"Daburiò", crostoli, matazins, matazere occupano
le piazze e la case
Aria di carnevale in Comelico
con tradizioni che continuano
L'aria di carnevale si respira
tra le case di Comelico Superiore. Dentro, dietro le tendine
ricamate, nelle "stue" rivestite di legno, mani abili
stanno confezionando i vestiti delle maschere che sfileranno
nei cortei di questo corto carnevale del 2002.
Carnevale è allegria di colori, di musica, di dolci fritture.
L'aria di carnevale si respira anche nel profumo di "daburiò",
che si spande per le stradine che collegano la varie borgate.
"Daburiò" in ladino del Comelico significa frittura,
preferibilmente in strutto di maiale, ma anche in olio, e le
fritture per eccellenza a carnevale sono quelle dolci. Le donne
di Dosoledo sanno che per rendere completa la festa di Santa
Plonia, la santa che si celebra nella giornata del 9 febbraio,
e che da tempo immemorabile è la festa mista laico-religiosa
della patrona del paese e della mascherata, sono necessari i
crostoli. La ricetta si tramanda a voce; ogni casato ha i suoi
segreti per renderli più gustosi, ma analoga è
la fragranza ed il gusto di queste sottili sfoglie cosparse di
zucchero. Li mangiano i matazins e le matazere, maschere augurali
di questo sentito carnevale ladino; li gustano il lachè
e il paiazu, insieme con "li mascri da bel e da veciu",
che popolano la piazza durante il ballo, assaporandoli nei chioschi
improvvisati a margine della mascherata, con un bicchiere di
vin brulé. Nella vicina Padola sono abituali in questo
periodo le "faveti", piccole castagnole fritte in olio
o strutto, che accompagnano le feste dei bambini e quelle degli
adulti nelle serate carnevalesche. A San Nicolò è
ripresa da alcuni anni la tradizione di sfilare mascherati per
le strade e allestire dei trattori come carri allegorici. Attorno
a questi carri, storie ironiche, declamate magari in rima nel
locale dialetto ladino. E anche qui i crostoli deliziano i palati
di grandi e piccini.
L'aria di carnevale coinvolge tutti i paesi del Comelico, anche
quelli dove non sfilano i cortei mascherati, ma dove il "daburiò"
ricorda la specialità di questo periodo dell'anno.
A Costalta le donne impastano
sul "fondà", la tavola usata per gli sfarinati
fatti in casa, farina, uova, zucchero, latte e lievito. La pastella
deve essere tenera e sbattuta, con le mani o un cucchiaio di
legno, in un apposito recipiente. Dopo la lievitazione, la pasta
viene immersa a cucchiaiate nello strutto bollente e lasciata
friggere per qualche secondo. Quindi viene tolta e cosparsa di
zucchero.
Ed ecco sono pronti i "nighi", piccole frittelle leggere,
da accompagnare, volendo, anche con la marmellata di "borsöi",
mirtilli rossi dal sapore agrodolce.
Dolcezza del carnevale comeliano, che passa di casa in casa e
trascina la gente in piazza a ballare al suono della fisarmonica
sui ritmi della "vecia". Dolcezza del "daburiò"
dai sapori antichi, che si rinnova ogni anno a metà dell'inverno,
portando con sè il desiderio di primavera.
Lucio Eicher Clere |