IL MIO AMICO SILVIO DI STADVÖGN Ricordare Silvio Stadoan significa andare con la memoria al periodo della mia infanzia e della mia giovinezza, tra la fine degli anni venti e la seconda guerra mondiale. Sono stati anni molto difficili, anni di miseria, quando anche un piccolo privilegio divideva le persone e le famiglie, segnava le distanze, costruiva muri di incomunicabilità. Silvio era figlio di uno stimato maestro elementare, apparteneva ad una famiglia come tante, ma che godeva di alcuni piccoli privilegi, che agli occhi dei più la faceva apparire "siora". La casa era custodita da una "governante", Giovana Rodla, la loro tavola non conosceva polenta o mös, ma cibi che apparivano prelibati e raffinati, anche se un po' strani e nemmeno molto sostanziosi. Queste differenze, percepite anche da noi bambini, non impedirono comunque un'amicizia lunga e intensa, che ha segnato profondamente la nostra infanzia e giovinezza. Carattere schivo, Silvio lo è stato sempre. Entrambi siamo nati nel 1923; eravamo vicini di casa ed era ovvio che crescessimo uniti. Tuttavia, a distanza di anni, dico che non si è trattata solo di un'amicizia estemporanea, scontata, come un legame naturale, ma anche superficiale, tra compagni di scuola. L'infanzia posso dire di averla trascorsa sempre zla ceda di Stadvögn e nel fienile attiguo, il nostro ritrovo preferito. Ricordo con nostalgia e affetto la creatività che animava i nostri giochi: gli scacchi realizzati con ritagli di falegnameria, il teatro delle marionette con fili e tutto il resto, costruiti interamente da noi; una giostra appesa al pnizo del fienile, diventata presto una piccola fonte di reddito, perché fu aperta al pubblico a zinche scöi la corsa! Ricordo le serate a suonare le canzoni in voga in quel tempo, udite dai primi rudimentali apparecchi radiofonici giunti da poco in paese, o che si sentivano dai cori spontanei di uomini e donne che si riunivano via di Variste o sul col de Sdön. Silvio suonava un piccolo mandolino, io il violino tre quarti regalatomi da mia sorella Giovanna. Era quello in effetti il nostro "gioco" preferito. In questi anni abbiamo maturato l'amore per l'arte, povera sì, ma appagante, la migliore compagna di una vita di stenti, miseria, sogni infranti. Mentre frequentava le scuole superiori per poter esercitare quella che poi sarebbe stata la professione della sua vita, Silvio mi rendeva partecipe dei suoi studi. Ricordo le nostre appassionate riflessioni e in modo particolare un episodio: ci trovavamo sul poggiolo di casa sua intenti in un'animata discussione, quando udimmo la voce della maestra d Palù, che viveva nell'appartamento accanto. Evidentemente ci aveva ascoltato ed era rimasta colpita da ciò che dicevamo. Ci mise bonariamente in guardia, con l'autorevolezza che la caratterizzava, dal seguire certe idee poco ortodosse e pericolose. Questo in effetti era un punto delicato. La famiglia di Stadvögn non frequentava la chiesa ed aveva idee politiche poco raccomandabili per la mentalità di allora. Mio padre e soprattutto mia sorella Lucia, infatti, non apprezzavano molto la mia amicizia con Silvio e, sebbene non la ostacolassero, non vedevano di buon occhio le mie continue visite alla casa di Stadvögn. Un'amicizia che pochi potevano capire, un'amicizia profonda, che ha lasciato un segno, credo, in entrambi, nonostante la vita ci abbia poi divisi. Credo di aver ricevuto molto da Silvio, ma sono convinto di aver dato altrettanto, come sempre accade nei legami forti. |
"MEDITAZIONI POETICHE" di Silvio De Bernardin |