Le origini del virus dell'AIDS non sono chiare, sembra riscontrata la presenza in Africa intorno agli anni 70; il quadro clinico della malattia viene descritto per la prima volta negli USA soltanto nel 1981 ed evidenziato in Italia nel 1983. Per un accordo internazionale il virus dell'AIDS viene chiamato HIV (Human Immunodeficiency Virus).
La parola AIDS significa "Sindrome da Immunodeficienza acquisita"; sindrome, perché si presenta come un insieme di patologie correlate a un'unica causa, l'immunodeficenza provocata dal virus HIV, e acquisita, perché la si contrae per contagio.
Aspetti clinici
L'AIDS è una malattia virale il cui agente eziologico è l'HIV (particella virale, sferica, simmetrica, cubica). Il virus HIV, viene così chiamato in quanto, una volta penetrato nell'organismo, determina una progressiva distruzione di quello che è il nostro sistema di difesa, il Sistema Immunitario, il sistema che ci difende, dalle malattie, siano queste di natura microbica (batteri, virus, protozoi) o scatenate da altri fattori (sostanze tossiche, ecc.) Il virus penetra nell'organismo per via parenterale apparente (lesioni e ferite bene evidenti, della cute o mucose) o non apparente (microlesioni, talora invisibili ad occhio nudo).
Il virus dell'HIV è molto labile in quanto alla temperatura ambiente, resiste poche ore (circa 48), viene inattivato dai comuni disinfettanti, tipo alcool, ipoclorito (niveina) e formaldeide.
La diagnosi
Il virus dell'HIV viene diagnosticato tramite esame del sangue: test Elisa. L'indagine più utile che attualmente accerta la presenza del virus nell'organismo e soprattutto definisce l'entità della replicazione virale, cioè stabilisce se il virus è attivo, se si sta moltiplicando e quale è la velocità con cui si riproduce è la carica virale. Per definire la carica virale si utilizzano però delle metodiche molto costose e sofisticate: pertanto, a tutt'oggi , non viene utilizzata come esame di massa, ma per stabilire l'inizio della terapia antiretrovirale, e per valutare la risposta alla terapia. L'antigene p24 (Ag p24) è una proteina del virus HIV che può essere ritrovata libera nel sangue o nei tessuti infettati dal virus. La proteina può essere presente in tutti gli stadi dell'infezione, ma prevalentemente si riscontra durante il periodo iniziale della sieroconversione (cioè quando ci si infetta) e nelle fasi avanzate della malattia. Attualmente esiste un test capace di evidenziare non il virus nel sangue, ma solo la presenza degli anticorpi specifici. Gli anticorpi, prodotti dal nostro organismo per difendersi dagli agenti estranei pericolosi alla salute, non sono sempre in grado di avere il sopravvento su questi e si arriva alla malattia conclamata: l'AIDS. Altre volte possono invece contenere questo virus, ma non distruggerlo; ci troviamo di fronte a persone che, pur non ammalate, sono portatrici sane del virus e rischiano di trasmetterlo a terzi.
La sieropositività
Con il termine sieropositività si indica un paziente che presenta gli anticorpi contro il virus dell'HIV. Gli anticorpi sono delle molecole prodotte dal nostro sistema di difesa allo scopo di distruggere ciò che può essereci dannoso, in questo caso il virus HIV, ed evitare in questo modo di contrarre la malattia; purtroppo nel caso dell'HIV gli anticorpi non sono sufficienti per difenderci perché il virus HIV si moltiplica molto velocemente all'interno dell'organismo andando a colpire proprio quel sistema che ci è fondamentale per resistere a batteri, virus e altri microrganismi che possono generare una malattia. Quando il sistema immunitario diventa troppo debole allora nell'organismo iniziano a svilupparsi infezioni e/o forme tumorali particolari generalmente di difficile osservazione nella persona sana. Il sieropositivo non è malato di AIDS e non necessariamente si ammalerà in futuro. Egli è solo portatore asintomatico e non presenta quindi sintomi di malattia, ma ha la stessa possibilità degli ammalati di AIDS conclamato, di contagiare altre persone secondo le specifiche vie di trasmissione. Non esistono dati precisi sul periodo di formazione degli anticorpi: si pensa che questi possano evidenziarsi da qualche settimana dopo il contatto con il virus fino a qualche mese, normalmente però non oltre il sesto.
