INCANTO BREVE
Tanto tempo è passato.
Lo sconosciuto era apparso in una sera d'estate; nessuno se n'era
stupito, perché nella valle lo spazio era grande ed il
forestiero poteva essere accolto. Guidava un carro trainato da
due cavalli e la donna che gli stava accanto aveva lo sguardo
dolce e penetrante ed un sorriso appena accennato sul volto stanco.
Bevvero il latte e mangiarono il pane che veniva loro offerto,
ma non chiesero altro. Certamente avevano percorso molta strada
e qualcuno pensava fossero stranieri.
"Grazie", solamente, e proseguirono verso Costa d'Antola.
Fu lì che si fermarono, attratti da chissà cosa,
come a volte accade quando sottili emozioni colpiscono l'anima:
forse fu l'erba del prato mossa dal vento ed il riflesso d'argento
della luna che dondolava sugli steli più alti, oppure
il cerchio di abeti che parevano messi apposta per offrire al
viandante rifugio sicuro ma senza barriere. Potevano immaginare
nello scorrere dell'acqua sui sassi del torrente o nel canto
delle cavallette in amore le parole di benvenuto che desideravano
udire. Avevano trovato il luogo che stavano cercando e si addormentarono
nella certezza che la luce del giorno non avrebbe tradito l'attesa.
Ciò che il buio aveva permesso di intuire divenne infatti
realtà l'indomani quando il sole diede forma e colore
alle cose.
Da allora, per entrambi, la vita iniziò a scorrere in
armonia col tempo, e se nessun abitante della valle fu depositario
del segreto della loro origine, tutti ne condivisero il presente.
L'uomo possedeva la saggezza di chi ha tanto cercato; non dava
giudizi e nemmeno consigli, ma sapeva ascoltare e lasciava trasparire
da sè una forza tale che chi gli parlava si sentiva in
pace, poi ritornava alla vita di sempre ed anche i gesti più
familiari acquistavano il sapore di una nuova scoperta .
La donna raccontava l'amore: poetiche leggende e storie vissute
dove trame di fantasia su orditi reali formavano veli trasparenti;
questi celavano e lasciavano intravedere misteri che soltanto
qualcuno riusciva a svelare.
L'uomo e la donna c'erano, ma non potevano essere definiti. La
loro presenza riempiva la valle, penetrava nelle baite lasciate
aperte per accoglierli, si alimentava alla freschezza dell'acqua
ed ai frutti di quella terra che da vergine si faceva fertile,
pascolava le greggi ed offriva riparo al calore dell'estate ed
al gelo dell'inverno. Ogni avvenimento trovava giustificazione,
la morte era seme da cui germinava ancora la vita e dal dolore
emergevano fili di speranza che intessuti da abili mani divenivano
candide coperte di cui l'anima si rivestiva a proteggere la propria
fragilità. La gioia toglieva spazio alla tristezza ed
il riposo non si prolungava nell'ozio.
Era tempo di festa, primavera, quando ogni essere porta con sè
vita nuova e diventa forza creatrice, le rane nell'acqua, gli
insetti nel prato, gli uccelli ed ogni altro animale, e i larici
si coprono della loro veste più tenera, gli abeti acquistano
vigore, I'erba germoglia, profuma di fresco, saltella il gregge,
il tremulo ride perché il vento gli muove le foglie che
vibrano come tasti di pianoforte al comporsi di un trillo e il
sole gli passa tra i rami, illumina il verde che mette allegria
al pastore che giace lì sotto e lo guarda.
Nasce la bimba agli occhi di tutti, le donne la lavano con gesti
materni, il suo pianto fa scendere lacrime di gioia, la madre
non ha forza, il padre la alza, era attesa da tanto e voluta:
"Sei bella, Visdende". "Riponila sul mio seno,
ha bisogno di caldo, il latte scorre, crescerà sana".
Ritornano gli animali al pascolo e ciascuno alla propria fatica.
Ma è danza la vita quel giorno, gioco di nuvole bizzarre
nel cielo e di bimbi nel prato, lo spazio è poco, la gioia
riempie.
La notte viene e porta sogni mai vissuti, i corpi si cercano,
si invitano, si accarezzano e si accolgono, poi si stringono
ed anche l'anima si fonde con la mente, la pienezza è
raggiunta e l'equilibrio è perfetto, non importa se domani
sarà diverso e bisognerà ricominciare.
