Andrea Gaspari
Nato
nel 1961 a Cortina d’Ampezzo. Laureato in scienze forestali
Università di Padova. Scultore professionista dal 1988. Realizza
sculture in: vetroresina, polistirolo, gesso, cemento, sabbia, neve,
ghiaccio, segatura, fieno, cioccolato, ferro, legno e adesso, dopo
molti inviti a farlo, anche cacca di cavallo. Presidente dell’associazione
sculture in neve Italia. Organizzatore di concorsi di scultura in
neve e in legno in Italia. Ha partecipato a tutte le edizioni olimpiche
invernali fino ad oggi del concorso olimpico di scultura in neve dai
giochi di Calgary 88 (Canada) o come scultore in gara o giudice o
come organizzatore della trasferta italiana. Ha lavorato come scenografo
per i maggiori teatri italiani (scala di Milano, piccolo teatro di
Milano). Ha lavorato nei principali parchi di divertimento in Europa
(Eurodisneyland Paris castello, Gardaland, Mirabilandia, Canevaworld,
tibidabo Barcellona). Da 5 anni partecipa alla costruzione di parchi
a tema realizzati in sabbia (blankenberge Belgio, Paris la plage Francia).
Ha partecipato a quasi tutti (almeno un centinaio di partecipazioni)
i concorsi di scultura su neve nel mondo (da Fairbanks Alaska a Sapporo
Giappone). Ha realizzato l’Italia del cioccolato a Torino in
occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia. Innumerevoli
sculture e installazioni una tantum (l’orso Lindt di cioccolato
64 quintali eurochocolade 2011), Tapiro di neve a Cortina d’Ampezzo
per striscia la notizia, faccia di m... a chi? in cacca di cavallo
maggio 2011. Ha partecipato a circa un centinaio di concorsi e simposi
di scultura in legno in Italia e all’estero. Da 8 anni tiene
dei corsi di intaglio su legno e con molti suoi allie- vi ha fondato
il gruppo CRAPADELEGN.
La leggenda dei “giorni della
merla”
Da sempre chiamiamo “giorni della merla” gli ultimi rigidissi
tre giorni
del mese di gennaio. La leggenda narra che, nel ‘500, in un
antico
castello, viveva una nobile e ricca famiglia. Tibaldo, un giovane
della
famiglia, fu inviato a Venezia a studiare. Terminati gli studi, il
giovane
ritornò nel contado. Qui incontrò una giovanissima ragazza
di nome
Merla e se ne innamorò; Merla era talmente bella, che in tutto
il
contado si diceva: “Bella come la Merla”. La ragazza ricambiò
immediatamente il sentimento di Tibaldo, ma un grosso ostacolo
separava i due innamorati: il grado di parentela. Merla e Tibaldo,
infatti,
erano cugini stretti. Per un po’ i due innamorati riuscirono
a tenere
segreta la loro relazione, infine, dovettero rendere pubblico quel
loro
amore senza speranza.
Ai due giovani innamorati sembrava che non ci fosse per loro altra
soluzione che un romantico suicidio.
Quel sentimento, però, così forte, profondo e sincero,
finì per attirare su
di loro simpatia, benevolenza e comprensione. Lo stesso vescovo,
parente dei due giovani, si mosse a commozione e riuscì ad
ottenere una
dispensa papale che consentisse loro di sposarsi.
Le nozze furono celebrate in pompa magna e i festeggiamenti si
protrassero per tre giorni: gli ultimi tre gelidi giorni del mese
di gennaio
e tutto il paese vi partecipò. Il festoso evento, però,
finì in tragedia.
Per fare ritorno a casa, dopo le nozze, i due sposi attraversarono
un
fiume gelato, a bordo della loro carrozza. Durante la traversata,
la
superficie gelata del fiume si ruppe e i due giovani sposi finirono
tragicamente annegati. Ed è per questo che i “giorni
della merla” non
solo sono conosciuti per essere i più freddi dell’anno,
ma anche perché
preannunciano un avvenimento triste.
Nicola Cozzio
Nasce
nel 1964 a Spiazzo, nel cuore della Val Rendena. È una valle
alpina, glaciale, circonda- ta da montagne monumentali e sono proprio
loro ad influenza- re fortemente la vita e le opere
di Nicola. In lui vive, quale costante riferimento, una costellazione
di valori e di simboli. Valori in parte dovuti all’identità
trentina ma forse sarebbe meglio parlare d’apparenza ad una
cultura della montagna universale, non solo quella trentina. L’ambiente
della montagna lo ha allevato nella bellezza paesaggistica, e continua
a mostrargli la testimonianza ed i valori di una comunità formatasi
a stretto contatto con la ciclicità degli eventi naturali.