Con il termine malato di AIDS, invece, si intende un paziente che è all'ultimo stadio.
Le vie del contagio
L'acquisizione e la trasmissione dell'infezione da HIV da parte dei tossicodipendenti e degli ex tossicodipendenti riconosce due comportamenti a rischio prevalenti: l'uso della siringa o degli oggetti impiegati per la preparazione della droga in comune con altri tossicodipendenti infetti ed i rapporti sessuali non protetti con persone infette, sia di tipo eterosessuale che omosessuale. Tale via di infezione è stata recentemente evidenziata da studi epidemiologici come la modalità con cui si mantiene l'infezione nella popolazione generale. Vista l'assenza di terapie efficaci e le proporzioni che questa problematica sta assumendo, l'unica arma a disposizione per combattere la diffusione dell'infezione da HIV è la prevenzione del contagio mediante una scrupolosa e puntuale opera di educazione sanitaria con coinvolgimento dei soggetti con comportamenti a rischio.
Il virus si trasmette mediante liquidi biologici, quindi
per via ematica: trasfusioni di sangue, emoderivati, scambio siringhe, aghi infetti
per via sessuale: omosessuale maschile ed eterosessuale, più facile da uomo a donna, rapporto anale, vaginale, orale, lo sperma e le secrezioni vaginali, per rapporti sex non protetti dal preservativo
per via verticale: da madre infetta al neonato o durante la vita fetale, o durante il parto, o con l'allattamento al seno.
Non si trasmette col sudore, lacrime, urine, feci e saliva, anche se il virus dell'HIV è contenuto in tali liquidi biologici, ma non in concentrazione sufficiente per essere contagioso e a meno che non esistano lesioni orali o gengiviti con conseguente perdita di sangue. Pertanto non esiste possibilità di contagio attraverso bicchieri, tazze, stoviglie e posate, biancheria, anche intima. Quindi i sieropositivi possono frequentare scuole, mense, piscine, docce, ecc. in comune con persone non infette. Una eccezione si può fare per i bambini inferiori ai tre anni: infatti è preferibile non mettere i bambini sieropositivi con età inferiore ai tre anni, in contatto con quelli non infetti, per evitare che i primi, con le difese immunitarie ridotte e deboli, contraggano tutte le infezioni di cui gli altri sono portatori.
Per i familiari di sieropositivi le norme igieniche da osservare sono di non scambiare col malato lo spazzolino da denti e qualsiasi oggetto tagliente, quale rasoio o forbicine. All'inizio dell'epidemia da HIV si parlava, erroneamente, di categorie a rischio in quanto gli omosessuali, i tossicodipendenti e i poli-trasfusi risultavano le persone più colpite dall'infezione. Col passare degli anni è aumentata la percentuale di persone che hanno contratto l'infezione attraverso rapporti eterosessuali. Oggigiorno si può parlare solo di comportamenti a rischio e non occorre appartenere a gruppi sociali particolari per contrarre l'HIV.
La sintomatologia
Le fasi della malattia sono tre:
FASE I Inizia dopo 3-6 settimane dal contagio, i pazienti sviluppano una sintomatologia similmononucleosica e cioè febbre, astenia (stanchezza), faringite, cefalea, malessere generale.
FASE II Fase della latenza clinica: dopo la prima fase subentra un periodo asintomatico, durante il quale, però, si assiste ad una progressiva diminuzione del numero dei TCD4 linfociti di derivazione timica ed ad un progressivo esaurimento del sistema immunitario (che può durare anche 10-12 anni). I linfociti TCD4 sono parte del sistema di difesa e rappresentano l'obiettivo primario, ma non il solo, del virus HIV. Il virus HIV, una volta penetrato all'interno di queste cellule, si moltiplica fino a determinare la completa distruzione della cellula stessa; il numero di queste cellule va progressivamente diminuendo e si crea così un graduale sovvertimento del sistema che dovrebbe difenderci dall'attacco esterno dei microbi e dalle malattie da questi generate. Di norma i valori dei TCD4 nella popolazione "sana" oscillano tra 800 e 1500 cellule/mm cubici. Diversamente i linfociti CD8 non vengono infettati e distrutti dal virus HIV, come accade con i linfociti CD4, ma viene sempre più rafforzandosi l'ipotesi che anch'essi giochino un ruolo fondamentale nella valutazione dell'andamento della malattia, risulterebbe infatti che i linfociti CD8 sono in grado di produrre particolari molecole capaci di contrastare il virus HIV.