Passano gli anni, si popola la valle, la gente arriva, la vita
di Visdende in altre parti è conosciuta, non si possono
contenere a lungo la bellezza e la grazia. Lei cresce, si fa
bimba curiosa che cerca e scopre ogni angolo più nascosto,
è terra morbida e pastosa e si lascia plasmare. Entrata
nel mondo ed accolta come frutto di lunga ricerca, non chiude
la propria anima agli eventi, affonda le radici ed attinge alimento
nella sapienza di chi l'ha generata ma sa che la vita è
sua, la sta costruendo. Per farsi forte chiede segreti, accumula
tesori in strati sempre più spessi dentro di sè.
Diventa fanciulla poi donna, incontra e perde amici lungo la
strada, soffre e gioisce, cammina su fili invisibili di ombra
e di luce dove pochi la seguono, s'inerpica su sentieri impervi
e difficili sempre più in alto.
E lassù, in alto, che incontra il gigante, all'improvviso,
in un giorno qualsiasi. Nemmeno i suoi genitori ne avevano parlato,
ogni rivelazione che non sia frutto di conquista toglie gusto
alla scoperta.
"Io so chi sei, Visdende, ti ho vista nascere, ti ho attesa
perché sapevo che saresti giunta fino qui".
Timore e paura, per la prima volta nello sguardo di lei. Si sgretolano
le certezze accumulate fino allora. Cerca scuse e indietreggia,
scappa tra il verde ma sente il suo sguardo.
"Di chi hai paura?" Gli basta allungare un braccio
per raggiungerla, le circonda la vita, I'attira a sè;
ogni difesa cade, il pudore svanisce. Gli occhi, la bocca, ogni
parte del corpo, non c'è violenza nei gesti, soltanto
abbandono, la pelle una delicata sottile barriera che avvolge
l'anima, lo sfiorare leggero, linguaggio muto e profondo, ogni
moto nascosto è vibrazione esterna finché sono
uno soltanto. Si leva il canto in un alternarsi di toni gravi
ed acuti poi diventa melodia che si confonde con la natura d'intorno,
ancora ricerca che continua, finisce, poi ricomincia, infine
dolcezza, calore, riposo, ogni corpo rivestito dell'altro, parole
sommesse, poesie, ricordi, solitudine, riconquista di sè,
pensieri che si perdono.
"Il mio nome è Peralba. Ho camminato a lungo per
giungere qui. L'urlo della terra mi ha generato, mi ha reso puro
l'acqua del mare, I'aria limpida mi ha avvolto con la sua trasparenza,
il tempo ha scavato su di me profondi solchi dove fragilità
e forza si confondono. Grande è la mia voglia di libertà:
solamente chi è simile a me può capire i tesori
che offro. Tu sei materia dell'idea d'amore che ho sempre cercato".
Desideri fino allora taciuti si esprimono e prendono forma. Si
fa adulta senza mediazioni la fantasia colorata dell'infanzia
lontana.
"Già prima di incontrarti ho ascoltato la tua voce
che fioriva nell'anima. Nutrimento dolce e tenero è il
frutto che ora colgo, ristoro alla mia sete la linfa che scorre
su di te. Ho dischiuso la porta perché sento che tu non
conosci barriere. Quest'alba è di gioia, respiriamo la
luce del giorno".
Non esiste più il tempo, la casa di sempre, lasciati gli
affetti; chi ama comprende e non c'è meraviglia, ma la
valle è cupa e laggiù più di uno, senza
parlare, attende il ritorno.
A piedi nudi camminano per sentieri sconosciuti, entrano vicini
nel folto dei boschi, si rincorrono festosi in mezzo ai prati
larghi, colpiti dal sole, rubano alle sorgenti la prima acqua
che sgorga e si fermano ai ruscelli dove si specchiano le foglie
carnose del crescione.
Giochi, spruzzi, risa, gocce che bagnano e lavano, perle trafitte
da raggi lucenti, mille colori che accarezzano e penetrano; il
corpo è esplosione di piaceri voluti.
