19-8-2003
Lettera di un "costaltese"...
La sanità bellunese
è un esempio per tutti
Basta con "malasanità".
Finiamola con questa "malasanità". Sono stufo,
schifato di trovare sui quotidiani trafiletti e lettere sula
malasanità.
Anch'io oggi voglio dire qualcosa sull'argomento.
Sono un uomo 80 anni, non sono nato nella bambagia nè
cresciuto fra gli agi. Con i miei fratelli avremmo potuto formare
uan squadra di pallacanestro (allenatore compreso). Della mia
fanciullezza ricordo la fame, tanta fame. Ho avuto le varie malattie
spettatemi: tifo, difterite, poi malaria o amebiasi, malanni
come calcoli renali e ulcera duodenale, alcuni ricoveri ospedalieri
e un paio di operazioni. Sono quindi un qualunque ottantenne
che sabato 2 agosto 2003 si trova con la moglie in Comelico già
da alcuni giorni a Costalta - frazione di San Pietro di Cadore
- quaranta case una chiesa, un cimitero, a 1300 metri sul livello
del mare, appiccicata sul costone del monte Zovo, fra il greto
del Piave e la Val Visdende. Mi alzo piuttosto presto, la giornata
si presenta splendida e io devo accompagnare i due cagnolini,
che ci fanno compagnia e hanno trascorso la notte in casa, a
sgranchirsi un po' le zampe fuori del paese (eufemismo).
Ma stamani qualcosa non funziona: mi sento stanco, fiacco, vuoto.
Sento fastidi all'addome, mi duole il torace, mi gira la testa.
Penso d'aver dormito in posizione errata e finisco di vestirmi.
Quando raccolgo i guinzagli sento che proprio non ce la faccio
e chiamo mia moglie a sostituirmi. Le è bastato uno sguardo,
e nonostante io cercassi di dissuaderla, prende il telefono e
compone il 118. Dopo sette minuti dall'allarme (così mi
riferì lei in seguito) un'autoambulanza è alla
porta (certo erano in zona), sei mani mi caricano su una barella
e giù a scapicollo verso il fondovalle. A cinque sei chilometri
incontriamo la macchina dell'Ulss con medico e infermieri che
ci sta venendo incontro. Veloce controllo di quanto avevano fatto
i primi paramedici e poi a sirene spiegate ci si fionda verso
Pieve di Cadore. L'autista non aveva ancora spento il motore
che un gruppo di persone, alcune bianco vestite e altre in arancione,
mi scarica dal mezzo trasferendomi al Pronto Soccorso. Ricordo
un corridoio con persone in attesa. Medici, visite, auscultazioni.
Per me era un mezzo caos. Mi infilano aghi per flebo, mi fanno
prelievi per analisi, mi intubano dove necessario. Non saprei
ricordare alcun volto: ho solo la sensazione di mani veloci leggere
premurose che sanno quello che va fatto. Qualcosa però
doveva preoccupare quei sanitari perchè sentii parlare
di Belluno e di elicottero. Così avvenne. Mi ci trovai
a bordo con un paio di giovanotti che cercano di tranquillizzarmi
temendo io paventassi il volo. Brevissimo tempo e ci fermammo
sulla piattaforma dell'ospedale di Belluno. Altro trasloco, altro
laboratorio, altri controlli e qui cominciai a vedere persone
e non solo camici. Mentre due infermieri mi sistemavano con flebo,
mascherina per l'ossigeno, una dozzina di sensori e altra robetta
varia, un medico (di cui ricordo aspetto e nome, ma qui mi astengo
dal precisare perchè gli omessi non suoni come una voluta
diminuita considerazione) si portò ai piedi del letto,
lentamente mi sfilò i calzini e, unitili, li depose sopra
una sedia. Ripeto "li depose" non li gettò o
lasciò cadere; alla fine fine erano due calzini e certo
non appena lavati perché stavano ai miei piedi) ma li
posò. Poi con calma e attenzione cominciò a esaminarmi
la pianta dei piedi, poi le dita una per una, poi i malleoli
e le caviglie, poi i polpacci cercando e premendo vena dopo vena
fino al ginocchio. Dopo meno di due ore potevo rivivere. Rimasi
in ospedale cinque giorni. Ora sono tornato a Costalta . Se fossi
uscito con i cani, non sarei rientrato a casa. Devo la mia vita
all'intuizione e al decisionismo di mia moglie e all'attività
del personale ospedaliero. Non parlo di preparazione o capacità
medico-operativa. Non sono Esculapio per giudicare. Ma sento
ancora la delicatezza dei modi, la cortesia nel parlare, la morbidezza
delle mani, il costante sorriso nell'esprimersi. Se questa è
malasanità in una regione (Veneto) e in una provincia
(Belluno) incuneata fra due Regioni a statuto speciale (Friuli
e Alto Adige) che riceve, rispetto alle confinanti dal Padre
Stato molto meno di quanto a queste assegnato...
Se questa è malasanità, allora evviva la malasanità,
evviva l'Ulss 1 e grazie Belluno!
Oscar Coi - COSTALTA |