FASE III Fase sintomatica o AIDS: durante la quale i pazienti cominciano a manifestare malattie opportunistiche, secondarie all'immunodepressione.
Il complesso correlato all'AIDS (o ARC) comporta: febbre, diarrea cronica, calo ponderale >10% del peso corporeo, candidosi orale, herpes zooster multidermatomerico, condilomi ano-rettali, tale fase precede di circa 12 mesi la comparsa dell'AIDS conclamato, che è contrassegnato da patologie infettive opportunistiche, quali polmonite da pneumacystis carini, neurotoxoplasmosi, oppure da neoplasie (sarcoma di Karposi).
Il trattamento
Una caratteristica del virus HIV è che sono microrganismi incapaci di riprodursi autonomamente e per farlo devono penetrare all'interno di una cellula e sfruttare l'apparato riproduttivo di questa. L'obiettivo delle attuali terapie contro il virus HIV è di impedire la sua moltiplicazione all'interno delle cellule. Per raggiungere questo risultato si utilizzano dei farmaci che bloccano la replicazione del virus agendo su due enzimi che sono indispensabili alla replicazione stessa: la transcriptasi inversa e la proteasi. Gli inibitori della Trancriptasi sono farmaci in grado di bloccare l'azione di tale enzima e quindi impediscono l'infezione della cellula da parte del virus e la sua moltiplicazione. Nessuno dei farmaci antiretrovirali finora sperimentati è in grado di assicurare la guarigione, per un trattamento a lungo termine. Il problema principale che si presenta all'uso di questi farmaci antivirali è che possiedono un grado più o meno elevato di selettività, comportando o la selezione di mutanti resistenti o un certo livello di tossicità. Questo problema potrebbe essere superato, o minimizzato, da:
Una terapia combinata, potenzialmente capace sia di esplicare un più efficace blocco della replicazione, sia di prevenire la selezione dei mutanti resistenti ai vari farmaci;
Un impiego molto precoce, da iniziare in un momento in cui la replicazione virale è scarsa.
Attualmente i farmaci più usati, da soli o combinati tra di loro, sono:
AZT (zidovudina)
DDI (didanosina)
DDC (zalcitabina)
3TC Epivir (lamivudina)
Rescriptor (delavirdina)
Viramune (neviraina)
Saquinavir (invirase)
Ritonavir(norvir)
Indinavir (crixivan)
Bisogna sottolineare che questi farmaci, anche se non guariscono devono essere usati il più precocemente possibile, in quanto permettono una significativa, aumentata e migliore sopravvivenza. Inoltre è necessario raccomandare a questi pazienti, l'inizio precoce della profilassi di alcune malattie quali la polmonite da Pneumococco e la neurotoxoplasmosi. Un nuovo metodo di cura sperimentata negli Stati Uniti negli ultimi sei mesi del '96 è nota come HAART, Alta Attività Anti Retrovirale Terapia, che mostra indubbi e impressionanti risultati a corto termine sugli effetti del carico virale, che ritardano la progressione della malattia e prolungano la vita. L'HAART è la doppia combinazione di inibitori e cocktail di tre o quattro farmaci, si tratta di un trattamento antivirale aggressivo. Il trattamento con il nuovo sistema di farmaci (HAART) ha dato risultati positivi, tuttavia mancano dati sui risultati a lungo termine, sugli effetti collaterali che producono, sui tempi dell'assunzione. Il ricercatore anglocinese David Ho, propone una nuova cura: la "triterapia"; sono disponibili due tipi di medicinali, che vengono somministrati in diverse associazioni. Si tratta "degli inibitori della transcrittasi inversa" e degli "inibitori della proteasi", due enzimi necessari al virus per continuare la sua diffusione nell'organismo. Il primo permette al virus di "trasformare" il proprio codice genetico e di andare quindi a "mescolarlo" con quello della cellula umana, infettandolo. Il secondo invece consente al nuovo virus di uscire dalla cellula e attaccarne altre. Inibendo la proteasi si formano particelle virali immature non infettive. La triterapia, per funzionare in maniera ottimale, dovrebbe cominciare immediatamente dopo il contagio, cioè al momento della prima infezione. I sintomi sono disturbi spesso molto sfumati, come stanchezza, diarrea, o gonfiore delle ghiandole, che ricordano quelli della mononucleosi. In questa fase, una volta