Testamento

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA
(documento fornito da Duilio Casanova De Marco)

TESTAMENTO DI SER MARCO
FIGLIO DEL DEFUNTO SER GERARDO
DI COSTALTA DI COMELICO

3 ottobre 1418

Anno del Signore 1418, indizione XI (NOTA 1), giorno tre del mese di ottobre.

Nella villa (NOTA 2) di S. Pietro di Comelico, nella stuba presso la cànova del testatore ser Marco di Costalta, essendo presenti come testimoni, convocati in modo speciale e invitati dal sottoscritto testatore, i sottoscritti: ser Vitale di Forni Avoltri di Carnia, Cesco, figlio del defunto Giacomo di Costalissoio, mastro Ambrosio fabbro di Campolongo, Antonio, figlio del defunto Rigo Marangoni di Casada, Zaccaria di Sommoviale di Costalissoio, Giacomo, figlio del defunto Cesco Zambianchi di Costalta, Toncasio di Sommavilla di Presenaio, Odorico, figlio del defunto Mainardo Mazane di Valle, Mainardo di Colle e Nicolao, figlio del defunto Toncasio di Puledo di Comelico.

Sebbene l'ora incerta e dubbia della morte, per l'anima dell'uomo prudente, debba sempre sopraggiungere come onorata (NOTA 3), tuttavia, quando la malattia del corpo incalza da vicino, quest'ora ancor più è guardata da tutti con grande paura. E perciò, affinché non accada che un padre di famiglia muoia senza testamento, occorre allora attendere in modo speciale a stendere le disposizioni testamentarie del patrimonio temporale. Di conseguenza ser Marco, figlio del defunto ser Gerardo di Costalta di Comelico -uomo previdente, sano nell'anima, nei sensi e nell'intelletto per grazia di Gesù Cristo, padrone di sé e sobrio, sebbene debole nel corpo- temendo di morire senza testamento, ebbe cura di disporre del suo patrimonio e di tutti i suoi beni in questo modo, attraverso il presente dettato a voce, a mo' di testamento non scritto.

Innanzitutto, certamente -a favore della sua anima e di quella dei suoi defunti- tra i suoi beni, lasciò al lume di S. Pietro di Comelico (NOTA 4), nel cui cimitero desiderò essere sepolto, un messale completo, scritto dalla mano del prete ser Nicolao da Udine, pievano di S. Stefano di Comelico, il quale messale, ora, si trova nella chiesa di S. Pietro.

Allo stesso modo, lasciò alla scuola dei battuti della chiesa di S. Pietro un pezzo di terra e di prato, i quali stanno insieme e si trovano nelle pertinenze di S. Pietro, in un luogo detto Plan de Rin; il confine superiore si trova sulla strada comune e, in parte, nel lume di S. Pietro; quello inferiore nel territorio della curia di Cadubrio; ad oriente, nel sopraddetto lume di S. Pietro; ad occidente, nel pascolo e sulla strada comune.

Allo stesso modo, lasciò ad un qualsiasi lume tra tutte le altre chiese di Catubrio, un solo bene, un duplerio di cera (NOTA 5), una volta soltanto.

Allo stesso modo, lasciò al lume di S. Margherita di Sappada X soldi piccoli, una volta soltanto.

Allo stesso modo, lasciò al ser pievano, o vicepievano di S. Stefano che sarà intervenuto al suo funerale, III lire, una volta soltanto.

Allo stesso modo, lasciò ad un qualsiasi cappellano e altro sacerdote che sarà intervenuto al suo funerale, XX soldi.

Allo stesso modo, lasciò a Giacomo di Domenico di Trasage, suo consanguineo, XXV lire, una volta soltanto, come sua legittima parte.

Allo stesso modo, lasciò a Bartolomeo Zuanelle, suo nipote, figlio del defunto Bartolomeo, fratello del testatore stesso, due manci, ovvero tori, del prezzo e del valore di quattro ducati d'oro.

Allo stesso modo, lasciò al medesimo una sola giovenca, ovvero tora.

Allo stesso modo, lasciò al medesimo Bartolomeo otto bestie da lana e due capre, una volta soltanto, come sua legittima parte.

Allo stesso modo, lasciò a Palma, sua sorella, XL soldi piccoli, come sua legittima parte.

Allo stesso modo, lasciò a Giacomo Ageste di Campolongo, suo custode, tutto ciò che per il medesimo testatore è da lui custodito.

Allo stesso modo, lasciò a Maria e Giacoma, sue nipoti, figlie di Leonardo suo figlio, XXV lire del suo patrimonio personale, qualora si sposassero e, se muoiono prima di sposarsi, perverranno agli eredi sotto nominati.

