2-11-2006 Ricordando Per capire la tragicità
degli eventi dei primi giorni di novembre del 1966 in Comelico,
bisogna ricordare che agli inizi di settembre dell'anno prima
vi era stata una disastrosa alluvione che aveva distrutto 26
case, rese pericolanti 19, lasciato senza tetto 256 persone,
con 7 segherie, 2 occhialerie e altre attività artigianali
seriamente danneggiate. San Pietro di Cadore aveva cambiato fisionomia:
strade, acquedotti, fognature asportati.Sulla devastazione dell'anno
prima iniziò a scendere lo scroscio ininterrotto d'acqua
dal cielo e nella popolazione dei paesi di fondovalle la paura,
ancora a fior di pelle, riesplose angosciante. Il fiume Piave
si ingrossava a vista d'occhio ed il rimbombo si diffondeva per
tutta la valle. I torrenti che scendono dai pendii a nord ed
a sud trasportavano quantità d'acqua mai vista. La settimana
prima una nevicata di venti centimetri era scesa fino a quota
1500 metri e con il rialzo della temperatura ed il diluvio continuo
la massa d'acqua proveniente dalle montagne non riusciva a defluire.
Tranciati i cavi della corrente elettrica, i paesi erano nel
buio pesto. La mobilitazione volontaria degli uomini in tutte
le borgate tentava in qualche modo di opporre resistenza alla
potenza distruttrice dell'acqua, ma erano tentativi vani.La val
Visdende, dove solo alcuni mesi prima era stata inaugurata per
la festa della Montagna una comoda strada, era isolata, perché
la forza del Cordevole aveva distrutto molti tratti della strada
stessa, sconvolgendo totalmente la zona al punto di confluenza
con il Piave, dove c'erano una segheria ed una locanda. Era franata
anche la strada che sale a Costalta , in località Molini,
ed il paese stava vivendo l'incubo di una frana di grandi proporzioni,
che facesse scivolare a valle una parte dell'abitato. Molti smottamenti
di terra e lo sgorgare di ruscelli dal terreno facevano temere
il peggio.Alcune case della frazione più alta del comune
di San Pietro vennero evacuate e rese inagibili. La grande paura
attanagliava gli abitanti di Presenaio, Mare, Campolongo, Santo
Stefano, quelli con le abitazioni a ridosso del grande fiume.
Memori della devastazione dell'anno prima quasi tutti i proprietari
di case a ridosso del Piave, avevano lasciato le abitazioni,
andandosi a rifugiare in zone più sicure.Se nel 1965 c'erano
stati solo danni materiali, nel novembre del 1966 furono quattro
i morti che accrebbero la tragedia. A Presenaio Gigetto De Zolt,
25 anni, travolto da un'ondata di acqua e fango dal versante
nord della Terza Piccola che trascinò il giovane nel Piave.
Il suo corpo non venne più ritrovato. Nella periferia
di Santo Stefano una frana minacciava l'abitazione di Maria Pontil
e del figlio Dino De Candido. Egli decise di abbandonare la casa
e si caricò sulle spalle l'anziana madre. Ma un'andata
di acqua e limo fece cadere la madre dalle spalle del figlio,
ed egli tentò invano di trattenerla, rischiando a sua
volta di essere trascinato nel Piave. Nemmeno della sfortunata
Maria Pontil fu più ritrovato il corpo. Tuttavia la solidarietà
fu grande come la sofferenza , sia nell'aiuto ai disastrati,
nell'impegno volontario a ripristinare strade e collegamenti
tra paesi, sia nella grande quantità di aiuti, vestiario
in particolare, provenienti dall'Italia e da altri paesi europei.
L'emblema della solidarietà di quegli anni fu il "cappotto
dell'alluvione". |
"ACCADE A COSTALTA..." |