accertata l'infezione, una bomba farmacologica contro i virus consente di distruggerne la grande maggioranza, proprio nel momento in cui cominciano a replicarsi. Per ora il prezzo è elevato. Il cocktail di farmaci scelti (ne sono disponibili diversi tipi) costa almeno un milione e mezzo al mese. In più bisogna contare gli esami necessari per controllare l'efficacia della cura. I controlli da effettuare devono misurare regolarmente il livello nel sangue dei CD4, i linfociti (cellule difensive del sistema immunitario) che vengono attaccati direttamente dal virus, inoltre per controllare l'efficacia della terapia, è necessario anche la rilevazione della carica virale. Cioè contare quante particelle virali ci sono in circolazione nel sangue. Se sono poche, significa che la cura sta facendo effetto e l'infezione è sotto controllo. Stando alle statistiche circa un 20-30% delle persone in terapia cade nell'errore delle "drug hoilidays". In pratica si prende una sorta di pausa nelle cure, e ciò può rappresentare un problema per l'efficacia delle terapie perché aumenta il rischio che il virus si "trasformi" senza il pressante influsso del farmaco diventando insensibile alle cure. Il punto debole di queste cure e legato all'alta quantità di compresse (a volte anche più di 20 al giorno) che l'individuo sieropositivo deve assumere già nelle prossime fasi dell'infezione, quando ancora non presenta problemi, perché le cure sono più efficaci. Gli effetti collaterali sono molti: nausea, vomito, mal di stomaco, mal di testa, disturbi nella percezione nervosa e debolezza. In più gli inibitori della proteasi possono provocare arrossamenti cutanei e diarrea. Quando il virus viene attaccato dai farmaci cerca di trovare il modo di superare indenne l'azione dei medicinali. Ottiene questo risultato modificando la propria struttura, e quindi elimina il punto di attacco sui cui agiscono i farmaci, si tratta quindi di mutazioni del virus.
Gli obiettivi che i ricercatori si pongono sono:
aumentare i punti di attacco dei farmaci al virus, puntando la mira su altri enzimi virali
agire sulle risposte immunitarie dell'organismo della persona in cura.
Gli enzimi su cui punta questa nuova cura sono le INTEGRASI. Si tratta di particolari sostanze che fanno in modo che il virus "una volta integrato" il proprio materiale genetico con quello delle cellule che ha infettato, riesca a ri-assemblarsi. Con questi farmaci, attesi nei prossimi anni, si vanno a colpire quindi tutte le fasi dell'infezione cellulare.
La profilassi
Attualmente non esistono vaccini in commercio. La difficoltà nel reperire un vaccino risiede nella variabilità genetica e fenotipica dell'HIV, secondaria al fatto che la informazione genetica subisce una serie di passaggi, che comportano un elevato numero di errori di trascrizione.
L'unica profilassi possibile in questo momento è la prevenzione che deve fondarsi:
su un'ampia informazione e responsabilizzazione attraverso i mezzi e i canali comunicativi per rendere il messaggio persuasivo (evitando il terrorismo giornalistico), puntando sul fatto che chi vuole può evitare il contagio.
evitare, ad ogni livello, l'emarginazione delle categorie a rischio;
non identificare la prevenzione nella singola misura precauzionale strettamente sanitaria, bensì rimandare ad un contesto educativo più ampio (es. promozione di una sessualità più responsabile)
coinvolgere nel campo formativo-educativo la famiglia, la scuola, i servizi territoriali.
I comportamenti a rischio
Se si considera come viene trasmesso il virus, si può dire che alcuni comportamenti sono più a rischio:
scambio di siringhe fra tossicodipendenti
rapporti omosessuali ( maschi, con numerosi partner)
ripetute trasfusioni ad es. emofilici ( oggi il sangue viene testato; però se il sangue del donatore viene prelevato nel periodo in cui, dopo il contagio, non si sono ancora formati gli anticorpi - periodo finestra - possono esistere ancora dei pericoli)
rapporti eterosessuali con numerosi partner
Appare inoltre elevata la diffusione dell'HIV nelle carceri. Ciò è dovuto alla crescente diffusione dell'uso di sostanze stupefacenti, con conseguente aumento dei detenuti per la micro-criminalità.
