25-8-2002
Cadde dal campanile e finì in carrozzina, così trovò
il tempo per l'arte
Sacrista e un po' artista
De Bettin col traforo è un vero maestro
Metti un sacrista, quello del duomo, che rovina
per sette metri dal camminamento interno al campanile di Juvara e se la
cava con la sola frattura di un piede. Ce ne sarebbe abbastanza per gridare
al miracolo, considerato anche che solo poco prima del "volo"
erano ancora posizionati in verticale i due pesi del grande orologio portati
giù dalla torre campanaria. Ma Pierluigi De Bettin, cinquant'anni
da poco compiuti, sacrista della cattedrale-basilica del capoluogo, non
intende proprio scomodare i santi per essersela cavata a buon mercato.
"E' andata così", racconta,
"un attimo di distrazione per salutare alcune persone che scendevano
dalla terrazza del campanile, ed ho fatto il volo. Poteva certo andarmi
peggio ma non era evidentemente scritto. E poi non tutto il male viene per
nuocere: nelle lunghissime giornate e nottate in cui sono stato costretto
sulla sedia a rotelle, ho potuto dedicarmi alla meditazione e alla creazione
artistica. Mi piace moltissimo dipingere, segno evidente che mio padre,
il noto pittore Giovanni, con studio nella natia Costalta, mi ha trasmesso
l'estro e la capacità di approccio con l'ispirazione, che credo sia
dentro ciascuno di noi".
Sta per chiudere una piccola personale nel vicino
bar Andrews dalle amiche Dunia e Sabrina, e racconta di aver avuto "diverse
parole di apprezzamento non solo quelle magari da parte degli amici ma anche
da gente che se ne intende".
De Bettin è sposato con la cadorina Lucia
De Nicolò e ha un figlio, Simone, di 17 anni. E' a Belluno ormai
da dieci anni, chiamato all'alto compito di "governare" laicamente
la cattedrale dove ha visto succedersi tre vescovi: Ducoli, Pietro Brollo
ed ora Vincenzo Savio. "Fu il compianto don Sergio Buzzatti a farmi
la proposta, avendo apprezzato il saluto evidentemente inusuale che gli
avevo rivolto come si usava un tempo: Sia lodato Gesù Cristo".
"All'inizio è stata dura inserirsi
in un ambiente come il capoluogo e la chiesa madre della Diocesi, dopo gli
anni trascorsi nella piccola patria Costalta, al servizio di quella comunità
e di quella chiesa. Ma con la forza di volontà, l'impegno sempre
pieno, l'aiuto della moglie, ci sono riuscito ed ora sono pienamente soddisfatto
del mio lavoro, godo del rispetto di tanta gente e riesco persino a fare
il "miracolo" di portare in chiesa qualche "rosso" che
ben volentieri mi aiuta quando debbo per esempio spostare la statua della
Madonna".
Nel tempo libero, quando non è occupato
in chiesa o in sacrestia per servizi vari legati al suo lavoro di sacrista,
Pierluigi de Bettin si dedica volentieri all'arte, dipinge e talvolta tira
fuori il traforo "che qualcosa come trent'anni fa mi ha consentito
di realizzare in compensato un modello del Duomo di Milano che mi ha procurato
grandi soddisfazioni. Ha richiesto un anno di impegno ma sono stato compensato
da riconoscimenti anche prestigiosi. Molti me lo hanno chiesto, ma per me
è troppo importate e prezioso".
Sempre col traforo, con questa particolare forma
artistica, De Bettin ha realizzato una scacchiera completa e due lampade.
"Anche questa è arte e confesso che quando andrò in pensione
mi piacerebbe tanto attivare una scuola di traforo per i ragazzini. Oggi
hanno il Lego, ma i pezzi sono già pronti. Vuoi mettere la soddisfazione
di costruire tutto con le tue mani? E a buon mercato? Di trafori ne ho tre
e li tengo ancora in uso perché voglio costruire un gallo segnatempo.
Il compensato si trova facilmente. Da subito vorrei partire con un corso,
che terrei anche qui a Belluno a titolo assolutamente gratuito".
Ma il desiderio di tornare nel paese natale per De Bettin è ancora
forte e non vede l'ora di portare la sua esperienza tra la sua gente, perchè
"una volta tornato nella mia Costalta... si vedrà".
Bona
Pierluigi De Bettin, figlio di Giovanni,
qui con la moglie, davanti... al Duomo di Milano |
Ed ecco alcuni dipinti di Pierluigi De Bettin,
esposti al Bar Andrews di Belluno,
nell'estate 2002...
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(Archivio fotografico Francesco Colarusso)
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