Allo stesso modo, lasciò a Caterina, Bartolomea, Uliana, Maddalena e Polonia, sue nipoti, figlie di Giovanni suo figlio, XXV lire, a favore di una qualsiasi delle stesse, una volta soltanto, qualora si sposassero e, se muoiono prima di sposarsi, ciò pervenga agli eredi sotto nominati.

Allo stesso modo, lasciò ad Alice e Giacoma, sue nipoti, figlie di Bartolomeo suo figlio, XXV lire, come sopra.

Allo stesso modo, lasciò a donna Uliana, sua moglie, la sua dote e, oltre alla sua dote, il medesimo testatore ordinò di lasciare e comandò che lei stessa diventi e sia padrona unica e usufruttuaria nella sua casa fino alla fine della vita e che i figli e gli eredi sotto nominati si comportino e debbano trattarla bene e rispettosamente, come una madre.

Allo stesso modo, lasciò e comandò che i suoi figli ed eredi sotto nominati -a favore della sua anima e di quella dei suoi defunti- debbano per precetto ogni anno compiere o far compiere una sola offerta, per mezzo dell'intera assemblea d'Oltrerino (NOTA 6), con centosessanta libbre di carni di bue e con quattro calvìe di biada, con due di frumento e due di farina (NOTA 7).

Allo stesso modo, lasciò, volle e comandò che i suoi figli ed eredi sotto nominati celebrino o facciano celebrare il suo anniversario ogni anno in perpetuo nella chiesa di S. Pietro, con tre preti almeno. E tutte queste cose si facciano nei suoi due masi di terra e di prato, posti e situati nelle pertinenze di S. Pietro, il primo in un luogo detto Colle; il secondo al di sopra di Valle, in un luogo detto Peregrosse, all'interno dei confini di quelle. E se i detti eredi sotto nominati non compiono codesta detta offerta e detto anniversario, come è stato detto, ordinò al giurato del lume di S. Pietro (NOTA 8) di compiere detta offerta e detto anniversario e di impedire loro l'ingresso in detti masi.

Allo stesso modo, ordinò che i detti suoi eredi sotto nominati facciano celebrare ogni anno in perpetuo l'anniversario del defunto Domenico Zublarelli di Costalta, su tutti i beni del medesimo testatore.

Di conseguenza, affinché queste cose nel loro insieme e singolarmente siano compiute, osservate e portate a termine, lasciò come suoi commissari ed esecutori di questo testamento ser Antonio Bemardone di Valesella e Giovanni, figlio del defunto ser Simone di S. Stefano; mentre per tutti gli altri suoi beni mobili ed immobili, diritti e atti presenti e futuri, stabilì come suoi eredi universali, con parti uguali di eredità, Leonardo, Giovanni, Bartolomeo, Giacomo e Francesco, suoi figli legittimi e naturali. Il medesimo testatore mostrò essere questa la sua ultima volontà, la quale volle fosse efficace per diritto di testamento; e se per diritto di testamento non è efficace, lo sia almeno per il diritto che proviene da questi codicilli (NOTA 9).

Ed io Bartolomeo -figlio del defunto Giacomo, notalo di Salla- notaio per autorità imperiale (NOTA 10), fui presente e, pregato di scrivere, ho scritto.

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NOTE

1) L'indizione è un particolare computo degli anni che risale ai primi secoli dell'era cristiana. Gli anni vengono riuniti in gruppi di quindici; al termine della serie, si ricomincia.
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2) L'antico comune di S. Pietro di Comelico comprendeva una serie di "ville", cioè gruppi di case: Costalta, Valle, Stavello, S. Pietro, Presenaio. Nella traduzione, verranno riportate in corsivo le parole che si avvicinano alla lingua parlata e alla cultura del tempo.
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3) Il testo latino, in questo passaggio, è errato: invece di "debent, con ogni probabilità, bisogna leggere "debet".
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4) La parola 'lumen" si riferisce alla fabbriceria della chiesa: i beni della fabbriceria erano del tutto distinti da quelli destinati al sostentamento dei presbiteri, che consistevano, invece, in offerte in natura.
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5) Si tratta, verosimilmente, di un tipo particolare di candelabro.
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6) "Oltrerino" è l'antico nome del comune di S. Pietro di Comelico; "Tabula" o "regula" è l'assemblea a cui devono partecipare tutti i regolieri.
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7) La parola "siligo" può significare "fior di farina" o anche "frumento scelto".
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8) Si tratta del fabbriciere.
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9) I "codicilli" sono le aggiunte testamentarie.
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10) La sigla 'I.A." del testo latino significa "imperiali auctoritate": i notai facevano risalire la loro professione all'autorità dell'imperatore.
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