LA PRIVATIVA DI
NONNO EVARISTO
Dopo aver raccontato l'episodio
della gita sulla monte, mi corre "l'obbligo"
di mettere per iscritto anche un mio ricordo da bambino che si
ricollega alla casa dei nonni materni, Varisto e Santina
(Casanova De Marco), nei primi anni Cinquanta.
La famiglia di nóno Varisto era alquanto numerosa;
mia mamma Albina aveva ben quattro fratelli e due sorelle di
cui una (Ninetta) morta prematuramente all'età
di ventun'anni.
Il nonno, prima da celibe, poi da sposato, era stato emigrante
(clompar) in Austria a partire dalla fine dell'Ottocento
fino ai primi anni del Novecento.
Infatti, lo zio Luigi (barba Gige), classe 1905, e lo
zio Ernesto (barba Neto), classe 1906, nacquero entrambi
all'estero.
Poi il nonno, rientrato, con i sudati risparmi dell'emigrazione
aprì un'osteria con privativa a Ciaptin.
Sul finire degli anni Venti, il nonno costruì la céda
d muro sempre sulla strada che da Ciaptin porta alla chiesa,
ovvero cinquanta metri più in su del vecchio fabbricato.
Nel nuovo edificio venne trasferita
l'osteria e la rivendita di tabacchi, sigarette, sale e chinino
di Stato e vi si trasferì ad abitare la famiglia. Successivamente
l'osteria venne data in gestione allo zio Erminio (barba Minio)
e ritraslocata nella casa vecchia, che nel frattempo era
stata riammodernata.
Nel locale adibito a privativa si accedeva da un portone prospiciente
l'attuale "Ceda dla Regola", entrando si udiva
un robusto suono di campanello (si trattava infatti di una piccola
campanella con tanto di batacchio in ferro), che veniva azionata
meccanicamente all'apertura del portone; naturalmente serviva
ad avvertire che c'era un acquirente da servire.
Il locale uso privativa non era riscaldato e i clienti entravano
a intervalli piuttosto lunghi: ciò consentiva che non
fosse necessaria la presenza continua di una persona al banco
per servire la clientela.
Specialmente nei mesi invernali era preferibile starsene seduti
nelle panche di legno nell'adiacente e calda cucina o ancor meglio
nella stua riscaldata con il forno alla francese e dotata del
classico soraforno in legno.
All'epoca i prodotti più richiesti per quanto riguarda
il fumo erano le sigarette: Alfa, Nazionali, Nazionali semplici.
Per quanto riguarda il tabacco i più venduti erano il
trinciato o il trinciato forte; in questo caso si vendevano anche
le cartine, che servivano per confezionare a mano la sigaretta
o a riempire la classica pipa (cai).
Poi c'erano i toscani e i mezzi toscani, ovvero veri e propri
sigari confezionati con la foglia di tabacco intera.
I toscani erano di solito preferiti dalle persone avanti con
gli anni e, mentre alcuni li fumavano, altri masticavano il tabacco
come un moderno chewing-gum.
Infine, c'era il tabacco da fiuto o macubino, allora molto in
uso tra le persone di una certa età, sia maschi che femmine.
Venivano venduti anche i fulminante (robusti fiammiferi
di legno con cappuccio di zolfo) o i cerini, ovvero fiammiferi
più piccoli con un fusto in carta e cera.
La privativa allora vendeva in esclusiva come monopolio di Stato
anche il sale grosso e il sale fino, che si acquistavano sciolti
e non in pacchi confezionati come ora.
Abbinata a questa attività, il nonno aveva saputo aggiungere
la vendita di cartoline e valori bollati; era inoltre titolare
del primo apparecchio telefonico pubblico a Costalta.
Questo si trovava all'interno di una robusta cabina di legno
(che assicurava già allora la privacy delle telefonate
) nel corridoio adiacente al locale privativa.
L'apparecchio telefonico in bachilite nera era fissato alla parete
di fronte alla porta d'ingresso della cabina ed era dotato di
manovella azionando la quale si chiamava il centralino per poi
farsi passare la comunicazione con il numero desiderato.
Il telefono era composto da una parte fissa, nella quale si parlava
con l'interlocutore, ed una parte mobile da accostare all'orecchio,
che era collegata all'apparecchio principale con un cavo.
Naturalmente, in quegli anni a Costalta chi doveva fare o ricevere
una telefonata doveva per forza servirsi di questo posto telefonico
pubblico, il primo e unico collegamento telefonico del paese.
A me piaceva molto visitare la casa dei nonni sia perché
era sempre piena di gente (c'erano gli zii, i cugini e le cugine),
sia perché nóna Santina era una brava cuoca
e, come dicevo all'inizio, da giovane sposa aveva girato l'Austria
assieme al nonno ed aveva imparato a cucinare diversi piatti
tradizionali della cucina tedesca.
Ne ricorderò alcuni: i nighi, che sono dei krapfen
con un foro in mezzo e ricoperti con una spolverata di zucchero,
al smór, ottimo a colazione immerso nel latte,
al crestl (rosticciata di carne e patate cotte assieme)
Poi non mancavano mai le patate da tocè s'oio e sal,
le luganghe söce tagliate a fette e accompagnate col
pön de siéla, tutte cose fatte in casa dove ogni
anno si allevava al porel per le necessità
familiari.
Altra cosa che mi è rimasta in mente: la nonna si rivolgeva
al nonno dandogli del voi (voi Varisto) e quando dovevano
parlare tra di loro di cose che non eravamo tenuti a sentire
si esprimevano in tedesco; si trattava di un dialetto imparato
nelle migrazioni di gioventù in Tirolo e Carinzia.
(Gian Antonio Casanova Fuga)
Santina e Varisto (davanti al Municipio di S. Stefano
- fine anni Quaranta)
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