Luogo segnato dagli estremi ed insieme intreccio di enigmi, ma soprattutto
monta- gna quale luogo dell’infinito e del mito, come già
era stato dipinto dalla cultura romanica e come ritorna puntualmente
nelle opere qui esposte. Essendo autodidatta l’artista non è
legato ad un particolare stile o momento artistico ma trae ispirazione
solo dal suo vissuto e dal gusto estetico, che gli permette di realizzare
Opere di grande spessore apprezzate in diversi simposi in Italia,
Olanda, Francia, Giappone, India. Questa è una caratteristica
del lavoro di Cozzio, per il quale non è tanto importante la
coerenza formale dello stile scultoreo, ma soprattutto la coerenza
del messaggio che l’arte deve necessariamente trasmettere. È
la percezione dell’infinito che calamita lo sguardo e lo spirito
e che, come in un ovvio contrappasso, denuncia i limiti ed ingigantisce
la prigione e la meschinità del vivere quotidiano.
La leggenda dei colori
Tanto tempo fa, il pappagallo non aveva colori; era tutto grigio,
le sue
piume erano corte come quelle di una gallina bagnata. Il mondo era
noioso con due soli colori: uno era il nero che comandava la notte,
l'altro
era il bianco che camminava di giorno, il terzo non era un colore:
era il
grigio, che dipingeva sere e mattine affinché non si scontrassero
troppo.
Tutti i maghi del mondo fecero una riunione e decisero di rendere
i
colori più lunghi perché fosse allegro il camminare
e l'amare di uomini e
donne. Uno di loro prese a camminare per pensare meglio, e tanto
pensava, che sbatté contro una pietra ferendosi la testa da
dove ne uscì
sangue. Dopo aver strillato per un bel pezzo, guardò il suo
sangue e vide
che era di un altro colore, diverso dai due colori e andò dagli
altri
uomini, mostrando loro il nuovo colore che chiamarono "rosso",
era il
terzo che nasceva. Un altro, invece, cercava un colore per dipingere
la
speranza. Lo trovò dopo un bel pezzo e lo mostrò all’assemblea,
che lo
chiamò "verde" , era il quarto che nasceva. Un altro
cominciò a grattare
forte a terra. "Che fai?" gli chiesero gli altri "Cerco
il cuore della terra"
rispose rivoltando la terra da ogni lato. Dopo un po' trovò
il cuore della
terra, lo mostrò agli altri che lo chiamarono "caffè",
era il quinto colore.
Un altro salì in alto. "Vado a guardare il colore del
mondo" disse, e si
mise a scalare e scalare fino alla cima. Quando arrivò ben
in alto, guardò
in giù e vide il colore del mondo, ma non sapeva come fare
a portarlo.
Allora rimase a guardare per un bel po', finché il colore non
gli si attaccò
agli occhi. Discese come poté, a tentoni, e andò all'assemblea.
"Porto nei
miei occhi il colore del mondo", e "azzurro" chiamarono
il sesto colore.
Un altro stava cercando colori quando sentì che un bambino
rideva; si
avvicinò con cautela e gli prese la risata, lasciandolo in
lacrime. Portò la
risata del bambino e scelsero il nome "giallo" per il settimo
colore. A
quel punto gli altri, che erano ormai stanchi, andarono a dormire,
lasciando i colori in una cassetta buttata sotto un albero. La cassetta
non
era chiusa bene e i colori uscirono, cominciando a far chiasso e festa.
Così nacquero tanti nuovi colori. Il giorno dopo, i maghi si
accorsero che
i colori non erano più sette, ma molti di più e guardarono
la cassetta.
"Tu hai partorito i colori, tu ne avrai cura , così dipingeremo
il mondo".
E salirono sulla cima del monte, e da lì cominciarono a lanciare
i colori,
così l'azzurro rimase parte nell'acqua e parte nel cielo, il
verde cadde
sugli alberi e sulle piante, il caffè, che era il più
pesante, cadde sulla
terra, il giallo, che era un risata di bambino, volò fino a
tingere il sole, il
rosso giunse sulla bocca degli uomini e degli animali che lo mangiarono,
colorandosi così di rosso. Il bianco e il nero già esistevano.
