antidepressivo atipico più noto.

 

Gli inibitori delle monoammineossidasi (IMAO)

        Gli IMAO sono considerati farmaci antidepressivi ormai obsoleti, sia perché la loro efficacia non si è mai dimostrata superiore a quella dei TCA più conosciuti, sia perché la loro maneggevolezza e tollerabilità è decisamente inferiore a quella di altri farmaci antidepressivi. Questi farmaci, un tempo largamente utilizzati nel trattamento della depressione, agiscono con un meccanismo diverso da quello dei TCA e degli altri antidepressivi. In Italia è al momento presente sul mercato soltanto un IMAO, la tranilcipromina.

 

I neurolettici (o antipsicotici)

 

La storia

        Nei primi decenni del 900 la nascente ricerca farmacologica individuò un colorante usato in biologia per colorare le cellule: l’anilina. Così si trovò che un suo derivato, la prometazina, possedeva interessanti proprietà sedative e antiallergiche. La cloropromazina, derivata dalla prometazina fu il primo prodotto decisamente efficace nel trattamento delle psicosi. Henry Laborit scoprì che questa molecola, inizialmente usata come sedativo, non era solamente sedativa (come il Fargan), ma era in grado di indurre una specie di particolare indifferenza agli stimoli ambientali senza peraltro alterare lo stato di vigilanza. Proseguendo nelle ricerche Delay e Deniker scoprirono come questo farmaco fosse in grado di migliorare le condizioni dei pazienti psicotici.

        Oltre all’effetto antipsicotico già a bassi dosaggi, la cloropromazina (componente dei neurolettici) è stata a lungo utilizzata per i suoi effetti antinausea, antivomito, antivertigine, alcuni tipi di somatizzazione e di cefalea.

        Grazie all’enorme successo commerciale della clorpromazina la ricerca dei nuovi neurolettici era comunque avviata, infatti nel giro di una decina di anni si giunse all’individuazione e alla messa a punto di quasi tutte le maggiori classi di prodotti antipsicotici di cui disponiamo attualmente.

        La ricerca ci ha portato ora a disporre di una ventina di diverse fenotiazine, prodotti assai simili strutturalmente alla clorpomazina. Oltre alle fenotiazine troviamo quindi tioxanteni, le dibenzazepine, butirrofenone, difenilbutilpiperidine ed altre ancora. Tutti questi farmaci possono produrre effetti collaterali articolari costituiti da tremori, rigidità, riduzione della mimica facciale.

Aspetti clinici

torna indietro)

        Gli antipsicotici presentano un’azione prevalentemente antidelirante e antiallucinatoria e non sono dei tranquillanti maggiori "supersedativi", come alcuni credono. Vengono impiegati prevalentemente per la terapia della schizofrenia e di altre manifestazioni psicotiche. Possono essere somministrati per via orale, intramuscolare, e per via venosa. Alcuni tra i farmaci più diffusi in questa categoria sono:

        Assunti a dosaggi adeguati riducono il delirio, le allucinazioni (le voci), i comportamenti devianti degli psicotici, favorendone il reinserimento sociale. Assunti da un soggetto non psicotico, non producono uno stato di sedazione quanto piuttosto una estrema indifferenza agli stimoli ambientali e un fortissimo appiattimento emotivo. Non inducono né assuefazione né dipendenza, non sono particolarmente tossici, ma possono produrre però importanti e consistenti effetti collaterali: riduzione della mimica facciale, rigidità e tremori muscolari simili al morbo di Parkinson.

 

Gli effetti collaterali e tossici dei neurolettici

        L’indice terapeutico dei farmaci antipsicotici (il rapporto tra la dose sicuramente tossica o letale e la dose impiegabile a scopo terapeutico) è in genere estremamente elevato. Quindi quasi impossibile che un paziente in buona salute, possa riuscire a suicidarsi utilizzando unicamente queste sostanze. L’intento suicida si realizza quando i soggetti assumono grandi quantità di farmaci diversi: barbiturici, antidepressivi, sali di litio, alcool. In tal caso è utile portare il soggetto in ospedale.

        Gli effetti collaterali, tranne quelli extrapiramidali sono in genere più fastidiosi che pericolosi. Gli effetti collaterali più frequentemente osservati sono: pesantezza del capo, torpore, debolezza, senso di svenimento, secchezza della bocca e difficoltà di accomodazione visiva, impotenza, stitichezza, difficoltà urinarie, sensibilizzazione della pelle (alterazione del colorito e comparsa di eruzioni cutanee), alterazione del ciclo mestruale, tendenza all’ingrassamento, aumento della temperatura corporea, sbalzi di pressione sanguigna, drammatico calo di globuli bianchi. Possono accentuare la tendenza alle convulsioni i pazienti epilettici.

        Si nota un potenziamento reciproco dell’effetto negativo, quando i neurolettici vengono amministrati in associazioni con altri farmaci come gli ansiolitici, gli ipnotici, droghe come gli oppiacei e l’alcool. Alcuni antiacidi,, i succhi di frutta, il tea e il caffè possono ridurre l’assorbimento di molti neurolettici. Molti neurolettici possono d’altra parte ridurre l’effetto di alcuni prodotti anticoagulanti.

 

Gli effetti extrapiramidali

        Rigidità dei muscoli e dei movimenti, mancanza di espressività del volto, irrequietezza motoria, lentezza o blocco dei movimenti, movimenti involontari o semivolontari rapidi simili a tic, lente contorsioni muscolari della lingua, volto, collo, il tronco, muscoli della deglutizione e della respirazione, rallentamento della ideazione e dei riflessi.


  Indice sostanze