La riduzione del rischio di trasmissione sessuale dell'HIV si basa primariamente su scelte di vita e di comportamento:
avere rapporti sessuali strettamente monogamici (con fedeltà del partner)
usare il condom
selezionare i partner riducendo la frequentazione di persone con comportamenti ad alto rischio
avere rapporti che implicano un coinvolgimento affettivo
La presenza di lesioni delle mucose dovute a malattie sessualmente trasmesse inoltre possono facilitare sia la trasmissione dell'HIV che l'acquisizione. Le donne tossicodipendenti non dovrebbero utilizzare metodi anticoncezionali diversi dal profilattico, come gli estrorogestinici, lo IUD o il diaframma, poiché essi non permettono di prevenire l'infezione da HIV, non evitando il contatto sangue/sangue o sangue/liquido cervicovaginale-sperma. La trasmissione dell'infezione avviene prevalentemente intragruppo ma anche extragruppo, cioè in popolazione non tossicodipendente.
Il riconoscimento precoce dei sintomi
Nella maggioranza dei casi l'infezione da HIV si instaura in modo asintomatico; cioè una persona che in seguito ad un comportamento a rischio si infetta, non avverte segni o sintomi particolari di tale infezione. In percentuale minore, l'acquisizione dell'infezione da HIV si manifesta in maniera evidente; nel qual caso i sintomi che compaiono non sono caratteristici, ma possono assomigliare ad un quadro influenzale e solo raramente presentare manifestazioni importanti, anche se transitorie come meningite e neuropatie. La persona con infezione da HIV gode di un periodo molto lungo, in genere di circa dodici anni, tra il momento dell'infezione e la comparsa di segni iniziali riferibili a questa patologia, in cui gode di buona salute. Il riconoscimento precoce dei sintomi generali legati all'azione sistemica che il virus esercita sull'organismo, ma soprattutto di sintomi che possono far sospettare l'insorgenza di un'infezione opportunistica, risulta quindi di fondamentale importanza. Verranno qui di seguito indicati i principali segni e sintomi correlabili con l'infezione da HIV e che possono essere indice o di progressione dell'infezione o di una particolare infezione opportunistica:
febbre notturna e accompagnata da abbondante sudorazione
dolori addominali, toracici
tosse e disturbi del respiro (stadi avanzati della malattia)
dimagrimento
nausea, vomito, difficoltà di deglutizione (stadi avanzati della malattia)
diarrea, dolori addominali intestinali, febbre e talvolta sangue
ittero, associato alla colorazione scura delle urine e chiara delle feci
aumento dei linfonodi
disturbi visivi
cefalea
disturbi neurocognitivi, come la perdita della capacità di memoria e concentrazione
disturbi della coscienza
difficoltà di deambulazione
apatia, cambiamenti dell'umore
Le manifestazioni cliniche
generali:
febbrefaringitelinfoadenopatiacefaleaartralgiesonnolenza, malessere generale
anoressia, dimagramento
neurologiche:
meningiteencefaliteneuropatia periferica
deficit neurocognitivi precoci
dermatologiche:
orticaria diffusaeruzioni erimatose o simil-rosoliadesquamazioni
ulcere delle mucose
gastrointestinali:
candidosi orale e faringeanausea e vomito
diarrea
I segni e sintomi a-specifici di infezione da HIV
generali:
febbredimagramento
linfoadenopatia generalizzata
dermatologici:
dermatite seborroicacute seccainfezionicandidosi
herpes zooster
oculari:
emorragie retiniche
orali:
ulceremughetto
parotidie
cardiovascolari:
sfregamento pericardico
ritmo di galoppo
addominali:
diarrea
splenomegalia
muscoloscheletrici:
artralgie e artriti
sindrome di Reiter
neurologici:
neuropatie periferichedeficit neurocognitividifficoltà di concentrazione
diminuzione della memoria a breve termine
I segni e sintomi clinici di progressione dell'infezione da HIV
Sintomi generali:
febbreperdita di peso
diarrea non spiegabile
Lesioni orali:
candidosi recidivante
leucoplachia villosa
Lesioni dermatologiche:
dermatite seborroicalesioni erpetiche
micosi diffuse
I principali segni e sintomi riscontrabili, correlati con infezioni opportunistiche o tumori, nell'infezione da HIV