I maghi
lanciavano i colori senza fare attenzione a dove finivano, ed alcuni
di essi
spruzzarono gli uomini; per questo vi sono persone di diversi colori
e di
diverse opinioni. Allora, per non dimenticarsi dei colori e perché
non si
perdessero, cercarono un modo per conservarli; stavano pensando come
fare quando videro il pappagallo. Lo presero e gli attaccarono i colori
e
gli allungarono le piume affinché ci stessero tutti.
E così il pappagallo prese tutti i colori. Ancora oggi se ne
va in giro, nel
caso in cui gli uomini si dimenticassero che molti sono i colori e
le
opinioni, e che il mondo potrebbe essere allegro, se tutti i colori
e tutte le
opinioni avessero il proprio spazio.
Andrea Caisutti
Di giorno progettista meccanico, la sera e nel tempo
libero, indossa le vesti dello scultore.
La vita personale e professionale di Andrea Caisutti (nato a Udine
nel 1967, casa e atelier nella vicina Percotto) si svolge il suo filo
di equilibrio tra tecnologia e arte, due sponde che nel gesto scultoreo
convivono in dialogo costante. Ha iniziato a scolpire piccole statue
per il presepe a dieci anni.
Un talento arti- stico innato e coltivato da autodidatta: l’unica
formazione acquisita in questo particolare settore sono stati i corsi
liberi frequentati alla scuola d’arte di Ortisei, in provin-
cia di Bolzano, e gli insegnamenti di un maestro scultore nel suo
laboratorio di Udine. Poi l’avvio di una carriera “parallela”
a quella professionale vera e propria, con la partecipazione a mostre,
simposi di scultura e rassegne d’arte.
La leggenda del sole e della luna
Il Sole aveva regalato a sua moglie, la Luna, una veste magnifica.
L’aveva
fatta lui stesso, battendola a lungo sul legno e per farla aveva preso
dei
pezzi di stella di tutte le stelle vicine e il filo l’aveva
tratto dal proprio
vestito. Era un manto meraviglioso: c’erano dei pezzi di tutti
i colori;
c’era dell’azzurro, del rosso, del verde, soprattutto
del rosso. Come l’ebbe
finita, vi aggiunse un bordo di rosso scuro; poi chiamò sua
moglie e le
disse: «Eccoti un dono». La Luna fu tutta contenta; guardò
il mantello
piena di gioia e se l’avvolse intorno alla persona.
Ma di lì a qualche giorno il Sole guardò il mantello
di sua moglie e lo
vide imbrattato di fango nel fondo. Non disse nulla. L’indomani
guardò
di nuovo e vide che il mantello era tutto sporco. Non disse nulla.
Il
giorno dopo guardò di nuovo e il mantello della Luna aveva
dei buchi pei
quali si vedevano le stelle. Furibondo e pallido d’ira, disse:
«Dove sei
stata questa notte?». «In nessun posto, ho dormito.»
«E com’è che hai
del fango sul mantello?» «Non so, me lo sarò tirato
dietro per terra.» «E
come va che è tutto sudicio?» «L’ho poggiato
sopra l’essiccatoio2 del
pesce.» «E perché è tutto stracciato?»
«L’ho tirato troppo forte nel
levarlo. Oh! Madre mia! Tu mi tormenti! Tu non mi ami più!»
E, messasi
a piangere, soggiunse: «Me ne andrò al mio villaggio!».
«Vattene
dunque, e non tornare mai più.»
La Luna si recò al villaggio di sua madre e da allora il Sole
non volle più
vederla. Mai vi accadrà di vedere il Sole la notte. La Luna,
sì, vorrebbe
riavere il suo posto. Perciò avviene che spesso, la sera, quando
il Sole
non è ancora tramontato e al mattino quando si è già
alzato da un pezzo,
si vede la Luna che gli corre dietro nel cielo;
ma il Sole non vuole più
rivederla.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Saluto agli scultori (20/7)
----------------------------------------
Gli scultori al lavoro
-------------------------------------------------------------------
NOTIZIE e IMMAGINI tratte dalla pagina
"Costalta di Cadore Eventi" su Facebook
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Ed ora le riflessioni del Cav. Sergio
Gentilini...
Le
sculture 2015
Fienili
in arte 2015