"Quante volte da bambina me ne stavo seduta a guardare l'acqua,
usata senza paura da mani adulte, sporcata e trattenuta come
in un gioco assurdo che volesse imbrigliare e dar forma a ciò
che era libero.
L'inizio della mia passione, del mio amore che rimane per tutto
ciò che è imprendibile, che non è posseduto,
che conserva la sua ansia di scorrere, di essere, di arrestarsi
come di riprendere il cammino vincendo la tentazione di lasciarsi
attrarre, adescare, morire. Quell'amore che da sempre mi fa sfiorare
ma non prendere, volere ma non imprigionare. Amore profondo che
diventa carezza appena abbozzata per paura di ferire. Presenza
continua che diventa assenza e annullamento perché la
libertà rimanga viva, distacco quando nasce l'esigenza
della solitudine". Come il padre, il gigante ascolta ed
accoglie. La prende per mano, le sfiora i capelli, poi guida
i suoi passi verso il monte.
"Costruiremo una casa sulla roccia, avrà solide fondamenta
e spesse pareti, sarà per noi rifugio e riparo sicuro.
All'ospite lasceremo aperta la porta. Nella stagione propizia
cresceranno nel nostro giardino i fiori più belli e più
rari, la neve d'inverno ricamerà cristalli di ghiaccio.
Riempiremo i calici e brinderemo insieme ma ciascuno di noi rimarrà
sempre se stesso.
Guarda dove nasce il fiume, la sorgente è inesauribile,
il ciclo continuo, così sarà la nostra vita se
come l'acqua saremo nuovi ogni giorno". Fu costruita la
casa ed era una rocca, chi passava di lì sentiva nell'aria
una bellezza diversa e pulita, si inebriava di sensazioni mai
avvertite fino allora; I'amore era grande e volava sulle ali
del vento per poi disperdersi e ricadere in cento modi diversi
e subiva metamorfosi quando veniva raccolto, come seme che marcisce
e rivive.
Fluiscono gli anni, i fiori cadono e rinascono, gli abeti cospargono
di resina la corteccia ferita, maturano le bacche e sono frutti
profumati e gustosi, si spacca la scorza sotto i denti, la polpa
esce.
"Prendi, facciamo a metà". Impalpabile distacco
fra uomo e natura. Chi capisce non nasconde ma libera e trova
all'esterno la risposta che cerca. Interferenze concordi sulla
lunga strada dove la speranza ripone infine una sintonia universale.
Ma troppo irreali sono i giorni quando la gioia compensa il dolore.
Visdende fuggì in una notte di luna nuova, sciolta dall'abbraccio
sicuro, dopo aver guardato con occhi carichi di malinconia il
suo Peralba che dormiva o fingeva per non trattenerla. Si chinò
per un attimo ai piedi di lui ma era senza pensieri; sapeva di
aver vissuto ciò che doveva, per questo non c'erano in
lei nostalgie o rimpianti.
Ripercorse le vie più conosciute senza volgersi indietro,
calpestò la terra e scese. Qualcuno di certo la vide se
al mattino trovò tante mani pronte a stringere la sua.
Gesti densi di emozione: "Era triste senza di te".
Altre parole spezzano il silenzio, ma non domande, non si chiede
perché a chi si rispetta e si stima.
"Amici, andiamo al pascolo assieme".
Se ne vanno a rivisitare gli spazi mai dimenticati con versi,
canti, grida e allegria perché ciò che ognuno credeva
perduto era stato ritrovato.
Suonano i campanacci al collo delle mucche grasse e generose,
con la criniera al vento corrono i cavalli, figure stupende di
eleganza e perfezione.
Maestoso e sereno, il Peralba li circonda con un abbraccio senza
fine.
Carmen De Bettin
Val Visdende... oggi: sullo sfondo domina il
Peralba
La Val Visdende, a m. 1300, ricca
di boschi, di maestose fustaie d'abeti rossi e bianchi, di pascoli,
è un'autentica oasi di pace, con le sue fitte abetaie
dolcemente ondulate estendentesi per chilometri in ogni direzione,
attraversate da strade e sentieri, chiazzate da verdeggianti
radure fiorite sparse di pittoreschi casolari.
La valle è guardata dal maestoso Peralba, dalle cui falde
sgorga un rivolo d'acqua, che è la sorgente del fiume
Piave. |