SINTOMO --- INTERPRETAZIONE cute e mucose
ulcere, vescicole, pustole ---herpes simplex, infezioni da miceti o microbatterinoduli---Sarcoma di Karposi, linfoma, infezioni da miceti o microbatteri
eritemi desquamativi---dermatite seborroica
occhio
diminuzione acuità visiva---retinite infettiva deficit del visus---toxoplasmosi cerebrale, linfoma
lesioni cutanee perioculari---sarcoma di Kaposi
bocca
eritemi---candidosi ulcere dolorose e aftose---herpes simplex, infezioni batteriche
noduli---sarcoma di Karposi, linfoma
sistema linfatico
linfoadenoatia generalizzata o localizzata
apparato respiratorio
tosse persistente, dispnea---polmonite da pcp, tbc, sarcoma di Karposi
apparato gastrointestinale
disfagia---esofagite e candidosi infettiva, sarcoma di Karposidiarrea, epatomegalia---epatiti virali, sarcoma di Karposi, epatopatie da microbatteri, linfoma
ittero---infezione da citomegalovirus
apparato cardiovascolare
soffi--- valvulopatie, miocarditi ritmo di galoppo---endocarditi
deficit focali--- toxoplasmosi cerebrali, linfomi, localizzazioni da miceti, infarto cerebrale
generali
febbre
perdita di peso
L'assistenza
Un malato di AIDS può essere assistito nell'ospedale diurno (Day Hospital), nelle case alloggio, oppure può godere di un trattamento a domicilio. IL cardine per l'assistenza a questi malati è però il ricovero ospedaliero, specialmente nelle divisioni di malattie infettive. Si ricorre al ricovero, in genere, all'insorgenza di una malattia AIDS-correlata.
La cura e l'assistenza sanitaria a domicilio consistono nella fornitura di servizi specialistici per la salute a casa del paziente piuttosto che nelle sedi ospedaliere.
Il principale obiettivo del trattamento a domicilio è quello di:
ridurre il ricorso improprio al ricovero ospedaliero
migliorare la qualità della vita del paziente
indurre nel paziente un atteggiamento positivo
alleggerire il carico assistenziale che grava sull'ambito familiare
permettere al malato di non perdere il contatto con il proprio ambiente familiare
permettere al malato di non perdere il contatto con il proprio ambiente e sociale
Caratteristiche cliniche dell'infezione primaria da HIV che possono comparire 10-20 gg dopo l'avvenuto contagio.
Le vie di trasmissione intra ed extra gruppo dell'infezione da HIV nei tossicodipendenti
uso promiscuo degli strumenti da iniezione punture accidentali di siringhe infette disperse
rapporti sessuali penetrativi non protetti e trasmissione materno-fetale
donazioni di organi, tessuti e materiali biologici
infezione occupazionale in seguito a manovre invasive
I primi anni di abuso di sostanze stupefacenti ed in particolare di eroina per via endovenosa, in assenza di informazioni che tendano a prevenire o ridurre i danni da tale pratica, risultano essere i più pericolosi per l'esposizione a patologie infettive di particolare gravità. Le persone con dipendenza cronica da eroina(DCE) costituiscono ad oggi il gruppo maggiormente interessato dall'infezione da HIV. Dal momento della sieroconversione allo sviluppo dei segni clinici di malattia legati all'immunodeficit possono passare molti anni e i tossicodipendenti con infezione da HIV devono essere seguiti costantemente per un lungo periodo di tempo sia dal punto di vista clinico che di laboratorio. Infatti la gestione delle problematiche mediche delle persone sieropositive in fase asintomatica con DCE riveste un'importanza cruciale, soprattutto per il riconoscimento in fase precoce di sintomi, in modo da instaurare tempestivamente i trattamenti per le infezioni opportunistiche e la terapia antiretrivirale. L'impiego al momento opportuno dei presidi terapeutici, infatti, incide in maniera significativa sia sulla qualità della vita che sulla sopravvivenza dei sieropositivi. La puntualità dell'intervento costituisce garanzia non solo di ridurre al minimo i rischi per il paziente di acquisire malattie derivanti dalla sua carenza di difese immunitarie, ma anche permette di instaurare un intervento di educazione sanitaria per i ridurre i rischi di contagio per la comunità.